Codice Penale art. 290 - Vilipendio della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali e delle Forze Armate (1).Vilipendio della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali e delle Forze Armate (1). [I]. Chiunque pubblicamente [266 4] vilipende la Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo o la Corte Costituzionale o l'ordine giudiziario, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000 (2). [II]. La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le Forze Armate dello Stato o quelle della liberazione [292-bis, 313 3]. (1) Articolo così sostituito dapprima dall'art. 2 l. 11 novembre 1947, n. 1317, e successivamente dal d.lg.lgt. 14 settembre 1944, n. 288, e dall'art. 1, l. 30 luglio 1957, n. 655. Il testo originario recitava: «Vilipendio alle istituzioni costituzionali. [I]. Chiunque pubblicamente vilipende la Corona, il Governo del Re, il Gran Consiglio del Fascismo, o il Parlamento, o soltanto una delle Camere, è punito con la reclusione da uno a sei anni. [II]. La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le forze armate dello Stato o l'ordine giudiziario». Il d.lg.lgt. n. 288 del 1944, ha soppresso le parole «il Gran Consiglio del Fascismo», mentre la l. n. 1317 del 1947 aveva così sostituito l'intero testo: «Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze armate. [I]. Chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica o l'Assemblea Costituente o le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo, o l'ordine giudiziario, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. [II]. La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le Forze armate dello Stato e quelle della liberazione» (2) Le parole «con la multa da euro 1.000 a euro 5.000» sono state sostituite alle parole «con la reclusione da sei mesi a tre anni» dall'art. 11 1 l. 24 febbraio 2006, n. 85, con effetto a decorrere dal 28 marzo 2006. competenza: Trib. monocratico arresto: non consentito fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita altre misure cautelari personali: non consentite procedibilità: d'ufficio con l'autorizzazione dell'assemblea vilipesa o, negli altri casi, del Ministro della giustizia InquadramentoDelitto compreso nel Capo Secondo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità interna dello Stato. L'attuale stesura della norma è il risultato di successivi interventi, operati dall'art. 2 l. n. 1317/1947 e dall'art. 1 l. n. 655/1957. La norma tende ad apprestare una particolare forma di tutela all'onore ed al prestigio di determinate istituzioni. Il bene giuridico protetto è però generalmente considerato in senso ampio, atteggiandosi esso secondo peculiarità non statiche (da intendere cioè quale interesse ad un mero ossequio fine a sé stesso, dovuto per la sola alta collocazione delle istituzioni protette), bensì connotate in termini dinamici e funzionalistici. In questo senso, appare dunque opportuno che determinate istituzioni — di primaria importanza per la sopravvivenza democratica e per l'assetto costituzionale del Paese — vengano massimamente salvaguardate. Tollerare offese travalicanti il confine della critica consentita, infatti, comporterebbe uno scadimento generalizzato della consapevolezza dell'importanza delle istituzioni stesse e, in definitiva, ne renderebbe meno efficace l'azione (Manzini, 511). I soggettiSoggetto attivo Si tratta di un reato comune, in quanto l'autore dello stesso è indicato con il termine chiunque. Se ne può dunque rendere protagonista tanto il cittadino, quanto lo straniero; ed in ipotesi estrema ed astratta, tale delitto potrebbe essere perpetrato persino da un soggetto appartenente proprio agli stessi organi che sono destinatari del vilipendio (i parlamentari resteranno però scriminati nei limiti indicati dall'art. 68 Cost.). Laddove il fatto sia commesso da un militare, resterà integrato il delitto di cui all'art. 81 c.p.mil.p. Soggetto passivo Questo è sicuramente da rintracciare nell'istituzione vilipesa. Intesa, quest'ultima, nel suo complesso e non con riferimento ai singoli componenti. Le istituzioni destinatarie della condotta di vilipendio sono tassativamente elencate dalla disposizione codicistica. In primo luogo, vi è la Repubblica. Quindi, la forma repubblicana