Codice Penale art. 236 - Specie: regole generali.

Donatella Perna

Specie: regole generali.

[I]. Sono misure di sicurezza patrimoniali, oltre quelle stabilite da particolari disposizioni di legge:

1) la cauzione di buona condotta [237-239];

2) la confisca [240].

[II]. Si applicano anche alle misure di sicurezza patrimoniali le disposizioni degli articoli 199, 200, prima parte, 201, prima parte, 205, prima parte e numero 3 del capoverso, e, salvo che si tratti di confisca, le disposizioni del primo e secondo capoverso dell'articolo 200 e quelle dell'articolo 210.

[III]. Alla cauzione di buona condotta si applicano altresì le disposizioni degli articoli 202, 203 [, 204, prima parte,] e 207 (1).

(1) L'art. 204 è stato abrogato dall'art. 31 1 l. 10 ottobre 1986, n. 663.

Inquadramento

L'art. 236 c.p. è posto in apertura del capo II, del libro I, del codice, intitolato alle misure di sicurezza patrimoniali, e ne prevede in generale due: la cauzione di buona condotta e la confisca.

Le misure di sicurezza patrimoniali «incidono direttamente sul patrimonio, e consistono in mezzi cautelativi o nella eliminazione di cose che, provenendo da fatti illeciti penali, o in alcuna guisa collegandosi alla loro esecuzione, manterrebbero viva l'idea e l'attrattiva del delitto» (Relazione del Guardasigilli sul Libro I del Progetto definitivo del Codice penale, 1929, 245).

Vanno distinte dalla pena, che ha carattere afflittivo e punitivo; dalle misure di sicurezza personali, in quanto incidono sul patrimonio del soggetto colpito; dalle misure di prevenzione, che hanno carattere sostanzialmente amministrativo, non presuppongono la commissione di alcun fatto di reato, e sono collegate alla pericolosità sociale di determinati soggetti tipologicamente individuati (Padovani, Diritto, 339).

Disposizioni applicabili

Ad entrambe le misure di sicurezza patrimoniali come sopra individuate, sono applicabili (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 596):

a) l'art. 199, che introduce il principio di legalità anche in materia di misure di sicurezza;

b) l'art. 200, comma 1, secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al momento della loro applicazione;

c) l'art. 201, comma 1, che prevede l'applicabilità delle disposizioni in materia di misure di sicurezza anche per fatti commessi all'estero;

d) l'art. 205, comma 1, che prevede l'applicazione delle misure di sicurezza con la sentenza di condanna o di proscioglimento;

e) l'art. 205, comma 2, n. 3, che prevede l'applicazione della misura anche successivamente alla sentenza nei casi espressamente previsti dalla legge.

Si applicano, invece, solo alla cauzione di buona condotta, ma non anche alla confisca:

a) l'art. 200, comma 2, c.p., a norma del quale, se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la cauzione è diversa, si applica la legge in vigore al tempo dell'esecuzione;

b) l'art. 200, comma 3, c.p., a norma del quale la cauzione si applica anche allo straniero che si trova nel territorio italiano;

c) gli artt. 202 e 203 c.p., a norma dei quali la cauzione si applica soltanto alle persone socialmente pericolose che abbiano commesso un fatto previsto dalla legge come reato o come quasi-reato (art. 202 c.p.: la nozione ed contenuto della pericolosità sociale sono desumibili dall'art. 203 c.p.): detto presupposto non condiziona anche l'applicabilità alla confisca;

d) l'art. 207 c.p., in tema di revoca;

e) l'art. 210 c.p., in tema di effetti dell'estinzione del reato o della pena.

Misure di sicurezza e pena. Caratteri distintivi e profili di costituzionalità

Sebbene anche le misure di sicurezza, ed in particolare la confisca, presentino tratti sanzionatori, comportando generalmente l'ablazione di beni economici, vanno tenute ben distinte dalla pena in senso stretto, per la diversa disciplina che le caratterizza.

