Codice Penale art. 316 - Peculato mediante profitto dell'errore altrui 1 2 .

Angelo Valerio Lanna

Peculato mediante profitto dell'errore altrui 1 2.

[I]. Il pubblico ufficiale [357] o l'incaricato di un pubblico servizio [358], il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, giovandosi dell'errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni [323-bis; 381 2a, 4 c.p.p.].

[II]. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000.3

 

competenza: Trib. collegiale

arresto: facoltativo

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite; v. artt. 289 2 e 3915 c.p.p.

procedibilità: d'ufficio

[1] Articolo così sostituito dall'art. 2 l. 26 aprile 1990, n. 86.

[2] Per la confisca di denaro, beni o altre utilità di non giustificata provenienza, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta, v. ora artt. 240-bis c.p., 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e 301, comma 5-bis,d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (per la precedente disciplina, v. l'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., in l. 7 agosto 1992, n. 356).

[3] Comma aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75, in vigore dal 30 luglio 2020.

Inquadramento

Delitto inserito nel Capo primo del Titolo Secondo del Libro Secondo del Codice; dunque collocato — sotto il profilo sistematico — tra i delitti contro la pubblica amministrazione, nonchè in particolare fra i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. L'attuale veste assunta dalla norma è il risultato dei successivi interventi attuati dall'art. 1 l. n. 86/1990 e, da ultimo, dal d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75.

Il bene giuridico protetto dalla disposizione normativa in commento è da ricercare nel buon andamento della pubblica amministrazione, oltre che nella conservazione dell'agire amministrativo in una condizione di imparzialità.

Trattandosi peraltro di reato pacificamente plurioffensivo, vengono altresì tutelati — sebbene in maniera marginale — gli interessi patrimoniali e di altro genere riconducibili al privato titolare dei beni appresi dal soggetto agente. In via derivata è poi tutelata anche la buona fede del soggetto estraneo alla pubblica amministrazione, che a questa abbia consegnato alcunché a causa di un errore (Fornasari, 139).

Si ritiene anche che la figura delittuosa ex art. 316 miri ad assicurare l'ossequio — esigibile da parte di chi si trovi ad esercitare funzioni comunque di natura pubblica — ai doveri di onestà e rettitudine.

La ragione del minor rigore sanzionatorio — rispetto all'ipotesi di peculato comune — è forse da rintracciare nel fatto che la condotta antigiuridica origina non da un comportamento attivo del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, bensì da un errore di terzi.

I soggetti

Soggetti attivi (rinvio).

Trattandosi di reato proprio, i possibili soggetti attivi del reato sono gli stessi che sono stati già indicati, allorquando si è sviscerato l'analogo profilo, in sede di commento all'art. 314. A tale parte della trattazione si può pertanto fare ora rinvio.

Il vincolo esistente fra la veste pubblica del soggetto agente e la condotta tipica è più sfumato, rispetto a quanto richiesto in relazione al peculato comune. La norma postula qui, infatti, solo l'esistenza di un rapporto di necessaria occasionalità, di mera contestualità, tra la funzione svolta e le condotte alternative della accettazione o della ritenzione. È dunque sufficiente che la dazione dipenda appunto dal contestuale esercizio della funzione, ovvero che la ritenzione sia ricollegabile alla carica ricoperta o al servizio svolto.

Si deve soltanto aggiungere che, laddove del reato si renda protagonista un militare, troverà applicazione il disposto dell'art. 218 c.p.mil.p.

Soggetto passivo

Lo Stato è il soggetto passivo generale di tutti i reati contro la pubblica amministrazione. La strutturazione del modello legale in esame quale reato plurioffensivo, però, comporta che soggetto passivo dello stesso possa divenire anche il privato titolare dei beni oggetto della condotta tipica.

Sul punto, peraltro, è forse utile rammentare come l'agire cristallizzato nel dettato normativo — consistente nel ricevere o nel ritenere indebitamente alcunché — possa esplicarsi tanto su cose appartenenti ad un privato, quanto su cose di pertinenza della stessa pubblica amministrazione (è il caso in cui ci si giovi, ad esempio, dell'errore commesso da altro soggetto, al quale parimenti spetti la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio).

