Codice Penale art. 289 bis - Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (1).

Angelo Valerio Lanna

Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (1).

[I]. Chiunque, per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, sequestra [605, 630] una persona è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni (2).

[II]. Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta [586] (2).

[III]. Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell'ergastolo [575].

[IV]. Il concorrente [110] che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà è punito con la reclusione da due a otto anni [62 n. 6, 630 4]; se il soggetto passivo muore, in conseguenza del sequestro, dopo la liberazione, la pena è della reclusione da otto a diciotto anni.

[V]. Quando ricorre una circostanza attenuante [62, 62-bis, 65], alla pena prevista dal secondo comma è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni; alla pena prevista dal terzo comma è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni. Se concorrono più circostanze attenuanti [67], la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore a dieci anni, nell'ipotesi prevista dal secondo comma, ed a quindici anni, nell'ipotesi prevista dal terzo comma [630 6].

(1) Articolo inserito dall'art. 2 1 d.l. 21 marzo 1978, n. 59, conv., con modif., nella l. 18 maggio 1978, n. 191. Ai sensi degli artt. 9-ter e 10 del medesimo provvedimento valgono anche, per il presente articolo le disposizioni del codice penale che richiamano l'art. 630 c.p. e si applicano inoltre le disposizioni processuali urgenti per lo stesso art. 630. 

(2) Per un'ipotesi di aumento di pena, v. art. 1, l. 25 marzo 1985, n. 107.

competenza: Corte d'Assise

arresto: obbligatorio

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 3 s., c.p.p.)

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Delitto compreso nel Capo Secondo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità interna dello Stato. È stato inserito dall'art. 2 d.l. n. 59/1978, conv. con modif. in l. n. 191/1978, a seguito delle note vicende inerenti al sequestro Moro.

La norma ha un duplice bene giuridico. Essa infatti tutela in primo luogo i diritti individuali dei singoli, sub specie di protezione rispetto alla compressione della libertà personale; appresta inoltre adeguata tutela all'interesse dello Stato, a non essere esposto ad attacchi di tipo terroristico o eversivo, così salvaguardando ad un tempo l'ordine democratico e costituzionale da qualsivoglia attività destabilizzatrice. Si è precisato come lo scopo ultimo e fondamentale, che spinge i sequestratori all'azione, sia in realtà rappresentato dalla volontà di colpire l'ordine democratico per minarlo alle basi; l'attacco, in definitiva, si tramuta nel fatto di portare nocumento alla stabilità delle istituzioni, o comunque nel metterle in pericolo. Infatti la «stessa finalità di terrorismo, che in astratto potrebbe non essere eversiva, qualifica una attività concepita come prodromica all'eversione. La legge considera la violenza spietata, gratuita, indifferente ad ogni valore ed attuata con mezzi terrificanti quale premessa ad una finalità eversiva di fondo. Rispetto a quest'ultima, dunque, le due formule “terrorismo” ed “eversione” non segnano che momenti voluti di uno stesso processo di sconvolgimento delle strutture sociali e di aggressione all'ordine costituzionale» (Antolisei, 1033).

Alcuni esegeti della norma ne hanno poi sottolineato la valenza solo simbolica, ritenendo che essa contenga un pericoloso arretramento della soglia di rilevanza penale. Si è nel contempo evidenziata —  la difficoltà interpretativa che inevitabilmente ne segna e contraddistingue il momento applicativo, stante la palese difficoltà di valutare la sussistenza della finalità tipica sulla base di parametri oggettivi; il pericolo è quindi qui costituito dalla inevitabile tendenza — conseguente appunto a tali difficoltà ermeneutiche — alla ricostruzione della fattispecie su basi meramente soggettivistiche e presuntive (sul punto, si legga la descrizione operata da Delpino-Pezzano, 54).

Per la corrispondenza tra i concetti di eversione dell'ordine democratico e di eversione dell'ordine costituzionale, si veda il dettato dell'art. 11 l. n. 304/1982.

