Codice Penale art. 306 - Banda armata: formazione e partecipazione.

Angelo Valerio Lanna

Banda armata: formazione e partecipazione.

[I]. Quando, per commettere uno dei delitti indicati nell'articolo 302, si forma una banda armata, coloro che la promuovono o costituiscono od organizzano, soggiacciono, per ciò solo, alla pena della reclusione da cinque a quindici anni [307, 309].

[II]. Per il solo fatto di partecipare alla banda armata, la pena è della reclusione da tre a nove anni [305 2, 416 2, 416-bis 1].

[III]. I capi o i sovventori della banda armata soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori [305 3, 416 3, 416-bis 2].

competenza: Corte d'Assise (primo comma); Trib. collegiale (secondo comma)

arresto: obbligatorio

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 3, c.p.p.)

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Delitto compreso nel Capo Quinto del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra le disposizioni generali e comuni ai capi che precedono.

L'interesse protetto dalla norma risiede nella volontà del legislatore di scongiurare la creazione di organismi o strutture — che presentano peraltro connotati di tipo quasi militare — comunque in grado di condurre alla perpetrazione di determinati delitti contro la personalità dello Stato; i quali delitti rappresentano proprio i reati-fine delle condotte sanzionate dall'articolo in esame. In definitiva, si intende quindi impedire condotte appartenenti ad una fase prodromica e preparatoria, che siano però potenzialmente atte a perseguire finalità latamente definibili politiche, mediante metodi di lotta non riconosciuti come legittimi dall'ordinamento democratico.

È stata sapientemente evidenziata in dottrina l'esistenza di una sorta di climax, nella tipizzazione codicistica in materia di delitti politici; il legislatore infatti qui — prevedendo forme sempre più allarmanti di aggressione ai beni giuridici protetti — tende ad adeguare in maniera direttamente proporzionale la risposta sanzionatoria. Ciò che dunque tiene tra loro avvinte le varie fattispecie è la crescente pericolosità delle tipologie aggressive; si è infatti così precisato: “Si noti la progressione: dalla istigazione a commettere certi delitti contro la personalità dello Stato (art. 302), alla pubblica istigazione e apologia [art. 303, ormai abrogato, n.d.r.], alla cospirazione politica mediante accordo (art. 304), alla cospirazione politica mediante associazione (art. 305), infine alla banda armata (art. 306)” (Pannain, 1136).

Di recente, si è giustamente evidenziato come il parametro ordinario della tipizzazione penalistica sia rappresentato dagli atti concreti, che si collocano dunque in uno stadio non bloccato alla mera intenzione; trattasi al contrario di atti che presentano già i connotati dell'inizio di esecuzione. Il legislatore può però in via straordinaria — come accade appunto per il delitto di banda armata — elevare al rango di delitto perfetto atti che hanno in verità un carattere meramente preparatorio, così arretrando il confine della rilevanza penale; a patto però che risulti superato un “duplice banco di prova di legittimità costituzionale”. Ossia che si tratti di beni giuridici “indispensabili per la integrità delle istituzioni e la sopravvivenza stessa della società (ad es. struttura costituzionale, stabilità del sistema economico, incolumità e salute pubblica)”; e che “in ossequio ai principi costituzionali di proporzione e offensività”, vengano incriminati solo quegli atti che siano intrinsecamente pericolosi “per quei beni di altissimo rango” (Marinucci, 1).

I soggetti

Soggetto attivo

La figura tipica ha la conformazione classica del reato comune, come si desume dall'utilizzo del termine chiunque per indicarne l'autore; se ne può quindi rendere protagonista sia il cittadino, sia lo straniero. Per il fatto commesso dal militare, si veda il dettato dell'art. 78 c.p.mil.p.

Giova precisare come la presente fattispecie delittuosa — sotto l'aspetto della soggettività — sia scindibile in due figure tra loro nettamente distinte.

