Codice Penale art. 235 - Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato 1 .Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato1. [I]. Il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero o il cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea sia condannato alla reclusione per un tempo superiore ai due anni2.
[II]. Il trasgressore dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice è punito con la reclusione da uno a quattro anni. In tal caso è obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto, anche fuori dei casi di flagranza, e si procede con rito direttissimo.
competenza: Trib. monocratico arresto: obbligatorio fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio [1] Articolo sostituito dall'art. 1 del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv., con modif., dalla legge 24 luglio 2008, n. 125. Il testo precedente disponeva: «[L'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato è ordinata dal giudice, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero sia condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a dieci anni. - Allo straniero che trasgredisce all'ordine di espulsione, pronunciato dal giudice, si applicano le sanzioni stabilite dalle leggi di sicurezza pubblica per il caso di contravvenzione all'ordine di espulsione emanato dall'Autorità amministrativa». [2] Seguiva un comma abrogato dall'art. 1, comma 2, della l. 15 luglio 2009, n. 94. Il testo del comma era il seguente: «Ferme restando le disposizioni in materia di esecuzione delle misure di sicurezza personali, l'espulsione e l'allontanamento dal territorio dello Stato sono eseguiti dal questore secondo le modalità di cui, rispettivamente, all'articolo 13, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e all'articolo 20, comma 11, del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30». InquadramentoL'art. 235 disciplina l'espulsione dello straniero, misura di sicurezza personale non detentiva che consiste nell'allontanamento di una persona dal territorio dello Stato. Essa non va confusa con altri tipi di espulsione, che pure producono il medesimo effetto, come l'espulsione amministrativa disposta dall'autorità amministrativa (Ministro dell'interno; Prefetto), o l'espulsione come sanzione sostitutiva della detenzione, anch'essa considerata misura amministrativa, prevista dall'art. 16 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (c.d. testo unico sull'immigrazione). Aldilà dei vari tipi di espulsione, la comune ratio che tutte le ispira, è l'interesse dello Stato a far venir meno la presenza dello straniero sul proprio territorio, o in quanto abbia dimostrato una particolare capacità a delinquere, o in quanto rappresenti un pericolo per l'ordine pubblico. Tuttavia, mentre l'espulsione come misura di sicurezza presuppone la commissione di un reato, nel caso dell'espulsione amministrativa tale presupposto può mancare, in quanto la decisione di procedere all'espulsione viene affidata alla discrezionalità amministrativa, sia pure nel rispetto del principio di legalità (Fidelbo-Panetta, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1270). Profili generaliLa disciplina dell'espulsione come misura di sicurezza — che nel caso di cittadini facenti parte della Comunità europea viene denominata allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea — è stata profondamente modificata a seguito dell'introduzione del c.d. pacchetto sicurezza del 2008/2009. L'art. 235, nell'attuale formulazione, stabilisce infatti che il giudice ordina l'espulsione dello straniero (o il suo allontanamento, per il cittadino comunitario): 1) nei casi preveduti dalla legge: il riferimento è alle ipotesi previste dall'art. 312. 2) nel caso in cui lo straniero, extracomunitario e non, sia condannato ad una pena superiore ai due anni di reclusione. L'originaria versione prevedeva invece l'applicazione della misura di sicurezza solo in presenza di una condanna per un periodo non inferiore a dieci anni di reclusione (oltre che nei casi espressamente consentiti dalla legge): tale abbassamento della soglia è stato interpretato in dottrina come un segnale della trasformazione dell'istituto da extrema ratio qual era in origine, in strumento fisiologico di neutralizzazione della pericolosità dello straniero delinquente (Viganò-Vizzardi, 813). Le modalità esecutive dell'espulsione e dell'allontanamento sono ora regolate dagli artt. 183-bis("Esecuzione della misura di sicurezza dell'espulsione del cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea e dell'apolide") e 183-ter ("Esecuzione della misura di sicurezza dell'allontanamento del cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea e di un suo familiare"), disp. att. c.p.p., norme che a loro volta rinviano, rispettivamente, all'art. 13, comma 4, d.lg. n. 286/1998, e all'art. 20, d.lgs. n. 30/2007 (v. infra). Originariamente l'ordinamento prevedeva l'automatica applicazione della misura di sicurezza in presenza delle condizioni previste dalla legge, senza richiedere alcun accertamento circa la pericolosità sociale del condannato, prefigurando delle ipotesi di pericolosità presunta: abolite tutte le ipotesi di pericolosità ex lege ad opera dell'art. 31, l. n. 663/1986, non si