I soggetti

Soggetto attivo

Si tratta di una fattispecie delittuosa costruita quale reato comune, visto che di essa si può rendere protagonista chiunque; e quindi, sia un cittadino, sia uno straniero.

Soggetto passivo

Vittima immediata di tale ipotesi criminosa è la persona che venga privata della libertà personale e questa può essere chiunque; il delitto è infatti qualificato dalla specifica finalità di terrorismo o eversione, restando però indifferenti le caratteristiche intrinseche della persona privata della libertà. Le connotazioni soggettive della vittima possono invece, al più, risultare esse stesse evocative della particolare finalizzazione della condotta. Il soggetto passivo mediato della condotta tipizzata è però lo Stato, in quanto titolare dei beni giuridici tutelati, che sono intimamente correlati alla personalità dello stesso.

Laddove venga invece privato della libertà personale il Presidente della Repubblica, resterà integrata la più grave figura tipica ex art. 276.

La struttura del reato

Trattasi anzitutto di un reato permanente, attesa la ordinaria protrazione nel tempo dell'antigiuridicità della condotta; è inoltre un reato plurioffensivo, visto che vengono contestualmente offesi beni giuridici di plurima natura. Sotto il profilo più squisitamente pratico ed attuativo, la fattispecie delittuosa si snoda secondo lo schema classico del reato a forma libera, visto che non sono dettate modalità esecutive precostituite. L'esistenza di una specifica finalità, che sorregge e qualifica l'azione, consente la riconduzione della norma entro l'alveo dei cd. delitti soggettivamente politici. Trattasi inoltre di un reato di evento.

Il modello legale in esame assorbe inoltre in sé — sulla base del noto principio dettato dall'art. 15 — la fattispecie semplice di cui all'art. 605. Il sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione — in modo similare rispetto all'altra figura speciale di sequestro conosciuta dal nostro Codice (sequestro di persona a scopo di estorsione, descritto dall'art. 630) — sembra infatti coprire una vasta area di condotte illecite, consistenti nella privazione dell'altrui libertà fisica. Si è infatti scritto, sul punto, che « a livello empirico-criminologico è proprio il conseguimento di un lucro il più diffuso scopo cui tende il soggetto che compie un sequestro di persona » (Martiello, 97).

Ancora sotto il profilo dogmatico, è stato giustamente sottolineato come il sequestro politico di cui all'art. 289-bis appartenga alla categoria concettuale dei reati complessi in senso lato. Esso si compone infatti — in maniera indefettibile — della sola figura delittuosa meno grave del sequestro di persona (destinato a restare in questo assorbito); l'ulteriore direzione finalistica dell'azione — ossia la finalità di terrorismo o di eversione — invece, laddove autonomamente esaminata, non costituisce reato a sé stante. Tale conformazione segna la netta differenza esistente, rispetto alla sopra menzionata figura tipica ex art. 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione). Quest'ultima è infatti riconducibile alla tipologia strutturale dei reati complessi in senso stretto, contenendo essa tanto il sequestro di persona, quanto un ulteriore reato quale l'estorsione, nella forma tentata o consumata (Nuzzo, 363).

Materialità

La condotta punita

L'azione tipica essenziale è praticamente sovrapponibile a quella tipizzata nell'art. 605; il fatto sussunto nel paradigma normativo consiste dunque, sotto l'aspetto naturalistico, nel privare la vittima della libertà personale — sia pure non necessariamente in modo assoluto — per un tempo almeno apprezzabile. Il principio di diritto che governa la materia è infatti chiarissimo: si realizza un sequestro di persona penalmente rilevante, allorquando si operi una indebita ingerenza nell'altrui spazio intangibile di autodeterminazione e, in conseguenza di tale intrusione, si verifichi in concreto una almeno apprezzabile limitazione della libertà fisica del soggetto passivo. Non assume rilevanza alcuna, pertanto, la durata dello stato di privazione o di pur parziale elisione della libertà di locomozione della vittima, essendo sufficiente che si realizzi una pur breve limitazione della sua autonoma possibilità di determinazione. In sede di analisi della struttura del reato, si è anche precisato come esso presenti la connotazione classica del reato a forma libera; ciò in quanto può essere concretizzato indifferentemente mediante esplicazione di violenza, o servendosi di una intimidazione; può però anche restare integrato da una condotta meramente omissiva o ingannevole.

