Codice Penale art. 266 - Istigazione di militari a disobbedire alle leggi (1).Istigazione di militari a disobbedire alle leggi (1). [I]. Chiunque istiga i militari a disobbedire alle leggi o a violare il giuramento dato o i doveri della disciplina militare o altri doveri inerenti al proprio stato, ovvero fa a militari l'apologia di fatti contrari alle leggi, al giuramento, alla disciplina o ad altri doveri militari [327, 415], è punito, per ciò solo, se il fatto non costituisce un più grave delitto, con la reclusione da uno a tre anni. [II]. La pena è della reclusione da due a cinque anni se il fatto è commesso pubblicamente [266 4]. [III]. Le pene sono aumentate [64] se il fatto è commesso in tempo di guerra [310]. [IV]. Agli effetti della legge penale, il reato si considera avvenuto pubblicamente quando il fatto è commesso: 1) col mezzo della stampa (2), o con altro mezzo di propaganda; 2) in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone; 3) in una riunione che, per il luogo in cui è tenuta, o per il numero degli intervenuti, o per lo scopo od oggetto di essa, abbia carattere di riunione non privata [268, 654]. (1) La Corte cost., con sentenza 21 marzo 1989, n. 139, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo «nella parte in cui non prevede che per l'istigazione di militari a commettere un reato militare la pena sia sempre applicata in misura inferiore alla metà della pena stabilita per il reato al quale si riferisce l'istigazione». (2) V. art. 1, l. 8 febbraio 1948, n. 47. competenza: Trib. monocratico arresto: non consentito (primo comma); facoltativo (secondo comma) fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita (primo comma); consentita (ma v. art. 275, comma 2 bis, c.p.p.) (secondo comma) altre misure cautelari personali: consentite (secondo comma) procedibilità: d'ufficio InquadramentoDelitto compreso nel Capo Primo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità internazionale dello Stato. La norma mira ad apprestare una tutela particolarmente pregnante all'ordine interno ed all'efficienza delle forze armate; si intende così preservare tali beni giuridici dall'azione di condotte finalizzate a suscitare l'inosservanza delle norme di disciplina, che sono a loro volta essenziali per il corretto funzionamento della struttura militare. (Farini-Trinci, 65). Si è infatti scritto che: “l'oggettività giuridica specifica di questo reato è data dall'interesse relativo alla personalità dello Stato, in quanto conviene reprimere i fatti che, mediante istigazione diretta o indiretta, tendono a indurre i militari a violare i doveri inerenti al loro stato, fatti evidentemente pericolosi per gli interessi politici internazionali ed interni dello Stato” (Manzini, 29). È una fattispecie delittuosa che presenta marcate analogie con le previsioni incriminatrici di cui agli artt. 414 e 415. I soggettiSoggetto attivo Trattasi di un reato comune, visto che l’autore dello stesso è indicato con l’ampia dizione chiunque. Il fatto tipico può quindi essere commesso tanto da un cittadino, quanto da uno straniero. Laddove del reato si renda protagonista un militare, troverà applicazione la disposizione — sostanzialmente analoga nei tratti essenziali — di cui all'art. 213 c.p.mil.p. Soggetto passivo Questo è sicuramente lo Stato. Ai sensi dell'art. 268, tale fatto può essere perpetrato anche in danno di uno Stato che sia alleato, oppure anche associato a fine di guerra, con quello italiano. La struttura del reatoSi tratta di una figura delittuosa costruita alla stregua di un reato di pericolo, che molti commentatori hanno ritenuto essere addirittura presunto. Il legislatore ha inoltre delineato qui un reato formale, o di mera condotta. Si è molto agitata, fra gli esegeti della norma, la questione circa i confini negativi della fattispecie. Nel senso che è spesso apparso problematico porre una netta demarcazione tra la figura tipica in esame e la mera manifestazione di pensiero, avente precipuamente ad oggetto ideologie pacifiste o antimilitariste. La linea di discrimine