Codice Penale art. 240 - Confisca 1 .

Donatella Perna

Confisca 1 .

[I]. Nel caso di condanna [442 2, 533 1, 605 c.p.p.], il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto [164 3, 531-536 1, 600-septies, 733 2; 676 c.p.p.].

[II]. È sempre ordinata la confisca [416-bis 7, 446, 722]:

1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato;

1-bis) dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 615-ter, 615-quater, 615-quinquies, 617-bis, 617-ter, 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies, 640, secondo comma, numero 2-ter640-ter e 640-quinquies  nonché dei beni che ne costituiscono il profitto o il prodotto ovvero di somme di denaro, beni o altre utilità di cui il colpevole ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto, se non è possibile eseguire la confisca del profitto o del prodotto diretti 23  4.

2) delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.

[III]. Le disposizioni della prima parte e dei numeri 1 e 1-bis del capoverso precedente non si applicano se la cosa o il bene o lo strumento informatico o telematico appartiene a persona estranea al reato. La disposizione del numero 1-bis del capoverso precedente si applica anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale  5.

[IV]. La disposizione del numero 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa [655 c.p.p.]  6.

 

[1] [1] In tema di reati transnazionali v. l. 16 marzo 2006, n. 146.

[2] Le parole «640, secondo comma, numero 2-ter),» sono state inserite dall'art. 16, comma 1, lett. a), della l.28 giugno 2024, n. 90.

[3] [2]  Numero inserito dall'art. 1, l. 15 febbraio 2012, n. 12.

[4] [3]  Le parole da «nonché» a  «prodotto diretti»  sono state aggiunte dall'art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. 29 ottobre 2016, n. 202

[5] [4] Comma sostituito dall'art. 1, l. 15 febbraio 2012, n. 12. Il testo precedente recitava: «Le disposizioni della prima parte e del numero 1 del capoverso precedente non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato».

Inquadramento

La confisca è disciplinata in chiusura della parte generale del codice penale, e per espressa volontà di legge (art. 236) ha natura di misura di sicurezza patrimoniale; il suo contenuto consiste sempre nella privazione di beni economici, e la sua finalità nel prevenire la commissione di nuovi reati, mediante l'acquisizione da parte dello Stato di cose che, in quanto provenienti dall'illecito penale o ad esso variamente collegate, ove lasciate nella disponibilità del reo, manterrebbero viva l'idea e l'attrattiva del delitto (Relazione al progetto definitivo n. 202).

In proposito, la giurisprudenza ha osservato che la confisca è fondata sulla pericolosità derivante dalla disponibilità di alcune cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, ovvero delle cose che ne sono il prodotto od il profitto; di tal che l'istituto, che consiste nell'espropriazione di quelle cose a favore dello Stato, tende a prevenire la commissione di nuovi reati, e, come tale, ha carattere cautelare, e non punitivo, anche se, al pari della pena, i suoi effetti ablativi si risolvono in una sanzione pecuniaria (Cass. S.U. , n. 1/1983).

La duttilità dell'istituto, che si presta alle più svariate funzioni, ha fatto sì che l'originaria vocazione specialpreventiva sia stata ben presto contaminata e piegata alle più diverse esigenze di politica del diritto: accanto alla confisca ordinaria regolata dall'art. 240, il legislatore ha introdotto nel sistema numerose ipotesi di confisca con finalità spiccatamente sanzionatoria, come la confisca urbanistica, o con finalità mista, sospesa tra funzione specialpreventiva ed intento punitivo, come la confisca ex art. 12- sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in l. 7 agosto 1992, n. 356.

A seguito di tale evoluzione normativa, appare arduo oggi catalogare la confisca nel rigido schema della misura di sicurezza, poiché, al di là del mero aspetto nominalistico, con tale termine si identificano misure ablative di natura diversa, a seconda del contesto normativo in cui lo stesso termine viene utilizzato (Cass. S.U., n. 26654/2008).

In dottrina si osserva che è preferibile affidarsi al fine legislativo della singola disciplina: laddove esso è quello di evitare il pericolo di reiterazione criminosa, siamo di fronte ad una misura di sicurezza patrimoniale; laddove è quello di incidere in vario modo sul provento del reato, siamo di fronte ad una vera e propria pena (Borasi, 137).

Va poi precisato che con il d.lgs. 1 marzo 2018 n. 21, in vigore dal 6 aprile 2018, si è data attuazione alla riserva di codice nella materia penale, con l'introduzione nel codice penale di varie norme che ripetono i loro contenuti da altre, già presenti in leggi speciali, che sono state a loro volta in tutto o in parte abrogate. L'attività delegata aveva lo scopo di riordinare la materia penalistica, onde razionalizzare e rendere maggiormente conoscibile e comprensibile la normativa penale e di porre un freno alla eccessiva, caotica e non sempre facilmente intellegibile produzione legislativa di settore (v. Relazione allo schema di d.lgs. n. 21/2018).

L'intervento ha riguardato anche la confisca: è stato infatti introdotto l'art. 240-bis, al cui commento si rinvia, che disciplina espressamente la confisca c.d. allargata in precedenza disciplinata integralmente dall'art. 12—sexies, comma 1, d.l. n. 306/1992, conv. in l. n. 356/1992.

Profili di costituzionalità

La Corte costituzionale ha, da tempo, rilevato che la confisca può avere diversa natura giuridica, per cui — se il suo contenuto consiste sempre in un'ablazione — essa può essere disposta per diversi motivi e finalità, sì da assumere volta per volta natura e funzione di pena o di misura di sicurezza, ovvero di misura giuridica, civile o amministrativa (Corte. cost., n. 29/1961). Pertanto, ai fini del sindacato di legittimità della misura, occorre considerare non un'astratta e generica figura di confisca, ma in concreto la confisca così come risulta di volta in volta disciplinata da una determinata legge.

Con particolare riferimento ai rapporti con l'espropriazione per pubblica utilità, si è anche precisato che la confisca è una misura strettamente conseguente ad un illecito penale, sicché la corresponsione di un indennizzo ne traviserebbe la funzione: per tale rilievo, è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 240, sollevata in riferimento all'art. 42, comma 3, Cost. (Cass. VI, n. 1128/1969)

Per quanto riguarda i rapporti con il principio di irretroattività, si rinvia sub artt. 200 e 236.

La confisca nella giurisprudenza europea: cenni

La Corte Edu (II, 20 gennaio 2009, Sud Fondi s.r.l. ed altri c. Italia) ha ritenuto che l'art. 7 par. 1 della Convenzione — il quale sancisce il principio di legalità dei reati e delle pene — «non si limita a vietare l'applicazione retroattiva dei reati a fatti che, in precedenza, non costituivano reato, ma impone altresì di non applicare la legge penale in maniera estensiva a pregiudizio dell'imputato, ad esempio attraverso il ricorso al criterio analogico. Ne consegue che la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che ne derivano»; questa condizione può ritenersi soddisfatta, quando la persona sottoposta a giudizio è in grado di conoscere, a partire dalla formulazione della pertinente disposizione normativa e, se del caso, avvalendosi della sua interpretazione da parte dei tribunali, quali azioni od omissioni comportano la sua responsabilità penale.

Ha, inoltre, osservato che la confisca di beni provoca una ingerenza sul diritto al godimento dei propri beni, tutelato dall'art. 1, Prot. n. 1, della Convenzione (a norma del quale, « nessuno può essere privato della sua proprietà salvo che per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale »).

Soffermandosi, in particolare, sulla confisca speciale in materia edilizia ed urbanistica ex art. 19 l. n. 47/1985 (oggi prevista dall'art. 44 d.P.R. n. 380/2001),  la Corte Edu ha affermato che « le condizioni di conoscibilità, prevedibilità e chiarezza della legge non erano state soddisfatte, stante l'asserita oscurità della legge regionale e le conseguenti difficoltà di coordinamento con quella nazionale, nonché la giurisprudenza contrastante in materia », ed ha conseguentemente, ritenuto che la confisca disposta ai danni dei ricorrenti costituisse una « sanzione arbitraria » e priva di base legale, perché adottata sulla base di una normativa oscura e di difficile interpretazione, e quindi in violazione dell'art. 7 della Convenzione.

Nel caso G.I.E.M. s.r.l. ed altri c. Italia, la Corte EDU è tornata ad esaminare la questione (Grande Chambre, 28 giugno 2018, caso G.I.E.M. s.r.l. ed altri c. Italia) con riguardo ad una fattispecie nella quale i giudici italiani avevano dichiarato estinto per prescrizione il reato di lottizzazione abusiva, disponendo la confisca dei terreni e delle aree abusivamente lottizzate ex art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, ammettendo che, nonostante la conclusiva dichiarazione di estinzione per prescrizione, può ritenersi consentita — pur in difetto della condanna — la confisca di beni, in tutti i casi nei quali l'A.G. abbia comunque accertato — sia pur incidentalmente, in sede di verifica ad hoc, propedeutica rispetto alla statuizione di confisca — la sussistenza degli elementi costitutivi del reato pur prescritto, potendo una siffatta decisione, pur se formalmente di proscioglimento, essere equiparata alla “condanna” richiesta dall'art. 7 Conv. Edu.

In proposito, la Corte Edu ha ammesso che, attraverso la misura in esame, lo Stato italiano persegue lo scopo legittimo di tutelare l'ambiente ed il paesaggio; quanto al requisito ulteriore della proporzionalità della misura sanzionatoria disposta rispetto allo scopo perseguito, ha ribadito, sulla scia della propria giurisprudenza, che tra i parametri in riferimento ai quali la relativa valutazione va operata rientrano:

— la possibilità di adottare misure meno restrittive;

— la possibilità di limitare la misura a parte soltanto del bene (e, quindi, di confiscare non necessariamente il bene nella sua interezza);

— il grado della colpa/imprudenza degli interessati o, comunque, il rapporto tra la loro condotta ed il reato di volta in volta contestato.

Ciò premesso, la Corte ha ritenuto che nel caso specifico il citato art. 44, comportando automaticamente l'applicazione obbligatoria della confisca dei beni interessati dalla lottizzazione abusiva nella loro totalità, senza consentire al giudice alcuna graduazione, né di valutare quale sia la misura in concreto più adeguata a soddisfare lo scopo perseguito con riferimento al singolo caso concreto, o di tenere conto degli eventuali diritti dei destinatari di essa, si ponesse in contrasto con l'art. 1, Prot. n. 1 cit.

Successione di leggi nel tempo

Le Sezioni Unite hanno ritenuto l'irrevocabilità della confisca disposta con sentenza definitiva, a seguito dell'abolizione del reato per effetto di dichiarazione di incostituzionalità della norma incriminatrice, osservando che — con la irrevocabilità della sentenza — il bene confiscato è originariamente acquisito al patrimonio dello Stato, in forza del diritto costituito con la sentenza irrevocabile, la quale pone il suggello finale ad una situazione giuridica che deve considerarsi ormai «esaurita», senza che il successivo venir meno della norma incriminatrice possa comunque valere ai fini di una sorta di retrocessione della cosa confiscata (Cass. S.U., n. 2/1998; nel caso specifico si trattava di confisca obbligatoria disposta in relazione al reato di cui all'art. 708, prima che la norma fosse dichiarata incostituzionale con sentenza Corte cost. n. 370/1996).

Per quanto riguarda i rapporti con il principio di irretroattività, si rinvia sub artt. 200 e 236.

La confisca facoltativa

 

Profili generali

L'art. 240 distingue tra confisca facoltativa e confisca obbligatoria, e dispone che possono essere oggetto di confisca facoltativa (provvedimento non obbligatorio, ma doveroso ove ne ricorrano i presupposti) le cose che « servirono o furono destinate a commettere il reato » o quelle che ne costituiscono «il prodotto o il profitto ».

Le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato sono quelle collegate ad esso non da un rapporto di mera occasionalità, bensì da «un legame eziologico diretto ed essenziale» (Alessandri, 39), nel senso che il mezzo deve avere reso possibile un'esecuzione criminosa altrimenti non attuabile, almeno così come concepita dall'agente. Ciò implica che le res confiscabili debbano essere rigidamente limitate a quelle legate al reato da un effettivo nesso strumentale, onde evitare che un'eccessiva indeterminatezza finisca per tradursi in forme di ingiustificata espropriazione.

Così, ad es., è legittima la confisca (anche disposta in sede di patteggiamento), ex art. 240, comma 1, di un'autovettura utilizzata dall'autore di una rapina, nel caso di veicolo modificato in quanto dotato di targhe non originali, poichè tale caratteristica è sintomatica dell'uso del veicolo per la realizzazione di condotte illecite e dimostra lo stretto nesso strumentale con la commissione del reato (Cass. II, n. 29457/2019).

E’ altresì legittima la confisca di un’autovettura utilizzata dall’autore del furto per raggiungere il luogo di esecuzione del reato e, successivamente, per nascondere e trasportare altrove la refurtiva, ancorché l’impiego della stessa non possa ritenersi indispensabile (Cass. IV, n. 33872/2020).

Il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita (Cass. S.U., n. 9149/1996).

Secondo la dottrina esso si riferisce alle cose create, trasformate adulterate o acquisite mediante il reato (Romano-Grasso-Padovani, 615).

Il profitto del reato è invece costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico ricavato dalla commissione del reato. La giurisprudenza, che si è pronunciata a più riprese sul punto, con particolare riferimento alla confiscabilità del prezzo o del profitto del reato ex art. 19 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, ha identificato il profitto ora nel vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell'illecito (Cass. S.U., n. 31617/2015; Cass. II, n. 53650/2016); ora, ampliandone la nozione, in ogni utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell'attività criminosa (Cass. S.U., n. 10561/2014).

È tuttavia opinione consolidata in giurisprudenza che il profitto del reato sia solo quello costituito da un mutamento materiale, attuale e di segno positivo, della situazione patrimoniale del beneficiario, ingenerato dal reato attraverso la creazione, trasformazione o acquisizione di cose suscettibili di valutazione economica; pertanto non può mai costituire profitto del reato un vantaggio futuro - eventuale, sperato, immateriale o non ancora materializzato in termini economico-patrimoniali - né la mera aspettativa di fatto, c.d. "chance", salvo che questa, in quanto fondata su circostanze specifiche, non presenti caratteri di concretezza ed effettività tali da costituire essa stessa un'entità patrimoniale a sé stante, autonoma, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione in relazione alla sua proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto. (La Cass. VI, n. 1754/2018).

Qualora il prezzo o il profitto c,d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Cass. S.U., n. 31617/2015).

A differenza della confisca di valore, che  colpisce con funzione retributiva beni diversi, ma di valore equivalente a quelli fisicamente costituenti il prezzo o il profitto del reato, la confisca del prezzo o del profitto costituiti da una somma di denaro va sempre considerata confisca diretta e non per equivalente poiché il denaro – bene fungibile per eccellenza - si confonde per sua natura con le altre disponibilità economiche del colpevole e, ferma l'esattezza dell'importo, non ha dunque senso considerarlo l'equivalente di un tantundem consumato, investito od occultato. In altri termini, la confisca di denaro in essere su un conto corrente bancario integra in ogni caso una forma di confisca diretta, tanto nel caso di prezzo che di profitto, e, con riferimento a quest'ultimo, sia che rappresenti una utilità "monetariamente" positiva, nel senso che rappresenti un effettivo accrescimento patrimoniale, sia che rappresenti un mancato decremento, vale a dire un risparmio di spesa (Cass. V, n. 23393/2017).

È  stato per contro precisato che la natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario del reo, ove si abbia la prova che le stesse non possono in alcun modo derivare dal reato e costituiscano, pertanto, profitto dell'illecito (Cass. III, n. 8995/2018, in fattispecie relativa ad omesso versamento delle ritenute ex art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000, in cui la S.C. ha escluso la sussistenza dei presupposti per il sequestro e la successiva confisca di somme di denaro certamente depositate successivamente al momento di perfezionamento del reato).

La dottrina propende per la tesi restrittiva, secondo cui il profitto del reato è tutto ciò che rappresenta una conseguenza economica immediata dell'azione criminosa (Romano-Grasso-Padovani, 615): le somme sequestrate all'imputato in relazione allo spaccio di stupefacenti; il denaro ricavato dalla vendita della cosa rubata.

I presupposti della confisca facoltativa sono tradizionalmente individuati dalla dottrina:

- nell'esistenza di una sentenza di condanna (cui è equiparato il decreto di condanna);

- nella pericolosità della res confiscabile;

- nella non appartenenza della res a persona estranea al reato (Romano-Grasso-Padovani, 618-619).

La sentenza di condanna

Per espressa disposizione di legge la confisca facoltativa può essere adottata solo in presenza di una sentenza di condanna, e pertanto non può essere applicata in caso di assoluzione, neppure con formula dubitativa ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., o di proscioglimento per estinzione del reato, o per applicazione del perdono giudiziale (Romano-Grasso-Padovani, 615).

Neppure può essere disposta con il decreto di archiviazione, che sarà in tal caso soggetto al rimedio dell'incidente di esecuzione (Cass. III, n. 842/2020).