Per la nuova fattispecie – che è stata introdotta dal d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75 e che deve risultare lesiva degli interessi finanziari dell'Unione europea - si veda quanto riportato sub 4.1. Alla luce di tale novella, occorrerà pertanto includere anche l’Unione europea,fra i possibili soggetti passivi della fattispecie in commento.

L'errore altrui

Il presupposto - ossia l’antefatto logico e naturalistico del modello legale - è rappresentato dall'esistenza di un errore da parte del soggetto offerente. Significa che un rappresentante della pubblica amministrazione, ovvero un privato, deve erroneamente consegnare denaro o altra utilità ad un pubblico ufficiale o a un incaricato di pubblico servizio. La dazione deve essere spontanea, dunque causalmente ricollegabile — in via esclusiva — all'errore prodromico. Non deve quindi essere determinata da alcun comportamento fraudolento eventualmente serbato da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che vadano poi a ricevere la res.

Si è poi giustamente sottolineato come l'errore del soggetto che compia la dazione indebita debba incentrarsi “sull'an o sul quantum debeatur, e non sul pubblico ufficiale delegato alla riscossione” (Gambardella, 383); un errore che eventualmente cadesse sull'esatta individuazione del soggetto destinatario, con conseguente trasferimento della res a pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio a ciò istituzionalmente non deputato, infatti, comporterebbe la configurabilità del peculato comune ex art. 314.

Gli interpreti più accorti della norma hanno operato una distinzione concettuale fra l'errore e l'ignoranza. Quest'ultima si sostanzia infatti nella mera carenza di nozioni riguardo una certa situazione: è dunque niente altro che la mancanza di conoscenza; l'errore si impernia invece su una falsa rappresentazione della realtà fenomenica o giuridica. Pur nella differenziazione dei concetti, occorre però pur sempre — perché possano dirsi integrati gli elementi costitutivi della fattispecie in commento — che vi sia, da parte del soggetto agente, un approfittamento dell'errore o dell'ignoranza (De Luca-Segreto, 158).

Materialità

La condotta punita

A differenza di quanto avviene in relazione all'ipotesi del peculato comune, non vi è qui soltanto una condotta genuinamente definibile appropriativa. Questa appare piuttosto come la conseguenza e, in sostanza, lo stadio finale del fatto tipico.

Viene infatti in primo luogo tipizzata la condotta serbata dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio, la quale consista nel fatto di ricevere o di ritenere l'oggetto materiale (denaro o altra utilità). Il verbo ricevere rimanda al concetto di accogliere, gradire una certa dazione indebita, senza che il soggetto agente rifiuti il trasferimento della res; si tratta perciò di un concetto che postula l'accoglimento di qualcosa — di cui non era dovuta la dazione — che venga volontariamente trasferita ad opera del soggetto passivo.

In caso di particolare tenuità del fatto, potrà trovare applicazione la diminuzione sanzionatoria prevista dall’art. 323-bis.

La norma in commento è stata, come detto, recentemente ampliata e integrata – mediante l’aggiunta dell’ultimo periodo – ad opera del d.lgs 14 luglio 2020, n. 75 (Attuazione della direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale), pubblicato nella G.U. Serie Generale n. 177 del 15.7.2020 e in vigore dal 30 luglio 2020; tale norma rappresenta appunto il recepimento nell’ordinamento italiano della Dir. UE n. 2017/1371 (Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio in data 5 luglio 2017 e “relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale”), concernente specificamente il contrasto in campo penalistico rispetto alle frodi, che siano connotate da una potenzialità lesiva nei confronti degli interessi finanziari dell’Unione europea ed è attuativa della delega di cui all’art. 3 l. 4 ottobre 2019, n. 117 (“Delega al Governo per  il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione  europea  2018”). 

