Codice Penale art. 264 - Infedeltà in affari di Stato.Infedeltà in affari di Stato. [I]. Chiunque, incaricato dal Governo italiano di trattare all'estero affari di Stato [268], si rende infedele al mandato è punito, se dal fatto possa derivare nocumento all'interesse nazionale, con la reclusione non inferiore a cinque anni. competenza: Corte d'Assise arresto: obbligatorio fermo: consentito custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 2 bis, c.p.p.) altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoDelitto compreso nel Capo Primo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità internazionale dello Stato. La figura delittuosa in esame viene ordinariamente classificata dalla dottrina, sotto il profilo sistematico, tra i cd. delitti di infedeltà. Il bene giuridico tutelato è rappresentato dall'interesse dello Stato — comunità politica strutturata, che esprime la propria volontà e compie i propri atti, negoziali o autoritativi, mediante rappresentanti a ciò abilitati — al rispetto dell'obbligo giuridico di fedeltà, che vincola i soggetti chiamati a trattare all'estero affari di Stato. La predisposizione di un precetto penale ad hoc — peraltro gravemente sanzionato — è evidentemente correlata alla natura particolarmente delicata degli interessi coinvolti nella trattazione degli affari di Stato (Manzini, Trattato, IV, 256). Si ritiene altresì che la norma sia anche volta a preservare la sicurezza dello Stato, rispetto a pericoli che provengano dall'estero e che possano essere favoriti proprio dalla esecuzione — secondo modalità sleali — dell'incarico conferito dal Governo (Alpa-Garofoli, 53). È stato anche scritto in dottrina che: “l'oggettività giuridica della fattispecie ... è rappresentata dalla protezione del dovere di fedeltà cui sono soggetti coloro che trattano affari di Stato. Ma c'è pure chi consapevolmente rinuncia ad una precisa individuazione dell'interesse tutelato, in considerazione della natura contingente dei criteri politici con cui viene giudicata la conformità della condotta infedele all'interesse nazionale” (Fiandaca-Musco, 103; si veda anche Maggiore, 52). Sembra infine coerente con la ratio della norma circoscriverne l'ambito applicativo a quegli affari di Stato che involgano precipuamente profili attinenti alla sicurezza dello Stato stesso; con esclusione, pertanto, di tutte quelle attività negoziali dello Stato — con altri Stati o con privati stranieri — che si collochino invece in ambiti diversi, quali possono ad esempio essere quello commerciale, culturale o turistico. I soggettiSoggetto attivo L'archetipo normativo- nonostante l'utilizzo del termine chiunque per indicarne il soggetto agente — è pacificamente costruito alla stregua di un reato proprio; ciò in quanto dello stesso può rendersi autore esclusivamente colui che abbia ricevuto il preciso incarico — da parte del Governo italiano — di trattare all'estero determinate questioni, definibili affari di Stato. È però indifferente il fatto che si tratti o meno di un soggetto legato alla Pubblica Amministrazione da un rapporto di dipendenza. Se ne può poi sicuramente rendere protagonista lo straniero. Laddove commetta invece il fatto un militare, la norma avrà una applicazione residuale, ossia resterà integrata solo laddove il fatto non ricada sotto l'impero di previsioni specifiche del c.p.mil.p. (art. 117 o art. 125), ovvero del c.p.mil.g. (art. 57). Soggetto passivo Questo è sicuramente lo Stato, in quanto titolare del bene giuridico specifico della sicurezza verso l'esterno; tale bene giuridico è oggetto di immediata protezione privilegiata, in quanto direttamente correlato alla personalità internazionale dello Stato stesso. In ragione dell'effetto estensivo dovuto alla previsione ex art. 268, il delitto de quo è integrato anche nel caso in cui l'infedeltà sia perpetrata a svantaggio di uno Stato estero alleato, o associato a fini di guerra, con l'Italia. Con la precisazione, però, che in tal caso il nocumento patito dallo Stato estero alleato o associato con il nostro Paese deve essere comunque ricollegabile alle ragioni ed alle modalità dell'alleanza stessa, ovvero dell'associazione a fini di guerra (Manzini, Trattato, IV, 261). La controparte del rapporto negozialeIl soggetto con il quale l'incaricato dal Governo italiano si