Alla sentenza di condanna è equiparabile il decreto penale, ma in tal caso è consentita la sola confisca obbligatoria, come espressamente previsto dall'art. 460, comma 2, c.p.p.

Quanto alla sentenza di patteggiamento, a seguito delle modifiche introdotte con la l. 12 giugno 2003 n. 134, è stato modificato l'art. 445 c.p.p., sicché la confisca, che prima poteva essere adottata solo nei casi di confisca obbligatoria, è stata estesa a tutte le ipotesi regolate dall'art. 240 (v. infra).

Le S.U. hanno peraltro affermato che l'accordo delle parti può avere ad oggetto anche l'applicazione delle misure di sicurezza nel qual caso il giudice è tenuto a recepirlo integralmente nella sentenza ovvero a rigettare la richiesta (Cass. S.U. n. 21368/2019).

Peraltro, la sospensione condizionale della pena disposta con la sentenza di condanna non osta all'applicazione della confisca facoltativa ex art. 240, co. 1 c.p., in quanto tale causa sopravvenuta di estinzione del reato non elimina le misure di sicurezza patrimoniali che ragioni di politica criminale impongono siano mantenute a fronte della dichiarata colpevolezza (Cass. III, n. 34606/2021).

La pericolosità della res confiscabile

La confisca facoltativa presuppone la pericolosità della res confiscabile, non nel senso che questa sia intrinsecamente pericolosa, perché altrimenti opererebbe la confisca obbligatoria; ma perché, se lasciata nella disponibilità del reo, potrebbe costituire un incentivo alla commissione di nuovi reati (Cass. I, n. 838/2003).

Con riferimento alle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, tale pericolosità implica un nesso strumentale, e non occasionale, tra l'illecito ed il bene, che va accertato in concreto, in relazione sia al ruolo effettivamente rivestito dalla cosa nella realizzazione del fatto, sia in relazione alle modalità di realizzazione del fatto stesso (Cass. VI, n. 3711/2013).

Si tende a delimitare quanto più nettamente possibile il novero dei beni confiscabili, allo scopo di evitare arbitrarie ablazioni, per cui non basta il semplice impiego della res nel reato per disporne la confisca, anche se non si richiede che essa sia stata indispensabile alla sua realizzazione (Cass. II, n. 10619/2021).

La dottrina ritiene che la formulazione utilizzata dal legislatore implichi una consapevole finalizzazione dello strumento al reato, sicché se ne deduce che la confisca facoltativa è incompatibile con i reati colposi (Romano-Grasso-Padovani, 615).

Con riferimento, invece, alla confisca del prodotto o del profitto del reato, la pericolosità oggettiva della res è in re ipsa, poiché è sempre pericoloso mantenere all'autore del reato il vantaggio economico tratto dall'attività criminosa (Romano-Grasso-Padovani, 615).

La « appartenenza » della res

La cosa da confiscare non deve appartenere a persona estranea al reato, e ciò per l'esigenza di tutelare il diritto di proprietà del terzo, e non solo nel caso in cui la res gli appartenesse già al momento del reato, ma anche nel caso in cui egli l'abbia acquistata successivamente, senza sospettarne l'illecita provenienza, e cioè fuori dei casi di ricettazione, incauto acquisto o favoreggiamento (Manzini, Trattato, III, 289 s.).

Il suddetto requisito deve essere valutato al momento dell'applicazione del provvedimento ablatorio e non in relazione al momento di commissione del fatto, e ciò per evidenti ragioni di tutela del terzo acquirente di buonafede.

Nella nozione di appartenenza, rientrano il diritto di proprietà e i diritti di godimento o di garanzia; in quest'ultimo caso tuttavia ciò non determina l'esclusione della confisca, ma solo la salvaguardia delle ragioni del terzo (Romano-Grasso-Padovani, 621)

La giurisprudenza ha precisato che sui beni costituiti in pegno regolare coesistono due tipi di disponibilità, quella del creditore pignoratizio, certamente prevalente, e quella del debitore garante, di tipo residuale, sicché il sequestro preventivo finalizzato alla confisca deve essere limitato alle facoltà spettanti al debitore garante, lasciando impregiudicate quelle del creditore pignoratizio estraneo all'illecito (Cass. S.U., n. 9/1994).

Sono suscettibili di sequestro, e quindi di confisca, anche i beni del fallito, poiché egli è privato della disponibilità e dell'amministrazione dei suoi beni — destinati al soddisfacimento dei creditori — ma non della proprietà di essi, sicché alla curatela fallimentare, cui fa capo esclusivamente un'attività gestionale nell'interesse dei creditori, non si attaglia la nozione di appartenenza (Cass. V, n. 1926/2000).

La mera intestazione formale del bene a soggetto estraneo al reato non basta ad evitare il provvedimento ablatorio, allorché vi siano concreti elementi per ritenere che l'intestazione è meramente fittizia, ed il bene in realtà è nella sostanziale disponibilità dell'autore del fatto. Deve però trattarsi di una disponibilità non temporanea ed occasionale, ma concreta ed effettiva, e per accertarlo è consentito al giudice procedere a controlli e verifiche.

Recentemente la S.C., pronunciandosi  in materia di riciclaggio, ha affermato che il sequestro preventivo funzionale alla confisca del profitto del reato di cui all'art. 648-ter c.p., può riguardare una intera società e il relativo compendio aziendale quando sia riscontrabile un inquinamento dell'intera attività della stessa, così da rendere impossibile distinguere tra la parte lecita dei capitali e quella illecita (Cass. II, n. 9102/2021).

Nell'ipotesi di confisca disposta con sentenza irrevocabile di applicazione della pena, pronunciata nei confronti di un coimputato diverso da quello che rivendica la titolarità dei beni interessati, quest'ultimo assume la posizione di "terzo" e, in tale veste, può far valere le proprie ragioni restitutorie avanti al giudice dell'esecuzione (Cass. II, n. 53656/2016).

Le S.U. hanno peraltro affermato che l'accordo delle parti può avere ad oggetto anche l'applicazione delle misure di sicurezza nel qual caso il giudice è tenuto a recepirlo integralmente nella sentenza ovvero a rigettare la richiesta ( Cass. S.U. n. 21368/2019 ).

Peraltro, la sospensione condizionale della pena disposta con la sentenza di condanna non osta all'applicazione della confisca facoltativa ex art. 240, co. 1 c.p., in quanto tale causa sopravvenuta di estinzione del reato non elimina le misure di sicurezza patrimoniali che ragioni di politica criminale impongono siano mantenute a fronte della dichiarata colpevolezza (Cass. III, n. 34606/2021).

Segue. L'estraneità del terzo al reato

Persona estranea al reato, nei cui confronti non può disporsi la misura di sicurezza in esame, è quella che non abbia tratto vantaggi o utilità dal reato e che sia in buona fede, ovvero dimostri di non aver potuto conoscere, pur usando la diligenza richiesta dal caso concreto, il rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato (Cass. III, n. 29586/2017).

Dunque non può ritenersi estraneo al reato il comproprietario di un immobile dove si svolgeva attività di prostituzione, che, legato da stretto vincolo parentale all'altro comproprietario che aveva sottoscritto i contratti di locazione, non aveva dato prova di avere ignorato in maniera incolpevole l'utilizzo del bene (Cass. III, n. 30133/2017).

In dottrina si osserva che l'accusa deve provare non l'appartenenza del bene da confiscare al condannato, bensì la mancata appartenenza del bene a persona estranea al reato (Borasi, 138).

Il terzo che si dichiari estraneo al reato ha l'onere di provare sia la titolarità sul bene, sia la mancanza di collegamento tra il proprio diritto e l'altrui condotta delittuosa o, nel caso in cui tale nesso sia configurabile, il proprio affidamento incolpevole (Cass. S.U., n. 9/1999). Così, ad es., il proprietario del mezzo di trasporto utilizzato per i reati di immigrazione clandestina previsti dall'art. 12 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, che voglia ottenerne la restituzione, dovrà provare di avere esercitato la diligenza e la vigilanza richieste nel caso concreto per impedire l'uso illecito del mezzo di trasporto (Cass. I, n. 21860/2004).

Si è discusso se il curatore fallimentare possa considerarsi terzo estraneo al reato, e le Sezioni Unite hanno risposto negativamente: l'ufficio fallimentare di cui il curatore fa parte subentra nella situazione del patrimonio del fallito, la cui disponibilità giuridica e materiale (non la proprietà) viene a questi sottratta e trasferita agli organi fallimentari, mentre è terzo estraneo solo chi non partecipi in alcun modo alla commissione del reato o alla utilizzazione dei profitti derivati (Cass. S.U., n. 29951/2004).

L'ordine di confisca contenuto in una sentenza di condanna fa stato solo tra le parti, sicché, quando ricorra la condizione impeditiva prevista dall'art. 240, comma 3, la persona estranea al reato, e quindi estranea anche al processo, alla quale appartiene la cosa confiscata, può chiedere di invalidare quel capo della sentenza ed ottenere la revoca della misura applicata al condannato (Cass. V, n. 1394/2014); diversamente, la confisca non può essere revocata in sede esecutiva nei confronti di soggetti che hanno partecipato al giudizio e non hanno proposto impugnazione (Cass. III, n. 29445/2013).

Se vi è un sequestro, il terzo rimasto estraneo al processo, formalmente proprietario del bene sequestrato,  di cui sia stata disposta con sentenza la confisca, può chiedere al giudice della cognizione, prima che la pronuncia sia divenuta irrevocabile, la restituzione del bene e, in caso di diniego, proporre appello dinanzi al tribunale del riesame; in tal caso, qualora venga erroneamente proposta opposizione mediante incidente di esecuzione, questa va qualificata come appello, e trasmessa al tribunale del riesame (Cass. S.U., n. 48126/2017).

La misura in esame può essere adottata anche in relazione ai beni appartenenti ad una persona giuridica, quando questa non sia estranea al reato, e tale non è quella nel cui interesse è stato commesso il reato dal suo legale rappresentante: in particolare, può procedersi al sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante (Cass. S.U., n. 10561/2014).

L’onere motivazionale

È opinione consolidata nella giurisprudenza di legittimità che il Giudice, in caso di confisca facoltativa, sia tenuto a soddisfare un particolare onere motivazionale.

Si precisa infatti che la confisca facoltativa è misura di sicurezza patrimoniale fondata sulla pericolosità derivante dalla disponibilità delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato ovvero delle cose che ne sono il prodotto o il profitto; sicchè l'istituto, che consiste nell'espropriazione di quelle cose a favore dello Stato, tende a prevenire la commissione di nuovi reati e, come tale, ha carattere cautelare e non punitivo, anche se, al pari della pena, i suoi effetti ablativi si risolvono in una sanzione pecuniaria» (Cass. S.U.,  n. 1/1983). Pertanto il giudice è tenuto a motivare le ragioni per cui ritiene di dover disporre la confisca di specifici beni in quanto serviti o destinati a commettere il reato, ovvero prodotto o profitto dello stesso, non essendo sufficiente riconoscerne la natura di bene utilizzato per la consumazione del reato; tale natura del bene costituisce il presupposto dell'esercizio del potere di confisca e non esaurisce perciò l'onere motivazionale del giudice che la dispone (Cass. III, n. 8995/2020).

La confisca obbligatoria

Il comma 2 dell'art. 240 prevede la confisca obbligatoria delle cose che costituiscono il prezzo del reato e delle cose la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.

Con l'art 1, comma 1, lett. a), l. 15 febbraio 2012, il legislatore ha introdotto al numero 1-bis la confisca obbligatoria dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli artt. 615-ter, 615-quater, 615-quinquies, 617-bis, 617-ter, 617-quater, 617-quinqies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies, 640-ter, 640-quinquies: si tratta dei reati informatici introdotti dalle leggi n. 547/1993 e n. 48/2008.

La legge n. 90/2024 rubricata "Disposizioni in materia di rafforzamento della cybersicurezza nazionale e di reati informatici.",  in vigore dal 17 lug lio 2024, ha introdotto un nuovo caso di confisca obbligatoria, quella dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione de l reato di cui all'art. 640, comma 2, numero 2 ter c.p. ,   inerente a d una nuova figura di truffa aggravata,  introdotta con la medesima novella  n. 90/24 , ovvero quella commessa    a  distanza  attraverso   strumenti informatici o telematici idonei a ostacolare la  propria  o   altrui identificazione .

La obbligatorietà della confisca qui in esame, che il giudice deve disporre ricorrendone le condizioni, e non conservando alcuna discrezionalità al riguardo,  subisce tuttavia alcuni limiti, previsti ai commi terzo e quarto dell'art. 240:

- la confisca non si applica se le cose che costituiscono il prezzo del reato, o i beni e gli strumenti informatici o telematici indicati nel numero 1-bis), appartengono a persona estranea al reato (art. 240, comma 3);

- la confisca delle cose la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato, non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa (art. 240, comma 4).

I presupposti della confisca obbligatoria sono i seguenti:

- la definizione del procedimento nell'ambito del quale viene disposta (non necessariamente con una sentenza di condanna);

- la res da confiscare deve costituire il prezzo del reato oppure la sua fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione deve costituire reato;

- la res da confiscare non deve appartenere a persona estranea al reato: con la precisazione che, qualora la cosa appartenga a persona estranea al reato, è necessario che la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione di essa sia suscettibile di autorizzazione amministrativa.

Secondo la giurisprudenza, le due condizioni devono concorrere, alla luce del dato letterale dell'art. 240, comma 4, nel quale sono collegate dalla congiunzione « e » (Cass. III, n. 4281/1991).

La definizione del procedimento. Condanna e patteggiamento

La confisca obbligatoria presuppone un provvedimento del giudice che definisca il procedimento in cui è destinata ad operare, anche se non sempre deve trattarsi di una sentenza di condanna.

Nella tipologia dei provvedimenti giurisdizionali in presenza dei quali è possibile applicare tale misura di sicurezza, sono ricompresi, in primis, oltre alla sentenza di condanna, la sentenza di patteggiamento (art. 445, comma 1, c.p.p.) ed il decreto di condanna (art. 460, comma 2, c.p.p.).

Segue. Archiviazione

La confisca obbligatoria può essere disposta anche con il provvedimento (decreto od ordinanza) di archiviazione.

Così, in materia di delitto di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale, è legittima (in quanto obbligatoria ai sensi dell'art. 474-bis, richiamato dall'art. 517-ter, comma 3, la confisca dei beni oggetto di contraffazione o che, pur non essendo contraffatti, sono messi in commercio da un soggetto sprovvisto della legittimazione a distribuirli, disposta con il decreto di archiviazione emesso per cause che non incidono sulla sussistenza del fatto e non interrompono il rapporto tra la cosa e il reato (Cass. III, n. 11269/2020).

Altrettanto dicasi per la confisca obbligatoria prevista per il reato di contrabbando doganale dall'art. 301 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Cass. III, n. 18535/2022) e per quella obblgatoria in materia di armi (Cass. I, n. 20508/2016).

Segue. Assoluzione e/o proscioglimento.

La confisca obbligatoria ex art. 240, comma 2, n. 2, per espressa previsione di legge può essere disposta anche in assenza di una sentenza di condanna (« anche se non è stata pronunciata condanna »), quindi anche in caso di assoluzione o proscioglimento.

Si discute se ciò sia possibile anche per la confisca delle cose che costituiscono prezzo del reato, di cui all'art. 240, comma 2, n. 1, che il predetto inciso non contiene; il problema si pone anche per la nuova ipotesi di confisca obbligatoria prevista dall'art. 240, comma 2, n. 1-bis.

Secondo un orientamento dottrinale minoritario, la confisca del prezzo del reato può essere disposta anche non in presenza di una sentenza di condanna, poiché ciò che conta è che un reato sia stato commesso, ancorché l'autore non sia punibile per qualsiasi causa: «sarebbe infatti immorale ammettere che il sicario od il corrotto, non punibile per qualsiasi causa, possa godersi il denaro che egli ebbe per commettere il fatto obbiettivamente delittuoso » (Manzini, Trattato, III, 392).

La dottrina prevalente è invece di contrario avviso, argomentando dalla lettera della norma, che solo con riguardo alle cose oggettivamente criminose di cui al comma 2, n. 2), prevede la confisca, anche se non è stata pronunciata condanna (Romano-Grasso-Padovani, 623).

Segue. Estinzione del reato per prescrizione.

Il dibattito è stato particolarmente acceso in relazione alla confiscabilità del prezzo del reato in caso di proscioglimento per prescrizione, con pronunce altalenanti da parte della stessa giurisprudenza di legittimità, a lungo incerta tra le opposte tesi.