L'ipotesi infatti concernente il momento strettamente genetico della banda, dunque la condotta consistente nella formazione della stessa, poggia evidentemente su basi collettive — essendo necessaria la compartecipazione di più agenti — ed ha dunque natura di reato plurisoggettivo; la condotta invece che si risolva nella partecipazione al sodalizio presenta palesemente i connotati del reato monosoggettivo.

Soggetto passivo

Questo è in via esclusivo lo Stato, quale titolare dei beni giuridici aggrediti dalla condotta tipica.

La struttura del reato

Trattasi di un reato che ha carattere permanente; l'aggressione al bene giuridico protetto permane infatti intonsa, protraendosi finché il soggetto agente — in maniera volontaria — mantenga ferma la sua partecipazione alla banda. Ed è — come sopra accennato — un reato che ha natura collettiva, dal momento che presuppone ovviamente la partecipazione di una pluralità di soggetti, almeno con riferimento alle condotte che si collochino nella fase della formazione della banda.

È poi un reato formale, visto che non è necessario — per l'integrazione del modello legale — che il fine avuto di mira dai soggetti agenti venga poi effettivamente attuato. Trattasi infine di un reato di pericolo.

Materialità

La condotta punita

Giova evidenziare come il nostro sistema penale conosca ipotesi in cui è prevista la punibilità di fattispecie associative, per il sol fatto cioè della costituzione del sodalizio. Questo, in sé considerato, rappresenta un'attività ferma allo stadio preparatorio, che non è immediatamente produttiva di una aggressione oggettivamente apprezzabile ai beni giuridici protetti.

Ciò che è quindi oggetto di punizione è la “pericolosità soggettiva dell'entità associativa (e dei suoi componenti)... Cosicché, se difetta l'idoneità oggettiva dell'associazione a causare o a favorire la commissione dei reati-scopo il fatto non è punibile, non perché non pericoloso in concreto, come talvolta si afferma, ma in base al generale criterio teleologico di irrilevanza del fatto concretamente non significativo, poiché estraneo allo scopo dell'incriminazione.” (Mongillo, 1144). Scopo dell'incriminazione penale che è da ricercare, appunto, nell'esigenza di interporre una barriera, rispetto alla possibilità di perpetrazione dei reati-fine; quindi, nella necessità di colpire i fenomeni associativi, proprio in quanto concretamente dotati di una specifica attitudine a consentire la realizzazione dei reati-scopo. Si parla, in questo caso, di reati a dolo specifico d'offesa (Mongillo, ibidem).

Il fatto tipico consiste dunque, in primo luogo, nel costituire una banda.

È quindi necessario interrogarsi sul significato di tale termine. Esso evidentemente restituisce l’idea di una compagine di soggetti, le cui volontà si siano saldamente raggrumate intorno ad una finalità unitaria, unanimemente condivisa da tutti. Occorre poi che si costituisca una struttura, che sia dotata di una pur elementare forma di organizzazione, di predisposizione di ruoli, di ripartizione di competenze; e che tale entità presenti — in relazione al numero, qualità o tipologia dei partecipanti, ovvero alla dotazione di mezzi e strumenti — dei connotati di almeno potenziale idoneità al raggiungimento degli scopi indicati dalla norma stessa.

Restano pertanto escluse dal concetto di banda tutte quelle multiformi aggregazioni spontanee, che a volte nascono sotto forma di meri raggruppamenti scoordinati; gruppi insomma che — sebbene pure dotati di armi — restano però  carenti di ogni organizzazione e di ogni suddivisione di compiti.

Trattasi di concetti che vanno ovviamente interpretati ed adeguati alla specificità del caso concreto. In generale, può solo dirsi che la tendenziale stabilità di tale fenomeno associativo non deve addirittura tramutarsi nella creazione di una entità di tipo propriamente militare (che sia cioè gerarchizzata secondo indicazione di gradi, nonché rigidamente disciplinata quanto a rapporti interni).

L'archetipo normativo esige poi che la banda sia armata.