La specificità dell'azione

La condotta tipizzata rientra, come detto, nella vasta categoria dei fatti plurioffensivi; ciò in quanto la concretizzazione di tale condotta arreca nocumento sia al bene giuridico della libertà individuale (che è riconosciuto al singolo) sia ad un bene giuridico di valenza collettiva. Il fatto stesso che si realizzi un sequestro di persona, connotato dalle specifiche finalità di cui sopra — che assumano peraltro caratteri di forte diffusione e notorietà —incute terrore nella comunità indifferenziata, nonché scetticismo nei riguardi delle istituzioni. Queste infatti appariranno soccombenti, rispetto all'attacco terroristico o eversivo, oltre che inadatte a garantire adeguata protezione nei confronti di attacchi di natura politica, attuati mediante le sopra sviscerate forme di aggressione. In questo senso, si riconosce al modello legale in analisi una valenza protettiva nei riguardi di un bene giuridico che presenta natura cd. superindividuale.

Elemento psicologico (rinvio)

Il coefficiente psicologico preteso dalla norma consiste nel dolo specifico. Esso si sostanzia in una duplicità di momenti teleologici, in quanto sono richieste dalla norma tanto la rappresentazione e la volontà di privare il soggetto passivo della libertà di movimento, quanto la peculiare finalità, consistente nel conseguire un esito terroristico o eversivo (Alpa-Garofoli, 113).

Giova evidenziare che il dolo specifico postulato dalla norma non si esaurisce in un atteggiamento meramente interno del soggetto agente, ma inevitabilmente riverbera una forte influenza anche sulle connotazioni ontologiche dell'azione. Anzi, spesso proprio dalle modalità esecutive di un dato accadimento, dal contesto storico e fenomenico e quindi, in generale, dall'insieme delle caratteristiche del fatto oggettivo è possibile desumere la sussistenza della specifica finalità dell'azione (Dalia, 222).

Per la delimitazione semantica e lessicale dei concetti di terrorismo e di eversione, si ritiene sufficiente operare un integrale rinvio a quanto scritto in sede di commento agli artt. 270-bis e 270 sexies.

Consumazione e tentativo

Il paradigma normativo giunge a consumazione nel momento e nel luogo in cui la vittima patisca una apprezzabile privazione della libertà personale, che si estenda entro un arco cronologico che, pur se minimamente significativo, possa già essere definibile quale effettiva compressione della libertà di deambulazione o movimento della vittima stessa.

Stante la natura di reato permanente, l'antigiuridicità della condotta perdura fino al momento in cui il soggetto passivo ritrovi la « completa libertà personale per una qualsiasi causa (autoliberazione, intervento della polizia, desistenza del colpevole) » (Nuzzo, in Rassegna Lattanzi-Lupo 2010, 371).

Il tentativo è sicuramente configurabile; esso ricorre in tutti i casi in cui la privazione della libertà personale del soggetto passivo non si protragga per un tempo apprezzabile e significativo.