Con sentenza n. 31617/2015, le S.U. hanno definitivamente accolto la tesi della confiscabilità del prezzo del reato anche nel caso in cui il processo si concluda con una sentenza dichiarativa di estinzione per prescrizione, purché sia stata preceduta da una sentenza di condanna emessa nell'ambito di uno dei gradi del giudizio (Cass. S.U., n. 31617/2015). Le Sezioni Unite hanno, in particolare, ribadito la natura di misura di sicurezza della confisca del prezzo del reato, osservando che la ratio dell'ablazione sta nella sua finalità di ripristinare l'equilibrio alterato dal reato, e le sono estranee finalità repressive e punitive, e che il patrimonio dell'imputato non viene intaccato in misura eccedente il pretium sceleris direttamente desunto dal fatto illecito (rispetto al quale l'interessato non avrebbe neppure titolo civilistico alla ripetizione)hanno altrresì affermato che la res da confiscare, rappresentando la retribuzione dell'illecito, non può ritenersi mai legalmente entrata a far parte del patrimonio del reo. Ne consegue che la confisca obbligatoria del prezzo del reato può essere applicata anche in caso di estinzione del reato per prescrizione, purché la responsabilità dell'imputato sia stata precedentemente accertata con una sentenza di condanna.

Il problema si pone per i proscioglimenti dinanzi al G.u.p.: si è infatti osservato che l'orientamento secondo cui è possibile disporre la confisca nel giudizio di impugnazione che si concluda con la declaratoria di prescrizione alla condizione imprescindibile della precedente condanna, deve poi essere coordinato con il dettato dell'art. 425, comma 4, c.p.p., dalla cui lettura emerge inequivocabilmente la possibilità per il GUP di emettere la sentenza di non luogo a procedere pur accompagnata dalla confisca.

Tale necessario coordinamento implica che il giudice, il quale dichiari ex art. 425 c.p.p. il non luogo a procedere per prescrizione, può disporre la confisca solo quando accerti pur incidentalmente la responsabilità dell'imputato e la derivazione del bene oggetto materiale del provvedimento di ablazione da quella condotta illecita non più punibile per decorso del tempo (Cass. II, n. 17723/2018).

Segue. Altre cause di estinzione del reato

L'amnistia non preclude la confisca obbligatoria delle cose di cui al fabbricazione, l'uso, ecc. costituiscono reato (Cass. S.U., n. 14/1958).

Invece, laddove la confisca può essere disposta solo in presenza di una condanna, non vi si può procedere in caso di amnistia (Cass. S.U., n. 5/1993, in fattispecie in cui si è ritenuto non potesse disporsi la confisca ex art. 722 del denaro esposto nel gioco, essendo il reato di partecipazione a gioco d'azzardo estinto per amnistia, e presupponendo la detta norma la condanna dell'imputato).

In caso di morte del reo, la dottrina ritiene generalmente inapplicabile la confisca (Romano-Grasso-Padovani, 627).

La giurisprudenza ha invece ritenuto legittima la confisca, disposta contestualmente ad archiviazione per morte del reo, di somma di danaro sequestrata come prezzo del reato (nella specie si trattava di commercio non autorizzato di plutonio), poiché — a norma dell'art. 236, comma 2 — non è estensibile alle misure di sicurezza patrimoniali il disposto dell'art. 210 stesso codice, che preclude l'applicazione di quelle personali in caso di estinzione del reato. In tale ipotesi gli eredi del deceduto non hanno diritto alla restituzione, in quanto non sono qualificabili terzi estranei, derivando un loro eventuale diritto jure haereditario dal dante causa, diritto che sarebbe comunque insussistente perché estintosi proprio con la confisca (Cass. I, n. 5262/2000).

In caso di perdono giudiziale è ammissibile la confisca, perché la particolare causa estintiva applicata richiede l'accertamento del carattere penalmente illecito del fatto realizzato (Romano-Grasso-Padovani, 627).

Quanto all'oblazione, cessata la connotazione funzionale tra reato definito a seguito di oblazione e mezzo usato per commetterlo, viene meno l'obbligatorietà della confisca (Cass. III, n. 2246/97).

Tuttavia, si è ritenuto che la confisca prevista dall'art. 6 della l. 22 maggio 1975, n. 152 si applica a tutti i delitti ed alle contravvenzioni, concernenti le armi, anche in caso di declaratoria di estinzione del reato, compresa l'oblazione, ed è esclusa solo nel caso di assoluzione nel merito e in quello di appartenenza dell'arma a persona estranea al reato medesimo (Cass. I,  n. 1806/2012).

L'oggetto della confisca obbligatoria

Possono essere oggetto di confisca obbligatoria solo le cose che costituiscono il prezzo del reato, e le cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione od alienazione costituisce reato.

Segue. Cose che costituiscono prezzo del reato

Secondo la nozione concordemente accolta il prezzo del reato è il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato; esso incide sulla motivazione a commettere l'illecito, e va tenuto distinto dal profitto, che è una conseguenza economica immediata e diretta del reato, ed è diversamente disciplinato quanto ai suoi effetti (Cass. S.U., n. 9149/1996).

Conformemente in dottrina, Romano-Grasso-Padovani, 622.

Il tema presenta particolare interesse allorché, in caso di confisca speciale obbligatoria, il prezzo o il profitto del reato prenda la forma di somme di denaro depositate su conto corrente, attesa la particolare natura di bene fungibile del denaro: è controverso se la confisca debba qualificarsi come diretta o per equivalente, con importanti conseguenze, posto che la confisca diretta è pur sempre una misura di sicurezza, mentre la confisca per equivalente ha funzione punitiva ed è pacificamente ritenuta una sanzione.

La giurisprudenza (Cass. S.U. , n. 10651/2014) ha affermato che, quando si tratta di denaro o beni fungibili, la confisca è diretta e non per equivalente, e non è subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell'indagato, poiché ciò che interessa è che il denaro oggetto di confisca corrisponda all'importo costituente il prezzo o il profitto del reato.

Il principio è stato successivamente ribadito (Cass. S.U., n. 31617/2015), precisando che la confisca speciale obbligatoria del prezzo o profitto del reato non è una sanzione, ma una misura di sicurezza, poiché il patrimonio dell'imputato non viene intaccato in misura eccedente il pretium sceleris direttamente desunto dal fatto illecito (rispetto al quale l'interessato non avrebbe neppure titolo civilistico alla ripetizione), e la res da confiscare, rappresentando la retribuzione dell'illecito, non è mai legalmente entrata a far parte del patrimonio del reo. Ove il prezzo o il profitto del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa — nel momento stesso in cui entra a far parte delle disponibilità economiche dell'autore del fatto — si confonde automaticamente con esse e perde la sua identificabilità fisica, sicché non avrebbe alcun senso accertare se sia stata spesa, occultata o investita: « Ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell'interesse del reo ». In tale prospettiva, la confisca di una somma di denaro costituente il prezzo o il profitto del reato, data la natura fungibile del denaro, è sempre in forma diretta e non per equivalente (da ultimo, S.U. n. 42415/2021); per lo stesso motivo non occorre ricercare il nesso di pertinenzialità con il reato: l'ablazione della somma non è subordinata alla verifica che la stessa provenga da delitto e che sia confluita nella effettiva disponibilità dell'indagato, né osta alla confisca  l'allegazione o la prova dell'origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (cfr. Cass. S.U., n. 42415/2021) cosicché, in caso di declaratoria si estinzione del reato per prescrizione, tale confisca potrà essere ugualmente disposta, ove la responsabilità dell'imputato sia stata comunque accertata con sentenza di condanna in uno dei gradi precedenti del giudizio.

Risulta così superato l'orientamento secondo cui sarebbe sempre illegittima l'apprensione diretta delle somme di denaro entrate nel patrimonio del reo in base ad un titolo lecito, ovvero in relazione ad un credito sorto dopo la commissione del reato, che non risultino allo stesso collegate, neppure indirettamente (Cass. VI, n. 6816/2019).

Segue. Cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione od alienazione costituisce reato

Le cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione od alienazione costituisce reato, sono quelle obbiettivamente criminose

Autorevole dottrina distingue ulteriormente tra cose la cui fabbricazione, detenzione, ecc. sia vietata in modo assoluto, come le armi da guerra o il denaro falso, e le cose la cui fabbricazione, detenzione, ecc. possa essere consentita mediante autorizzazione, o sia comunque legittima al verificarsi di determinate condizioni. Con riferimento alla prima categoria, è sufficiente l'accertamento della obbiettiva illiceità della cosa per disporne la confisca, anche in caso di sentenza di proscioglimento o assoluzione, poiché la restituzione di essa costituirebbe l'automatica premessa per la commissione di un nuovo reato. Con riferimento alla seconda categoria, invece, l'esistenza del reato richiede che si accerti in concreto la mancanza dell'autorizzazione, poiché solo in tal caso sarà possibile procedere a confisca anche in presenza di proscioglimento o assoluzione (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 623-624).

La « appartenenza » della res . La estraneità del terzo al reato: rinvio

Nel caso di confisca del prezzo del reato (art. 240, comma 2, n. 1), la res da confiscare non deve appartenere a persona estranea al reato: per la relativa nozione v. supra.

Nel caso di confisca delle cose obbiettivamente criminose (art. 240, comma 2, n. 2), non solo la res non deve appartenere a persona estranea al reato; ma la fabbricazione, l'uso, la detenzione o l'alienazione di essa devono essere consentiti a mezzo di autorizzazione amministrativa. In altri termini, perché l'ipotesi di confisca obbligatoria in esame non trovi applicazione, occorre che le attività ivi previste siano consentite con licenza amministrativa, e che la cosa da confiscare appartenga a terzi (Cass. I, n. 784/1994).

Profili processuali

 

Rapporti con il sequestro

Generalmente la confisca viene disposta sulla base di un precedente sequestro ex art. 321, comma 2, c.p.p., ma può essere adottata anche in via autonoma ed indipendente: in tal caso però il reo non potrà essere costretto alla consegna del bene o, in difetto, a pagarne il valore.

In giurisprudenza è infatti pacifico che possa essere disposta la confisca di beni, nonostante la mancanza o l'annullamento del precedente provvedimento di sequestro degli stessi (Cass. VI, n. 3606/2017).

E' stato anche precisato che il divieto di restituzione delle cose soggette a confisca obbligatoria, ex art. 324, comma 7 c.p.p., costituisce un principio generale che opera non solo in sede di riesame, ma anche in sede di procedimento per la restituzione delle cose sottoposte a sequestro probatorio, ex artt. 262 e 263 c.p.p., ancorché in assenza di una espressa previsione in tal senso, poiché l'esaurimento delle finalità istruttorie - presupposto del venir meno del vincolo di indisponibilità sulla "res" e della conseguente restituzione - non può, comunque, vanificare o pregiudicare la concreta attuazione della misura di sicurezza obbligatoria (Cass. II, n. 16523/2017).

Si è poi aggiunto altresì che le cose che soggiacciono a confisca obbligatoria non possono essere in nessun caso restituite all'interessato, anche quando siano state sequestrate dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa e per finalità esclusivamente probatorie (Cass. III, n. 17918/2017). 

Il suddetto divieto di restituzione riguarda però solo le cose soggette a confisca obbligatoria ai sensi dell'art. 240, secondo comma, e non anche le cose soggette a confisca obbligatoria contemplate da leggi speciali, a meno che tali ultime disposizioni richiamino l'art. 240, comma 2., c.p., o comunque si riferiscano al prezzo del reato, o a cose la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato (Cass. S.U. n. 40847/2019).

Oltre al sequestro preventivo finalizzato alla confisca, quest'ultima potrà essere disposta anche sulla base di altre forme di sequestro previste nel codice di procedura penale, come il sequestro preventivo ex art. 321, comma 1, c.p.p., il sequestro probatorio ex art. 253 c.p.p., e, nei limiti dell'eventuale sovrabbondanza, il sequestro conservativo ex art. 316 c.p.p. In via generale il sequestro preventivo ex art. 321, comma, 2 c.p.p. acquisisce i caratteri propri della confisca cui inerisce, quindi sarà facoltativo o obbligatorio e, salva l'ipotesi di cui al comma 2, n. 2 dell'art. 240 ha come presupposto il fumus commissi delicti; di periculum in mora può parlarsi solo per l'ipotesi di confisca facoltativa (Borasi, 139).

Le Sezioni Unite hanno però precisato che il provvedimento di sequestro preventivo di cui all'art. 321, co. 2 c.p.p., finalizzato alla confisca di cui all'art. 240 c.p., deve sempre contenere la concisa motivazione anche del "periculum in mora", da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili "ex lege" (Cass. S.U., n. 36959/2021; la S.C. si è pronunciata in fattispecie relativa a sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato in ordine al quale è stato chiarito che l'onere di motivazione può ritenersi assolto allorché il provvedimento si soffermi sulle ragioni per cui, nelle more del giudizio, il bene potrebbe essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato.)

Tuttavia, non può mutarsi radicalmente il tipo di sequestro, da sequestro finalizzato alla confisca a sequestro per impedire la commissione di nuovi reati: non è consentito al tribunale del riesame confermare il provvedimento per esigenze diverse da quelle ritenute nel decreto impugnato, poiché il sequestro preventivo finalizzato alla prevenzione dell'aggravamento del reato o della commissione di altri reati ed il sequestro preventivo finalizzato a rendere indisponibile il bene destinato a confisca hanno presupposti e finalità del tutto diversi, per cui una modifica in sede di giudizio di riesame comporterebbe una totale innovazione, con pregiudizio dell'avente diritto cui viene negato il contraddittorio, trovandosi per la prima volta applicato il sequestro per tutt'altra funzione (Cass. VI, n. 53453/2016).

La giurisprudenza ha affermato che il sequestro preventivo di cosa di cui è consentita la confisca comporta l'esistenza di uno specifico nesso strumentale tra la res ed il reato, poiché i fini di difesa sociale non possono prevalere in maniera indiscriminata sui diritti patrimoniali dei singoli, attraverso la sottrazione di cose la cui disponibilità è in sé lecita, a meno che non si tratti di cose oggettivamente e strutturalmente destinate alla commissione del reato (Cass. V, n. 11949/2010).

Inoltre, in caso di concorso di persone nel reato, non si può prescindere dall'effettivo vantaggio conseguito dal concorrente nel delitto sicchè il sequestro finalizzato alla confisca non può essere disposto nei confronti del coimputato che non abbia materialmente appreso tale profitto (Cass. V, n. 11981/2018).

Va considerato abnorme, e strutturalmente estraneo all'ordinamento processuale penale,  il provvedimento di "confisca anticipata" disposto dal giudice nel corso delle indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero (principio affermato in fattispecie in cui il giudice per le indagini preliminari aveva disposto una generica "confisca anticipata" di rifiuti oggetto di un precedente sequestro: Cass. III, n. 847/2020).

Rapporti con la procedura fallimentare

Una delle questioni più dibattute attiene ai rapporti tra procedura fallimentare e confisca.

In giurisprudenza, relativamente al sequestro preventivo finalizzato alla confisca facoltativa, le Sezioni Unite hanno affermato che è legittimo il sequestro preventivo di beni provento di attività illecita dell'indagato e di pertinenza di un'impresa dichiarata fallita, nei confronti della quale sia stata instaurata la procedura concorsuale, purché il giudice dia conto motivatamente delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle riguardanti la tutela dei legittimi interessi dei creditori fallimentari (Cass. S.U., n. 29951/2004).

Quanto ai vari tipi di sequestro: quello probatorio può essere legittimamente adottato in relazione a beni già appresi al fallimento e, se è stato disposto anteriormente alla sentenza di fallimento, conserva la sua efficacia, trattandosi di misura strumentale ad esigenze processuali proprie del processo penale e dei superiori fini di giustizia cui esso è preordinato.

Quello conservativo di cui all'art. 316 c.p.p., in quanto strumentale e prodromico ad una esecuzione individuale nei confronti del debitore ex delicto, in caso di fallimento dell'obbligato ricade nel divieto di cui all'art. 51 l. fall., secondo cui dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva può essere iniziata o proseguita sui beni del fallimento.

Il sequestro preventivo impeditivo ex art. 321, comma 1, c.p.p. è legittimo purché il giudice effettui un bilanciamento tra le esigenze sottese alla cautela e le ragioni dei creditori fallimentari.

Quanto alla confisca obbligatoria, il sequestro preventivo di un bene obbligatoriamente confiscabile è assolutamente insensibile alla procedura concorsuale, poiché l'esigenza principale è quella di impedire che una res intrinsecamente criminosa possa essere suscettibile di ulteriori utilizzazioni. Per tale ragione non può consentirsi che il bene — restituito alla curatela — sia venduto ed il suo ricavato distribuito tra i creditori, i cui interessi, in tal caso, sono destinati a cedere rispetto alla prevalente esigenza di tutela della collettività (Cass. S.U., n. 29951/2004).

Sulla possibilità di considerare il curatore fallimentare terzo estraneo al reato, v. supra.

Confisca e patteggiamento

A seguito della modifica introdotta dalla l. 12 giugno 2003, n. 134, che ha modificato il primo comma dell'art. 445 c.p.p., è stata estesa la possibilità, in sede di patteggiamento, di applicare la confisca a tutte le ipotesi previste dall'art. 240, compresi i casi di confisca facoltativa.