dubita che anche l'espulsione dello straniero (o l'allontanamento) possa essere disposta solo previo accertamento della pericolosità sociale dello stesso (Caputo). La giurisprudenza è conforme, rilevando che l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, nel caso di condanna alla reclusione per un tempo superiore a due anni, prevista dall'art. 235 come modificato dal d.l. n. 92/2008, conv. con modif. in l. n. 125/2008 — richiede il previo concreto accertamento della pericolosità sociale del reo (Cass. III, n. 48937/2009). A tal fine, il giudizio deve essere effettuato sulla scorta dei parametri valutativi di cui all'art. 133 c.p., tenendo conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo (Cass. II, n. 14704/2020), e la condizione di irregolare presenza in Italia, dovuta alla mancanza di un valido titolo di soggiorno, non costituisce, di per sé, elemento idoneo a fondare un giudizio sfavorevole di prognosi criminale, potendo assumere una tale valenza solo qualora lo straniero, per effetto dello stato di irregolarità, versi nell'impossibilità di procurarsi lecitamente i mezzi di sussistenza, con conseguente rischio di determinarsi alla commissione di nuovi reati (Cass. I, n. 23826/2020). La concessione della sospensione condizionale della pena, escludendo implicitamente l'attuale pericolosità sociale dello straniero condannato, ne impedisce l'espulsione (Cass. VI, n. 17183/2007). Qualora l'espulsione non sia stata applicata con la sentenza di condanna, deve ritenersi implicita la valutazione negativa in ordine alla pericolosità del condannato (Cass. II, n. 39359/2016; Cass. II, n. 16400/2021). Essa – in quanto misura di sicurezza personale opera anche in relazione ai fatti criminosi commessi prima della riforma legislativa, discendendo l'applicazione dall'attualità della pericolosità: ne consegue, in altri termini, la retroattività della misura (Cass. III, n. 44188/2013; per un contrario orientamento, che nega la retroattività in forza del principio che regola la successione di leggi penali nel tempo, v. Cass., II, n. 24342/2010). Trattasi infine di misura di sicurezza facoltativa la cui mancata applicazione non richiede una specifica motivazione quando la pericolosità sociale del condannato non risulti da concreti e rilevanti elementi relativi al medesimo, che siano esplicitati in motivazione (Cass. I, n. 18901/2019). Durata e revoca della misuraLa misura dell'espulsione ha carattere perpetuo, sicché non è previsto un periodo di durata minima (Manzini, Trattato, III, 375), ma può sempre essere revocata, in base al generale principio di cui all'art. 207, anche prima della sua esecuzione (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 594). Espulsione come misura di sicurezza e semilibertàSecondo la giurisprudenza, non vi è incompatibilità tra la misura di sicurezza della espulsione dal territorio dello Stato italiano e la misura alternativa della semilibertà, sia perché essa non è prevista da alcuna norma, sia perché le due misure trovano applicazione in tempi diversi, sia perché le misure alternative si applicano a tutti coloro che si trovano ad espiare pene inflitte dal giudice italiano in istituti italiani, senza differenziazione di nazionalità. Non vi è contrasto neppure con riferimento al fine del regime della semilibertà, volto a favorire il reinserimento del soggetto nella società, senza distinzione fra società italiana ed estera, poiché il reinserimento sociale non può assumere connotati nazionalistici, ma va rapportato alla collaborazione fra gli stati nel settore della giurisdizione. Espulsione come misura di sicurezza e liberazione condizionalePronunciandosi in materia di stupefacenti, la S.C. ha affermato che lo straniero, condannato e poi ammesso alla liberazione condizionale, con conseguente applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata, non deve essere espulso dallo Stato all'atto della liberazione, poiché sulla misura di sicurezza dell'espulsione a lui applicata con la sentenza, prevale quella della libertà vigilata (Cass., I, n. 1771/1986). Espulsione come misura di sicurezza e patteggiamentoPoiché l'espulsione è una misura di sicurezza personale, ne viene esclusa l'applicabilità in caso di patteggiamento c.d. ordinario, stante il disposto letterale dell'art. 445, comma 1, c.p.p. (Cass. I, n. 7454/2006). Diversamente, nel caso di patteggiamento c.d. allargato (applicazione della pena su richiesta delle parti entro il limite massimo di cinque anni), essa è certamente applicabile, come in genere tutte le misure di sicurezza (Cass. IV, n. 42841/2008), previo, in ogni caso, accertamento della pericolosità sociale dell'imputato (Cass. IV, 24427/2018). Espulsione come misura di sicurezza ed espulsione amministrativaL'espulsione come misura di sicurezza va tenuta distinta dall'espulsione amministrativa, istituto originariamente disciplinato dall'art. 150 r.d. n. 773/1931, (c.d. t.u.l.p.s.), successivamente dall'abrogato art. 7 d.l. n. 416/1989, conv. con modif. nella l. n. 39/1990, e oggi principalmente dall'art. 13, d.lgs. n. 286/1998, e successive modificazioni (d.lgs. n. 159/2011). I confini tra i due istituti, ormai piuttosto incerti dopo i numerosi interventi legislativi, vengono in genere individuati