in re ipsa, adottata in Italia sin dal referendum del 1946. Sono poi tutelate le assemblee legislative o una di queste. E quindi, il Senato e/o la Camera dei deputati, nonché il Governo e la Corte Costituzionale (sempre senza riferimenti di tipo personale, bensì secondo la strutturazione ricavabile dal dettato, rispettivamente, degli artt. da 92 a 96 Cost. e degli artt. da 134 a 137 Cost). Infine, l'archetipo normativo in esame indica l'ordine giudiziario. Non esiste sul punto concordia di posizioni, nelle varie esegesi della norma. Molti infatti ritengono che a tale alveo previsionale vada ricondotta soltanto l'autorità giudiziaria, con esclusione quindi di quelle magistrature (Consiglio di Stato, Tar, Corte dei Conti, Tribunali militari), che non rientrano nella previsione dell'art. 104 Cost. (così Alpa-Garofoli, 115 e — con qualche riserva — Nuzzo, in Rassegna Lattanzi-Lupo 2010, 378). MaterialitàI confini oggettivi del fatto tipico Giova evidenziare — in via preliminare — come si tratti di una formulazione normativa che sconta una profonda genericità descrittiva di fondo. Il confine infatti tra la critica legittima — che è peraltro notoriamente molto aspra, soprattutto nell'agone politico — e la condotta genuinamente definibile quale vilipendio penalisticamente rilevante, appare purtroppo estremamente labile. Una demarcazione che sembra in realtà destinata sempre a risentire — stante appunto la conformazione piuttosto indeterminata della norma — dell'impostazione culturale dell'interprete, oltre che del contesto socio-ambientale. Nonché infine dell'inarrestabile (ed imprevedibile) emersione di beni giuridici anche di primaria importanza, in grado magari di far avanzare i limiti della critica comunemente ritenuta accettabile. Come specificato in dottrina, « qui il Legislatore ha rimesso carta bianca all'interprete, in quanto l'assoluta indeterminatezza della condotta di vilipendere è stata colmata dalla giurisprudenza, che l'ha identificata nel tenere a vile, nel manifestare disprezzo o dileggio nei confronti di determinati simboli o istituzioni. Pur con queste precisazioni, la condotta vietata continua a mantenere un alto livello di imprecisione, che si traduce in un pericoloso bavaglio alla critica delle istituzioni» (Pelissero, 152). Vi sono stati inoltre Autori che hanno attribuito grande rilievo alla natura pubblica del vilipendio, riconducendo dunque al relativo campo applicativo esclusivamente le condotte atte a stimolare, nei recettori delle stesse, la volontà di tradurre in atti concreti l'insulto portato alle istituzioni (Palmieri, 757). Altri hanno però giustamente obiettato, con argomentazioni che paiono del tutto condivisibili, che in tal modo si finirebbe per assimilare — forse del tutto impropriamente — il concetto di vilipendio a quello di istigazione (Alesiani, 292). Da più parti si è addirittura giunti ad auspicare una abrogazione di tutti i delitti di vilipendio ancora presenti nel nostro sistema penale. Tale posizione estrema muove proprio da una duplicità di presupposti. In primo luogo, si è infatti ancora sottolineata la sostanziale vaghezza contenutistica dell'idea stessa del vilipendere; inoltre si è presa in considerazione la difficile compatibilità di tale concetto con il principio — costituzionalmente garantito — della libera espressione del pensiero. La condotta punita Trattasi in primo luogo di un reato a forma libera. Che può dunque essere perpetrato secondo una moltitudine di forme espressive. Quindi mediante l'eloquio, allorquando questo appaia vanamente volgare, oltre che evocativo di un radicato disprezzo nei confronti dell'istituzione (si ripete, dell'istituzione in quanto tale, addirittura indipendentemente dagli atti che da questa vengano posti in essere); ma anche mediante gesti, che magari rivestano una inequivocabile valenza significativa; oppure per il tramite di brani scritti; o anche mediante modalità espressive riconducibili al vasto alveo delle arti figurative (il riferimento è ai quadri, ai disegni, alle sculture, alla simbologia di varia natura). In dottrina si è definito il termine vilipendio come “una ingiuria particolarmente qualificata” (Nuvolone, 189), che si caratterizza per la natura particolarmente pesante ed offensiva delle