Forme di manifestazione

Le circostanze aggravanti

Il delitto può anzitutto risultare aggravato — stando al disposto del secondo comma della norma stessa — dalla morte del soggetto sequestrato, che deve atteggiarsi quale conseguenza non voluta dal reo. In questo caso, si ritiene unanimemente che la riconducibilità soggettiva dell'evento morte — ulteriore rispetto alla oggettività minima della fattispecie — proceda attraverso una imputazione soggettiva per colpa, secondo le note regole poste dall'art. 59 comma 2 (Palazzo-Paliero, 206). Secondo alcuni autori, la previsione contenuta nel secondo comma della norma si risolverebbe peraltro nella riferibilità soggettiva del fatto tipico, fondata però sulla sola sussistenza di una relazione « di equivalenza delle cause, al limite corretta tramite la teoria della causalità adeguata, come farebbe propendere la presenza dell'avverbio comunque, non presente in fattispecie simili di reato aggravato dalla morte (art. 571 e 572)» (Caringella-De Palma-Farini-Trinci, 114).

Il comma 5 della fattispecie in esame indica le regole alle quali attenersi per il computo delle circostanze, nel caso in cui l'aggravante della morte del sequestrato concorra con una qualsivoglia circostanza attenuante. In questo caso, alla pena della reclusione di anni trenta, prevista dal secondo comma, è sostituita la sanzione della reclusione da venti a ventiquattro anni. In caso di riconoscimento di più circostanze attenuanti, la pena finale non potrà comunque essere inferiore ad anni dieci. Si realizza qui, pertanto, una deroga rispetto alle regole ordinarie del bilanciamento tra circostanze ex art. 69.

Il secondo elemento aggravante — riportato al comma 3 della fattispecie delittuosa in esame — non rappresenta per la verità una circostanza aggravante propriamente detta. Viene infatti qui previsto il caso della morte del sequestrato, che si ponga però in rapporto di stretta derivazione causale, rispetto alla condotta tenuta coscientemente e volontariamente dal sequestratore. Tale nesso deterministico, ovviamente, rende l'evento letale non qualificabile alla stregua di una circostanza aggravante; in questo caso, dunque, la morte della vittima dovrà essere considerata quale elemento costitutivo del delitto di omicidio (Fiandaca-Musco, 114).

Anche in relazione alla fattispecie del decesso dell'ostaggio, quale conseguenza direttamente voluta dal sequestratore, vi è al quinto comma della norma in commento la previsione dei criteri di computo delle circostanze. In tal caso, allorquando venga riconosciuta una circostanza attenuante, si dovrà applicare la pena della reclusione pari ad anni trenta, in luogo della pena prevista dall'ipotesi di cui al terzo comma, ossia l'ergastolo. Laddove ricorrano invece più circostanze attenuanti, la pena finale non potrà comunque essere inferiore ad anni quindici.

La dissociazione

Il comma 4 della norma prevede infine una diminuente, a vantaggio di colui che — dissociandosi dagli altri correi — si adoperi per fare in modo che il sequestrato possa tornare in libertà. La norma postula dunque che la liberazione dell'ostaggio sia conseguenza diretta — pur se magari non esclusiva — della condotta serbata dal soggetto dissociato.

L'art. 6 d.l. n. 8/1991, conv. con modif., in l. n. 82/1991 prevede una attenuante speciale in caso di collaborazione (la espressa denominazione da attribuire a tale norma è ricavabile dalla l. n. 45/2001). Il succitato art. 6 prevede poi che, nel caso in cui il contributo fornito dal soggetto dissociato, a norma del comma 4 dell'art. 289-bis, si sia rivelato di eccezionale rilevanza (dovendosi a tal proposito avere riguardo alla protrazione della privazione della libertà personale dell'ostaggio, nonché alla salvaguardia dell'incolumità personale dello stesso), possa operarsi una ulteriore diminuzione sanzionatoria, in ragione al massimo di un terzo.

Dunque, che l'azione della dissociazione costituisca “fattore determinante” all'interno di tale meccanismo (Fiandaca-Musco, 114), pur se magari il soggetto passivo riacquisti materialmente la libertà in via autonoma, ovvero anche grazie all'intervento delle forze dell'ordine.