nell'autorità da cui promana il provvedimento di espulsione, e nell'intrinseca discrezionalità che lo caratterizza. Vi sono tuttavia numerose ipotesi di espulsioni amministrative vincolate, che trovano fondamento nella commissione di un fatto di reato accertato con sentenza definitiva, e sono disposte dal giudice penale o, qualora penda un procedimento penale, sono soggette a nulla osta dell'A.G. procedente (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 586-587). Le diverse ipotesi di espulsione amministrativa previste dal testo unico sull'immigrazione. CenniL'espulsione amministrativa prevista dall'art. 13 d.lgs. n. 286/1998 L'art. 13, d.lgs. n. 286/1998 e successive modificazioni, prevede due forme di espulsione amministrativa: a) Quella disposta dal Ministro dell'interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. b) Quella disposta dal Prefetto nei confronti dello straniero che: - è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera. - si è trattenuto nel territorio dello Stato senza avere presentato la dichiarazione di presenza prevista dalla l. n. 68/2007; - si è trattenuto nel territorio dello Stato senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto; - si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato; - si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo; - è indiziato di appartenere ad un'associazione mafiosa o appartiene ad una delle categorie cui può essere applicata una misura di prevenzione ex lege n. 1423/1956 (ora d.lgs. n. 159/2011). L'espulsione amministrativa prevista dall'art. 26, comma 7 bis , d.lgs. n. 286/1998 L'art. 26, comma 7-bis, d.lgs. n. 286/1998., prevede la revoca obbligatoria del permesso di soggiorno, che rappresenta il presupposto per l'applicazione di un'autonoma figura di espulsione, destinata esclusivamente a stranieri in possesso di permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo, che abbiano riportato condanna irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni in materia di tutela del diritto d'autore e dagli artt. 473 e 474 c.p.; si tratta di un'ipotesi espulsiva disposta con decreto motivato immediatamente esecutivo: in tal caso il questore, prima di procedere all'espulsione, chiede il nulla osta all'A.G., nulla osta che si intende concesso in mancanza di riscontro entro sette giorni dalla data di ricezione della richiesta da parte del giudice (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 583). L'espulsione come sanzione sostitutiva o alternativa a) L'art.16, comma 1, d.lgs. n. 286/1998, prevede l'espulsione come sanzione sostitutiva della detenzione. Figura del tutto nuova, questa forma di espulsione facoltativa a titolo di sanzione sostitutiva della detenzione, opera all'interno del processo penale ed è disposta dal giudice nei confronti (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 584): - dell'imputato cittadino extracomunitario che si trovi in una delle situazioni indicate nell'art. 13, comma 2, d.lgs. n. 286/1998. - che abbia riportato condanna per reato non colposo, anche inflitta a seguito di applicazione pena ex art. 444 c.p.p., qualora il giudice ritenga di irrogare una pena detentiva non superiore ai due anni. Si richiede inoltre che: - la pena non possa essere sospesa; - non ricorrano cause ostative all'espulsione (art. 14, comma 1, d.lgs. n. 286/1998). Tale forma di espulsione non è una sanzione sostitutiva vera e propria, ma piuttosto un provvedimento sanzionatorio amministrativo adottato dal giudice penale, posto che la sua esecuzione è affidata al questore e non al pubblico ministero, e i suoi presupposti sostanzialmente coincidono con quelli dell'espulsione amministrativa disposta dal Prefetto ex art. 13, comma 2, d.lgs. n. 286/1998 (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 584). La Corte costituzionale, alla quale è stata prospettata l'incostituzionalità dell'istituto per violazione degli artt. 3, 24 e 27 Cost., con ordinanza interpretativa di rigetto n. 369/1999 ha precisato che tale figura non costituisce una sanzione criminale, sicché ad essa non è richiesto di essere compatibile con i principi costituzionali riguardanti quel tipo di sanzione. Piuttosto, essa è una misura amministrativa poiché, nonostante sia definita come «espulsione a titolo di sanzione sostitutiva della detenzione», l'uso del termine 'misurà riconduce l'istituto nel sistema amministrativo. Inoltre, la previsione dell'esecuzione affidata al questore, anziché al pubblico ministero, nonché il richiamo alle condizioni per l'espulsione amministrativa, portano ad escludere la natura penale della misura stessa. Pertanto, la disposizione va interpretata nel senso che il giudice penale è eccezionalmente chiamato, nell'ambito di un giudizio in cui lo straniero è imputato di un reato e solo nel caso in cui il processo si debba concludere con una pronuncia di condanna o con sentenza di patteggiamento (art. 444 c.p.p.), a sostituire la sanzione criminale con una misura amministrativa. Trattandosi di una misura sostitutiva della detenzione in carcere e non di una misura di sicurezza, esula dall'accordo delle parti sull'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., e può essere disposta direttamente dal giudice, all'esito di una valutazione