espressioni. Laddove peraltro la linea di discrimine fra il concetto di vilipendio ed altre forme di offesa — comunque aggressive dei beni giuridici dell’onore o della reputazione (il riferimento è all’ormai depenalizzata ingiuria, ma a anche alla diffamazione o all’oltraggio) — venisse individuato solo in base alla natura fenomenica dell’espressione utilizzata, si perverrebbe ad un risultato paradossale. Si finirebbe infatti per ricondurre all’ambito applicativo della norma anche determinate manifestazioni di pensiero, semplicemente perché connotate da rozzezza espressiva, o perché particolarmente sciatte e sgradevoli. Fondare dunque tali giudizi sui distinguo inerenti alla mera forma espressiva (sia essa maleducata e volgare, o magari appaia più colta e raffinata), comporterebbe il rischio di incorrere in evidenti valutazioni di marcata impronta personalistica. Si finirebbe così per unire “al sacrificio di una libertà fondamentale l'irragionevole disparità di trattamento tra situazioni analoghe” (Marconi, 378). Ciò che invece distingue il vilipendio dalla libera espressione del pensiero è la essenza intrinseca dei concetti espressi; la natura gratuita o aprioristica delle manifestazioni; l'utilizzo di forme verbali o simboliche che appaiano inutilmente oltraggiose, ossia che prescindano da qualsivoglia necessità descrittiva del contesto. Come detto, si tratta di un concetto da tenere nettamente separato, rispetto al diritto di critica riconosciuto dall'art. 21 Cost. Diritto che ovviamente potrà qui esplicare — ove ricorrente — una funzione scriminante. Merita di essere menzionata — sullo specifico tema della compatibilità tra l'idea del vilipendio ed il diritto di libera manifestazione del pensiero — la particolare lettura proposta da alcuni Autori, in riferimento all'art. 21 Cost. Tale norma viene infatti spiegata quale strumento di portata generale, teso alla tutela della libertà di pensiero e di libera manifestazione delle idee, riservato al singolo nei rapporti con le istituzioni; un diritto che incontra l'unico limite — espressamente previsto dall'ultimo comma dell'art. succitato — rappresentato dalla protezione del buon costume. E dal momento che il delitto di vilipendio concerne proprio le relazioni tra il privato e le istituzioni, occorrerebbe accordare la massima tutela appunto alla libertà di espressione — anche aspra — del dissenso; mantenendo quindi fermo l’unico confine, rappresentato appunto dal buon costume. Una impostazione che conduce, in definitiva, ad un forte restringimento delle possibilità concrete di applicazione della norma de qua (Proscodimi, 743). Per concludere. Vilipendere è un termine che — nella accezione estensiva qui utilizzata — è sinonimo di disprezzare, oltraggiare, tenere a vile, schermire con offese gratuite. La condotta di vilipendio deve essere perpetrata pubblicamente. Si è poi molto agitata, nella dottrina, la questione concernente la natura giuridica della situazione di pubblicità. Vi è stato infatti chi ha preferito considerarla una condizione obiettiva di punibilità (Manzini, 523) e chi invece — con opinione che in verità pare maggiormente condivisibile — l'ha considerata alla stregua di un elemento costitutivo del reato. Secondo tale ultima impostazione, il requisito della pubblicità rientrerebbe nella sfera rappresentativa e volitiva del soggetto agente, il quale dovrebbe quindi avere integra la consapevolezza di tenere la condotta di vilipendio in maniera pubblica (Fiandaca-Musco, 80). La norma non postula invece la presenza della persona fisica destinataria dell'insulto. Elemento psicologicoPer ciò che attiene al coefficiente psichico della condotta, è richiesto il dolo generico. Questo si sostanzia nella mera coscienza e volontà di portare oltraggio alle istituzioni; non rilevano, naturalmente, le motivazioni da cui riceva scaturigine tale comportamento. Consumazione e tentativoTrattasi di un reato istantaneo, che giunge a consumazione nel momento e nel luogo in cui l'espressione del vilipendio venga in concreto percepita. Si è sottolineato come — pur in presenza di tale effettiva percezione — il reato possa dirsi realizzato solo quando si verifichi una condotta che “tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto (luogo, numero e caratteristiche dei destinatari del messaggio, etc.)