muove allora dal presupposto — logico prima ancora che giuridico — che altro è esprimere opinioni (rimanendo però entro l'alveo del puro pensiero), altro è invece incitare all'azione (Antolisei, 573). È infine prevista una clausola di sussidiarietà (“se il fatto non costituisce più grave reato”), che rende operativa la norma solo quando non risulti concretizzata altra fattispecie delittuosa di maggior gravità. Si tratta quindi di una ipotesi residuale. MaterialitàLa condotta punita Il paradigma normativo in esame prevede due modalità di realizzazione, che si pongono tra loro in rapporto di alternatività; oggetto dell'incriminazione è infatti sia l'attività di istigazione, sia l'apologia. Istigare significa qui indurre, tentare di convincere altri, stimolare al compimento di una determinata azione, che logicamente sia contraria alle norme; insomma, persuadere taluno, mediante suggerimenti ed esortazioni, al compimento di azioni illecite. Deve ovviamente trattarsi di una azione connotata da una concreta attitudine propulsiva, che sia cioè effettivamente idonea a creare un pericolo di induzione — nei confronti di destinatari ben determinati nel numero e nell'entità — alla commissione di fatti illeciti. Ciò che rileva è dunque qui la effettiva possibilità che la condotta incriminata — ove rapportata alla credibilità ed al seguito di cui goda l'istigatore, nonché al periodo di tempo intercorrente tra l'istigazione e la commissione del fatto oggetto di propaganda — sia in grado di influenzare i soggetti passivi e sia capace, in concreto, di indurli alla perpetrazione di determinati reati. Si ritiene infatti in dottrina — del tutto condivisibilmente — che: “penalmente rilevante è la istigazione che, secondo un giudizio ex ante e in concreto, si riveli idonea a commettere un determinato reato. Sul piano dell'accertamento dell'idoneità, un ruolo centrale è svolto dall'elemento della contiguità temporale tra istigazione e commissione del reato istigato: quanto più si allontana nel tempo la prospettiva della realizzazione del comportamento istigato, tanto meno la condotta istigatoria si rivela concretamente pericolosa” (Fiandaca-Musco, 65). L'istigazione infine può connotarsi per essere diretta o indiretta. La distinzione dipenderà dal fatto che essa presenti un contenuto di aperto ed immediato incitamento alla disobbedienza, ovvero rivesta più un carattere persuasivo e persegua il medesimo effetto di determinazione illecita, ma mediante le argomentazioni, le riflessioni e la prospettazione di deduzioni (Marconi, 634). L'apologia è invece — in senso più ampio — l'elogio, la celebrazione di comportamenti vietati, che venga posta in essere mediante discorsi o scritti, i quali rivestano peculiarità profondamente suggestive nei confronti dei destinatari. Deve cioè trattarsi di una opera di glorificazione che sappia essere attraente, carismatica, almeno potenzialmente convincente e seducente per una massa indistinta di soggetti. Che sia dunque tale da creare quella particolare fascinazione che — elidendo le normali remore etiche e morali — sappia convincere un numero tendenzialmente indiscriminato di soggetti, circa la opportunità di serbare condotte vietate dalla legge. L'oggetto dell'istigazione o dell'apologia, dunque della condotta incriminata, consiste nello stimolare i militari a disobbedire alle leggi, ovvero a violare il giuramento dato, o gli obblighi della disciplina militare, ovvero anche gli altri doveri inerenti al proprio stato di militari. È utile evidenziare come si discuta in dottrina, circa il limite contenutistico di natura oggettiva della fattispecie. Ossia, se le leggi alla cui disobbedienza il militare possa essere istigato siano solo quelle propriamente attinenti allo status o ai doveri concernenti la funzione e l'ordine pubblico in genere, oppure tutte le leggi in maniera indistinta (così Antolisei, 574) La definizione legislativa dello status e dei doveri derivanti dall'assoggettamento alla disciplina militare sono infine da ricercare nel dettato legislativo di cui