Nella già citata Relazione del Guardasigilli (1929, 251 s.) si spiegava che « date le finalità e l'indole delle misure di sicurezza, profondamente diverse da quelle inerenti alla pena, si afferma che la legge applicabile in materia non è già, come per il reato, quella vigente al tempo in cui fu commesso il fatto, bensì quella che vige nel momento in cui il giudice provvede nei riguardi della persona pericolosa, ossia la legge in vigore al tempo dell'applicazione della misura; ché, se la legge suddetta venga modificata o abrogata quando il provvedimento debba essere eseguito o sia in corso di esecuzione, essa cede di fronte alla legge nuova ».

La Corte costituzionale ha affermato che i due istituti sono e restano distinti: «nessuno sforzo di accostamento potrà infatti valere ad eliminare la differenza, essenziale e di natura, che nettamente si manifesta: la differenza cioè fra la reazione contro un fatto avvenuto, propria della pena, e l’attuazione, propria della misura di sicurezza, di mezzi rivolti ad impedire fatti di cui si teme il verificarsi nel futuro» (Corte cost. n. 53/1968).

Da tale differenza derivano importanti conseguenze: alle misure di sicurezza si applica senz'altro il principio di legalità previsto dall'art. 25, comma 3 Cost. (“Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”); ma non il principio di irretroattività, previsto dall'art. 25, comma 2 Cost., solo per la pena (“Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”).

Tale diversa disciplina, ed in particolare la scelta di individuare «la norma valida per la misura di sicurezza», diversamente da quanto previsto per la pena, in « quella del tempo della sua applicazione », trova la sua ragione proprio nel fatto che attraverso essa si persegue la finalità «di assicurare una efficace lotta contro il pericolo criminale, finalità che potrebbe richiedere che il legislatore, sulla base di circostanze da esso discrezionalmente valutate, preveda che sia applicata una misura di sicurezza a persone che hanno commesso determinati fatti prima sanzionati con la sola pena (o con misure di sicurezza di minore gravità). In altri termini, tale retroattività risulta connaturata alla circostanza che le misure di sicurezza personali costituiscono strumenti preordinati a fronteggiare uno stato di accertata pericolosità; funzione che esse assolvono con i mezzi che dalle differenti scienze, chiamate specificamente a fornirli, potranno essere desunti» (Corte cost. n. 196/2010).

La dottrina ha affermato che «la retroattività in questo campo può voler dire soltanto quanto segue. Ad es., nel momento in cui il reato, che dà luogo all'applicazione della misura di sicurezza, è stato commesso, è prevista una misura di sicurezza "A". Successivamente essa viene sostituita dalla misura di sicurezza "B", contenuto più afflittivo. "B" può essere retroattivamente applicata. Oppure continua ad essere prevista la misura "A", ma ne viene aumentata la durata. "A" può essere retroattivamente applicata. Quello che invece non si potrebbe mai fare sarebbe applicare retroattivamente una misura di sicurezza ad un fatto che non era reato nel momento in cui è stato posto in essere» (Caraccioli, 482 s.).

Si discute circa la possibilità di applicare la misura di sicurezza a seguito della commissione di un fatto reato relativamente al quale in origine non era prevista alcuna misura di sicurezza, ovvero era prevista una misura di sicurezza diversa (Padovani, Diritto, 390).

La giurisprudenza di legittimità ha ben chiarito i termini del problema, quando, pronunciandosi in relazione alla confisca prevista dall'art. 644 ultimo comma c.p., ha affermato che « in virtù del combinato disposto degli artt. 199 e 200 c.p. e dei principi affermati dall'art. 25 Cost., deve escludersi che in tema di applicazione delle misure di sicurezza operi il principio di irretroattività della legge di cui all'art. 2 c.p., sicché le misure predette sono applicabili anche ai reati commessi nel tempo in cui non erano legislativamente previste, ovvero erano diversamente disciplinate quanto a tipo, qualità e durata». D'altro canto, il disposto dell'art. 200, comma 1, c.p., — secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al momento della loro applicazione — va interpretato nel senso che non potrà mai applicarsi una misura di sicurezza per un fatto che, al momento della sua commissione, non costituiva reato, mentre è possibile la suddetta applicazione per un fatto di reato per il quale originariamente non era prevista la misura: il principio di irretroattività della legge penale, di cui agli artt. 25, comma 2 Cost. e 2, comma 1, c.p., riguarda le norme incriminatrici in forza delle quali un fatto è previsto come reato, e non invece le misure di sicurezza (Cass. II, n. 18157/2002).