Osserviamo qui che la disponibilità delle armi rappresenta l'elemento discretivo, rispetto alla fattispecie di mera cospirazione prevista dall'art. 305. È richiesto poi che vi sia una provvista di armi, ma non che esse siano a diretta ed immediata disposizione  -  in maniera indistinta — di tutti i partecipanti al sodalizio. Sarà dunque sufficiente — affinché resti integrato il fatto tipico — che alcune delle persone facenti parte della banda possano disporre di armi.

La mancata cristallizzazione, nel dettato normativo, del numero di soggetti che debbano disporre delle armi, rimette poi anche tale valutazione alla prudente interpretazione del giudice. In dottrina si è peraltro ritenuto che la disponibilità delle armi rappresenti sostanzialmente una garanzia di prosecuzione dell'esistenza e della efficienza operativa della banda. La norma postula quindi che tale dotazione serva sia al fine di contrastare una eventuale azione esterna, finalizzata a causare il dissolvimento del gruppo, sia allo scopo di rendere possibile la commissione dei delitti-scopo. Occorre poi semplicemente che le armi — per quantità e potenza, nonché per collocazione e per immediatezza d’uso — siano adeguate rispetto a tale finalità. È questo in realtà il profilo in base alla quale non sussistono ragioni logiche, perché si debba negare la qualifica di armata ad una banda nella quale anche uno solo dei componenti abbia la disponibilità di un’arma o sia destinato ad adoperarla (Boscarelli, 36).

Indipendentemente poi dal numero dei sodali che si presentino materialmente armati, non è comunque necessario - per l'integrazione del fatto tipico - che le armi stesse vengano materialmente adoperate.

Armi sono qui gli strumenti offensivi di ogni tipo, categoria e grado di capacità lesiva; si tratti dunque di armi bianche o da sparo, proprie o improprie. Sarà quindi semplicemente opportuno operare un richiamo al dettato dell’art. 585

Si è infine giustamente sottolineato come occorra l'effettivo possesso delle armi, le quali dovranno proprio essere in pratica distribuite fra i membri della compagine. Non è invece sufficiente il fatto che le armi vengano solo detenute in un luogo di deposito; quando infatti il legislatore ha considerato sufficiente tale modalità di accantonamento, lo ha specificamente indicato, come avvenuto ad esempio nell'art. 294 (Maggiore, 97).

L’art. 1 l. n. 304/1982, prevede una specifica ipotesi di non punibilità.

I singoli ruoli

Il legislatore — come sopra accennato — non indica quale sia il numero minimo dei partecipanti, perché si possa dire formata una banda, essendo tale decisione rimessa poi all'apprezzamento del giudice. Certo è che, trattandosi di un fenomeno associativo fondato su una base più ristretta dell'associazione a delinquere, sembra sufficiente anche la partecipazione di due soli soggetti, perché si possa creare una banda conforme al modello legale.

Per ciò che afferisce alla descrizione analitica delle diverse condotte previste dal legislatore, ci si può anzitutto riportare integralmente alle definizioni fornite in sede di commento all'art. 270.

È utile riportare rapidamente una plastica definizione che è stata proposta in dottrina, in ordine a tali forme di compartecipazione alla societas sceleris; e dunque: “«Promotore» è chi prende l'iniziativa della formazione; «costitutore» è chi la fonda, mediante provvisione dei mezzi di vita; «organizzatore» è chi coordina l'attività dei singoli componenti in vista del fine comune; «capo» è chi è alla testa ed ha funzioni di comando... «partecipanti» alla banda sono i semplici gregari (Maggiore, 97). Il sovventore è invece colui che dia ausilio alla banda, che elargisca denaro (soprattutto), ma anche armi o munizioni, che insomma fornisca un aiuto che si estrinsechi secondo svariate modalità concrete, ma che sia tale da agevolare il raggiungimento degli scopi della banda. Può anche trattarsi della somministrazione di rifugio, vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione, purché tali forme di sostegno intervengano in favore della banda globalmente considerata e non di singoli componenti della stessa (in tale ultimo caso, infatti, dovrebbe più propriamente trovare applicazione la meno grave ipotesi di cui all'art. 307).