La giurisprudenza ha affermato in proposito che il giudice ha un preciso onere motivazionale, nel senso che deve indicare le ragioni per cui ritiene di confiscare specifici beni sottoposti a sequestro, o le ragioni per cui non ritiene attendibili le giustificazioni eventualmente addotte dalle parti sulla provenienza dei beni o denari confiscati: le caratteristiche di sinteticità della motivazione proprie del rito, non possono estendersi all'applicazione della misura di sicurezza (Cass. II, n. 6618/2014).

Pertanto, in caso di patteggiamento per il reato di cessione di stupefacenti, è possibile disporre la confisca del denaro in sequestro, ma qualora le somme non siano immediatamente riconducibili alla condotta illecita, il giudice deve motivare sulla inattendibilità delle giustificazioni fornite circa la loro provenienza (Cass. IV, n. 27935/2012).

La confisca in quanto tale non non è nella disponibilità delle parti: ove esse inseriscano nel patteggiamento anche un accordo sulla confisca, tale accordo ha solo un valore di orientamento della decisione che il giudice deve obbligatoriamente adottare sul punto, senza esserne vincolato; pene accessorie, sanzioni amministrative accessorie, misure di sicurezza in genere e la confisca, sono sottratte alla disponibilità delle parti (Cass. II, n. 28850/2019).

In senso diverso deve concludersi nel caso di confisca per equivalente ex art. 322-ter, che, attesa la sua natura di sanzione, può costituire oggetto dell'accordo e, in difetto, non potrebbe essere disposta dal giudice d'ufficio. Per lo stesso motivo, essa è illegittima ove disposta con sentenza di patteggiamento pronunciata nei confronti di coimputati diversi da quelli titolari dei beni in sequestro (Cass. I, n. 44238/2014).

La competenza.

Competente a disporre la confisca è il giudice della cognizione, contestualmente alla sentenza di condanna, in caso di confisca facoltativa o obbligatoria, o ad altro tipo di sentenza, nell'ipotesi della sola confisca obbligatoria.

La giurisprudenza ha affermato che è abnorme il provvedimento con cui il giudice della cognizione disponga la confisca in un momento successivo a quello della pronuncia della sentenza, perché alle eventuali omissioni di questa è possibile porre rimedio solo con l'impugnazione, o, in caso di formazione del giudicato, con lo strumento previsto dall'art. 676 c.p.p. specificamente dettato per l'ipotesi di beni oggetto di ablazione obbligatoria (Cass. VI, n. 10623/2014).

Naturalmente, il capo della sentenza che dispone la confisca fa stato solo nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al giudizio di cognizione, sicché coloro i quali non abbiano rivestito la qualità di parte sono legittimati a far valere i propri diritti sul bene confiscato dinanzi al giudice dell'esecuzione.

Eccezionalmente può disporre la confisca (obbligatoria) anche il giudice per le indagini preliminari, con il decreto penale, la sentenza di patteggiamento ex art. 447 c.p.p. e anche con il decreto di archiviazione, ma in tale ultimo caso il provvedimento non è impugnabile con il ricorso per cassazione, bensì con l'incidente di esecuzione (Cass. I, n. 9826/2009).

Con il decreto penale può disporsi la sola confisca obbligatoria prevista dall'art. 240, comma 2, e non anche quella prevista dalle disposizioni di legislazione speciale, sicché, ad es., non può applicarsi con decreto la speciale ipotesi di confisca obbligatoria del mezzo utilizzato per l'illecito trasporto di rifiuti prevista dall'art. 259, comma 2, d.lgs. n. 152/2006 (Cass. III, n. 18774/2012).

Si è anche precisato che la speciale confisca contemplata dall’art.  259, comma 2, d.lgs. n. 152/2006, ha una funzione prevalentemente sanzionatoria, sicchè non è equiparabile alla confisca misura di sicurezza prevista dall'art. 240, comma 2, c.p., che il giudice ordina con il decreto penale di condanna, ai sensi dell'art. 460, comma 2, c.p.p. (Cass. III, n. 43547/2016).

Segue . La competenza in executivis

Il giudice della cognizione può procedere anche d'ufficio alla confisca e, in mancanza, vi provvede il giudice dell'esecuzione, ma solo su impulso di parte, sicché il provvedimento eventualmente adottato d'ufficio (ad es., su sollecitazione della cancelleria), è affetto da nullità assoluta (Cass. I, n. 2939/2013).

Secondo la giurisprudenza il giudice dell'esecuzione può disporre la confisca solo qualora sia obbligatoria per legge (Cass. I, n. 17546/2012), e ciò per l'evidente ragione che solo il giudice del merito può adottare il provvedimento discrezionale di cui all'art. 240, comma 1, in quanto conosce gli atti e può pienamente apprezzare il collegamento non meramente occasionale tra l'oggetto (o la somma) e il reato, e la possibilità futura del ripetersi di un altro reato, e quindi motivare l'eventuale ablazione alla luce della finalità propria della confisca facoltativa, che è quella di prevenire la consumazione di futuri reati.

È concorde la dottrina, che inquadra tale principio nella regola più generale per cui al giudice dell'esecuzione è inibita l'adozione di provvedimenti che implichino l'uso di un potere discrezionale (Romano-Grasso-Padovani, 640).

Tuttavia, in caso di patteggiamento, se il giudice non dispone nè la confisca nè la restituzione del bene sottoposto a sequestro probatorio,  l'interessato non dovrà rivolgersi alla Corte di cassazione, ma al giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art.263, comma 6, c.p.p.: il ricorso per cassazione è infatti ammissibile solo avverso l'ordinanza con la quale, ai sensi dell'art.667, comma 4, c.p.p., viene rigettata l'opposizione al diniego di restituzione pronunciata dal giudice dell'esecuzione (Cass. VI, n. 10542/2017).

A tal riguardo, la giurisprudenza ha precisato che non vi è alcuna incompatibilità ad emettere il provvedimento di confisca in fase di esecuzione per il giudice che abbia pronunciato sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, senza nulla disporre sui beni in sequestro (Cass. I, n. 37846/2016).

 Con riferimento  alla confisca del profitto del reato, poiché essa non costituisce pena accessoria, bensì misura ablatoria con finalità ripristinatoria (diretta o per equivalente, a seconda dell'oggetto del profitto), qualora l'istanza di applicazione sia proposta in fase esecutiva, il giudice dell'esecuzione decide ai sensi dell'art. 676 c.p.p., con ordinanza impugnabile solo con l'opposizione ex art. 667, comma 4 c.p.p., sicchè l'eventuale ricorso per cassazione erroneamente proposto non deve essere dichiarato inammissibile, ma qualificato come opposizione e trasmesso al giudice competente (Cass. III, n. 43397/2015).

È discusso se sia possibile ricorrere alla procedura di correzione dell'errore materiale per emendare l'omessa pronuncia sulla confisca obbligatoria nella sentenza di merito. Muovendo dalla decisione della Cass. S.U., n. 7945/2008, secondo cui non possono determinare nullità della sentenza, tra le altre, le omissioni in ordine alle quali sia previsto un automatico intervento integrativo del giudice dell'esecuzione, come nel caso della pena accessoria e della confisca obbligatoria, un orientamento ha ritenuto senz'altro legittima l'integrazione del dispositivo mediante la procedura ex art. 130 c.p.p. (Cass. VI, n. 2944/2010).

Altro orientamento ha invece ritenuto abnorme l'ordinanza con cui il giudice, avendo omesso di disporre con la sentenza di condanna la confisca, ancorché obbligatoria, provveda in merito utilizzando il procedimento per la correzione degli errori materiali, osservando che l'intervento ex art. 130 c.p.p. deve consistere in un'operazione meramente meccanica, che si limiti ad aggiungere elementi che necessariamente dovevano fare parte del provvedimento, con esclusione di qualsiasi modifica che importi valutazioni discrezionali o l'inserimento di elementi estranei alla ratio decidendi. L'integrazione del dispositivo di sentenza, con il deliberato sulla confisca, incide su un aspetto essenziale del provvedimento, poiché non si limita ad esplicitare quanto già statuito, ma ad integrare statuizioni omesse, il che può avvenire necessariamente attraverso la procedura dell'incidente di esecuzione (Cass. I, n. 43521/2013).

Sempre dinanzi al giudice dell'esecuzione sono poi esperibili i rimedi riconosciuti dalla legge al terzo estraneo al reato, che voglia far valere il diritto alla restituzione della res confiscata, non essendo egli legittimato all'impugnazione della sentenza con cui è stata ordinata la confisca (Cass. III, n. 23926/2010). In sede esecutiva non possono essere rivalutate le ragioni che hanno condotto al provvedimento ablatorio, però il terzo è ammesso a dimostrare il suo diritto di proprietà e l'assenza da parte sua di ogni addebito di negligenza (Cass. I, n. 47312/2011).

Qualora la confisca riguardi i beni di proprietà di un soggetto assolto dal reato con sentenza irrevocabile, questi è legittimato a proporre incidente di esecuzione per ottenere la revoca del provvedimento ablativo se, pur avendo esperito impugnazione per contestare la legittimità del vincolo, non abbia ottenuto una pronuncia nel merito della relativa questione (Cass. I, n. 51468/2017).

Qualora la richiesta di revoca della confisca proposta dal terzo formale intestatario dei beni venga dichiarata "de plano" inammissibile, ai sensi dell'art. 667, comma 4, c.p.p., e il terzo proponga opposizione, il giudice dell'esecuzione è tenuto ad instaurare il contraddittorio tra le parti ai sensi dell'art. 666, commi 3 e 4, c.p.p., a pena di nullità assoluta dell'ordinanza che definisce il procedimento, e deve altresì disporre la trattazione nelle forme della pubblica udienza, qualora l'opponente ne abbia fatto esplicita richiesta, configurandosi, in difetto, una nullità relativa (Cass. I, n. 18691/2017).

Quanto al giudice dell'esecuzione competente, va individuato nel giudice che ha pronunciato il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo nei confronti dell'imputato, anche se la questione proposta non riguarda la decisione da lui emessa (Cass. I, n. 17545/2012).

Se, invece, la sentenza pregiudizievole per il terzo rimasto estraneo al giudizio, non è ancora irrevocabile, questi può presentare un'istanza di restituzione del bene confiscato al giudice che ha la disponibilità del procedimento, il quale può decidere applicando analogicamente la procedura di cui agli artt. 676, comma 1 e 667, comma 4, c.p.p., (Cass. II, n. 14146/2001).

È comunque inammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto avverso una decisione incidentale della Suprema Corte in tema di sequestro confisca, e di restituzione dei beni all'avente diritto, atteso che solo la sentenza che renda incontrovertibile la pronuncia di condanna in sede di merito consente concreta applicazione della norma di cui all'art. 625-bis c.p.p., norma che appunto appresta un rimedio in via esclusiva "a favore del condannato", oltre che del Procuratore Generale, e ha formulazione tassativa, non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica a casi non previsti, quali le decisioni che intervengano su questioni incidentali (Cass. VI, n. 20684/2016).

Casistica

 

Animali

 

Con la l. n. n. 189/ 2004, è stata superata l'impostazione originaria del codice penale, che relegava la tutela degli animali, dal punto di vista repressivo, alla sola previsione contravvenzionale di cui all'art. 727; la l. n. 189/2004 ha infatti introdotto quattro nuove fattispecie delittuose (art. 544 bis, 544 ter, 544 quater e 545 quinquies c.p.), mediante la creazione di un titolo autonomo (il IX bis, dedicato ai "delitti contro il sentimento per gli animali") del libro secondo del codice penale, modificando altresì il testo dell'art. 727 c.p. , ora rubricato "abbandono di animali", ed inserendo l'art. 544 sexies c.p., secondo cui, in caso di condanna o di applicazione di pena concordata per i delitti previsti dagli art. 544 ter (maltrattamento di animali), 544 quater (organizzazione di spettacoli che comportino sevizie o strazio per gli animali) e 545 quinquies (promozione di combattimenti tra animali che ne mettano in pericolo l'integrità fisica), è prevista la confisca obbligatoria dell'animale, salvo che appartenga a persona estranea al reato, non essendo tale previsione operante per l'art. 544 ter c.p., che sanziona il delitto di uccisione di animale, nell'ovvio presupposto che in tal caso non vi siano animali sopravvissuti da tutelare. Sono state altresì introdotte due nuove disposizioni di coordinamento del codice penale, ovvero gli art. 19 ter e 19 quater, il secondo dei quali, rubricato "affidamento degli animali sequestrati o confiscati", prevede espressamente che gli animali oggetto di provvedimenti di sequestro o di confisca siano affidati ad associazioni o enti che ne facciano richiesta, individuati con decreto del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro dell'interno.

Ciò precisato, in tema di reati commessi ai danni di animali, l'affidamento definitivo a privati degli animali sequestrati o confiscati, previsto dall'art. 19-quater disp. att. c.p., , può essere disposto solo dopo che la statuizione di confisca sia divenuta irrevocabile e non sulla base del mero provvedimento cautelare di sequestro, anche se non più impugnabile, che può solo giustificare l'affidamento provvisorio (Cass. III, 16480/2020).

In materia di commercio internazionale della fauna e della flora in via di estinzione, la confisca obbligatoria contemplata dall'art. 4 della l. n. 150/1992 in relazione agli esemplari vivi o morti, alle loro parti o ai prodotti da essa derivati, se acquisiti in violazione dei divieti di cui agli artt. 1 e 2 della stessa legge, trovando fondamento in una disposizione speciale, non può essere ricondotta al regime previsto dall'art. 240, con la conseguenza che non è possibile la restituzione provvisoria degli oggetti in sequestro (nella specie, corni in avorio) in vista di una futura regolarizzazione amministrativa (Cass. III, n. 5119/2013).

Edilizia ed urbanistica

In caso di condanna per il reato di cui all'art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non deve essere ordinata la confisca dell'opera abusiva, poiché l'unico rimedio per eliminare gli effetti del reato e ripristinare la situazione antecedente alla commissione dell'illecito, è l'ordine di demolizione. Peraltro, trattandosi di statuizione obbligatoria a carattere accessorio e contenuto predeterminato, la sua omissione nella sentenza di condanna può essere emendata con il procedimento di correzione dell'errore materiale ai sensi dell'art. 130 c.p.p., di competenza dello stesso giudice che ha emesso la sentenza da emendare, o di quello dell'impugnazione, ma non del giudice dell'esecuzione, carente di competenza sul punto (Cass. III, n. 40340/2014).

Quanto, poi, al caso di estinzione del reato di edificazione abusiva per prescrizione, non vi è dubbio che il bene, ove ancora in sequestro, vada dissequestrato e restituito, poiché la confisca obbligatoria prevista all'art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 riguarda il solo caso del reato di lottizzazione abusiva (Cass. VI, n. 44638/2013).

Favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione

Le principali questioni hanno riguardato la eventualità della confisca del denaro corrispettivo della prestazione sessuale; degli immobili utilizzati per l'esercizio del meretricio; dell'automobile usata per il trasporto delle prostitute sul luogo di lavoro.

Con riferimento al denaro, la giurisprudenza ha precisato che solo la porzione di denaro consegnata allo sfruttatore o al favoreggiatore è confiscabile obbligatoriamente quale prezzo del reato con la sentenza di condanna o di patteggiamento, mentre devono essere restituite le somme percepite dalle prostitute, che sono qualificabili come provento del reato (Cass. III, n. 9032/2012).

Quanto agli immobili, sono certamente confiscabili, ove si proceda per il reato di sfruttamento della prostituzione e sia dimostrato il nesso strumentale di esclusiva destinazione di detti immobili all'esercizio del meretricio (Cass. III, n. 8677/1997).

Tuttavia, non può costituire oggetto di confisca il corrispettivo in denaro ricevuto per l'ospitalità alberghiera della prostituta e del cliente se non v'è stata alcuna maggiorazione delle tariffe applicate alla restante clientela, in quanto non si configura un profitto illecito ricavato in via diretta e immediata dalla commissione del reato (Cass. III, n. 33816/2020).

Quanto all'automobile l'automobile utilizzata per il trasporto delle prostitute nell'ambito del reato di favoreggiamento della prostituzione: ove sia dimostrata la relazione di asservimento strumentale e non occasionale della res alla commissione del reato, che riveli il pericolo di possibile reiterazione criminosa, è certamente ammissibile la confisca facoltativa del mezzo, anche in caso di sentenza di patteggiamento (Cass. III, n. 5050/2012).

Produzione, commercio e consumo

Nel caso di prodotti alimentari confezionati con additivi chimici non autorizzati, la cui vendita, detenzione per la vendita, somministrazione e distribuzione per il consumo sono vietate dall'art. 5, lett. g), l. 30 aprile 1962, n. 283, la confisca è obbligatoria nel caso di proscioglimento per estinzione del reato: si tratta di cose obiettivamente criminose o tali da rappresentare un rischio, anche potenziale, per la salute pubblica, messa in pericolo dallo stesso impiego degli additivi non autorizzati e perciò ritenuti, almeno potenzialmente, nocivi (Cass. VI, n. 265/1992).

I prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione o alterati, la cui detenzione per la vendita, somministrazione e distribuzione per il consumo integrano i reati di cui all'art. 5, lett. b) e c), legge n. 283/1962, sono destinati a confisca obbligatoria e, pertanto, non possono essere in nessun caso restituiti all'interessato, neppure quando siano venute meno le esigenze probatorie per le quali sia stato disposto il sequestro, trovando applicazione il divieto di cui all'art. 324, comma 7, c.p.p., applicabile tanto al sequestro preventivo che a quello probatorio (Cass. III, n. 41558/2017).

Reati tributari

In materia di sottrazione fraudolenta al pagamento dell'imposta, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsiasi vantaggio patrimoniale direttamente conseguito dalla commissione del reato, e quindi anche in un risparmio di spesa come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell'accertamento del debito tributario (Cass.  S.U., n. 18374/2013).

Più precisamente, esso è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, essendo indifferente se l'imposta evasa, in concreto, sia stata non pagata o portata a credito dal contribuente (Cass. III, n. 1657/2019).

La giurisprudenza ha anche precisato che in caso di reati tributari commessi dai legali rappresentanti della persona giuridica, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto può essere disposto sui beni personali degli amministratori solo nell'ipotesi in cui il profitto (o i beni ad esso direttamente riconducibili) non sia più nella disponibilità della persona giuridica (Cass. III, n. 30486/2015); tuttavia, spetta al legale rappresentante imputato dare prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica suscettibili di confisca diretta (Cass., III, n. 42966/2015).

Trattandosi di confisca obbligatoria exart. 12-bis, d.lgs. n. 74/2000 di beni dell'imputato, l'onere motivazionale del giudice  è limitato alla sussistenza dei presupposti legali della sua applicazione, consistenti nella impossibilità di disporre la confisca diretta del profitto o del prezzo del reato nel patrimonio della persona giuridica, nella disponibilità del bene oggetto di confisca per equivalente da parte dell'autore materiale del reato e nella corrispondenza del valore del bene al profitto o al prezzo del reato (Cass. III, n. 2039/2019).

E' stato altresì precisato che è illegittimo il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca di cui all'art. 12-bis cit.  su beni già assoggettati alla procedura fallimentare, posto che la dichiarazione di fallimento comporta il venir meno in capo al fallito del potere di disporre del proprio patrimonio e l'attribuzione al curatore, terzo estraneo al reato, del compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento (Cass. III, n. 47299/2021).

Quanto al sequestro preventivo funzionale alla confisca, esso è possibile a carico della società solo per i beni su cui disporre la confisca diretta, previa individuazione del profitto del reato; in mancanza, come detto, è possibile il sequestro per equivalente dei beni del legale rappresentante imputato (Cass. III, n. 43816/2017).

Le Sezioni Unite penali, chiamate a decidere se in caso di dichiarazione di fallimento intervenuta anteriormente all’adozione del provvediemento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per reati tributari e riguardante beni attratti alla massa fallimentare, l’avvenuto spossessamento del debitore erariale per effetto dell’apertura della procedura concorsuale osti al sequestro stesso, ovvero se, invece, il sequestro debba comunque prevalere, attesa l’obbligatorietà della confisca cui la misura cautelare è diretta”, hanno stabilito che “l’avvio della procedura fallimentare non preclude il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni attratti alla massa fallimentare per i reati tributari” (S.U. 22 giugno 2023).

La previsione di cui all'art. 12-bis comma 2, d.lgs. n. 74/2000, introdotta dal d.lgs. n. 158/2015, secondo cui la confisca, diretta o per equivalente, dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo di uno dei reati tributari previsti dal decreto medesimo "non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro", si riferisce ai soli casi di obbligo assunto in maniera formale, tra i quali rientra l'ipotesi di accordo, raggiunto con l'Agenzia delle Entrate, per il pagamento rateale del debito di imposta (Cass. III, n. 5728/2016); per la parte coperta da tale impegno, la confisca può comunque essere adottata nonostante l'accordo rateale intervenuto, ma non è eseguibile, producendo i suoi effetti solo al verificarsi del mancato pagamento del debito (Cass. III, n. 6246/2019).

  In tema di sottrazione all'accertamento o al pagamento dell'accisa sui prodotti energetici, va disposta la confisca dei prodotti petroliferi e degli automezzi utilizzati per commettere il reato previsto dall'art. 40 d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, atteso che l'art. 44 del citato d.lgs. prevede che tali beni sono soggetti a confisca secondo le norme vigenti in materia doganale, con conseguente applicabilità dell'art. 301 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, come sostituito dall'art. 11, comma 19, della l. n. 413/1991, ai sensi del quale la confisca va sempre ordinata, anche in assenza di una pronuncia di condanna (Cass. III, n. 16785/2013).

Sempre in tema di sottrazione fraudolenta di oli minerali al pagamento delle accise, la confisca del mezzo di proprietà di un terzo estraneo al reato, utilizzato per il trasporto della merce, è esclusa solo se tale soggetto fornisce la prova non soltanto della sua buona fede ma anche di non aver potuto prevedere, per cause indipendenti dalla sua volontà, l'illecito impiego - anche occasionale - del veicolo da parte di terzi, e di non essere incorso in un difetto di vigilanza (Cass. III, n. 8790/2020).

Si è altresì affermato che la confisca del mezzo di trasporto di proprietà di un terzo estraneo al reato di cui all'art. 40, co. 1, d.lgs. n. 504/95 (sottrazione al pagamento delle accise), prevista in via facoltativa dal successivo art. 44, assume una connotazione punitivo-sanzionatoria, giacché infligge una limitazione al diritto di proprietà, convenzionalmente e costituzionalmente tutelato, sicché l'applicazione del sequestro ad essa funzionale impone il previo vaglio di proporzionalità e di adeguatezza rispetto all'esigenza cautelare da fronteggiare (Cass. III, n. 39168/2021, in fattispecie in cui i beni oggetto del provvedimento ablatorio possedevano un valore almeno dieci volte superiore rispetto all'entità dell'imposta evasa).

Varie applicazioni attengono ai beni immobili: si afferma che i  beni immobili appartenenti a soggetto indagato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, alienati per far venir meno le garanzie di un'efficace riscossione dei tributi da parte dell'Erario, sono suscettibili di sequestro preventivo per la successiva confisca ai sensi dell'art. 240, comma 1, in quanto costituiscono lo strumento per mezzo del quale è stato commesso il reato, a nulla rilevando la loro qualificazione anche come prezzo o profitto di tale delitto (Cass. III, n. 3095/2017).

Ancora,  che l'art. 52, comma 1, lett. g),  d.l. n. 69/2013 (convertito, con modificazioni, in l. n. 98/2013) - che vieta all'agente della riscossione, in specifiche ipotesi e condizioni, di procedere all'espropriazione della "prima casa" del debitore - preclude l'applicazione del sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, dell'abitazione di soggetto indagato per il delitto di cui all'art.11, comma 1, d.lgs. n. 74/2000, commesso mediante l'alienazione simulata del cespite immobiliare: il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è reato di pericolo concreto, ed esige che la condotta sia idonea a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, che in tal caso è ab origine non consentita, per mancanza dei relativi presupposti normativi (Cass. III, n. 3011/2017).

Sostanze stupefacenti

Le applicazioni più ricorrenti hanno riguardato la confisca di somme di denaro e la confisca dell'autovettura utilizzata per il trasporto di droga.

In relazione alle somme di denaro, la giurisprudenza ha affermato che, nel caso di condanna o di applicazione della pena per il reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, può costituire oggetto di confisca ex art. 240 solo la somma di denaro che il giudice accerti essere stata ricavata dalla cessione della sostanza stupefacente, e poiché il denaro medesimo rappresenta il profitto e non già il prezzo del reato, in tal caso si versa in ipotesi di confisca facoltativa ex art. 240 comma 1. Pertanto il giudice deve fornire adeguata motivazione circa l'esistenza del nesso di pertinenzialità tra la somma di denaro ed il reato per cui si procede (Cass. III, n. 2444/2015).

In tal caso, difetta l'interesse dell'imputato ad impugnare la confisca del denaro provento di spaccio, in quanto frutto di un negozio inesistente improduttivo di effetti giuridici, privo di una situazione giuridica soggettiva tutelata dall'ordinamento (Cass. III, n. 29982/2019).

Secondo altro orientamento, il denaro rinvenuto nella disponibilità dell'imputato può essere sottoposto a confisca solo nel caso in cui ricorrano le condizioni previste all'art. 240-bis c.p., applicabile in ragione del rinvio operato dall'art. 85-bis d.P.R. n. 309/90: in relazione al reato di illecita detenzione di sostanza stupefacente non è consentita la confisca del denaro nè ai sensi dell'art. 240 c.p., né ai sensi dell'art. 73, comma 7-bis, d.P.R. cit., applicabili invece all'ipotesi di cessione di sostanza stupefacente, non sussistendo il necessario nesso tra il denaro oggetto di ablazione e il reato di mera detenzione per cui è affermata la responsabilità (Cass. IV, n. 20130/2022).

Non sono peraltro confiscabili le somme che, in ipotesi, costituiscono il ricavato di precedenti diverse cessioni di droga rispetto a quella contestata,  e sono destinate ad ulteriori acquisti della medesima sostanza, non potendo le stesse qualificarsi né come "strumento", nè quale "prodotto", "profitto" o "prezzo" del reato (Cass. VI, n. 55852/2017)

In mancanza del suddetto nesso di pertinenzialità, non potrà essere disposta neanche la confisca ai sensi dell'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, conv. in l. n. 356/1992 (Cass. II, n. 41778/2015), confisca ora disciplinata dall'art. 240-bis.

Peraltro, non è consentito al tribunale del riesame confermare la misura cautelare reale (sequestro) originariamente emessa exart. 12-sexies, , facendo riferimento all'art. 73, comma 7-bis, d.P.R. n. 309 /1990, in quanto un simile provvedimento,  violando il principio del contraddittorio, muta i parametri applicativi della misura, non più legata alla configurabilità dei presupposti previsti  dall'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992 cit., ma all'asserita diretta qualificabilità della somma come provento del delitto in materia di stupefacenti (Cass. VI, n. 3771/2018).

In relazione all'autovettura utilizzata per il trasporto di droga, la S.C. ha affermato che essa può costituire oggetto di confisca facoltativa solo ove sia dimostrata la relazione di asservimento tra la stessa ed il reato, inteso non come un collegamento meramente occasionale, ma come stretto nesso strumentale, rivelatore dell'effettiva probabilità del ripetersi di un'attività punibile: un impiego meramente episodico non è sufficiente ad integrare il nesso di pertinenzialità nel senso richiesto dalla norma (Cass. III, n. 13049/2013).

Ipotesi speciali di confisca: profili generali

Sia nel codice penale che nelle leggi speciali sono previste numerose ipotesi particolari di confisca, introdotte dal legislatore nel corso del tempo per contrastare la diffusione dell'illegalità nei settori più disparati. Esse sono quasi tutte strutturate secondo il modello della confisca obbligatoria, anche quando i beni confiscabili sono riconducibili alle categorie degli strumenti ovvero del profitto o del prodotto del reato; e sono inoltre caratterizzate dall'accentuazione del profilo punitivo-repressivo, il che le avvicina sempre più alla categoria della sanzione, penale o amministrativa, piuttosto che alla misura cautelare (Romano-Grasso-Padovani, 628-629).

Tuttavia la specialità della previsione non esclude l'applicazione delle norme generali contenute nell'art. 240, nella parte in cui non risulti una regolamentazione in deroga: la deroga, anche in più punti, delle regole generali dell'art. 240, che caratterizza le confische previste da disposizioni speciali, non vale, infatti, a rendere la misura completamente autonoma dalla disciplina generale, sulla quale si innesta, e che resta applicabile nei punti non derogati dalle norme speciali (Cass. S.U. , n. 9/1999).

Per la confisca speciale prevista per i delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a. (artt. 314-335) si rinvia al commento dell'art. 335-bis.

Per a confisca speciale prevista in relazione al reato di associazione mafiosa, si rinvia al commento dell'art. 416-bis.

Per la confisca speciale in materia di usura si rinvia al commento dell'art. 644.

Altre ipotesi speciali di confisca sono previste dagli artt. 270-bis,  446452- undecies (in materia di ecoreati), 544- sexies600- septies, 648- quater, 722 e 733: per tutte, si rinvia ai rispettivi commenti.

Per la particolare forma di confisca obbligatoria per equivalente, avente ad oggetto i beni che costituiscono il profitto o il prezzo dei delitti previsti dagli artt. 314-320 (anche se commessi dai membri degli organi delle Comunità europee o dai funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri, ex art. 322-bis) e dagli artt. 640, comma 2, n. 1, 640-bis e 640-ter , comma 2, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo, si rinvia al commento degli artt. 322- ter 640-quater, evidenziando che un'ipotesi similare è stata introdotta anche per i reati societari dall'art. 2641, comma 2, c.c. 

Infine, per la particolare confisca ex art. 12-sexies  d.l. n. 306/1992, conv. in l. n. 356/1992, ora disciplinata dall'art. 240-bis c.p., si rinvia al relativo commento in questo codice.

Armi, munizioni ed esplosivi

In materia di armi, l'art. 6 della l. n. 152/1975 (contenente disposizioni a tutela dell'ordine pubblico) prevede che, in presenza della commissione di un reato concernente le armi, anche se di natura meramente contravvenzionale, deve sempre essere ordinata la confisca (concernente armi, munizioni, esplosivi ed ogni altro oggetto atto ad offendere) in caso di estinzione del reato (nella fattispecie trattavasi di oblazione) restando esclusa solo nel caso di assoluzione nel merito e in quello di appartenenza dell'arma a persona estranea al reato medesimo. (Cass. I, n. 1806/2012).

La misura va disposta anche in caso di proscioglimento dell'imputato per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis c.p. (Cass. I, n. 54086/2017), e resta esclusa solo qualora sia ritenuta l'insussistenza del fatto (Cass. I, n. 20508/2016).

Deve procedersi a confisca anche nel caso di accertamento della violazione dell'art. 58 del r.d. 6 maggio 1940, n. 635, poiché la omessa ripetizione della denuncia di detenere armi all'autorità di P.S. in costanza del trasferimento delle stesse, ricade all'interno dell'art. 240, comma 2, come richiamato dall'art. 6, l. n. 152/1975 (Cass. I, n. 5841/2011).

Tuttavia, non è applicabile la confisca alle armi regolarmente detenute ma non utilizzate per commettere i reati per cui è intervenuta condanna, mancando i presupposti di cui all'art. 240: tale principio è stato affermato in un caso di patteggiamento per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali (Cass. VI, n. 22105/2013).

Di diversi avviso Cass. V, n. 28591/2018, secondo cui in caso di minaccia aggravata dall'uso dell'arma (nella specie detenuta legittimamente dall'agente), questa non è soggetta alla confisca obbligatoria ma solo a quella facoltativa, poiché il predetto delitto non rientra tra quelli riconducibili alle ipotesi di cui all'art. 6 l. n. 152/1975, atteso che per "reati concernenti le armi", anche in virtù dell'espresso richiamo della norma al primo capoverso dell'art. 240, devono intendersi solo quelli nei quali la condotta delittuosa deriva dalla fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione dell'arma, ovvero è riconducibile alla produzione, possesso e circolazione dell'arma medesima, e non quelli in cui l'uso dell'arma costituisce una mera circostanza aggravante.

In tema di applicazione concordata della pena, la confisca delle armi e di ogni altro oggetto atto ad offendere, munizione ed esplosivi, deve essere disposta in ogni caso trattandosi di ipotesi di confisca obbligatoria (Cass. V, n. 2738/2022).

La confisca ex art. 6 l. n. 152/1975 è esclusa se l'arma appartiene a persona estranea al reato e la relativa detenzione può essere consentita mediante autorizzazione amministrativa.

Beni culturali

In materia di beni culturali, il possesso di oggetti di interesse artistico, storico o archeologico è in linea generale illegittimo, a meno che il detentore non dimostri di averli legittimamente acquistati, poiché sono considerati di proprietà dello Stato fin dalla loro scoperta, e in caso di rinvenimento fortuito, ne deve essere denunciato il ritrovamento. Si è però osservato che il d.lgs. n. 42/2004 (c.d. Codice Urbani) non esclude in modo assoluto che i beni di interesse culturale siano posseduti anche da soggetti privati, come si evince dal fatto che nel definire il patrimonio culturale all'art. 2, d.lgs. n. 42/2004, viene espressamente indicata la categoria di beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica, perciò destinati alla fruizione della collettività; e dal fatto che nella nozione di beni culturali di cui all'art. 10 del citato decreto si parla espressamente di cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro.

Pertanto, in sede di archiviazione, non può procedersi a confisca obbligatoria di una collezione numismatica appartenente a privati, che non rientra nel patrimonio indisponibile dello Stato e non possiede la qualità di bene culturale in mancanza dell'apposita dichiarazione ministeriale prevista dagli artt. 10, comma 3, e 13 d.lgs. n. 42/2004 (Cass. III, n. 13980/2011).