discrezionale dei parametri normativi, con una statuizione che l'interessato, in assenza della domanda di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, non ha un interesse concreto ed attuale ad impugnare (Cass., I, n. 3799/2014; per un diverso orientamento, v. Cass. VI, n. 7906/2006). b) L'art.16, comma 5, d.lgs. n. 286/1998, prevede l'espulsione come sanzione alternativa alla detenzione. Secondo la giurisprudenza, l'espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena, prevista dall'art. 16, comma 5, d.lg. 25 luglio 1998, n. 286 (nel testo modificato dall'art. 6, comma 1, lett. a), d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito nella l. 21 febbraio 2014, n. 10), è riservata alla competenza del giudice di sorveglianza, ha natura amministrativa, e costituisce un'atipica misura alternativa o sostitutiva della detenzione, finalizzata ad evitare il sovraffollamento carcerario, e della quale è obbligatoria l'adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge (Cass. I, n. 48684/2015). Essa può essere disposta anche per reati commessi ed accertati prima della entrata in vigore della novella, e per i quali la misura non era precedentemente contemplata, poiché le norme sull'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione non hanno natura di norme penali sostanziali e sono soggette, in caso di successione di leggi, al principio del tempus regit actum (Cass. I, n. 52578/2014). Tale misura si applica (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 585): - Allo straniero extracomunitario, identificato, detenuto o internato in un istituto penitenziario. - Che abbia in corso di esecuzione una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni. - Che sia stato condannato per un reato diverso da uno di quelli indicati nell'art. 407, comma 2, let. a) c.p.p., ovvero da uno dei delitti previsti dal d.lgs. n. 286/1998. - Che si trovi in una delle situazioni tassativamente previste come presupposto per l'espulsione amministrativa nell'art. 13, comma 2, d.lgs. n. 286/1998, cit. Pur trattandosi di misura amministrativa (sul punto, v. anche Corte cost. n. 222/2004), è emessa a seguito di procedimento giurisdizionale, e contro di essa è previsto il solo rimedio dell'opposizione dinanzi al tribunale di sorveglianza, e non anche il ricorso immediato per cassazione (Cass., I, n. 53182/2014); parimenti, non può esserne disposta la disapplicazione nell'ambito di altri procedimenti (Cass. I, n. 48160/2013). È tuttavia illegittima l'espulsione dello straniero come misura alternativa alla detenzione, qualora egli abbia tempestivamente presentato domanda di permesso di soggiorno e su di essa la competente autorità amministrativa non abbia ancora deciso (Cass. I, n. 41370/2009). c) Gli artt. 10-bis (introdotto dalla l. n. 94/2009) e 16 d.lgs. n. 286/1998, prevedono un'altra ipotesi di espulsione come sanzione sostituiva della pena, questa volta pecuniaria. L'art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998, cit., in particolare, punisce con la pena pecuniaria da cinquemila a diecimila euro, il reato dello straniero extracomunitario che faccia ingresso o si trattenga illegalmente nel territorio dello Stato (c.d. reato di immigrazione clandestina); in tal caso l'espulsione, prevista dall'art. 16 dello stesso decreto, è disposta dal giudice di pace purché non sussistano impedimenti all'esecuzione immediata di essa mediante l'accompagnamento alla frontiera di cui all'art. 14 d.lgs. n. 286/1998, cit. La norma in esame incarna una figura di reato estremamente controversa, ma tuttora presente nel nostro ordinamento, nonostante l'ampio dibattito che ha suscitato una sua possibile abrogazione a mezzo dei decreti legislativi 15 gennaio 2016 n. 7 e n. 8, di fatto non avvenuta; la giurisprudenza ha precisato che la sostituzione della pena dell'ammenda con la misura dell'espulsione coattiva, è compatibile con la direttiva della Commissione 2008/115/UE (c.d. direttiva sui rimpatri), così come interpretata dalla Corte di Giustizia con la sentenza 6 dicembre 2012 C-430/11, Sagor, e con l'ordinanza 21 marzo 2013 C-522/11, Mbaye, ove ricorra la duplice condizione di un concreto rischio di fuga da parte dello straniero, e che risulti accertata la possibilità di esecuzione immediata dell'espulsione per l'assenza delle condizioni ostative di cui all'art. 14 d.lgs. n. 286/1998 (Cass. I, n. 45544/2015). L'applicazione da parte del giudice di pace di tale misura è discrezionale e non obbligatoria (Cass. I, n. 13408/2011), conformemente a quanto affermato dalla Corte Cost. con ordinanza n. 250/2010, ed è possibile anche in presenza di una sentenza non irrevocabile, il che ha suscitato critiche in dottrina per un possibile contrasto con il principio di non colpevolezza. Ma l'obiezione è superata ove si ritenga che la misura in argomento non è una sanzione penale ma, appunto, una misura amministrativa, posto che l'espulsione non ha un precipuo carattere di afflittività (Fidelbo-Panetta, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1298). L'espulsione dello straniero nella legge sugli stupefacentiLa legge sugli stupefacenti (d.P.R. n. 309/1990) prevede alcune ipotesi specifiche di espulsione dello straniero, di cui è controversa la natura. In