... risulti concretamente pericolosa per il bene tutelato” (Alpa.Garofoli, 116). Il tentativo è ipoteticamente anche configurabile, ma solo allorquando “l'evento richieda un iter criminis frazionabile” (Nuzzo, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 382). CasisticaIn ordine ai confini esistenti tra libera espressione del pensiero e delitto di vilipendio, la Corte ha chiarito come il diritto di esprimere censure anche aspre, nonché di manifestare i propri convincimenti, trasmodi in un vilipendio penalmente rilevante, allorquando la critica si sostanzi — sotto il profilo contenutistico — in un oltraggio gratuito, fine a se stesso e non espressivo di posizioni ideali (Cass. I, n. 5864/1978). Si è anche precisato che la forma dolosa postulata dalla norma è il mero dolo generico, restando irrilevanti le motivazioni sottese alla realizzazione del fatto vilipendioso (Cass. I, n. 6144/1979). Secondo l'insegnamento del S.C., inoltre, sussiste il reato anche nel caso di offesa mossa nei confronti di uno o più componenti dell'istituzione tutelata, così come quando si agganci l'offesa ad episodi ben individuati; dunque quando il vilipendio si correli al concreto funzionamento dell'istituzione. Purché però il soggetto agente intenda comunque esibire al generale ludibrio l'istituzione nella sua interezza (Cass. I, n. 1930/1973). Con riferimento alla natura del vilipendio atto ad integrare l'elemento costitutivo oggettivo del reato de quo, la Corte ha sottolineato come esso si debba sostanziare —sotto il profilo materiale — in una condotta grossolanamente insultante e disonorante. Questa deve essere dotata dell'intima attitudine a propalare efficacemente un radicale spregio verso l'istituzione cui è rivolta; deve inoltre essere in grado di produrre, in maniera ben più marcata di quanto invece si verifichi nelle altre forme di aggressione all'onore ed alla reputazione note al nostro ordinamento penalistico (oltraggio e diffamazione) un totale svilimento della funzione pubblica (Cass. I, n. 696/1972). In ordine alla definizione del termine vilipendio, la Cassazione ha spiegato come questo consista nel fatto di tenere a vile, quindi nel negare qualsiasi valore etico, sociale o politico all’istituzione presa di mira. In definitiva, si finisce per privare l’istituzione di qualsiasi forma di prestigio, di rispetto e di stima. Viene consequenzialmente a scemare la fiducia dei consociati nei confronti dell’istituzione medesima (Cass. I, n. 2875/1976). La Consulta ha chiarito come sussista il delitto di vilipendio, esclusivamente laddove le espressioni adoperate abbiano la finalità di demolire ogni forma di rispetto, di prestigio o di fiducia nell'istituzione, presentando nel contempo l'attitudine ad ingenerare disprezzo in coloro che percepiscano le espressioni e persino la disobbedienza rispetto all'attività delle istituzioni medesime (Corte Cost. n. 20/1974). Profili processualiIl reato in esame è reato procedibile solo a seguito di autorizzazione dell'Assemblea Costituente o dell’assemblea legislativa, quando è commesso in danno di una di tali istituzioni; a seguito di autorizzazione del Ministro della Giustizia negli altri casi (v. art. 313); esso è di competenza del Tribunale in composizione monocratica e si procede con citazione diretta a giudizio. Per esso: a) non è possibile disporre intercettazioni; b) l'arresto in flagranza non è consentito; il fermo non è consentito; c) non è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. BibliografiaAlesiani, I reati di opinione. Una rilettura in chiave costituzionale, Milano, 2006; Alpa-Garofoli, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, t. I, Roma, 2015; Fiandaca-Musco, Diritto Penale - Parte speciale, 1, Bologna, 1988; Nuvolone, Il diritto penale della stampa, Padova, 1971; Manzini, Trattato di diritto penale italiano, IV, Torino, 1950; Marconi, I delitti contro la personalità dello Stato. Profili storico-sistematici, Milano, 1984; Palmieri, Vilipendio politico, in Enc. Dir., XLVI, Milano, 1993; Pelissero, voce Personalità dello Stato (delitti contro la) in Enc. Giur., Il diritto, diretta da Patti, 11, Milano, 2007; Prosdocimi, Vilipendio (reati di), in in Enc. Dir., XLVI, Milano, 1993. |