La confisca prevista per il reato di esportazione abusiva di beni culturali (art. 174 comma 3 d.lg. n. 42/2004) deroga alla disciplina generale posta dall'art. 240, sicché deve applicarsi sia in caso di condanna, sia in caso di proscioglimento dell'imputato per cause che non riguardino la materialità del fatto e non interrompano il rapporto tra la res ed il reato, dunque anche se il reato è stato dichiarato estinto per prescrizione (Cass. III, n. 49438/2009).

Inoltre, tale confisca va disposta anche in mancanza della dichiarazione di interesse culturale dei beni illecitamente trafugati, atteso che il precetto sanzionatorio di cui all'art. 174 d.lgs. n. 42/2004, non fa riferimento ai soli beni culturali riconosciuti tali con la dichiarazione prevista dall'art. 13 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, ma, più in generale, a cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale archivistico, in maniera da tutelare le cose che sarebbero suscettibili di dichiarazione di interesse culturale anche qualora quest'ultima non sia in concreto intervenuta (Cass. III, n. 17223/2017).

Tale confisca deve essere disposta obbligatoriamente, anche in caso di delitto tentato (Cass., V, n. 33151/2020), salvo che la cosa appartenga a un soggetto estraneo al reato, il quale, tuttavia, in caso di collegamento del proprio diritto con l'altrui reato, ha l'onere di provare il proprio affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di apparenza sulla liceità della provenienza del bene che renda scusabile l'ignoranza o il difetto di diligenza (Cass. III, n. 11269/2020).

In tema di tutela penale delle opere d'arte, la confisca di cui all'art. 178, comma 4, d.lgs. n. 42/2004 non è assimilabile a quella obbligatoria, prevista dall'art. 240, comma 2, n. 2 c.p., in quanto non riguarda beni di natura intrinsecamente criminosa, sicché, ove disposta in assenza di condanna, postula comunque l'accertamento incidentale del fatto di reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo (Cass. III, n. 30687/2021).

Caccia

L'art. 28, comma 2, l. n. 157/1992, dispone che, in caso di condanna per le ipotesi di reato di cui all'art. 30, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), le armi ed i mezzi di caccia siano in ogni caso confiscati.

Si tratta di confisca obbligatoria.

Ne deriva che la confisca delle armi utilizzate per commettere reati venatori può essere disposta nel solo caso di condanna per le contravvenzioni richiamate dall'art. 28, comma 2, l. n. 157/1992, con esclusione di ogni altra ipotesi, sicchè è illegittima la confisca di un fucile a seguito di condanna per il reato di cui all'art. 30, lett. h), trattandosi di ipotesi non richiamata dal predetto art. 28 (Cass. III, n. 34944/2015).

Detta confisca non può essere disposta in caso di estinzione delle medesime contravvenzioni per oblazione (Cass. III, n. 33011/2018).

In materia di caccia con il mezzo vietato del richiamo elettroacustico (ex artt. 21, lett. r, e 30, lett. m, della l. n. 157/1992), la giurisprudenza ritiene che la estinzione del reato per intervenuta prescrizione non esclude la confisca dei congegni, in quanto il giudizio di pericolosità è contenuto nella stessa norma penale incriminatrice che ne vieta in modo assoluto l'uso e la detenzione (Cass. III, n. 10236/2013).

Circolazione stradale

La vicenda della c.d. confisca stradale è emblematica delle incertezze e delle ambiguità che da sempre caratterizzano l'istituto della confisca.

Inizialmente, stante l'espresso richiamo contenuto nell'art. 186, comma 2, lett. c) d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, all'art. 240, comma 2 («Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti...è sempre ordinata la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell'art. 240 secondo comma, del codice penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato»), veniva considerata una misura di sicurezza patrimoniale, e in quanto tale veniva applicata anche ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore dell'art. 4 l. n. 125/2008, che l'aveva introdotta.

Le Sezioni Unite, investite una prima volta della questione relativa alla applicabilità retroattiva della confisca in oggetto, hanno affermato che si tratta di una sanzione penale accessoria, e non di una misura di sicurezza, che pertanto non poteva essere retroattivamente applicata (Cass. S.U. , n. 23428/2010).

Successivamente la questione è stata portata all'attenzione della Corte Costituzionale, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 186, comma 2, lett. c) limitatamente alle parole «ai sensi dell'art. 240 secondo comma, del codice penale», sul rilievo che in realtà la confisca in esame ha natura essenzialmente sanzionatoria e non di misura di sicurezza in senso proprio, potendo essere disposta anche quando il veicolo è incidentato e temporaneamente inutilizzabile, ed essendo inoltre inidonea ad impedire l'impiego di altri mezzi da parte dell'imputato (Corte cost. n. 196/2010).

In materia è poi intervenuta la l. 29 luglio 2010 n. 120, che ha modificato ulteriormente l'art. 186 d.lgs. n. 285/1992, eliminando dal testo il richiamo all'art. 240; l'art. 44 l. n. 120/2010, a sua volta, ha inserito nel codice della strada l'art. 224-terd.lgs. n. 285/1992, cui il nuovo art. 186, comma 2, lett. c), fa rinvio, e che definisce espressamente la misura in parola come sanzione amministrativa accessoria.

Alla confisca stradale così definita e regolata non è quindi più applicabile la disciplina delle misure di sicurezza patrimoniali, bensì quella prevista per gli illeciti amministrativi dalla l. 24 novembre 1981, n. 689, che all'art. 1 prevede la irretroattività delle sanzioni amministrative (Zanalda, 2013).

Tale sanzione amministrativa accessoria deve essere obbligatoriamente applicata con la sentenza di condanna o di patteggiamento (svolgendo il prefetto un ruolo meramente esecutivo della statuizione adottata dal giudice penale), e può essere disposta direttamente dalla Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 620 lett. l), c.p.p., qualora non vi abbia provveduto il giudice di merito (Cass. IV, n. 17186/2017).

In caso di sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità, ai sensi dell'art. 186, comma 9-bis, d.lgs. n. 285/1992, il giudice è tenuto a quantificare la sospensione della patente di guida nei limiti edittali e a disporre - ove prevista - la confisca del veicolo e contestualmente deve ordinare la sospensione dell'efficacia di tali statuizioni fino alla valutazione dello svolgimento del lavoro di pubblica utilità, all'esito positivo del quale potrà essere dichiarata l'estinzione del reato, ridotta della metà la sanzione della sospensione e revocata la confisca (Cass. IV, n. 12262/2018).

In caso di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, il giudice, in ossequio al principio di legalità, non può disporre la sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, in quanto prevista dall'art. 186, comma 2, lett. c), c. strada nei soli casi di sentenza di condanna o di patteggiamento (Cass. IV, n. 7526/2019).

Sulla base dei principi generali che governano la materia, la confisca del veicolo intestato a un terzo è esclusa solo quando questi risulti del tutto estraneo al reato e in buona fede, e ciò si verifica solo quando al terzo non possa muoversi alcun addebito di negligenza da cui sia derivata la possibilità della circolazione del mezzo: così, ad es. non può ritenersi estraneo al reato il proprietario dell'auto, presente sul mezzo in qualità di passeggero, quando presenti sintomi esteriori di ebbrezza analoghi a quelli presentati dal conducente (Cass. IV, n. 34687/2010).

Contrabbando

L'art. 301 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (nel testo modificato dalla l. n. 413/1991) dispone che sono sempre soggette a confisca, a chiunque appartengano, le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di contrabbando.

In deroga alla previsione generale dell'art. 240, è obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne siano state l'oggetto ovvero il prodotto o il profitto, anche nel caso in cui l'imputato sia stato prosciolto o assolto per cause che non incidono sulla materialità del fatto: sicché la misura di sicurezza patrimoniale deve essere applicata anche nei casi di proscioglimento dell'imputato per ragioni soggettive. (Cass. II, n. 8330/2013).

La confisca deve essere disposta anche con il decreto di archiviazione e anche in caso di estinzione del reato per prescrizione (Cass. III, n. 28508/2009; Cass. III, n. 25887/2010).

Ne deriva che il giudice di appello, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, maturata prima della pronuncia della sentenza impugnata, non ha l'obbligo di revocare la confisca disposta ai sensi dell'art. 301 d.P.R. n. 43/1973, sempre che sia integralmente ribadito, in via incidentale, l'accertamento - già operato in primo grado - in ordine alla sussistenza del reato ed alla sua attribuibilità all'imputato (Cass. III, n. 34537/2017).

Con particolare riferimento al mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato, esso va confiscato anche se appartenente a terzi, allorché abbia subito modifiche strutturali per lo stivaggio fraudolento di merci (Cass. III, n. 23958/2011).

Altra ipotesi di confisca obbligatoria dei prodotti e dei mezzi utilizzati per trasportarli, ricorre in caso di sottrazione all'accertamento o al pagamento dell'accisa sui prodotti energetici: l'art. 44 del d.lgs. n. 504/1995 prevede che tali beni sono soggetti a confisca secondo le norme vigenti in materia doganale, con conseguente applicabilità dell'art. 301 d.P.R. n. 43/1973, come sostituito dall'art. 11, comma 19, della l. n. 413/1991 (Cass. III, n. 16785/2013).

In particolare, è stato precisato che se il mezzo utilizzato per il trasporto della merce appartiene a persona estranea al reato, è esclusa solo se tale soggetto fornisce la prova non semplicemente della sua buona fede, ma, specificamente, di non aver potuto prevedere, per cause indipendenti dalla sua volontà, l'illecito impiego, anche occasionale, del veicolo da parte di terzi e di non essere incorso in un difetto di vigilanza. In altre parole, l’onere probatorio non può limitarsi alla mera deduzione di fatti che, al più, potrebbero essere sufficienti a provare l’estraneità del soggetto al reato o la sua buona fede, ma deve spingersi alla dimostrazione di aver inutilmente assolto anche all'obbligo di prevedere e di vigilare imposto dalla legge, o di non averlo potuto fare per esservi stato impedito da cause di forza maggiore e comunque indipendenti dalla propria volontà (Cass. III, n. 40524/2015).

In applicazione di un principio già affermato, in materia di confisca stradale, la giurisprudenza ha ritenuto che in presenza di reato commesso dal conducente che non sia proprietario dell'auto, non può essere disposta la confisca della stessa qualora il proprietario, che ne ha concesso il godimento sulla base di un contratto di leasing, risulti estraneo al reato stesso (Cass. III, n. 35473/2012).

È invece sempre obbligatoria la confisca del veicolo di proprietà dell'indagato, senza che sia necessario verificare l'avvenuta esecuzione sul mezzo di modifiche strutturali e stabili per il trasporto occulto di merci (Cass. III, 10439/2012).

Diritto d'autore

La confisca degli strumenti e del materiale servito a commettere i reati di cui artt. 171-bis, 171-ter e 171-quater l. n. 633/1941, nonché delle videocassette e degli altri supporti audiovisivi o fonografici deve essere obbligatoriamente disposta solo in casa di condanna, e di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. L'avverbio «sempre» non sta a significare che la confisca debba essere disposta in ogni caso anche a prescindere dalla condanna, ma dispone che la misura di sicurezza in caso di condanna, anche a pena patteggiata, non è facoltativa, ma deve sempre essere disposta (Cass. III, n. 35142/2009).

Pertanto è nulla la decisione del giudice di merito che abbia disposto la confisca del materiale abusivamente duplicato, pur avendo pronunciato sentenza di prescrizione (Cass. III, n. 52434/2017).

Per espressa disposizione di legge, la confisca si applica anche se i beni appartengono ad un soggetto giuridico diverso, nel cui interesse abbia agito uno dei partecipanti al reato (art. 171-sexies, comma 3).

Nella materia vi è stato l'intervento della Corte di Giustizia delle Comunità europee, la quale ha ritenuto che la previsione dell'apposizione di un contrassegno costituisca una regola tecnica, e ha stabilito che la normativa sul contrassegno in questione (introdotta con d.P.C.M. 11 luglio 2001, n. 338, modificato con d.P.C.M. 25 ottobre 2002, n. 296), essendo entrata in vigore dopo la direttiva del Consiglio del 28 marzo 1983 n. 1983/189/CE, modificata con la direttiva 1998/34/CE (la quale prevedeva una procedura d'informazione alla Commissione Europea nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche), doveva essere preceduta dalla procedura d'informazione disciplinata dalla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 (Direttiva n 1998/34/CE). L'omessa comunicazione alla Commissione di tale procedura, rendeva pertanto la regolamentazione relativa al contrassegno inopponibile ai privati (Cgue III, 8 novembre 2007, procedimento C-20/05, Schwibbert).

Il nuovo regolamento è stato adottato con d.P.C.M. 23 febbraio 2009, n. 31, ed è stato comunicato alla Commissione Europea, sicché si è ritenuto che, per le condotte antecedenti al 21 aprile 2009 — data di entrata in vigore del predetto regolamento — l'inopponibilità nei confronti dei privati dell'obbligo di apposizione del predetto contrassegno, quale effetto dalla mancata comunicazione alla Commissione dell'Unione Europea di tale «regola tecnica», comporti l'assoluzione del soggetto agente con la formula «il fatto non sussiste» (Cass. III, n. 19442/2013).

Quanto alla confisca, a seguito della comunicazione della “regola tecnica” alla Commissione Europea, la giurisprudenza della S.C. ha affermato che le norme considerate inopponibili ai privati sono divenute applicabili, hanno cioè ripreso la loro efficacia e rilevanza penale. Da ciò consegue, secondo l'orientamento ormai consolidato di questa Corte, che la confisca pronunciata dopo la comunicazione del regolamento sul contrassegno è legittima anche con riferimento alle condotte poste in essere prima della comunicazione. Invero in forza del rinvio all'art. 200 contenuto nell'art. 236, alla confisca si applicano le disposizioni vigenti al momento della sua applicazione (Cass. III, n. 23422/2011).

Peraltro, la declaratoria di estinzione del reato non impedisce la confisca, essendo questa obbligatoria, trattandosi di prodotti che non possono essere detenuti e posti in commercio se illecitamente duplicati o privi del contrassegno. Condizione necessaria e sufficiente, secondo i principi generali, è che resti accertata la realizzazione di uno dei reati di cui agli artt. 171-bis, 171-ter e 171-quater della l. n. 633/1941.

Edilizia ed urbanistica

L'art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 prevede che, in caso di abusiva lottizzazione, deve essere disposta la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusive ivi costruite.

Secondo la giurisprudenza, la confisca urbanistica è un provvedimento del giudice penale a carattere sanzionatorio, da cui consegue un effetto ablatorio del tutto analogo a quello che l'Amministrazione comunale è chiamata ad emettere ex art. 30, comma 8, d.P.R. n. 380/2001.

Il giudice agisce in via suppletiva rispetto alla Pubblica Amministrazione, perché investito della cognizione penale sull'accertamento della fattispecie di reato di lottizzazione abusiva, e nell'applicare la confisca, anticipa l'acquisizione dell'area al patrimonio del Comune, acquisizione che comunque l'Amministrazione comunale deve disporre ai sensi dell'art. 30, comma 8. Trattandosi di attività suppletiva, essa è giustificata nei limiti in cui il giudice è investito della cognizione della fattispecie della lottizzazione abusiva come reato (Cass. III, n. 5857/2010).

La materia può considerarsi uno dei punti nevralgici del dibattito che da sempre si agita intorno alla confisca e alla sua vera natura, di sanzione amministrativa o penale, ovvero di misura di sicurezza.

La Corte Europea dei diritti dell'uomo si è occupata per ben due volte del tema, sempre affermando il carattere afflittivo e la natura di sanzione penale della confisca, aldilà dei termini utilizzati nell'ordinamento interno per definirla.

Nel primo caso si trattava della confisca di una struttura a suo tempo edificata in contrasto con la normativa urbanistica vigente, nonostante che il giudizio si fosse concluso con l'assoluzione degli imputati per mancanza di dolo: la Corte ha rilevato che una corretta interpretazione dell'art. 7 CEDU, che esprime il principio di legalità, esige, per punire, un legame di natura intellettuale (coscienza e volontà) che permetta di rilevare un elemento di responsabilità nella condotta dell'autore materiale del reato, sicché l'irrogazione di una «pena» senza che sia stata stabilita l'esistenza di dolo o colpa dei destinatari di essa, costituisce infrazione del citato art. 7. Nel caso di specie, le condizioni di conoscibilità, prevedibilità e chiarezza della legge non erano state soddisfatte, stante l'asserita oscurità della legge regionale e le conseguenti difficoltà di coordinamento con quella nazionale, nonché la giurisprudenza contrastante in materia. Di conseguenza, la misura della confisca ai danni dei ricorrenti doveva considerarsi arbitraria, priva di base legale, e in violazione dell'art. 7 CEDU (Corte Edu II, 20 gennaio 2009, Sud Fondi s.r.l. ed altri c. Italia).