Del resto, si è molto agitata — tra gli interpreti della presente disposizione normativa — la questione inerente alla portata ed alla valenza da attribuire alla componente soggettiva, interiore della dissociazione, rispetto al compimento di fatti materiali esteriormente percepibili, che possano rivelarsi atti a condurre alla liberazione dell'ostaggio. L'ancoraggio sicuro è qui rappresentato dal fatto che la dissociazione — per poter valere quale elemento genuinamente attenuante dell'originario disvalore penale — deve presentare il crisma oggettivo della libera opzione, tra una pluralità di comportamenti alternativi possibili. Nel senso che vi debba comunque essere, a monte, una possibilità per il soggetto agente di operare una scelta tra più condotte. Il dibattito ha peraltro riguardato soprattutto la natura stessa del fatto di dissociazione. Se cioè esso si esaurisca in una semplice revoca dell'adesione, nei riguardi dell'originario progetto delinquenziale; se invece il soggetto debba manifestare un espresso rifiuto del fine comune, attuandolo per il tramite di una presa di distanza di tipo spirituale, intellettuale ed ideologico; se vi debba infine essere anche un allontanamento materiale, fisico, rispetto all'insieme dei correi.

Riteniamo comunque preferibile non soggettivizzare la condotta di dissociazione, astenendoci dall'ammantarla di impropri contenuti di tipo morale. Ciò in quanto la norma non sembra esigere alcuna forma di spontaneità della dissociazione stessa ed essendone sostanzialmente indifferenti i motivi, che restano pertanto confinati nel foro interno della psiche del soggetto. Ciò che quindi sembra davvero rilevante non è tanto l'eventuale afflato di resipiscenza sotto il profilo etico (né l'effettivo pentimento interiore e nemmeno il ripensamento critico sul versante ideologico), bensì l'oggettiva adozione di una condotta atta a determinare la liberazione del sequestrato.

Giova forse sottolineare come il dato della dissociazione sottintenda — sotto il profilo logico, oltre che letterale — l'avvenuta perfezione del reato; esso cioè presuppone che si sia già verificata una privazione della libertà personale di apprezzabile durata e che, quindi, si possa già discorrere di sequestro di persona consumato. Se ne deduce che, allorquando il soggetto che si dissoci si adoperi già in una fase antecedente, ossia con il fine di impedire che vi sia la realizzazione del sequestro di persona, si dovrà discorrere di desistenza volontariaexart. 56, comma 3. Laddove invece — una volta che il sequestro di persona appaia perfetto nei suoi minimi requisiti strutturali — il dissociato agisca per scongiurare il perdurare di una situazione di privazione della libertà personale, senza però essere in grado di far riacquistare al sequestrato la libertà personale, ci si troverà in presenza di un caso di recesso attivo, da sussumere sotto l'egida normativa dell'art. 56, comma 4. Nel caso in cui, infine, l'azione del dissociato contribuisca fattivamente al ritorno in libertà dell'ostaggio, ricorrerà propriamente la circostanza attenuante in esame (Nuzzo, in Rassegna Lattanzi-Lupo 2010, 369).

Laddove si realizzi la morte del sequestrato — quale fatto direttamente ricollegabile, sul versante della causalità, alla privazione della libertà personale da questi subita — ma ciò avvenga dopo la liberazione ottenuta grazie alla dissociazione, è prevista infine una circostanza attenuante speciale. Questa comporterà la pena non più della reclusione per anni trenta (secondo comma), oppure dell'ergastolo (terzo comma), bensì della reclusione da otto a diciotto anni.

Casistica

Verranno ora riportate alcune pronunce particolarmente rilevanti, evidenziando — in relazione a ciascuna di esse — lo specifico tema affrontato.

Per ciò che attiene alla struttura del reato, il Supremo Collegio ha precisato come, in caso di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione al quale consegua l'omicidio del sequestrato, si verifichi l'assorbimento delle due fattispecie comuni del sequestro di persona e dell'omicidio volontario, nella figura delittuosa unitaria cristallizzata nell'art. 289-bis, comma 3, che assumerà così i contorni del reato complesso (Cass. I, n. 7451/1998).