all'art. 621 ss. d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66. I soggetti recettori della condotta I soggetti destinatari — sia dell'istigazione che dell'apologia — devono essere dei militari; rientrano dunque a pieno titolo in tale categoria gli appartenenti alle forze armate, così come i carabinieri ed i finanzieri. Tale connotazione soggettiva esclude invece la possibilità di commissione di tale reato, allorquando l'azione tipica venga rivolta nei confronti del personale appartenente alla Polizia di Stato o alla Polizia Penitenziaria, trattandosi di Corpi ormai non più strutturati secondo una organizzazione di tipo militare (si vedano rispettivamente la l. 1 aprile 1981, n.° 121 e la l. 16 ottobre 1991, n. 321). Elemento psicologicoSotto il profilo psichico, è richiesto il solo dolo generico. La norma pretende dunque esclusivamente la coscienza e volontà di commettere il fatto tipico di istigazione o apologia, restando ininfluenti i motivi sottesi all'agire. Consumazione e tentativoIl delitto giunge a consumazione allorquando la condotta di istigazione o apologia raggiunge i destinatari. È stato osservato — del tutto correttamente — come il fatto tipico debba considerarsi realizzato, già allorquando la condotta sobillatrice sia percepita da almeno un soggetto destinatario; non è peraltro necessario, ai fini della integrazione del reato, che l'invito alla disobbedienza venga accolto favorevolmente (Aprile, in Rassegna Lattanzi-Lupo, VI, 2010, 153). È da considerare, almeno in astratto, ammissibile il tentativo. Lo si potrebbe infatti reputare integrato sia nel caso — per la verità alquanto improbabile — di condotta frazionata, sia allorquando la stessa condotta istigatrice o apologetica, pur se idonea e di inequivoca direzione finalistica, non venga adeguatamente percepita dal destinatario. Forme di manifestazioneLe circostanze I commi secondo e terzo tipizzano le ipotesi aggravate, di cui la prima (ricorrente quando il fatto venga commesso pubblicamente) è ad effetto speciale. La dettagliata descrizione contenuta nell’ultimo comma della norma tratteggia le situazioni — che sotto il profilo concettuale sono del resto universalmente mutuabili, in ordine all’intero ambito applicativo della legge penale — in presenza delle quali una data condotta sarà definibile come tenuta pubblicamente. Ciò accadrà dunque — in primo luogo — laddove venga adoperato il mezzo della stampa (art. 1 l. 3 febbraio 1948, n. 47), ovvero qualsivoglia altro mezzo idoneo alla propaganda. E quindi, quando il fatto sia perpetrato mediante trasmissioni televisive o radiofoniche, ovvero servendosi di scritti, o di libri, di opere teatrali, di rappresentazioni figurative della più ampia e variegata tipologia; purché tali strumenti siano, in concreto, dotati di una potenzialità diffusiva atta a comportarne la effettiva conoscenza, da parte di una platea indifferenziata e tendenzialmente vasta di possibili soggetti recettori. Ha inoltre carattere pubblico tutto ciò che viene proferito in luogo pubblico o aperto al pubblico, nonché in presenza di più persone. Con la precisazione che — agli effetti che ora interessano — un determinato luogo deve definirsi pubblico quando sia continuamente accessibile a tutti, senza limitazioni o distinzioni (si pensi quindi ad una piazza, o ad un giardino pubblico, oppure ad una spiaggia, etc.); aperto al pubblico è invece il luogo nel quale sia consentita l'entrata alle persone, ma sia anche in vigore un contingentamento, dovuto magari alla limitata capienza del sito, oppure ricollegabile a qualità soggettive, ovvero a mansioni svolte (si pensi allora ad un cinema, o ad un ospedale, o magari ad una scuola, etc.). Oltre alle caratteristiche intrinseche ed ontologiche del luogo fisico, è però anche necessaria la contemporanea presenza di più persone (si richiede chiaramente che il fatto sia perpetrato al cospetto di non meno di due persone, almeno una delle quali sia un militare, altrimenti naturalmente verrebbe meno il soggetto destinatario della condotta). Il fatto si