Nel secondo caso si procedeva per lottizzazione abusiva e l'iter processuale, segnato da alterne vicende (diverse sentenze di condanna e di assoluzione a seguito di annullamento con rinvio da parte della S.C.), si era concluso con una sentenza di proscioglimento dell'imputato per prescrizione, con confisca dei terreni e delle opere ivi edificate. I giudici europei hanno affermato che una confisca senza condanna non solo contrasta con il principio di diritto interno secondo cui non si può punire un imputato in mancanza di una condanna (artt. 25 e 27 Cost.), e, quando il reato è prescritto, non si può comminare una pena; ma anche con l'art. 7 della Convenzione, secondo cui non può esservi pena senza colpa (Corte Edu II, 29 ottobre 2013,Varvara c. Italia).

Le sentenze della Corte Edu, in particolare quella nel caso Varvara c. Italia, hanno suscitato un acceso dibattito interno, con posizioni nettamente contrapposte nell'ambito della giurisprudenza di legittimità.

Vi sono state pronunce di adesione incondizionata, secondo cui l'estinzione del reato per prescrizione preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prodotto o il profitto, a prescindere dalla sua connotazione come obbligatoria o facoltativa, per la necessità di interpretare tassativamente il concetto di condanna quale presupposto dell'ablazione, così come indicato dalla Corte Edu nel caso Varvara c. Italia (Cass. sez. I, n. 7860/2015; Cass. sez. II, n. 13017/2015); e pronunce di critica severa, come quella espressa nell'ordinanza con cui è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, come interpretato dalla sentenza della Corte Edu succitata, per violazione degli artt. 2, 9, 31, 41, 42 e 117 Cost., laddove esclude l'applicabilità della confisca in caso di prescrizione, nonostante la responsabilità penale dell'imputato sia stata accertata in tutti i suoi elementi.

Si è infatti osservato che l'interpretazione dell'art. 44, comma 2, d.P.R. 380/2001 offerta dalla Corte Edu, portata alle sue estreme conseguenze, finisce per far prevalere il diritto di proprietà su altri diritti e valori anch'essi costituzionalmente garantiti come il paesaggio, l'ambiente, la vita e la salute, rispetto ai quali dovrebbe invece soccombere, posto che nel nostro ordinamento il diritto di proprietà non costituisce un valore assoluto, un diritto fondamentale inviolabile, ma un diritto che esiste secondo la previsione della legge la quale, tenuto conto del suo obbligo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, potrebbe anche comprimerla, riducendola ad un nucleo essenziale (Cass. III, n. 20636/2014).

La Corte Costituzionale , a sua volta investita della questione di legittimità costituzionale dell'art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), impugnato, in riferimento agli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117, comma 1, Cost., nella parte in cui vieta di applicare la confisca urbanistica nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato, anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi, ha dichiarato  inammissibile il ricorso,  osservando che il vero problema è stabilire se la Corte Edu, «quando ragiona espressamente in termini di "condanna"», abbia a mente la forma del pronunciamento del giudice, o piuttosto una accezione di condanna in senso sostanziale, che soddisfi quell'accertamento incidentale della colpevolezza e della responsabilità imposto dal principio nullum crimen sine culpa (Corte cost. n. 49/2015). Per i giudici costituzionali la seconda soluzione è senz'altro preferibile, sicché è erroneo il convincimento, formulato come punto di partenza dei dubbi di costituzionalità, che la sentenza Varvara sia interpretabile unicamente nel senso che la confisca urbanistica possa essere disposta solo con una sentenza di condanna per il reato di lottizzazione abusiva.

La decisione della Corte costituzionale segna un punto di compromesso tra tesi estreme: da un lato non è più sufficiente il solo fatto oggettivo del carattere abusivo dell'opera per disporre la confisca; dall'altro, essa non è astrattamente preclusa in caso di estinzione del reato per prescrizione, purché sia adeguatamente motivato il profilo relativo alla responsabilità personale di chi subisce la misura ablativa, sia esso l'autore del fatto ovvero il terzo di malafede acquirente del bene.

Il 28 giugno 2018 la Grande Camera della Corte Edu  si è pronunciata sul tema, a distanza di quasi tre anni dall'udienza pubblica del 2 settembre 2015, in cui erano stati trattati altri due casi italiani di confisca urbanistica disposta nonostante il reato di lottizzazione abusiva si fosse estinto per prescrizione (G.I.E.M. S.r.l. ed altri c. Italia: ricorsi nn. 1828/06, 34163/07 e 19029/11).

I Giudici europei hanno sostanzialmente condiviso i contenuti della sentenza della Corte cost. n. 49/2015, escludendo che violi l'art. 7 della convenzione lo Stato il quale, accertata la colpevolezza di un soggetto all'esito del giudizio, dichiari estinto il reato per prescrizione, ma disponga ugualmente la confisca.

La Grande Camera ha affermato che, laddove l'autorità giudiziaria abbia accertato la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del reato, tuttavia pervenendo ad una decisione di proscioglimento per decorso del termine di prescrizione, ben può siffatta decisione essere considerata in sostanza equivalente ad una condanna ai sensi dell'art. 7 della convenzione, che non subirebbe in tal caso alcuna violazione.

Ciò che conta – affermano i giudici europei – è che la pronuncia, pur non avendo le caratteristiche formali di una condanna, ne presenti i requisiti sostanziali, e che siano rispettate tutte le garanzie derivanti dall'art. 7 Cedu, così come interpretato dalla Corte Edu.

La regola generale è che l'applicazione di una pena (qual è la confisca urbanistica) esige la sussistenza di un nesso di natura psicologica attraverso il quale sia possibile riscontrare un elemento di responsabilità nella condotta dell'autore materiale del reato.

Tuttavia gli Stati possono prevedere forme di responsabilità oggettiva fondate su presunzioni di colpevolezza; tali presunzioni devono però ammettere prova contraria, e consentire al soggetto agente di esercitare il proprio diritto di difesa. Ne consegue che la confisca urbanistica italiana è compatibile con l'art. 7 della convenzione, e può essere disposta anche in assenza di una pronuncia formale di condanna, purché sia stata comunque accertata dal giudice la sussistenza degli estremi oggettivi e soggettivi del reato di lottizzazione abusiva.

Si tratta di principi ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità, che anche recentemente ha ribadito che l'accertamento della responsabilità penale dell'indagato, in presenza del quale è consentita la confisca urbanistica per il reato di lottizzazione abusiva, anche nelle ipotesi di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, deve essere fondato su elementi evincibili dagli atti attraverso un'analisi giurisdizionale idonea ad accertare l'effettiva sussistenza del reato in tutti i suoi elementi, oggettivi e soggettivi, nel rispetto delle garanzie processuali che consentono all'imputato di interloquire sul materiale di causa al fine di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa (Cass. III, n. 14005/2019).

Ciò tuttavia comporta che l'estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione, maturata in data antecedente all'esercizio dell'azione penale, preclude al giudice l'accertamento, a fini di confisca, del reato nei suoi estremi oggettivi e soggettivi: laddove il reato sia prescritto, non può infatti esercitarsi l'azione penale, ed è compito dell'autorità amministrativa adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dall'art. 30, commi 7 e 8, d.P.R. n. 380/2001 (nello stesso senso: Cass. III, n. 30933/2009). Nella fattispecie esaminata dalla Corte, era accaduto che il P.M. - a seguito della richiesta di rinvio a giudizio anche per il reato di cui all'art. 44, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 - nel corso dell'udienza preliminare aveva modificato l'imputazione in quella di lottizzazione abusiva, poi dichiarata prescritta dal giudice dell'udienza preliminare, che aveva comunque disposto la confisca delle opere realizzate e delle pertinenti aree (Cass. III, n. 50428/2019).

Sempre in tema, la S.C. ha affermato che il giudice del dibattimento non è tenuto all'immediata declaratoria della causa di estinzione del reato per intervenuta prescrizione nel corso del giudizio ai sensi dell'art. 129 c.p.p., dovendo proseguire l'istruttoria per accertare il reato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi al fine di disporre la confisca urbanistica del bene sottoposto a sequestro (Cass. III, n. 22034/2019).

La materia è comunque in continua evoluzione.

Recentemente, infatti, la terza sezione della S.C. ha rimesso alle S.U. la seguente questione, ovvero se, in caso di declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, sia consentito l'annullamento con rinvio limitatamente alla statuizione sulla confisca ai fini della valutazione da parte del giudice di rinvio della proporzionalità della misura, secondo il principio indicato dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'uomo 28 giugno 2018, G.I.E.M. srl e altri c. Italia. (Cass. III, n. 40380/2019).

Le S.U. hanno affermato che - qualora nel giudizio di legittimità, intervenga la dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato di lottizzazione abusiva (art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001) - è consentito alla Corte di cassazione l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata di condanna limitatamente alla statuizione sulla confisca ai fini della valutazione, da parte del giudice di rinvio, della proporzionalità della misura, secondo il principio indicato dalla sentenza emessa dalla Corte EDU in data 28 giugno 2018 nel caso G.I.E.M. s.r.l. ed altri contro Italia, fermo restando che, ove la prescrizione sia maturata nel corso del giudizio di primo grado, il disposto dell'art. 129, comma 1, c.p.p. non consente la prosecuzione dello stesso ai fini di disporre la confisca (Cass. S.U. n. 13539/2020).

I giudici hanno precisato che l'impossibilità, in sede penale, di operare la confisca perché non sia stato possibile accertare il fatto, non impedisce all'amministrazione di adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dall'art. 30 d.P.R. n. 380/2001, sicchè, ai fini del provvedimento di acquisizione in via amministrativa del terreno al patrimonio disponibile del Comune, è irrilevante che possa venire a mancare una pronuncia di confisca in sede penale. Per contro,  il giudice ha un obbligo di pronunciare con immediatezza, nel momento di sua formazione ed indipendentemente da quello che sia “lo stato ed il grado del processo”, sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. laddove ne ricorrano i presupposti, come nel caso di estinzione del reato per prescrizione. Pertanto, la confisca urbanistica potrà essere disposta dal giudice di primo grado solo ove – anteriormente al momento di maturazione della prescrizione - sia stato comunque accertato, nel contraditorio delle parti, il fatto di lottizzazione nelle sue componenti oggettive e soggettive; ma il giudizio non potrà, stante il disposto dell'art. 129 comma 1, c.p.p., proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento (S.U. cit.).

In definitiva, resta affidato al giudice di primo grado valutare se, al momento della maturazione della prescrizione, il fatto di lottizzazione abusiva sia già emerso con certezza sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati. Ove ciò non sia avvenuto, il giudice non potrà disporre la confisca urbanistica con la sentenza di proscioglimento per prescrizione.

Si è così affermato che la confisca può essere disposta, ancorchè il reato di lottizzazione abusiva sia estinto per prescrizione, laddove lo svolgimento dell'attività istruttoria, pur se necessitato dall'esigenza di accertare il maturare della prescrizione stessa, abbia comunque determinato un "pieno accertamento del fatto", sotto il profilo oggettivo e soggettivo (Cass. III, n. 5816/2022).

Il ricorrente che si dolga della confisca urbanistica adottata dal giudice di primo grado nonostante l'intervenuta prescrizione, dovrà allegare che l'accertamento del reato lottizzatorio (trattavasi di processo cumulativo), sia proseguito dopo la maturazione del termine di prescrizione del reato indicando l'attività istruttoria compiuta in epoca successiva alla prescrizione del reato stesso, e ciò per consentire alla Corte di legittimità di valutare l'osservanza del principio di diritto summenzionato, non potendo il giudice di legittimità operare una valutazione nel merito dell'accertamento compiuto (Cass. III, n. 15310/2021, in fattispecie relativa a confisca urbanistica disposta dal giudice di primo grado nel processo cumulativo definito con l'assoluzione degli imputati per il connesso reato di abuso di ufficio).

Diverso è il caso di declaratoria, all'esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione: in tal caso  il giudice di appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell'art. 578 – bis c.p.p.,  a decidere sull'impugnazione agli effetti della confisca di cui all'art. 44 d.P.R. n. 380/2001 (S.U. cit.).

Deve a questo punto sottolinearsi il contrasto di posizioni esistente in seno alla Corte di cassazione relativamente alla confisca obbligatoria del prezzo del reato e alla confisca urbanistica, in caso di estinzione del reato per prescrizione: se per procedere alla prima si richiede quanto meno una pronuncia di condanna in primo grado (Cass. S.U., n. 31617/2015), per procedere alla seconda sembra invece sufficiente che  il giudice – anteriormente al momento di maturazione della prescrizione – abbia accertato, nel contraditorio delle parti, il fatto di lottizzazione nelle sue componenti oggettive e soggettive (Cass. S.U., n. 13539/2020).

La c.d. sanatoria amministrativa, non estingue il reato di lottizzazione abusiva, ma rende impossibile la confisca dell'area (Cass. III, n. 4373/2013); se la sanatoria interviene a confisca già disposta, non ne comporta automaticamente la caducazione, poiché il giudice dell'esecuzione ha il dovere di controllare la legittimità del provvedimento amministrativo, con particolare riferimento ai requisiti per il rilascio del titolo abilitativo (Cass. III, n. 12350/2014).

Quanto alla posizione del terzo acquirente del bene oggetto di lottizzazione abusiva, valgono i principi generali di cui all'art. 42 comma 4 c.p.: egli non può considerarsi, solo per tale sua qualità, terzo estraneo, ma dovrà dimostrare di avere diligentemente assolto a tutti i doveri di informazione e conoscenza che erano da lui esigibili nel caso concreto, senza rendersi conto di partecipare ad un'operazione di abusiva lottizzazione. Quando, invece, l'acquirente sia consapevole dell'abusività dell'intervento, o avrebbe potuto esserlo usando la normale diligenza, la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore, sì che le rispettive azioni, apparentemente distinte, si fondono e danno vita ad una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al risultato lottizzatorio (Cass. III, n. 15987/2013).

Pertanto il terzo non andrà esente da colpa per il solo fatto di essersi rivolto per il rogito della compravendita ad un notaio, sia perché ciò non esclude che al pubblico ufficiale vengano rese dichiarazioni e documentazioni mendaci per non far emergere l'intento lottizzatorio, sia perché il pubblico ufficiale stesso potrebbe avere fornito un contributo, doloso o colposo, alla realizzazione dell'evento illecito (Cass. III, n. 51710/2013).

In altri termini, la confisca di un immobile abusivamente lottizzato può essere disposta anche nei confronti dei terzi acquirenti, qualora nei confronti degli stessi siano riscontrabili quantomeno profili di colpa nell'attività precontrattuale e contrattuale svolta, per non aver assunto le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento con gli strumenti urbanistici (Cass. III, n. 51429/2016).

La giurisprudenza ha ritenuto la buonafede del terzo acquirente, e quindi la carenza dell'elemento soggettivo, in presenza di prassi comunali favorevoli al rilascio di concessioni pur in assenza del piano di lotti, o nel caso di prolungati comportamenti omissivi da parte della Amministrazione comunale circa la vigilanza dell'assetto del territorio e l'applicazione delle sanzioni correlate agli abusi (Cass. III, n. 45833/2012).

I medesimi principi valgono in fase di adozione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite: se il vincolo viene disposto nei confronti di terzi estranei alla commissione del reato, il giudice dovrà valutare, sia pure nei limiti della sommaria delibazione che gli compete in questa fase, se nel comportamento di tali soggetti siano ravvisabili ictu oculi profili di colpa, e dunque se sia nei loro confronti applicabile la misura cautelare (Cass. III, n. 16694/2014).

Tale tipo di valutazione compete anche al giudice dell'esecuzione, il quale dovrà accertare se vi siano profili di colpa in capo al terzo acquirente, nei confronti del quale può essere applicata la confisca, ove abbia omesso di assumere le necessarie informazioni sulla sussistenza del titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento con gli strumenti urbanistici (Cass. III, n. 51387/2013).

Immigrazione clandestina

L'art. 12 comma 4 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, in materia di immigrazione clandestina, prevede la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto utilizzato.

La giurisprudenza ha affermato che in caso di sequestro di veicolo adoperato per favorire l'ingresso clandestino in Italia di soggetti provenienti da paesi extracomunitari, il terzo che invochi la restituzione della cosa, qualificandosi come proprietario o titolare di altro diritto reale, deve fornire la prova dei fatti costitutivi della sua pretesa e, in particolare, oltre alla titolarità del diritto vantato, anche l'estraneità al reato, la mancata percezione di qualsiasi profitto derivante dal fatto penalmente sanzionato e la buona fede, intesa come assenza di condizioni in grado di configurare a suo carico un qualsivoglia addebito di negligenza da cui sia derivata la possibilità dell'uso illecito del bene (Cass. I, n. 68/2014).

La confisca del mezzo utilizzato per il trasporto di migranti clandestini è legittima anche quando disposta con il decreto di archiviazione, che sia pronunciato per cause che non attengono alla sussistenza del fatto e non interrompono il rapporto tra la cosa e il reato (Cass. I, n. 48673/2015).

