Codice Penale art. 260 - Introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio.

Angelo Valerio Lanna

Introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio.

[I]. È punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque:

1) si introduce clandestinamente o con inganno in luoghi o zone di terra, di acqua o di aria, in cui è vietato l'accesso nell'interesse militare dello Stato [682];

2) è colto, in tali luoghi o zone, o in loro prossimità, in possesso ingiustificato di mezzi idonei a commettere alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 256, 257 e 258;

3) è colto in possesso ingiustificato di documenti o di qualsiasi altra cosa atta a fornire le notizie indicate nell'articolo 256.

[II]. Se alcuno dei fatti preveduti dai numeri precedenti è commesso in tempo di guerra [310], la pena è della reclusione da tre a dieci anni [1102 c. nav.].

[III]. Le disposizioni del presente articolo si applicano, altresì, agli immobili adibiti a sedi di ufficio o di reparto o a deposito di materiali dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, l'accesso ai quali sia vietato per ragioni di sicurezza pubblica (1).

(1) Comma aggiunto, in sede di conversione, dall'art. 7, d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modif. dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119.

competenza: Corte d'Assise (secondo comma); Trib. monocratico (primo comma)

arresto: obbligatorio (secondo comma); facoltativo (primo comma)

fermo: non consentito (primo comma); consentito (secondo comma)

custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 2 bis, c.p.p.)

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Delitto compreso nel Capo Primo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità internazionale dello Stato.

Per ciò che attiene all'interesse tutelato dalla norma, è stato scritto quanto segue: “questa figura di reato, denominata comunemente spionaggio indiziario, intende tutelare in maniera particolarmente rafforzata ed anticipata l'interesse dello Stato ad evitare la conoscenza di notizie concernenti la sicurezza militare dello Stato” (Fiandaca-Musco, 58). Dunque, la ratio della norma è da ricercare nell'esigenza di garantire la salvaguardia anticipata di interessi militari concernenti la sicurezza dello Stato.

La dottrina ritiene che la disposizione in esame intenda colpire la mera oggettività della condotta, senza la necessità che venga appurato un elemento ulteriore, rappresentato eventualmente dal fatto che l'agente — serbando quella determinata modalità comportamentale — intendesse effettivamente procurarsi delle notizie. Elemento, quest'ultimo, che invece varrebbe ad integrare uno dei reati ex artt. 256, 257 e 258, nella forma del tentativo (Pannain, 1124).

I soggetti

Soggetto attivo

Si tratta di un reato comune, stante l'indicazione dell'autore dello stesso con il termine chiunque. Di esso si può dunque rendere autore tanto il cittadino, quanto lo straniero.

La struttura del reato

La presente figura delittuosa è stata giustamente definita “spionaggio indiziario o presunto” (si veda Farini-Trinci, 55, laddove può anche leggersi la seguente definizione: “... si tratta di una norma di chiusura che anticipa la soglia di punibilità a fatti prodromici ed oggettivamente idonei allo spionaggio”).

La norma mira quindi ad apprestare una tutela anticipata all'interesse dello Stato, a che sia mantenuto il riserbo su notizie riguardanti — ad ampio raggio — la sicurezza militare. Vengono pertanto sanzionate condotte che solo presuntivamente possono essere considerate preparatorie di una concreta attività di spionaggio (sarebbe a dire, di acquisizione di notizie destinate a rimanere invece note solo ad una ristretta cerchia di destinatari, istituzionalmente a ciò legittimati). La norma postula però evidentemente — pena la sua palese non conformità ai principi costituzionali — il superamento del mero stadio del sospetto. Occorre cioè che si verifichi un atto che sia già concretamente idoneo a porre in pericolo il bene-interesse tutelato (si veda ancora Fiandaca-Musco, 58: “La norma punisce i comportamenti ritenuti dal legislatore indizianti una possibile attività spionistica: secondo il legislatore storico, si tratta o di atti meramente preparatori, che come tali non potrebbero essere puniti a titolo di tentativo; ovvero di atti idonei, ma privi di univocità rispetto ai delitti di cui agli artt. 256, 257 e 258 c.p. Così inteso, però, l'art. 260 configurerebbe una ipotesi di «reato di sospetto», come tale fortemente indiziata di incostituzionalità: si impone pertanto una interpretazione correttiva, che subordini la configurabilità del reato alla presenza del duplice requisito della idoneità e della univocità”).

Si è altresì scritto che: “I fatti preveduti nell'art. 260, invero, si puniscono come delitti contro la personalità dello Stato in quanto fanno sospettare (non si tratta però di un reato di mero sospetto) che siano compiuti a fini di spionaggio militare, senza che si abbia la prova dell'effettiva sussistenza di codesto fine. Sono fatti di per sé idonei allo spionaggio, ma che non risultano univocamente diretti ad esso...” (Manzini, Trattato 1950, 220).