Forme di manifestazione

In relazione al reato in commento può essere applicata la circostanza aggravante prevista dall'art. 1 d.l. n. 625/1979, conv., con modif., in l. n. 15/1980 , allorquando ricorra una finalità di terrorismo o di eversione; tale scopo specifico dell'agire, infatti, non costituisce elemento costitutivo della fattispecie qui esaminata.

Elemento psicologico

Il coefficiente psicologico preteso dalla norma è a nostro avviso il dolo specifico. Questo è rappresentato dalla coscienza e volontà di perpetrare — in prima persona, o mediante condotta agevolatrice dell'altrui esecuzione materiale — uno dei delitti indicati nel dettato dell'art. 302. Pur consci del contrasto esistente sul tema — fra gli interpreti della norma — preferiamo optare per tale soluzione. La quale pare essere ad un tempo quella maggiormente aderente sia al tenore letterale della norma (laddove è espressamente richiesto che la banda venga formata «per commettere uno dei delitti indicati nell'articolo 302», così attribuendo alla formazione del gruppo una finalità specifica e strutturalmente connaturata), sia alla natura prodromica e preparatoria del delitto in esame.

Consumazione e tentativo

Il delitto giunge a consumazione nel momento in cui si costituisca un organismo strutturato, ossia un sodalizio che presenti le caratteristiche pretese dal legislatore.

Si è giustamente osservato come il momento consumativo possa essere differente per i vari partecipanti alla banda, in stretta correlazione con lo specifico ruolo da ciascuno ricoperto (Caringella-De Palma-Farini- Trinci, 69).

Estremamente dibattuta è poi — tra gli interpreti della norma — la questione attinente alla configurabilità del tentativo.

Valorizzandone infatti la strutturazione secondo lo schema del reato di pericolo, parte della dottrina nega l'ammissibilità di tale figura giuridica (Fiandaca-Musco, 46). L'argomento posto a fondamento di tale orientamento muove dalla considerazione che — ove si ammettesse l'ipotesi del tentativo — si finirebbe in realtà per ricondurre entro l'alveo previsionale della norma in esame il cd. pericolo di un pericolo. In contrario avviso — e con opinione alla quale riteniamo di dover aderire — si è però osservato come non sussistano ostacoli di ordine concettuale, nell'ammettere la figura del tentativo; ciò almeno in relazione a tutte quelle condotte che si vadano a collocare - sia cronologicamente, sia sotto il profilo logico - in un momento antecedente, rispetto a quello della costituzione o dell'effettivo armamento della banda (si veda, per tutti, Manzini, 657). In ordine al medesimo tema e per suffragare la tesi dell'ammissibilità del tentativo, si è ad esempio giustamente immaginato il caso in cui “una volta costituita l'associazione, siano stati compiuti atti idonei, diretti in modo non equivoco a dotarla di armi, senza peraltro che queste vengano acquisite” (Nuzzo, in Rassegna Lattanzi-Lupo 2010, 439).

Il rapporto con altri reati

Si tratta di questioni estremamente dibattute, tra gli interpreti della norma.

Un primo punto fermo è rappresentato dal fatto che — laddove la banda ponga in essere alcuno dei delitti per il cui compimento essa è stata appunto costituita — gli autori o compartecipi di tali delitti ne saranno chiamati a rispondere, in concorso materiale con la fattispecie in commento (Antolisei, 1057). Del resto, però, il reato-fine rispetto alla banda armata potrebbe in astratto anche essere la costituzione di un'associazione di carattere sovversivo, ai sensi dell'art. 270. E in questo caso, si è invece giudicato “contraddittorio e incongruo considerare come reato una associazione che ha il fine di costituire un'altra associazione. Si tratta piuttosto di due condotte talmente suscettibili di compenetrazione, che il preteso reato-mezzo già integra il preteso reato-scopo” (Fiandaca-Musco, 46).

Tutti i sodali — secondo le singole forme di responsabilità — potranno infine essere eventualmentechiamati a rispondere dei reati inerenti alle armi. Ciò pare del resto coerente con l'intimo e connaturato legame ontologico, che avvince il possesso delle armi alla fattispecie delittuosa in commento.  