considera infine commesso pubblicamente, quando esso abbia luogo nel corso di una riunione che — per il luogo in cui si svolge, ovvero per il numero dei partecipanti — non appaia confinata in un ambito strettamente privato. Si è scritto in dottrina che: “occorre, dunque, una riunione la quale si ha per il convegno di più persone in un luogo; riunione non in luogo pubblico e neanche necessariamente di carattere pubblico; anzi indipendentemente dal luogo, giacché la legge si è limitata a definirla come una «riunione non privata», desumendo tale carattere dallo scopo cui essa tende, dall'oggetto di essa, dal numero delle persone. Basta anche uno solo di questi estremi per escludere la natura privata della riunione” (Pannain, 1130). La pena è infine aumentata, stando alla previsione del terzo comma della disposizione normativa in esame, anche quando la condotta cristallizzata nel modello legale si collochi in tempo di guerra (art. 310). CasisticaSi segnalano le seguenti decisioni del Supremo Collegio: a) per quanto attiene alle caratteristiche della condotta, i Giudici di legittimità hanno chiarito come la condotta istigatoria o apologetica debba presentare un carattere di effettiva pericolosità, dovendo essa apparire apprezzabilmente aggressiva, nei riguardi di beni costituzionalmente protetti, nonché in concreto atta a stimolare i percettori alla commissione di delitti (Cass. I, n. 44789/2010); b) con riferimento modalità della condotta, si è ritenuta la configurabilità della previsione incriminatrice nella condotta apologetica consistita nell'apporre — su immobili o veicoli — scritte inneggianti alle Brigate Rosse e, in genere, alla lotta armata per il comunismo, al fine di sovvertire il cd. Stato imperialista. La Corte ha infatti reputato che tali scritte avessero un carattere inconciliabile, sia con l'ordinamento democratico dello Stato, sia con i principi ispiratori del giuramento di fedeltà prestato dai militari alla Repubblica (Cass. I, n. 10428/1989); c) circa l'oggettività del reato, si è specificato come i militari non rappresentino i soggetti passivi del reato, bensì ne siano proprio l'oggettività; ciò rende chiaro come — perché possa dirsi integrata la fattispecie tipica — occorra la percezione dell'istigazione o dell'apologia da parte di almeno un militare; percezione che deve aver luogo direttamente in capo al militare, non essendo sufficiente che essa avvenga in via mediata, ossia per interposta persona (Cass. I, n. 6869/1986); d) con riferimento alla differenza esistente rispetto alla semplice propaganda antimilitarista, è stato specificato come quest'ultima sia costituita da un mero atto di pensiero, laddove la norma al contrario postula un diretto incitamento all'azione (Cass. I, n. 3617/1983); e) ancora in tema di rapporti con il diritto alla manifestazione del pensiero ed alla critica, la Cassazione ha precisato come — affinché siano accettabili un pur minimo sacrificio del diritto di critica, nonché la compressione della libertà di espressione del pensiero — non basta un generico richiamo alla salvaguardia dell'interesse (di rango costituzionale) rappresentato dall'obbligo di fedele osservanza delle leggi, che è proprio della disciplina militare; è invece indispensabile che la condotta inibita dalla norma manifesti una connotazione di immediata offensività per tale bene giuridico. Tale tipo di offensività, infatti, è l'unico elemento che autorizzi a vanificare le garanzie di libertà, universalmente assicurate dal sistema costituzionale. Con la conseguenza che la forma di dolo preteso dalla norma non si potrà arrestare alla coscienza e volontà dell'azione, ma si dovrà estendere fino al profilo della attitudine della stessa a creare un serio pericolo di disobbedienza alle leggi. Dunque, rientra nell'alveo previsionale del delitto de quo non ogni manifestazione di pensiero o espressione di critica, ma unicamente l'incitamento — diretto o indiretto — all'azione (Cass. I, n. 1061/1988); f) per quanto inerisce alla definizione contenutistica delle condotte indicate dalla