Materialità

La figura tipica si compone in maniera alternativa. Viene infatti in primo luogo punito il fatto di chi semplicemente si introduca in determinati luoghi, purché ciò avvenga clandestinamente (ossia in maniera nascosta, occultando la propria presenza ai soggetti ordinariamente deputati alla sorveglianza), ovvero con inganno (id est: mediante una falsa rappresentazione fenomenica ed una conseguente manipolazione psichica di chi sia tenuto alla vigilanza e venga — in conseguenza appunto della condotta fraudolenta — indotto all'errore). Laddove l'introduzione non rivestisse un carattere clandestino o fraudolento, resterebbe invece integrata la sola contravvenzione ex art. 682.

Il luogo che diviene teatro dell'introduzione clandestina o fraudolenta deve non solo essere un luogo militare, bensì un sito nel quale l'accesso sia inibito proprio in ragione dell'esistenza di un interesse militare. Altro è dunque il fatto che un determinato sito — anche magari di appartenenza militare — debba restare chiuso al pubblico, come del resto può accadere per qualsivoglia altro stabile, pubblico o privato che sia (si può ad esempio pensare ad un qualunque magazzino militare, oppure deposito, o luogo interno ad una caserma); altro è invece il fatto che l'ingresso al singolo ed individuato luogo, sia stato impedito proprio con lo scopo di garantire la conservazione di un interesse di tipo militare (Manzini, Trattato 1950, 224).

Inoltre, è riconducibile all'alveo previsionale della norma il fatto di esser colto in possesso di attrezzature comunque idonee a consentire l'acquisizione indebita di determinate notizie.

Infine, è punito l'ingiustificato possesso di documenti — o comunque di qualsivoglia altro supporto cartaceo o informatico — atto a consentire l'acquisizione delle notizie indicate all'articolo 256 (notizie che, nell'interesse della sicurezza dello Stato o comunque nell'interesse politico, interno o internazionale, dello Stato, debbono rimanere segrete).

Elemento psicologico

La norma in esame è connotata — per quanto inerisce al coefficiente psichico — dal dolo generico.

La condotta tipizzata al numero due postula nell'agente la coscienza e volontà di detenere la strumentazione idonea a:

a. carpire notizie che nell'interesse della sicurezza dello Stato o comunque nell'interesse politico, interno o internazionale, dello Stato, debbano rimanere segrete (art. 256);

b. procurarsi — a scopo di spionaggio politico o militare — notizie destinate a rimanere segrete nell'interesse politico, interno o internazionale, dello Stato (art. 257);

c. procurarsi — a scopo di spionaggio politico o militare — notizie di cui l'autorità competente abbia vietato la divulgazione (art. 258).

Occorre non solo che l'ingresso sia vietato e che la proibizione all'accesso sia stata posta nell'interesse dello Stato; occorre invece anche che l'esistenza di tale divieto sia nota al soggetto agente, pena l'assenza di colpevolezza.

Consumazione e tentativo

Per ciò che concerne la previsione sub 1, il reato si consuma allorquando si verifichi l'introduzione — sia essa clandestina o fraudolenta — in alcuno dei luoghi militari; le ipotesi indicate dai numeri 2 e 3, invece, giungono a consumazione con la sorpresa in flagranza (Alpa-Garofoli, 46).

In dottrina si è altresì ritenuto che: “Il delitto si consuma nel momento e nel luogo di realizzazione del fatto. Il tentativo è ammissibile solo nella prima ipotesi, perché nelle altre due il requisito dell'«essere colto in» ne esclude la configurabilità” (Fiandaca-Musco, 59).

Casistica giurisprudenziale

Si segnalano le seguenti decisioni del Supremo Collegio:

a) per quanto attiene all'individuazione della tipologia di condotta punita, la Corte ha specificato che la previsione ex art. 260, comma 1, n. 2, c.p. (possesso ingiustificato di mezzi idonei a commettere alcuno dei delitti preveduti dagli artt. 256, 257 e 258), esige la volontà cosciente di detenere tale materiale, con il fine precipuo di utilizzarlo poi per un fine non consentito dalla legge. Il presupposto necessario del delitto ora analizzato risiede infatti nella esistenza di un insufficiente corredo probatorio, in ordine al fatto che l'agente sia stato animato da un preciso fine spionistico. Caso nel quale, invece, sarebbe configurabile il tentativo del delitto di spionaggio.

La previsione incriminatrice di cui all'art. 260, comma 1, n. 2 è quindi volta a scongiurare alcuni comportamenti che il legislatore ritiene in sé sospetti, i quali oggettivamente possano apparire idonei all'ottenimento di notizie segrete o riservate, di cui sia vietata la divulgazione. La punibilità del fatto oggettivo si fonda, evidentemente, sulla intrinseca pericolosità della condotta tipizzata, pur in assenza del fine di spionaggio (Cass. I, n. 5262/1987: nella concreta vicenda sottoposta al vaglio dei Giudici, alcuni soggetti avevano effettuato riprese televisive nella base missilistica di Comiso, pur senza essere a tanto legittimati ed essendo palesemente ben consci del divieto vigente in tal senso; la Cassazione ha qui ritenuto che il possesso degli strumenti — in tale contesto oggettivo — fosse del tutto inammissibile e fosse corredato dal necessario elemento volitivo);

b) con riferimento al tema dei rapporti della fattispecie in esame con figure delittuose di analoga struttura e collocazione sistematica (con particolare riferimento alla condotta consistente nell'introduzione clandestina in luoghi di interesse militare ed al possesso immotivato di strumentazione idonea a consentire operazioni astrattamente definibili tese allo spionaggio), si richiama (Cass. I, n. 188/1966).