Casistica

La Corte ha definito i diversi concetti della partecipazione alla banda e della costituzione della stessa. La prima è dunque da considerare alla stregua di una ipotesi delittuosa del tutto autonoma, che si sostanzia nell'espressione di una volontà del singolo, tendente ad associarsi ad una compagine già formata in tutti i tratti essenziali; tale adesione, dunque, non è di vitale importanza per la vita e per l'operatività della struttura associativa, che comunque esiste indipendentemente dall'adesione del singolo. Si ha invece la condotta di formazione della banda — e si realizzerà dunque un delitto di tipo plurisoggettivo — laddove si incontrino e combacino tra loro le volontà di più soggetti, i quali condividano lo scopo unitario della creazione di una nuova entità delinquenziale (Cass. I, n. 16549/2010).

Il ruolo dell'organizzatore postula che si esplichi un'attività che — intrapresa contestualmente al momento genetico del fenomeno associativo, oppure anche in epoca successiva — si presenti essenziale per l'operatività, l'efficacia e la permanenza della banda (Cass. VI, n. 2852/2003).

Spetta la qualifica di capo o dirigente della banda a chi svolga — all'interno dell'organigramma della stessa — una funzione apicale, essendo dotato di autonomia discrezionale e di potere decisionale (Cass. I, n. 617/1983; Cass. I, n. 2643/1986 ha peraltro chiarito come non sussistano ostacoli di tipo concettuale ad immaginare che - al vertice della struttura - possano collocarsi una pluralità di soggetti, i quali collettivamente ne assumano la direzione).

Il termine sovventore non esprime qui un concetto di tipo civilistico. Non è quindi indispensabile che vengano effettuate delle prestazioni economiche; è invece un termine da intendere secondo una accezione molto ampia, comprensiva di qualsivoglia tipo di aiuto, che venga prestato a vantaggio della compagine o di alcuno dei componenti della stessa. E allora, anche forme di sostegno quali la somministrazione di vitto o di rifugio possono apparire conformi al paradigma normativo; l'eccezione è qui rappresentata dal caso in cui il vitto o il rifugio intervengano a favore non della banda nella sua interezza, bensì a vantaggio esclusivo di singoli associati: in tal caso, potrebbe restare integrata la meno grave fattispecie di cui all'art. 307 (Cass. I, n. 5601/1985).

In tema di elemento soggettivo, i Giudici di legittimità hanno chiarito come il dolo richiesto dalla norma in commento sia ad un tempo generico (consistente cioè nella volontà cosciente e libera di essere inserito nella banda) e specifico (rappresentato dallo specifico intento di perpetrare — o fare in modo che altri materialmente eseguano — uno dei delitti contro la personalità dello Stato, che sono indicati nel dettato dell'art. 302 (Cass. I, n. 6582/1988). In senso radicalmente difforme, si segnala però altra decisione coeva, nella quale si individua un elemento psichico rappresentato dal dolo specifico. Rappresentato, questo, proprio dalla finalità di perpetrare una determinata e precostituita tipologia di delitti. Discende da ciò la natura della fattispecie in commento, quale reato di mero pericolo rispetto ai beni giuridici protetti, venendo esso realizzato attraverso la mera costituzione della banda armata (Cass. I, n. 1088/1988).

Secondo l'insegnamento della Corte, la circostanza aggravante di cui all'art. 112 n. 1 — integrata allorquando vi siano almeno cinque soggetti che concorrano nel reato — è applicabile anche in quelle fattispecie c.d. a concorso necessario, come l'ipotesi dell'art. 306 comma 1. La suddetta aggravante non è invece compatibile con quelle situazioni nelle quali il numero dei partecipanti — sebbene indicato dal legislatore solo nel minimo e ovviamente non nel massimo — costituisca però già esso stesso un elemento costitutivo del reato, come ad esempio nell'ipotesi di cospirazione politica mediante associazione di cui all'art. 305, ovvero anche nella comune associazione per delinquere ex art. 416 (Cass. S.U., n. 20/1984).