Il giudice dell'esecuzione non può procedere alla confisca delle somme di denaro ritenute profitto del delitto previsto dall'art. 12 del d.lgs. n. 286/1998, potendo egli disporre solo la confisca obbligatoria per legge, e tale è solo quella del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato.

Responsabilità da reato degli enti collettivi

L'art. 19 d.lgs. n. 231/2001 stabilisce che nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede; il secondo comma prevede che quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato.

La giurisprudenza ha osservato che tale forma di confisca è uno strumento innovativo, eccentrico rispetto al perimetro della tradizionale misura di sicurezza patrimoniale prevista dal codice penale: ha natura spiccatamente sanzionatoria, è stata espressamente inserita dal legislatore nel novero delle sanzioni principali delineate nell'art. 9, del decreto citato, e, in quanto sanzione, presuppone inderogabilmente la pronuncia della sentenza di condanna.

Essa ha finalità specialpreventive e generalpreventive, trattandosi di provvedimento teso ad azzerare i vantaggi economici derivanti dal reato, ed, oltre alla tradizionale funzione special-preventiva, laddove tende a scongiurare che la disponibilità dei proventi dell'illecito possa mantenere viva l'attrattiva dell'illecito e costituire occasione per commettere nuove condotte criminose, l'istituto viene ad assolvere anche una funzione general-preventiva, in quanto il rischio di perdere il vantaggio economico conseguito dal reato, che spesso costituisce lo scopo principale dell'agire dell'ente, rappresenta, in una prospettiva di analisi economica del diritto, una forte controspinta all'illecito, incidendo proprio sulla propensione della persona giuridica ad orientare le proprie scelte sulla base di un'analisi costi/benefici (Cass. VI, n. 53430/2014).

Da ultimo, ha anche una finalità riequilibratrice, poiché l'ablazione del profitto tende a ricomporre lo status quo economico antecedente alla consumazione del reato (Cass. VI, n. 53430/2014).

La dottrina è concorde, osservando che la confisca in oggetto è una vera e propria sanzione, in quanto « non opera in ragione di un paradigma di pericolosità intrinseca del relativo oggetto o in funzione di una pericolosità per così dire funzionale, collegata alla relativa disponibilità in capo ad un determinato soggetto ed in funzione della origine o natura dei beni, ma è volta ad eliminare dal circuito economico una determinata “attività” (intesa come utile suscettibile di valutazione monetaria) che proviene da un reato commesso in favore dello stesso ente. È quest'ultimo, dunque, a rispondere “soggettivamente” di quella » (Macchia).

L'art. 19, comma 1, d.lgs. n. 231/2001 prevede la forma di confisca principale, mentre l'art. 19 comma 2 prevede una forma di confisca sussidiaria: entrambe sono obbligatorie, ma la seconda può essere applicata a due condizioni, e cioè che sia impossibile procedere alla confisca diretta del prezzo o del profitto, e che sussista equivalenza di valore tra i beni confiscati e il valore del prezzo o profitto.

La giurisprudenza si è particolarmente diffusa sulla nozione di profitto confiscabile ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001, e sul punto si sono registrati plurimi interventi delle stesse Sezioni Unite.

Inizialmente è stata accolta una nozione ristretta di profitto confiscabile, limitata al complesso dei vantaggi economici tratti dall'illecito e a questo strettamente pertinenti, quale sua conseguenza economica immediata, richiedendosi la diretta derivazione eziologica del profitto dalla condotta penalmente rilevante commessa nell'interesse o a vantaggio dell'ente collettivo (Cass. S.U., n. 26654/2008).

In tale prospettiva si escludeva dalla nozione di profitto qualsiasi estensione indiscriminata o dilatazione indefinita ad ogni e qualsiasi vantaggio patrimoniale, che possa comunque scaturire, pur in difetto di un nesso diretto di causalità, dall'illecito.

Nel solco dell'orientamento sopra indicato, si sono poste altre pronunce, secondo cui il profitto assoggettabile a sequestro, e poi a confisca, ai sensi degli artt. 19 e 53 d.lgs. n. 231/2001, deve consistere in uno spostamento reale di risorse economiche, in una visibile modificazione positiva del patrimonio dell'ente, quale diretta conseguenza della commissione del reato, che può anche consistere in un risparmio di spesa, sotto forma di ricavo introitato e non decurtato dei costi che si sarebbero dovuti sostenere. Di conseguenza, non costituisce profitto un qualsivoglia vantaggio futuro, immateriale, o non ancora materializzato in termini strettamente economico-patrimoniali (Cass., VI, n. 3635/2013).

In tale contesto è poi intervenuta Cass. S.U., n. 10561/2014, che accoglie una nozione di profitto funzionale alla confisca ben più ampia, che ricomprende «non solo i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell'attività criminosa...la trasformazione che il denaro, profitto del reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è quindi di ostacolo al sequestro preventivo, il quale può avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito».

In altri termini, possono essere oggetto di confisca (e, nella fase delle indagini, di sequestro preventivo) non solo i beni che l'autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto immediato e diretto dell'illecito, ma ogni altro vantaggio o utilità che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata dalla sua attività criminosa: in applicazione di tali principi, la S.C. ha espressamente qualificato come risparmio di spesa il profitto, corrispondente all'imposta evasa, derivante dal reato tributario.

Tale nuovo orientamento è stato successivamente confermato: nella sentenza relativa al disastro verificatosi presso lo stabilimento della ThyssenKrupp acciai speciali Terni s.p.a., le S.U. hanno ribadito che il profitto del reato oggetto della confisca diretta di cui all'art. 19 d.lgs. cit. si identifica non soltanto con i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma anche con ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell'attività criminosa (Cass. S.U., n. 38343/2014).

Nella concreta fattispecie la S.C. ha confermato la confisca delle somme in sequestro, osservando che il profitto andava identificato nel risparmio di spesa derivante alla società dal mancato esborso del denaro che avrebbe dovuto essere speso nel corso del tempo, se si fossero osservate le prescrizioni in tema di sicurezza sul lavoro.

Da ultimo si è però registrata qualche voce contraria: ad es. Cass. VI, n. 33226/2015  è tornata ad affermare che in tema di responsabilità da reato degli enti, il profitto del reato si identifica solo con il vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale dal reato presupposto e non anche con i vantaggi indiretti dell'illecito.

Così anche Cass. III, n. 51085/2017, secondo cui in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, nell'ipotesi di società soggetta ad amministrazione straordinaria temporanea prefettizia di cui all'art. 32 d.l. n. 90/2014, convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 114, il provvedimento ablativo può avere ad oggetto il denaro pervenuto alla società durante la gestione straordinaria ed accantonato nell'apposito fondo costituito, a condizione che emerga la diretta derivazione delle somme dagli illeciti che si assumono commessi in precedenza dagli organi della amministrazione straordinaria.

Quanto alla forma, la giurisprudenza ha precisato che il pubblico ministero è legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per "equivalente", invece che in quella "diretta", solo all'esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell'ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto diretto del reato Cass. III, n. 41073/2015).

Nel caso, poi, di fusione di società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca disposto nei confronti della società incorporata, può essere esteso alla società incorporante, purché si abbia riguardo alla tutela dei terzi di buona fede, estranei al reato. A tal fine occorre verificare, sul piano oggettivo, se attraverso la fusione per incorporazione, la società incorporante abbia conseguito vantaggi o, comunque, apprezzabili utilità, e su quello soggettivo, se, all'atto della fusione, essa non fosse in condizioni di buona fede, cioè se conoscesse o fosse in condizioni di conoscere, attraverso l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, che la società incorporata si era avvantaggiata del profitto derivante dai reati per i quali sia stata disposta la misura cautelare (Cass. V, n. 4064/2015).

È altresì legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato, costituito dai rimborsi elettorali fraudolentemente percepiti, conseguito da un partito politico e successivamente trasferito a una sua articolazione regionale, subentrata integralmente nei rapporti giuridici e nelle disponibilità finanziarie della preesistente struttura nazionale (Cass. VI, n. 2186/2019).

In dottrina si ritiene che il profitto confiscabile deve comunque consistere in un'entità patrimoniale suscettibile di formare oggetto di un provvedimento di confisca, e deve quindi presentare i caratteri della concretezza ed attualità; mentre il sequestro preventivo funzionale alla confisca potrà essere disposto anche sui crediti vantati dalla persona giuridica quando questi costituiscano effettivamente il profitto del reato presupposto e siano certi, liquidi ed esigibili, deve invece escludersi che i crediti, ancorché liquidi ed esigibili, possano formare oggetto di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, trattandosi di utilità non ancora percepite e non ancora sottratte al soggetto danneggiato (A. Macchia).

Nei casi c.d. di «reato in contratto», in cui l'illecito si inserisce nella fase della negoziazione e stipula di un contratto sinallagmatico, cui l'ente abbia poi dato regolare e lecita esecuzione (si pensi ai casi di truffa in danno dello Stato o di corruzione, fonte di responsabilità per l'ente rispettivamente ex artt. 24 e 25 d.lgs. n. 231/2001), la giurisprudenza ha affermato che il profitto confiscabile ex art. 19 va determinato sottoponendo a confisca solo quei vantaggi di natura economico-patrimoniale che possano ritenersi di derivazione immediata e diretta dall'illecito, così da aver riguardo esclusivamente all'effettivo incremento del patrimonio dell'ente conseguito attraverso l'agire illegale, escludendo dal computo i proventi eventualmente conseguiti per effetto di prestazioni lecite, effettivamente svolte in favore del contraente nell'ambito del rapporto sinallagmatico, pari alla utilitas di cui si sia giovata la controparte (Cass. VI, n. 53430/2014).

Infine, la natura sanzionatoria della misura in esame, implica che possa essere disposta solo quando la data di commissione del reato presupposto sia successiva a quella della entrata in vigore della normativa che lo introduce nell'apposito catalogo, mentre è irrilevante il momento in cui il profitto sia stato, in tutto o in parte, conseguito (Cass. VI, n. 3635/2014).

Rifiuti

L'art. 256, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (attività di gestione di discarica non autorizzata) prevede che alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. per il reato di realizzazione o gestione di una discarica non autorizzata, consegue (obbligatoriamente) la confisca dell'area sulla quale è realizzata la discarica abusiva, se di proprietà dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi.

Si tratta certamente di confisca obbligatoria avente natura di sanzione, come si desume dall'inequivoco tenore della norma: costituisce per il giudice atto dovuto non suscettibile di valutazioni discrezionali, ed è pertanto irrilevante che abbia formato oggetto dell'accordo tra le parti ex art. 444 c.p.p. Presupposto per la sua applicazione sono soltanto la sentenza di condanna o quella di applicazione pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., sicché è escluso che possa essere applicata con il decreto penale di condanna (Cass. III, n. 26548/2008), o che possa essere disposta in caso declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (Cass. III, n. 37548/2013).

La giurisprudenza ha anche precisato che non è possibile disporre la confisca dell'area, sulla quale è stata realizzata la discarica, quando essa appartenga a più proprietari, e questi non siano tutti responsabili, quanto meno a titolo di concorso, del reato (Cass. III, n. 26950/2009).

Oppure, nel caso che la confisca vi sia stata, il comproprietario non responsabile ha diritto ad ottenere la restituzione dell'area, limitatamente alla quota ideale di sua spettanza (Cass. III, n. 28751/2018).

Trattandosi di confisca obbligatoria, essa deve essere disposta anche qualora i luoghi siano stati sottoposti a bonifica (Cass. III, n. 17387/2021).

E' illegittima, con riguardo alle fattispecie di cui al comma 1 dell'art. 256, d.lgs. n. 152 del 2006, la confisca dell'area, essendo essa applicabile solo al diverso reato di realizzazione di discarica abusiva (Cass. III, n. 6542/2021).

L'art. 259, comma 2, d.lgs. n. 152/2006 dispone che alla sentenza di condanna o a quella emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. per i reati relativi al traffico illecito di cui al comma 1 della stessa norma, o al trasporto illecito (di cui agli artt. 256: attività di gestione di rifiuti non autorizzata; e 258, comma 4: violazione degli obblighi di comunicazione e di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari) consegue (obbligatoriamente) la confisca del mezzo di trasporto; anche tale forma di confisca speciale, come quella relativa all'area adibita a discarica abusiva, non può essere disposta con il decreto penale di condanna.

Ciò in quanto l'art. 460 c.p.p., stabilisce che con il decreto penale di condanna la confisca può essere disposta solo nell'ipotesi di cui all'art. 240 comma 2, ossia quando si tratta del prezzo del reato o di cose la cui detenzione, fabbricazione, ecc. costituisca reato, escludendo quindi implicitamente le ipotesi in cui la confisca sia prevista come obbligatoria da altre disposizioni di legge, allorché non abbia ad oggetto le cose indicate nell'art. 240 comma 2, come per l'area adibita a discarica o per il mezzo utilizzato per il trasporto illecito di rifiuti (Cass. III, n. 3603/2009).

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca in relazione a fattispecie di reato per le quali è prevista come obbligatoria, non può essere revocato per il venire meno delle esigenze cautelari, poiché la pericolosità della res non è suscettibile di valutazioni discrezionali, ma è presunta dalla legge (Cass. III, n. 43945/2013).

In tema di terzo estraneo al reato, la S.C. ha ritenuto che una interpretazione della norma costituzionalmente orientata, attenta ad evitare disomogeneità di trattamento con casi analoghi, importa che la speciale confisca in esame deroghi ai principi generali in tema di obbligatorietà, restando disciplinata, per gli aspetti non regolamentati, dalla previsione dell'art. 240 ed, in particolare, dal comma 3. Pertanto il terzo estraneo al reato (da intendersi come persona che non ha partecipato alla commissione dello stesso o ai profitti che ne sono derivati) può evitare la confisca se prova la sua buona fede, ossia, che l'uso illecito della res gli era ignoto e non collegabile ad un suo comportamento negligente (Cass. III, n. 23818/2019).

Ne consegue che il soggetto che dia in noleggio un veicolo poi adibito dal noleggiatore a trasporto illecito di rifiuti, può invocare la propria buonafede solo ove abbia controllato l'esistenza del titolo abilitativo per l'esercizio di tale attività specificamente riferito al mezzo noleggiato (Cass. III, n. 12473/2015). 

In applicazione di tali principi, non è confiscabile il veicolo concesso in leasing all'utilizzatore dello stesso, se il concedente, proprietario del mezzo, sia estraneo al reato (Cass. I, n. 44516/2012); egli è pertanto legittimato ad impugnare il rigetto dell'istanza di dissequestro e ad ottenere la restituzione del bene qualora ne sussistano le condizioni (Cass. III, n. 1475/2012).

Deve essere invece obbligatoriamente confiscato il mezzo di trasporto, ancorché appartenente ad un terzo, quando questi sia legato al soggetto responsabile dell'illecito da un rapporto contrattuale, come nel caso di trasporto di rifiuti effettuato su commissione (Cass. III, n. 20935/2009).

E' stato altresì affermato che in tema di gestione non autorizzata di rifiuti, l'annullamento senza rinvio della sentenza di condanna nell'ipotesi di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non comporta la revoca della sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, prevista come obbligatoria dall'art. 260-ter, comma 5, d.lgs. n. 152/2006 in caso di accertamento delle violazioni di cui al comma 1 dell'art. 256 d.lvo cit., atteso che per l'adozione della misura ablatoria non è richiesta necessariamente la pronuncia di una sentenza di condanna e che l'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p. non esclude la rilevanza penale del fatto, ma ne attesta solo il profilo di particolare tenuità (Cass. III, n. 24974/2020).

È legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei soli mezzi abusivamente utilizzati per il trasporto dei rifiuti, ma non degli ulteriori strumenti di lavoro (quali pale meccaniche ed escavatori) che non abbiano la qualità di mezzi di trasporto (Cass. III, n. 16990/2012).

Sostanze stupefacenti

L'art. 85, comma 3, d.P.R. n. 309/1990 prevede che il provvedimento che definisce il procedimento penale « dispone comunque » la confisca delle sostanze: si tratta di un'ipotesi di confisca speciale obbligatoria; ai sensi dell'art. 87, comma 4, d.P.R. n. 309/1990, dette sostanze devono essere distrutte.

Bibliografia

Alessandri, voce Confisca nel diritto penale, in Dig. d. pen., III, Torino, 1989, 39; Borasi, Le confische penali, in Riv. pen. 2011, 2; Macchia, La confisca per equivalente nei confronti degli enti e dei responsabili delle persone giuridiche, in europeanrights.eu, 2014; Maugeri, La sanzione patrimoniale fra garanzie ed efficienza, le « ipotesi particolari » nella recente legislazione, in Riv. trim. dir. pen. econ. 1996; Menditto, La confisca allargata o per sproporzione di cui all'art. 12-sexies d.l. n. 152/92, conv. dalla l. n. 356/92, profili sostanziali e procedimentali (cenni), in questionegiustizia.it, 2014; Zanalda, Sulla confisca del veicolo in leasing guidato dal suo utilizzatore in stato di ebbrezza, in Giur. it. 2013.

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