c) con specifico riguardo ancora ai rapporti tra il paradigma normativo in esame ed i delitti di spionaggio, il Supremo Collegio ha altresì stabilito come la fattispecie circostanziata ex art. 260 comma 2 miri ad apprestare tutela penale rispetto a condotte che costituiscano indizi di una possibile attività spionistica. Si tratta di condotte che non sono in grado di integrare gli estremi del tentativo punibile del reato di spionaggio, in ragione del fatto che gli strumenti adoperati conservano comunque una plurima attitudine all'utilizzo, nel senso che possono essere impiegati anche per finalità non corrispondenti a quella strettamente definibile spionistica (si pensi alle attività ad ampio raggio ludiche, o turistiche, oppure allo studio, alle attività culturali o artistiche in genere). Anche in situazioni del genere, però, l'utilizzo di determinati macchinari in zone militari consentirebbe pur sempre al soggetto di venire a conoscenza — sebbene non a fini di spionaggio — di nozioni costituenti segreto militare (dunque di notizie sottoposte a tutela penale, in ragione dell'esigenza di salvaguardare interessi statali). Il possesso degli strumenti suddetti deve allora ritenersi non legittimato, perché appunto pericoloso. A meno che l'agente non risulti autorizzato dalle autorità competenti, ovvero non si acquisisca comunque la prova positiva della piena legittimità dell'uso che sia stato fatto di tali mezzi (Cass. I, n. 1821/1965);

d) in ordine alla esclusione della ricorrenza di una causa di giustificazione, nel caso del possesso, per ragioni di servizio o mestiere, della strumentazione di cui al secondo comma, si veda ancora la medesima pronuncia. A mente di tale decisione, la terminologia adoperata dal legislatore (“colto in possesso ingiustificato”) rimanda alla materiale detenzione di determinati strumenti, correlata ad una relazione di attualità e di immediatezza con i soggetti, non potendosi dubitare del fatto che una disponibilità immediata di tali mezzi — proprio in quanto pur astrattamente idonei allo spionaggio — possa porre l'agente in condizioni di servirsene anche per un uso non consentito dalla legge (quale ad esempio il fatto di fotografare un sito assoggettato a vigilanza militare, destinato al contrario a restare segreto). Ciò comporta che la detenzione di tali strumenti per motivi di ufficio o servizio non vale a scriminare la condotta, laddove l'utilizzo che in concreto ci si accinga a fare degli stessi — ricostruito su basi oggettive e non meramente presuntive — risulti contrario alla legge (ancora Cass. I, 1821/1965);Sottolineato (Alt+U)

e) per quanto riguarda l'aspetto della delimitazione dei luoghi rilevanti per l'operatività della norma, valga infine quanto segue. Nel dettato dell'art. 260 il legislatore ha distinto — per ragioni anche d'ordine sistematico e logico — i luoghi dalle zone di terra, di acqua o di aria, nelle quali in cui è inibito l'accesso nell'interesse militare dello Stato. Per delimitare ontologicamente l'accezione da attribuire al termine luoghi, occorre allora semplicemente richiamarsi alla definizione fornitane dall'art. 230 c.p.mil.p. Questa, seppur dettata «agli effetti della legge penale militare», ricopre certo una validità sotto il profilo ermeneutico, anche in relazione al disposto dell'articolo in esame. Infatti, il suddetto art. 230 c.p.mil.p. delimita la nozione di «luogo militare» a « le caserme, le navi, gli aeromobili, gli stabilimenti militari e qualunque altro luogo dove i militari si trovano, ancorché momentaneamente, per ragioni di servizio» e, dunque, a strutture fisse o mobili ben individuate (Cass. I, n. 9618/2004).

Profili processuali

Gli istituti

Il reato in esame è reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale in composizione monocratica, in relazione all'ipotesi semplice; l'ipotesi aggravata rende invece competente la Corte d'Assise; è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare.

Per esso:

a) è possibile disporre intercettazioni;

b) l'arresto in flagranza è facoltativo per quanto concerne l'ipotesi di cui al primo comma, mentre diviene obbligatorio al ricorrere dell'ipotesi circostanziata; il fermo è consentito solo in relazione all'ipotesi di cui al secondo comma;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

Bibliografia

Alpa-Garofoli, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, tomo I, Roma, 2015; Fiandaca-Musco, Diritto Penale - Parte speciale, vol. 1, Bologna, 1988; Pannain, Novissimo Digesto Italiano, diretto da Zara ed Eula, Vol. XII, Torino, 1979; Farini-Trinci, Diritto Penale - Parte Speciale, Roma, 2015.

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