particolare, l'art. 86, comma 1, d.P.R. n. 309/1990 prevede che lo straniero condannato per uno dei reati previsti dagli artt. 73,74,79, e 82, commi 2 e 3, dello stesso d.P.R., una volta espiata la pena, deve essere espulso dallo Stato. Si tratta di di una misura espulsiva che consegue obbligatoriamente alla condanna (la Corte costituzionale ha tuttavia dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma, laddove non poneva l'obbligo del previo accertamento della pericolosità sociale del destinatario della misura: cfr. Corte cost. n. 48/1995). Detta misura non può comunque essere disposta quando la pena detentiva non superiore ai due anni sia stata applicata ex art. 444 c.p.p., non consentendolo l'art. 445 comma 1 c.p.p. (Cass. VI, n. 17516/2018). L'art. 86, comma 2, d.P.R. cit. prevede che lo stesso provvedimento di espulsione può essere adottato nei confronti dello straniero condannato per uno degli altri delitti previsti dal medesimo d.P.R. Si tratta, in questo caso, di una espulsione facoltativa (Fidelbo-Panetta, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1284). La dottrina prevalente (Amato-Fidelbo), ritiene che le due ipotesi di espulsione suindicate abbiano natura di misura di sicurezza; altra dottrina, invece, le considera espulsioni amministrative (Miele). La giurisprudenza, a sua volta, le ritiene misure di sicurezza personali, la cui applicazione effettiva richiede, secondo le regole generali, non solo il previo accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato, in conformità all'art. 8 Cedu in relazione all'art. 117 Cost., ma anche l'esame comparativo della condizione familiare dell'imputato, ove ritualmente prospettata, con gli altri criteri di valutazione indicati dall'art. 133 c.p., in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare (Cass. IV, n. 52137/2017). In caso di mancata applicazione della misura da parte del giudice della cognizione, non potrà farsi ricorso né alla procedura di correzione dell'errore materiale (art. 130 c.p.p.), possibile soltanto quando la eliminazione dell'errore non comporta una modificazione sostanziale dell'atto, né alla procedura ex art. 666 c.p.p., poiché non si tratta di materia di competenza del giudice dell'esecuzione ma di quello di sorveglianza, che dovrà provvedere su richiesta del P.M. o d'ufficio, trattandosi di misura di sicurezza diversa dalla confisca che, non essendo stata ordinata con la sentenza, «deve essere ordinata successivamente» (art. 629 c.p.p.), previo accertamento della pericolosità sociale del condannato (Cass. VI, n. 2021/1994, cit.). Dunque l'applicazione della misura espulsiva non è affatto automatica: non solo, infatti, è necessario il previo accertamento della pericolosità sociale del condannato, ma, come osservato dalla più recente giurisprudenza, « in conformità all'art. 8 Cedu in relazione all'art. 117 Cost., è necessario anche l'esame comparativo della condizione personale e familiare dell'imputato stesso, ove ritualmente prospettata o comunque risultante dagli atti del processo, con gli altri criteri di valutazione indicati dall'art. 133, in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare (Cass. III, n. 30493/2015). L'espulsione dello straniero colto in flagranza di reato. L'art. 86, comma 3, d.P.R. n. 309/1990, prevede l'espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera, da parte del Prefetto, dello straniero colto nella flagranza dei reati previsti dai commi 1, 2 e 5 dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990. La dottrina (Amato), ritiene che si tratti di una misura amministrativa rientrante tra le misure di pubblica sicurezza, per la cui esecuzione è necessario il previo nulla osta dell'A.G. che, una volta rilasciato, rende l'espulsione un atto dovuto per l'autorità amministrativa. Il riferimento nella norma al termine «stato di flagranza», senza ulteriori specificazioni, pone dei seri dubbi interpretativi, non potendosi escludere che l'espulsione possa prescindere addirittura da un arresto in senso tecnico; tuttavia, tale estrema interpretazione è generalmente respinta, in quanto contrastante con l'art. 10 Cost., che pone il principio della conformità delle leggi italiane alle norme e ai trattati internazionali, compresi quelli in materia di trattamento degli stranieri, che non possono essere disattesi neanche da norme caratterizzate dall'emergenza e dalla specialità (Miele). Si è altresì precisato che questa particolare forma di espulsione non appare del tutto conforme al Protocollo aggiuntivo n. 7 Cedu il quale prevede, tra l'altro, che lo straniero legalmente residente in uno Stato non possa essere espulso se non a seguito di un provvedimento adottato ai sensi di legge, e deve essere messo in condizione di potersi opporre all'espulsione, facendo esaminare il suo caso all'autorità competente con possibilità di farsi rappresentare (Fidelbo-Panetta, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1289). L'espulsione dello straniero per motivi di prevenzione e terrorismoL'art. 4, comma 2, d.l. 18 febbraio 2015 n. 7, conv., con modif., dalla l. 17 aprile 2015, n. 43, ha introdotto nel testo unico sull'immigrazione (d.lg. n. 286/1998) e nel codice antimafia (d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159), importanti