Rapporti con la CEDU

L'art. 200 c.p., richiamato dall'art. 236 c.p., dispone che le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione.

La disposizione ha da sempre originato dubbi interpretativi, che di recente hanno trovato nuova linfa con riguardo alla compatibilità con il principio sancito dall'art. 7 par. 1 Cedu, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, la quale tende a ricondurre nell'orbita della sanzione penale — governata dai principi di legalità ed irretroattività — tutti gli interventi i cui esiti incidano negativamente non solo sulla libertà personale, ma anche sui patrimoni individuali, come indubbiamente avviene per le misure di sicurezza patrimoniali, ed in primo luogo per la confisca.

I giudici europei hanno affermato che il principio contenuto nell'art. 7 Cedu, cit., secondo cui “Nessuno può essere condannato per una azione od omissione che al momento in cui fu commessa non costituiva reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale. Non può del pari essere inflitta alcuna pena superiore a quella che era applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”, « non garantisce solamente il principio di non retroattività delle leggi penali più severe ma impone anche che, nel caso in cui la legge penale in vigore al momento della commissione del reato e quelle successive adottate prima della condanna definitiva siano differenti, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo. Pertanto, nell'ipotesi di successione di leggi penali nel tempo, costituisce violazione dell'art. 7, § 1, Convenzione Edu l'applicazione della pena più sfavorevole al reo » (Grande Chambre, sentenza 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia).

In tale prospettiva, la Corte di Strasburgo, al fine di evitare la c.d. truffa delle etichette, e cioè che singole scelte compiute dagli Stati membri, possano determinare un surrettizio aggiramento delle garanzie individuali che gli artt. 6 e 7 riservano alla materia penale, ad es. escludendo che un determinato illecito o una determinata sanzione appartengano all'ambito penale, ha elaborato — in aggiunta al criterio della qualificazione giuridico formale attribuita all'istituto nell'ordinamento interno — una serie di criteri ulteriori, attribuendo rilievo ora alla natura stessa dell'illecito, ora alla gravità o meglio al grado di severità della sanzione irrogata.

Con la conseguenza che tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto. Principio questo, del resto, desumibile dall'art. 25, comma 2, Cost., il quale — data l'ampiezza della sua formulazione (“Nessuno può essere punito...”) — può essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale (e quindi non sia riconducibile — in senso stretto — a vere e proprie misure di sicurezza), è applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti già vigente al momento della commissione del fatto sanzionato (Corte cost. n. 196/2010).

In applicazione di tali principi, i giudici europei hanno ad es. ritenuto che la c.d. confisca urbanistica, prevista dall'art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, non sia una misura di sicurezza ma una vera e propria pena, e in quanto tale soggetta alla disciplina prevista dall'art. 7 § 1, Cedu. (Corte Edu, 16 dicembre 2008, Sud Fondi s.r.l. ed altri c. Italia; per ulteriori approfondimenti v. sub art. 240).

Tale impostazione è pienamente condivisa dalla migliore dottrina (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 458).

