Codice Penale art. 300 - Condizione di reciprocità.

Angelo Valerio Lanna

Condizione di reciprocità.

[I]. Le disposizioni degli articoli 295, 296, 297 e 299 si applicano solo in quanto la legge straniera garantisca, reciprocamente, al Capo dello Stato italiano o alla bandiera italiana parità di tutela penale.

[II]. I Capi di missione diplomatica sono equiparati ai Capi di Stati esteri, a norma dell'articolo 298, soltanto se lo Stato straniero concede parità di tutela penale ai Capi di missione diplomatica italiana (1).

[III]. Se la parità della tutela penale non esiste, si applicano le disposizioni dei titoli dodicesimo e tredicesimo [575-649], ma la pena è aumentata [64].

(1) La disposizione è inattuale, data l'abrogazione dell'art. 298 c.p., ad opera dell'art. 18 1 l. 25 giugno 1999, n. 205.

Inquadramento

La norma stabilisce una clausola di reciprocità, nel senso che condiziona l'applicabilità degli artt. 295, 296 e 299, al fatto che il Capo dello Stato italiano, nonché la bandiera e gli emblemi dello Stato italiano godano — secondo la legge del paese straniero interessato — di pari dignità penale.

Occorre dunque che sia ad essi assicurata la medesima forma di tutela, derivante dalla equipollenza tra situazioni analoghe [tale condizione è stata definita nel modo che segue: “affinità di valutazione in ordine al disvalore dei fatti” (Nuzzo, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 406)]. Ovviamente, non è necessaria una perfetta parità di trattamento previsionale e sanzionatorio; è invece necessaria solo la ricomprensione del fatto nell'alveo del disvalore penale. Quindi, che esista nell'ordinamento dello Stato straniero una previsione che — indipendentemente anche dal nomen iuris attribuito al fatto — contenga almeno i tratti essenziali della previsione incriminatrice italiana.

Si è giustamente sottolineato che: “Il sussistere o meno della reciprocità è quaestio facti e non quaestio iuris [...] È vero che per risolvere una tale questione è necessario utilizzare norme giuridiche e, quindi, interpretarle; ma in questo caso il rinvio al diritto straniero ha carattere di rinvio «formale» e non implica alcuna «nazionalizzazione» o «recezione». La legge straniera non viene applicata viene solo in considerazione come una circostanza di fatto, alla quale è condizionata la qualifica di reato da parte della legge italiana. Ciò che si applica è esclusivamente la legge penale italiana” (Quadri, 45).

Il riferimento all'art. 297 contenuto nella norma deve ora reputarsi implicitamente eliminato, stante l'avvenuta abrogazione di tale articolo, ad opera dell'art. 18 l. n. 205/1999. Parimenti il secondo comma, riguardante l'equiparazione ai Capi di Stati esteri — ai fini dell'integrazione della previsione ex art. 298 — dei Capi di missione diplomatica, deve ritenersi implicitamente cancellato, in ragione dell'abrogazione di tale norma ad opera del medesimo art. 18 l. n. 205/1999.

Occorre poi che la condizione di reciprocità risulti cristallizzata in un atto formale interno dello Stato estero, nonché che tale atto risalga ad epoca precedente, rispetto alla perpetrazione del fatto. La condizione di reciprocità rappresenta infatti il presupposto indefettibile, perché possano ritenersi integrati i modelli legali qui richiamati; tale situazione deve essere pertanto antecedente, rispetto alla commissione del fatto.

In caso di inesistenza della condizione di reciprocità, troveranno infine applicazione le disposizioni incriminatrici comuni previste dai titoli dodicesimo e tredicesimo del Libro secondo del Codice (delitti contro la persona e delitti contro il patrimonio), ma la pena sarà aumentata.

Casistica

Il Supremo Collegio — nel decidere una questione inerente al diverso tema dell'estradizione — ha però precisato come il c.d. principio di reciprocità non rivesta, nel nostro ordinamento, una valenza di portata generale e non sia quindi di immediata applicazione. Esso invece può operare solo allorquando previsto da norme particolari interne allo Stato italiano, come accade appunto nel caso della previsione ex art. 300; oppure può essere applicato laddove specificamente inserito in trattati internazionali, ovvero infine quando esista una consuetudine nei rapporti in campo internazionale, tale da comportare una reciprocità internazionale di fatto, seppur non formalizzata in clausole ad hoc (Cass. I, n. 301/1982).

Bibliografia

Quadri, in Enc. dir., XII, Milano, 1964.

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