trovi a trattare affari di Stato — rendendosi poi il primo infedele al mandato ricevuto — non è punibile. Trattasi quindi di un concorrente necessario, del quale non è però prevista dalla norma l'assoggettabilità a sanzione penale. MaterialitàLa condotta punita consiste nel fatto di rendersi infedele rispetto ad un mandato ricevuto da parte del Governo italiano. Trattasi – sotto il profilo dogmatico – di un reato di pericolo concreto, come tale oggetto di specifico accertamento (Caringella-De Palma-Farijni-Trinci, 99). L'infedeltà — concetto per la verità lungamente dibattuto in dottrina — consiste propriamente nell'agire in maniera oggettivamente difforme — in modo parziale o totale — rispetto al risultato che il Governo si era prefissato, al momento in cui si determinò a concedere il mandato a trattare. Tale forma di slealtà rileva sia in ordine al mandato ricevuto (rapportandosi in tal caso alla discrasia tra la condotta serbata in concreto e le direttive nelle quali tale incarico si era sostanziato), sia con riferimento agli scopi che abbiano mosso l'agente. Il disvalore penale della condotta si correla però ad un dato oggettivo, rappresentato dal fatto che essa — oltre che infedele in senso stretto — possa risultare foriera di un effettivo pericolo per gli interessi nazionali (Antolisei, 569, e Neppi Modona, 429). La nozione di mandato deve poi essere qui intesa secondo una accezione non rigorosamente civilistica, bensì estremamente ampia, ricomprendendo essa incarichi della più variegata tipologia, ampiezza e durata. Potrà dunque trattarsi di un incarico, per cosi dire, cumulativo (inerente cioè ad una materia genericamente indicata, o comunque ad un insieme complessivamente anche molto vasto di campi di applicazione), o al contrario avente ad oggetto una trattativa o un affare specifico e ben individuato; potrà venire in rilievo un mandato assunto a titolo gratuito, ovvero a titolo oneroso; esso potrà abilitare il mandatario a svolgere contrattazioni con privati, con enti esteri o sovranazionali, oppure anche direttamente con Governi stranieri; potrà avere una natura — pur solo tendenzialmente — permanente o comunque destinata a protrarsi nel tempo in maniera apprezzabile; potrà infine essere già ad initio strettamente delimitato sotto il profilo cronologico. Dovrà trattarsi però di un incarico espressamente conferito dal Governo italiano, preferibilmente mediante atto formale. Non sono dunque riconducibili sotto l’egida normativa del delitto in esame le condotte espletate in via di fatto, quasi presumendo il conferimento dell’incarico oppure la tacita accettazione dello stesso da parte del Governo; tali condotte sono infatti non esplicative di un reale potere rappresentativo — in capo al soggetto agente — proprio perché solo eventualmente suscettibili di successiva ratifica, ad opera del Governo (si può infatti tradire, per logica, solo un affidamento che si sia con certezza già acquisito). In definitiva, il mandato è stato plasticamente definito in dottrina come “un incarico di natura pubblicistica a forma libera, per mezzo del quale il soggetto esercita un potere delegatogli direttamente dallo Stato” (Fiandaca-Musco, 103). La condotta incriminata può poi presentare indifferentemente connotazioni commissive o omissive. Essa si realizza, dunque, semplicemente allorquando si commettano infedeltà rispetto al compito ricevuto; quando cioè dolosamente si debordi dai confini precostituiti del mandato a trattare affari di Stato. Il delitto ha poi una sua collocazione territoriale ben determinata, visto che la condotta tipizzata può essere commessa esclusivamente all'estero. Nonostante ciò, in relazione al presente reato si procederà sempre in Italia. Per ciò che inerisce alla definizione concettuale del termine affare di Stato, si è poi scritto che deve per esso intendersi: “qualsiasi negozio, anche se originato dal diritto privato, divenuto di rilevanza pubblica per l'ingerenza statale [...]