norma, l'insegnamento della Corte è nel senso che la propaganda si vada a sostanziare in una pubblica manifestazione di pensiero, relativamente ad una determinata ideologia o dottrina politica, anche con finalità di ampia propalazione; l'apologia si spinge oltre tale confine, atteso che essa esige un più marcato impegno dell'agente, il quale non si limiterà più alla mera espressione di un'idea, ma giungerà fino alla sublimazione di fatti o personaggi (dunque, si dovrà trattare di una vera e propria conduzione all'apoteosi, in grado di magnetizzare le coscienze, stimolando l'imitazione o comunque sbloccando gli eventuali freni inibitori all'adesione); l'istigazione è invece costituita da un comportamento di aperto stimolo, che può essere compiuto tanto infondendo o rinvigorendo gli impulsi, quanto demolendo le inibizioni rispetto alla commissione di fatti contra legem (Cass. I, n. 1679/1968); g) in ordine all'elemento soggettivo del reato, i Giudici di legittimità hanno poi anche spiegato come l'elemento psicologico del delitto in esame si componga della coscienza e volontà di porre in essere la condotta di istigazione o apologia, con la finalità di provocarne gli effetti che ne sono propri; rimane però indifferente il movente di tale azione (Cass. I, n. 6686/1979); h) in relazione ai mezzi esecutivi adoperati, la Cassazione ha ritenuto indifferente la scelta del mezzo, purché esso sia idoneo. Sono quindi da ricondurre sotto l'egida normativa del delitto in commento anche condotte quali una censura genuinamente sovversiva dell'istituzione militare, o una propaganda antimilitaristica, o anche uno scritto giornalistico, o magari degli elaborati letterari, dei brani teatrali, dei lavori artistici in genere. A patto però che, attraverso essi, vengano promosse idee radicalmente antitetiche, rispetto all'interesse oggetto di tutela; e naturalmente, sempre a condizione che ricorra il requisito della idoneità (Cass. I, n. 5848/1978, la quale ha altresì definito la norma in analisi quale reato di pericolo presunto); i) giova infine sottolineare come la Corte costituzionale abbia escluso che sia rinvenibile una antinomia, fra tale norma ed i principi costituzionalmente garantiti della libera manifestazione del pensiero, nonché di tassatività ed eguaglianza; essa ha infatti riconosciuto come la Costituzione accordi una particolare tutela alla difesa della Patria. La Consulta ha però sottolineato, nel contempo, l'esigenza di tenere ben distinte le condotte sanzionate dalla norma — che consistono in specifiche forme di istigazione o apologia — dalla critica legittima, sempre pienamente consentita in un ordinamento democratico (Corte Cost. n. 71/1978). Il Giudice delle leggi ha poi anche dichiarato illegittimo tale delitto, nella parte in cui non è previsto che la pena debba sempre essere applicata in una misura inferiore, rispetto alla metà della pena edittale, prevista in relazione al reato al quale si riferisce l'istigazione (Corte Cost., n. 139/1989). Profili processualiGli istituti Il reato in esame è reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale in composizione monocratica; è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare, ma solo con riferimento all'ipotesi circostanziata di cui al secondo comma. Per esso: a) non è possibile disporre intercettazioni; b) l'arresto in flagranza è previsto come facoltativo, ma solo al ricorrere dell'ipotesi di cui al secondo comma; il fermo non è consentito; c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali, ma solo in presenza dell'ipotesi di cui al secondo comma. BibliografiaAntolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, II, Milano, 1997; Farini-Trinci, Diritto Penale - Parte Speciale, Roma, 2015; Fiandaca e Musco, Diritto Penale - Parte speciale, 1, Bologna, 1988; Manzini, Istituzioni di diritto penale italiano, Padova, 1955; Marconi, voce Stato (Delitti contro la personalità internazionale dello), in Dig. pen., XIII, Torino, 1997; Pannain, Novissimo Digesto Italiano, diretto da Azara-Eula, XII, Torino, 1979. |