Con riferimento all'aspetto del concorso di persone nel reato di sequestro di persona a scopo di terrorismo o eversione, la Corte ha ritenuto che esso possa esser configurato, nel caso di espressione di consenso e di appoggio all'attività di privazione della libertà personale. Ciò a condizione che il sequestro sia già in atto e che la manifestazione di adesione al fatto venga propalata con forme di ampia pubblicità. Manifestazioni di supporto di tal fatta possono infatti assurgere alla funzione di rafforzamento dell'altrui determinazione criminosa, potendo quantomeno fungere da deterrente rispetto a qualunque forma di ripensamento, in capo ai sequestratori. Si trattava, nel caso di specie, della pubblica adesione da parte di alcuni detenuti aderenti all'organizzazione terroristica delle “Brigate Rosse” al sequestro di un magistrato, del quale veniva prospettata l'uccisione, laddove non vi fosse stata la chiusura di un certo istituto carcerario (Cass. I, n. 11344/1993).

L'attenuante prevista dal comma 4 della norma in esame può trovare applicazione anche allorquando la liberazione del sequestrato si verifichi non per la dissociazione e per l'opera del singolo, bensì grazie ad una decisione unanime di tutti i soggetti agenti (Cass. V, n. 4855/1990).

Rientrano nell'alveo previsionale della norma tutte le condotte che si risolvano nella privazione dell'altrui libertà personale e che — in via alternativa — siano connotate dalla sussistenza anche di una sola delle finalità indicate dal legislatore. Nulla consente infatti — almeno in astratto — di escludere aprioristicamente la ricorrenza di uno scopo di terrorismo, dal quale sia però avulsa la volontà destabilizzatrice dell'assetto istituzionale disegnato dalla Costituzione; così come — almeno in teoria — non è possibile escludere la sussistenza di una finalità eversiva che prescinda dalla volontà di propagare il panico (nella concreta fattispecie, si era verificato il dirottamento di una nave, che era stato posto in essere al fine di ottenere la liberazione di alcuni soggetti, i quali si trovavano in stato di detenzione in Israele) (così Cass. I, n. 10711/1988). Nello stesso senso si è espressa Cass. I, n. 5807/1987, a mente della quale è la stessa formulazione testuale della norma e, segnatamente, la disgiuntiva che ne delinea le finalità, a condurre ad una conclusione obbligata: ad essa deve ricondursi qualsivoglia azione umana che — mediante la compressione della libertà di movimento del singolo — persegua indifferentemente l'uno o l'altro degli scopi che sono cristallizzati nel dettato della norma.

Le finalità alternative di terrorismo o di eversione rappresentano elementi costitutivi del reato; esse sono anzi all'origine della collocazione sistematica dell'ipotesi delittuosa in esame, tra i delitti contro la personalità dello Stato. Trattasi di due distinte direzioni finalistiche dell'azione, che possono anche non coesistere nella fattispecie concreta. La finalità terroristica si sostanzia, infatti, nello scopo di spargere panico nella collettività, mediante il compimento di azioni a soggetto passivo indifferenziato. Azioni che vengono dunque generalmente indirizzate non contro i singoli in quanto tali, bensì contro ciò che essi simboleggiano; oppure si tratterà di azioni rivolte in danno di un soggetto passivo ben determinato, ma indipendentemente dal ruolo da questi ricoperto (e in questo caso, la condotta risulterà teleologicamente qualificata proprio dal peculiare fine di incutere paura nella generalità dei consociati, così indebolendo la saldezza delle istituzioni e diminuendo il consenso che le deve circondare). Il fine eversivo, invece, consiste in una volontà più immediatamente tesa a sradicare dalle fondamenta i principi che reggono l'ordinamento democratico, mediante una profonda opera di destrutturazione e disarticolazione degli assetti dello Stato pluralista (Cass. I, n. 3130/1986).