. L'affare può concretizzarsi in un negozio giuridico bilaterale, in quanto non può negarsi come lo stesso implichi una discussione per addivenire ad un accordo; ne consegue che gli atti compiuti da un organo dello Stato italiano entro la cerchia di un'attività tollerata o permessa e protetta da uno Stato straniero, non potendo dar luogo a trattative, escludono la configurabilità del reato in esame.” Aprile, in Rassegna Lattanzi-Lupo, VI, ed. 2010, 132). La nozione di affare di Stato è stata anche delineata — sotto il profilo pratico e contenutistico — come “una trattativa di interesse pubblico che possa dare origine ad un negozio internazionale con uno Stato estero o con un privato.” (Farini-Trinci, 62). Tale dizione afferisce dunque ad “un affare d'interesse pubblico che dà origine ad un negozio di carattere internazionale” (Antolisei, 569, e Neppi Modona, 429). L'incarico può peraltro concernere aspetti politici, ma anche ad esempio profili militari o finanziari, purché rientranti nella categoria degli affari di Stato, ossia riguardanti lo Stato come ente strettamente politico. Elemento psicologicoTrattasi di reato a dolo generico, in relazione al quale la norma postula un coefficiente psicologico semplicemente connotato dalla coscienza e volontà di violare gli obblighi scaturenti dal mandato ricevuto. Si è peraltro molto agitata, tra i commentatori, la tematica attinente alla qualificazione dogmatica da attribuire alla frase “se dal fatto possa derivare nocumento all'interesse nazionale”, utilizzata dal legislatore. Tale versante della fattispecie è stato infatti considerato sia quale condizione obiettiva di punibilità, sia alla stregua di un elemento costitutivo del reato. Ove si opti per questa soluzione tecnica, si dovrà poi ricollegare — sotto il profilo dell'efficienza causale — la possibilità di concretizzazione del nocumento all'interesse nazionale all'agire del reo; e dunque, l'eventualità della realizzazione di tale aspetto dannoso dovrà a pieno titolo essere ricondotta nel fuoco dell'elemento psichico doloso. Considerare tale consapevolezza — si ripete, circa l'esistenza di un nesso causale di derivazione, tra condotta sleale e pregiudizio per gli interessi nazionali — come un elemento costitutivo del reato, appare in realtà la scelta più conforme ai crismi di un diritto penale moderno. Con una necessaria precisazione. Si è infatti scritto che: “Il nocumento, implicando un giudizio, è quello che il Governo reputa tale e non già quello che sembra all'agente. Perciò, il dolo sussiste anche se il soggetto, da un punto di vista politico diverso, ritiene che il suo comportamento corrisponda all'interesse del Paese; basta che egli sappia che la possibilità del nocumento sussiste a giudizio delle persone che gli hanno affidato l'incarico.” (Antolisei, 1014). Naturalmente, il soggetto risulterà non colpevole per assenza di dolo — non essendo prevista la forma colposa del delitto in esame — in una duplicità di casi. In primo luogo, allorquando egli agisca in un modo che risulti oggettivamente infedele al mandato ma soggettivamente onesto, in quanto l'azione sia stata magari determinata da una opinione erronea, eppure scusabile; inoltre, l'agente sarà esente da penale responsabilità nel caso in cui la sua condotta sia stata originata da un errore, pur se colposo, circa modi attuativi e confini logici, giuridici o economici del mandato ricevuto (Pannain, 1126) Consumazione e tentativoIl delitto — di natura formale — si consuma allorquando venga compiuto l'atto di infedeltà rispetto al mandato; il tentativo sembra — almeno astrattamente — configurabile. Profili processualiGli istituti Il reato in esame è reato procedibile d'ufficio e di competenza della Corte d'Assise; è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare. Per esso a) è possibile disporre intercettazioni; b) l'arresto in flagranza è obbligatorio; il fermo è consentito; c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. BibliografiaAlpa-Garofoli, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, Roma, tomo I, 2015; Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, II, Milano, 1986; Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, II, Milano, 1997; Caringella – De Palma – Farini – Trinci, Manuale di Diritto Penale, P.S., VI Ed. Roma, 2015; Farini-Trinci, Diritto Penale - Parte Speciale, Roma, 2015; Fiandaca-Musco, Diritto Penale - Parte speciale, 1, Bologna, 1988; Maggiore, Diritto Penale, Parte speciale, II, tomo I, Bologna, 1948; Neppi Modona, Infedeltà in affari di Stato, in Enc. dir. XXI, Milano, 1971; Pannain, Novissimo Digesto Italiano, diretto da Azara-Eula, XII, Torino, 1979. |