La destinazione delle armi al perseguimento delle finalità proprie della banda rappresenta l'elemento specializzante del reato in esame. Tale dotazione deve avere carattere permanente e non essere invece meramente occasionale; deve inoltre essere riferita al gruppo complessivamente considerato, quale entità strutturata indipendente, tanto che non è indispensabile che sia armato ogni singolo partecipe. La dotazione di armi deve infine essere almeno tendenzialmente idonea al perseguimento degli scopi propri del sodalizio (Cass. I, n. 6582/1988).

Sebbene sia astrattamente ipotizzabile il concorso tra il delitto in esame e la detenzione di quelle armi che rappresentano appunto l'equipaggiamento minimo del gruppo, la mera qualità di promotore, organizzatore, costitutore o dirigente non è ipso facto sufficiente a integrare un concorso del singolo nella detenzione medesima. Occorrerà infatti pur sempre l'acquisizione della prova di un rapporto — pur magari concretizzato in via indiretta — con le armi; o almeno, di una qualunque forma di concorso del singolo in episodi delinquenziali che abbiano visto l'utilizzo delle armi, magari da parte di altri (Cass. I, n. 17574/1989).

Profili processuali

Il reato in esame è reato procedibile d'ufficio e di competenza – in relazione all'ipotesi di cui al primo comma – della Corte d'Assise; diviene invece competente il Tribunale in composizione collegiale, al ricorrere dell'ipotesi tipizzata al secondo comma. È prevista la celebrazione dell'udienza preliminare.

Per esso:

a ) è possibile disporre intercettazioni;

b ) l'arresto in flagranza è previsto come obbligatorio;

c ) il fermo è consentito;

d ) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali, ma solo al ricorrere dell'ipotesi di cui al primo comma.

L'art. 344-bis c.p.p.(Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione), nel testo introdotto dall'art. 2 lett. a) l. 27 settembre 2021, n. 134 (in G.U. n. 237 del 4 ottobre 2021 e in vigore a partire dal 19 ottobre 2021), ha previsto che – in presenza di giudizio di impugnazione particolarmente complesso, tanto in relazione al numero di parti o imputazioni, quanto con riferimento alla complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare – possa disporsi una prima proroga del relativo giudizio. Tale proroga potrà avere la durata di un anno per il giudizio di appello e di un anno e sei mesi per quanto attiene al giudizio di cassazione ed è adottata con ordinanza motivata; trattasi di ordinanza poi ricorribile in Cassazione senza che si produca alcun effetto sospensivo sul giudizio, ad opera dell'imputato e del Difensore e ciò entro il termine – previsto a pena di inammissibilità – di cinque giorni, decorrente dalla lettura del provvedimento o, in mancanza, dalla notificazione dello stesso. Il medesimo art. 344-bis comma 4 c.p.p. ha poi inserito la fattispecie di cui al secondo comma della norma in commento, fra quelle per le quali sono consentite ulteriori proroghe (successive quindi a quella succitata, come detto pari a un anno per l'appello e a un anno e sei mesi per la cassazione).

Esclusione dall’indulto

L’indulto concesso con l. n. 241/2006 non si applica, ex art. 2 n. 9) stessa norma, ai fatti previsti dal presente articolo.

Bibliografia

Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, II, Milano, 1986; Boscarelli, voce Banda armata, in Enc. dir., Milano, 1959; Caringella-De Palma-Farini-Trinci, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, Roma, 2015; Fiandaca-Musco, Diritto Penale - Parte speciale, 1, Bologna, 1988; Maggiore, Diritto Penale, II, t. I, Bologna, 1958; Manzini, Trattato di diritto penale italiano, IV, Torino, 1950; Marinucci, Soggettivismo e oggettivismo nel diritto penale. Uno schizzo dogmatico e politico-criminale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2011, n. 1; Mongillo, Il principio di offensività tra costituzionalizzazione e codificazione, in Giur. merito, 2001, n. 4; Pannain, in Nss. D.I., diretto da Azara ed Eula, XII, Torino, 1979.

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