novità, sulla spinta dei tragici fatti di terrorismo internazionale degli ultimi tempi. In particolare, l'art. 13, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 286/1998 prevede che il Prefetto disponga l'espulsione dello straniero il quale appartenga ad una delle categorie indicate negli artt. 1, 4 e 16 d.lgs. n. 159/2011. Il richiamo è ad una serie di soggetti destinatari della normativa antimafia, tra cui, appunto, coloro i quali — operanti in gruppi o isolatamente — pongano in essere atti preparatori obbiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato o alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale. Il provvedimento espulsivo assume le forme del decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell'interessato, ed è eseguito dal questore con l'accompagnamento alla frontiera, modalità, questa, prevista solo nei casi di pericolo di fuga, di respingimento della domanda di soggiorno perché manifestamente infondata o fraudolenta, ovvero di pericolosità per l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica, o la sicurezza nazionale dello straniero (Fidelbo-Panetta, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1300). I destinatari della misura di sicurezza dell'espulsione (o allontanamento)Si distingue tra espulsione ed allontanamento: la prima, è riservata agli stranieri (intesi come cittadini di un Paese non facente parte della Comunità europea) e agli apolidi, esclusi gli apolidi residenti sul territorio nazionale e gli italiani non appartenenti alla Repubblica, nonché coloro che, avendo perso la cittadinanza italiana, sono considerati ancora cittadini ai fini della commissione di un delitto contro la personalità dello Stato (art. 242, comma 2: Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 587). Il secondo, è riservato ai cittadini di uno Stato membro della Comunità europea. Peraltro, l'art. 19 d.lgs. n. 286/1998, preclude l'adozione della misura nei confronti di talune categorie di soggetti, e nei seguenti casi (Cass. III, n. 30493/2015): Non può mai essere disposta l'espulsione verso lo Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione. La giurisprudenza ha anche precisato che ai fini dell'operatività del suddetto divieto non è sufficiente la semplice enunciazione del relativo rischio da parte dell'interessato, ma occorre che lo «status» di rifugiato sia accertato dall'apposita Commissione centrale per il riconoscimento di esso, ovvero, qualora la Commissione non si sia pronunciata, che il giudice chiamato a disporre l'espulsione accerti, in via incidentale, la sussistenza dei presupposti che potrebbero condurre, in concreto, al detto riconoscimento (Cass. I, n. 2239/2004). In ogni caso, non può trovare esecuzione il provvedimento di espulsione qualora sussista il serio pericolo che il destinatario sia sottoposto nel Paese d'origine alla pena di morte, ovvero a trattamento inumani o degradanti, senza che assuma rilievo, in tal caso, la valutazione relativa alla gravità del fatto ed alla pericolosità sociale del reo (Cass. I, n. 49242/2017). Non è consentito disporre l'espulsione, salvo quella per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, nei confronti: a) degli stranieri minori di anni 18, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi; b) degli stranieri in possesso della carta di soggiorno; c) degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge di nazionalità italiana; d) delle donne in stato di gravidanza (e del coniuge) e nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono. Con riferimento al punto sub b), la S.C. ha affermato che l'espulsione può essere disposta (se ne ricorrono le condizioni) anche nei confronti dello straniero munito di permesso di soggiorno e convivente con prossimi congiunti di nazionalità italiana, a fronte del preminente interesse dello Stato all'allontanamento di una persona che si sia rivelata rivelata incline a delinquere e sia, dunque, socialmente pericolosa; non è però consentita l'espulsione degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge che siano di nazionalità italiana, posto che il divieto previsto dall'art. 19, comma 2, lett. c), d.Igs. n. 286/1998 si applica a tutte le espulsioni giudiziali. Pertanto anche l'espulsione, o l'allontanamento dal territorio nazionale del cittadino comunitario, previsti dall'art. 235, possono essere disposti solo quando, pur in presenza di altri familiari di nazionalità italiana, non lo siano i parenti entro il secondo grado ed il coniuge che convivano con lo stesso (Cass. V, n. 1953/2018). Con riferimento al punto sub c), la giurisprudenza ha precisato che la verifica della sussistenza dello stato di convivenza con il coniuge di nazionalità italiana, va compiuta all'esito dell'espiazione della pena, momento in cui il magistrato di sorveglianza dispone l'esecuzione del provvedimento, non richiedendosi invece che sia presente già alla data di commissione del fatto-reato (Cass. I, n. 40529/2017). Con riferimento al punto sub d), la giurisprudenza ha affermato che il combinato disposto degli artt. 86 d.P.R. n. 309/1990, 5 e 19, comma 2, lett. d) d.lg. n. 286/1998, interpretato in relazione all'art. 30, comma 1, Cost., vieta che il giudice possa disporre l'espulsione