La successione di leggi nel tempo

I temi fin qui esposti sono stati ampiamente discussi a proposito della vicenda, paradigmatica, della confisca stradale obbligatoria, prevista dall'art. 186, comma 2, lett. c), d.lg. n. 285/1992 (codice della strada), che è stata qualificata originariamente come misura di sicurezza (a fronte dell'espresso richiamo contenuto nel predetto art. 186 all'art. 240 co. 2 c.p.), con conseguente, possibile, applicazione retroattiva; in seguito come sanzione penale accessoria (Cass. S.U. n. 23428/2010); infine come sanzione amministrativa accessoria, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 196/2010 e dell' intervento legislativo operato con la l. n. 120/2010, il cui art. 33 ha modificato l'art. 186 d.lgs. n. 285/1992, cit., espungendone il richiamo all'art. 240. la medesima legge, inserendo nel codice della strada l'art. 224-ter (cui il nuovo art. 186, comma 2, lett. c) espressamente rinvia), ha definito la confisca stradale come sanzione amministrativa accessoria.

Trattandosi di sanzione amministrativa accessoria e non di misura di sicurezza, alla confisca stradale si applica la l. n. 689/1981 che, in merito al principio di successione delle leggi nel tempo, prevede all'art. 1 l'irretroattività delle sanzioni amministrative (E. Zanalda, 152).

In applicazione dei principi fin qui esposti, è stata affermata la irretroattività della confisca obbligatoria per equivalente, in quanto avente natura sanzionatoria (Corte cost. n. 97/2009), e la retroattività della confisca ex art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306, conv. in l. 7 agosto 1992, n. 356, in quanto avente natura di misura di sicurezza, seppure atipica (Cass. II, n. 3655/1997).

I rapporti con le cause di estinzione del reato. Rinvio

Per quanto attiene agli effetti dell'estinzione del reato o della pena in riferimento alla confisca, si rinvia sub art. 240 c.p.

Casistica

Confisca per equivalente

In argomento si rinvia sub art. 322-ter.

Confisca ex art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, conv., con modif., in l. n. 356/1992

Secondo la giurisprudenza la confisca exart. 12-sexies d.l. n. 306/1992, conv. in l.  n. 356/1992 , essendo finalizzata a contrastare forme di accumulazione di ricchezza illecita per impedire un loro futuro utilizzo nella commissione di ulteriori comportamenti criminosi, è una misura di sicurezza, seppure atipica. Pertanto essa opera anche nei confronti di chi sia stato condannato per reati commessi prima dell'entrata in vigore della norma che la disciplina, in quanto l'istituto non è soggetto al principio di irretroattività della norma penale di cui all'art. 25, comma 2, Cost. e art. 2 c.p., quanto piuttosto alla disposizione di cui all'art. 200 c.p., applicabile alla confisca per il richiamo operato dall'art. 236 c.p., secondo la quale le misure di sicurezza sono regolate dalla legge vigente al momento della loro applicazione (Cass. I, n. 44534/2012). Per ulteriori approfondimenti si rinvia sub art. 240- bis

Confisca ed immigrazione clandestina

L'art. 2 d.lgs. 13 aprile 1999, n. 113 ha sostituito il comma 4 dell'art. 12 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 — v. ora il comma 4-ter dello stesso art. 12 d.lgs. n. 286/1998 —, stabilendo che la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per favorire l'ingresso clandestino di extracomunitari, è disposta «anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti».

La giurisprudenza, in applicazione dell'art. 200 c.p., ha affermato che tale ius superveniens è applicabile anche a fatti commessi prima della sua entrata in vigore, dal momento che il principio di irretroattività della legge penale, sancito dagli artt. 2 c.p. e 25, comma 2, Cost., è operante solo nei riguardi delle norme incriminatrici e non anche rispetto alle misure di sicurezza. Pertanto, la confisca del mezzo utilizzato per favorire l'immigrazione clandestina deve essere disposta anche in riferimento a reati commessi in un tempo in cui essa non era legislativamente prevista (Cass. I, n. 3717/1999).

Bibliografia

M. Boscarelli, Compendio di diritto penale, parte generale, Milano, 1982, 25; I. Caraccioli, Manuale breve di diritto penale. Parte generale, Milano, 2006, 482 s.; E. Zanalda, Sulla confisca del veicolo in leasing guidato dal suo utilizzatore in stato di ebbrezza, in Giur. it. 2013, 152 ss.

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