Per ciò che attiene alla definizione del termine ordine democratico, la Cassazione ha chiarito come esso debba essere ricollegato a quel complesso di principi basilari, che rappresentano il tratto indefettibile dell'organizzazione statale. L'ancoraggio normativo si trova nei primi cinque articoli della Costituzione e, in particolare, nella norma-chiave di cui all'art. 2 Cost. In tale complesso di regole sono infatti riconosciuti e garantiti i diritti inviolabili sia del singolo, sia delle formazioni sociali. Sono inoltre lì cristallizzati i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. E quindi, un atto insurrezionale diretto in danno anche di uno solo di tali principi realizza pienamente un fatto eversivo. Se ne può dedurre come ogni azione criminosa, che sia specificamente diretta ad inibire il mantenimento dell'ordine democratico delineato dalla Costituzione, trasudi una intrinseca finalità terroristica o eversiva (Cass. I, n. 8552/1984).

La Corte ha ribadito come non possa operarsi il giudizio di comparazione tra circostanze, con riferimento alla circostanza aggravante speciale prevista dall'art. 289-bis, consistente nella morte del sequestrato. Il legislatore ha infatti inteso sottrarre tale fattispecie alle ordinarie regole di bilanciamento ex art. 69, sul presupposto delle gravissime peculiarità che connotano la fattispecie, nonché al fine di garantire le esigenze di difesa sociale (Cass. II, n. 9549/1985).

Il Supremo Collegio ha precisato come l’esclusione dalla possibilità di ottenere i benefici penitenziari ex art. 4 bis comma 1 l. 26 luglio 1975, n. 354  (in particolare il permesso premio) - divieto posto dall’art. 58 quater comma quarto della medesima l. n. 354/1975 (ord. pen.), nei riguardi dei soggetti che siano stati condannati per il delitto di cui all’art. 289 bis, allorquando essi abbiano cagionato la morte del sequestrato (laddove però non risultino già effettivamente espiati i due terzi della pena inflitta o, se sia stato irrogato l'ergastolo, almeno ventisei anni di reclusione)  -  riguardi anche coloro che abbiano offerto la propria collaborazione alla giustizia (Cass. I n. 3758/2015).

Profili processuali

Il reato in esame è reato procedibile d'ufficio e di competenza della Corte d'Assise; è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare.

Per esso:

a) è possibile disporre intercettazioni;

b) l'arresto in flagranza è obbligatorio; il fermo è consentito;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

Esclusione dall’indulto

Al reato in esame non si applica l’indulto concesso ai sensi dell’art. 1 comma 2 lett. a) n. 6 l. n. 241/2006.

Responsabilità degli enti

L’art. 25-quater d.lgs. n. 231/2001 prevede la responsabilità degli enti in relazione ai reati commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico. La condanna per uno di tali delitti comporta l’interdizione dell’ente dall’esercizio dell’attività, per una durata non inferiore ad un anno; se l’ente stesso — ovvero anche una sua articolazione — siano stabilmente destinati alla perpetrazione di reati di tal genere, deriva l’interdizione in via definitiva dall’esercizio dell’attività.

Ordinamento penitenziario

Per il trattamento penitenziario riservato ai soggetti condannati o internati per il delitto in commento, si veda il combinato disposto degli artt. 4 bis, 58 ter e 58 quater, comma 4, l. 26 luglio 1975, n. 354 (ord. pen.).

Bibliografia

Alpa-Garofoli, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, Roma, t. I, 2015; Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, II, Milano, 1986; Caringella-De Palma-Farini-Trinci, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, 2015; Dalia, Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione, in Enc. Dir., XLII, Milano, 1990; Delpino-Pezzano, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, Napoli, 2015; Fiandaca-Musco, Diritto Penale - Parte speciale, 1, Bologna, 1988; Martiello, in Enc. giur., 9, Milano, 2007; Palazzo -Paliero, Trattato teorico-pratico di diritto penale - Reati contro la personalità dello Stato e contro l'ordine pubblico, a cura di Pelissero, Torino, 2010.

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