dello straniero, condannato per reati concernenti gli stupefacenti, nel periodo di gravidanza della moglie convivente ovvero entro i sei mesi successivi alla nascita del figlio, in questo secondo caso indipendentemente dalla convivenza e dal rapporto di coniugio (Cass., IV, n. 50379/2014). Allo stesso modo, il divieto di espulsione dello straniero convivente con il coniuge e/o con figli minori di nazionalità italiana è applicabile anche all'espulsione prevista per il caso dello straniero condannato per reati concernenti gli stupefacenti (Cass., II, n. 3607/2011). Infine, è stato precisato che le cause ostative all'espulsione di cui all'art. 19 d.lgs. n. 286/1998 non hanno carattere tassativo, ma devono essere interpretate alla luce della Corte cost. n. 252/2001, secondo cui il provvedimento di espulsione pronunciato nei confronti di persona irregolarmente soggiornante nello Stato non può essere eseguito qualora dall'esecuzione derivi un irreparabile pregiudizio per la salute dell'individuo; pertanto, nel caso di condannato affetto da grave disabilità, ancorché questa non rientri tra le condizioni legislativamente poste a fondamento del divieto di espulsione, il giudice è comunque tenuto a verificare, in concreto, se del caso anche ricorrendo a mezzi istruttori, che l'espulsione non leda il nucleo irriducibile del diritto alla salute garantito dall'art. 32 Cost. (Cass. I. n. 38041/2017). Profili processualiIl procedimento applicativo dell'espulsione come misura di sicurezza, secondo l'impostazione originaria del codice, è scandito dagli artt. 658 e 679 c.p.p.: una volta passata in giudicato la sentenza che ha applicato la misura, l'espulsione viene resa esecutiva dal giudice di sorveglianza su richiesta del pubblico ministero, verificata la persistenza della pericolosità sociale del condannato, e quindi concretamente eseguita dall'autorità di pubblica sicurezza nelle forme e nei modi stabiliti per l'espulsione amministrativa dall'art. 13 d.lgs. n. 286/1998. Quest'ultima può avvenire sostanzialmente in due modi (Fidelbo-Panetta, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1275 ss.): - attraverso l'intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro un termine compreso tra sette e trenta giorni (art. 13 cit., comma 5); - con accompagnamento diretto alla frontiera ad opera della Forza Pubblica su ordine del questore (c.d. espulsione immediata: art. 13 cit., commi 4 e 5). In entrambi i casi è prevista la possibilità, alla presenza dei presupposti di legge, di trattenere lo straniero per il tempo strettamente necessario in uno dei centri di permanenza temporanea ed assistenza previsti dall'art. 14, d.lgs. n. 286/1998. La dottrina ha osservato che, sebbene l'espulsione immediata sia quella vista con maggior favore dal legislatore, essa può essere disposta solo nei casi tassativamente previsti, mentre la forma ordinaria dell'esecuzione della misura è quella per intimazione (Fidelbo-Panetta, Rassegna, 1276 e ss.). La materia è ora regolata dai nuovi artt. 183-bis e 183-ter disp. att. c.p.p., introdotti dalla l. n. 94/2009, dedicati, rispettivamente, all'espulsione del cittadino extracomunitario, e all'allontanamento del cittadino comunitario. L'art. 183- bis dispone che l'espulsione del cittadino extracomunitario è eseguita dal questore secondo le modalità previste dall'art. 13 comma 4, d.lgs. n. 286/1998, ovvero mediante accompagnamento immediato alla frontiera. L'art. 183- ter dispone a sua volta che l'allontanamento del cittadino comunitario (compresi coniuge e parenti) è eseguito con le modalità previste dall'art. 20, d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, il quale a sua volta rinvia all'art. 13, comma 5 bis, d.lg. n. 286/1998. La procedura richiamata prevede che l'allontanamento sia eseguito mediante accompagnamento alla frontiera previa convalida del provvedimento da parte del giudice di pace, ma si ritiene che tale convalida non sia richiesta per l'allontanamento-misura di sicurezza, essendo quest'ultimo un provvedimento giurisdizionale, per il quale la convalida non avrebbe senso: pertanto, il rinvio all'art. 13, comma 5, deve intendersi limitato alla sola parte in cui si prevede che l'esecuzione sia disposta mediante accompagnamento alla frontiera (Pelissero). Va infine aggiunto che dovrà tenersi conto anche di eventuali motivi ostativi all'espulsione provenienti da norme recettizie di trattati internazionali, come quella che preclude l'adozione del provvedimento di espulsione nei confronti dei lavoratori CEE (ora UE) e dei loro familiari, adottato sulla base di una sentenza di condanna senza che vi siano ragioni di ordine pubblico, sicurezza pubblica, o sanità pubblica (art. 6, d.P.R. n. 1656/1965 - v. ora art. 21 d.lgs. n. 30/2007; Fidelbo-Panetta, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1279). Trasgressione all'ordine di espulsione o di allontanamentoA norma dell'art. 235, comma 2, così come sostituito dall'art. 1, d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv., con modif., in l. 24 luglio 2008, n. 125, l'inosservanza dell'ordine di espulsione è punita con la pena della reclusione da uno a quattro anni: è stato posto in rilevo come questo sia l'unico caso nel nostro ordinamento in cui la trasgressione di una misure di sicurezza costituisce reato (Fidelbo-Panetta, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1281). È altresì previsto l'arresto obbligatorio, anche fuori dei casi di flagranza, e si procede con rito direttissimo. La dottrina ritiene che sia sanzionata non tanto l'inosservanza dell'ordine di espulsione o di allontanamento, quanto piuttosto il reingresso non autorizzato del soggetto espulso o allontanato dal territorio dello Stato (Caputo). La giurisprudenza ha osservato che il reato in oggetto ha natura permanente, perché è diretto a impedire l'illegale rientro e l'illecita permanenza nel territorio dello Stato, e dunque la continuità della condotta antigiuridica protratta nel tempo. Pertanto, in caso di ius superveniens peggiorativo, la disciplina applicabile non è quella del momento di inizio della condotta che, perdurando, legittimamente ricade sotto il regime meno favorevole della normativa sopravvenuta (Cass. I, n. 10716/2010). Il caso dello straniero espulso, che rientri nel territorio italiano per ragioni di giustizia, non costituisce naturalmente reingresso illegale, ed è espressamente regolato dall'art. 17, d.lgs. n. 286/1998, che disciplina analiticamente le ipotesi di ritorno temporaneo nel territorio dello Stato per l'esercizio del diritto di difesa: ne deriva che l'avvenuta espulsione non integra di per sé un legittimo impedimento a comparire in giudizio, potendo l'imputato straniero farsi autorizzare al rientro dal questore, secondo la procedura di cui all'art. 17 cit. (Cass. V, n. 18708/2013). CasisticaLa condotta di reingresso non autorizzato nel territorio dello Stato non è scriminata dall'essere lo straniero, destinatario di un precedente provvedimento di espulsione, coniugato con una cittadina comunitaria (nella specie, di nazionalità rumena) domiciliata nel territorio nazionale, poiché, al fine di poter legittimamente attuare il proprio diritto al ricongiungimento con il coniuge, il soggetto espulso deve preventivamente richiedere l'autorizzazione alle Autorità italiane (Cass. I, n. 6876/2014). In tema di reati concernenti l'immigrazione, l'illegittimità del decreto di espulsione per la sua mancata traduzione in lingua comprensibile al destinatario non può essere affermata sulla sola base della omessa predisposizione del provvedimento in moduli plurilingue, perché l'art. 13, comma 7, d.lgs. n. 286/1998, non prevede un obbligo di predisposizione del testo del decreto di espulsione in modelli plurilingue essendo questi espressamente contemplati solo per fornire allo straniero l'informazione della facoltà di richiedere un termine per la partenza volontaria dal territorio italiano (Cass. I, n. 7641/2014). In un caso di straniero sottoposto alla misura dell'obbligo di presentazione alla p.g., è stato precisato che il nulla osta dell'autorità giudiziaria, previsto dall'art. 13, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, comporta la dispensa dell'interessato dall'osservanza di qualsiasi misura cautelare (diversa dalla custodia in carcere) che sia incompatibile con l'adempimento dell'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto non può costituire giustificato motivo di inosservanza dell'ordine del questore il fatto che lo straniero sia sottoposto all'obbligo di presentazione alla p.g. (Cass. I, n. 5828/2008). Per valutare il superamento del limite di pena necessario per l'applicabilità, con la sentenza di cui all'art. 445 c.p.p. della misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, ai sensi dell'art. 86, comma 1, d.P.R. n. 309/90, nel caso di pena patteggiata quale aumento a titolo di continuazione rispetto ad altra condanna, occorre considerare la pena complessiva inflitta (Cass. n. 42345/2017). Non è reiterabile l'espulsione dello straniero, quale misura alternativa alla detenzione ai sensi dell'art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286/1998, nei confronti di un condannato che abbia fatto illegittimamente rientro nel territorio dello Stato prima del decorso di dieci anni dall'esecuzione del provvedimento, giacché, in tal caso, a termini del comma 8 di detto articolo, si ripristina lo stato detentivo del medesimo ai fini dell'esecuzione della residua pena espianda in relazione al titolo per il quale l'espulsione stessa era stata disposta: diversamente opinando, il trasgressore potrebbe giovarsi dell'espulsione tendenzialmente all'infinito, così da pregiudicare l'effetto deterrente del rispristino della carcerazione, interrotta per l'espulsione, oltre che il raggiungimento dello scopo deflattivo della popolazione carceraria (Cass. I, n. 38926/2021). BibliografiaAmato, Droga e attività di polizia, Laurus Robuffo, 1992; Caputo, Le misure di sicurezza dell'espulsione dello straniero e dell'allontanamento del cittadino comunitario, in Le nuove norme sulla sicurezza pubblica, Roma, 2008; Musco, voce Misure di sicurezza, in Enc. dir. Aggiornamento, I, Milano, 1997; Miele, La condizione giuridica dello straniero nella legge di disciplina degli stupefacenti, in Riv. Polizia 1992; Pelissero, Il potenziamento delle misure di sicurezza, in Dir. pen. proc. 2008; Vizzardi-Viganò, “Pacchetto sicurezza” ed espulsione: intenti legislativi e vincoli europei, in Dir. pen. proc. 2008. |