Innalzando dunque il massimo edittale ad anni quattro di reclusione, il Legislatore  ha sostanzialmente introdotto una  fattispecie di reato che pare autonoma, rispetto all’ipotesi principale. L’ultimo periodo dell’articolo in commento – come aggiunto dalla norma succitata - postula infatti anzitutto che la condotta appropriativa sanzionata vada a colpire gli interessi finanziari dell'Unione europea; congiuntamente a tale profilo attinente al soggetto passivo, occorre  che – questa volta in via alternativa – il danno o  il profitto risultino superiori alla soglia di punibilità pari a € 100.000,00. Per sgomberare il campo da possibili perplessità - relative ad una apparente vaghezza contenutistica della nuova figura tipica - si può precisare come la succitata Direttiva UE 2017/1371 chiarisca, all’art. 2, che <<… a) per «interessi finanziari dell'Unione» si intendono tutte le entrate, le spese e i beni che sono coperti o acquisiti oppure dovuti in virtù: i) del bilancio dell'Unione; ii) dei bilanci di istituzioni, organi e organismi dell'Unione istituiti in virtù dei trattati o dei bilanci da questi direttamente o indirettamente gestiti e controllati>>.

Ritenere sta qui a significare invece il fatto di prendere con sé; di mantenere nel proprio spazio fisico e virtuale di disponibilità; di non lasciare uscire dalla propria sfera giuridica. È quindi ciò che accade allorquando il soggetto agente — acquisita per errore altrui la disponibilità di denaro o di altra utilità — prenda cognizione dell'errore in cui è incorso il trasferente e ugualmente mantenga presso di sé la cosa oggetto di dazione (Caringella-De Palma-Farini-Trinci, 157).

La ricezione o la ritenzione incriminate devono infine connotarsi come indebite. Ossia, non essere assistite da alcun titolo legittimante. Il reato resterà pertanto escluso, allorquando il soggetto agente riceva qualcosa che sia comunque dovuta; e ciò, sia nel caso in cui la cosa spetti al soggetto ricevente per sé — quindi in dipendenza di rapporti di natura privatistica — sia laddove essa sia dovuta in riferimento esclusivo alla veste pubblica ricoperta, così in definitiva essendo essa di spettanza della pubblica amministrazione rappresentata (Gambardella, 384).

L’utilizzo del termine indebitamente non deve peraltro essere considerato come una superfetazione, dal momento che il profilo della non spettanza — inerente tanto alla ricezione, quanto alla ritenzione — funge da elemento di discrimine dell’antigiuridicità della condotta. Pare infatti chiaro come una eventuale dazione — con successiva ritenzione — di cose comunque spettanti al pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nella sua veste privatistica (e pertanto, indipendentemente dalla carica o dalla funzione), non risulterebbe riconducibile sotto l’egida normativa della figura tipica in commento. In tal caso, il carattere debito della prestazione eliderebbe il disvalore penale della accettazione o della ritenzione. Alcuni Autori hanno d’altronde sottolineato che — anche laddove fosse stato assente l’avverbio indebitamente — l’accettazione o la ritenzione di cosa a sé spettante quale privato, sarebbero state comunque scriminate ai sensi dell’art. 51, ossia quali manifestazioni dell'esercizio di un diritto (Fornasari, 140).

L'oggetto materiale della condotta

Per ciò che attiene a tale aspetto, deve trattarsi — secondo l'espressa dizione codicistica — di denaro o altra utilità.

In primo luogo, quindi, di monete o banconote che abbiano corso legale in Italia o all'estero. Agli effetti della legge penale, l'art. 458 stabilisce inoltre una assimilazione, tra le monete e le carte di pubblico credito (carte e cedole al portatore emesse dai Governi, e tutte le altre aventi corso legale emesse da istituti a ciò autorizzati).

Il concetto di utilità, poi, non si identifica con quello di cosa mobile, di cui alla disposizione normativa che precede. Vero infatti che una eventuale condotta di ricezione o ritenzione non può che avere ad oggetto una cosa mobile; vero però anche che esistono determinate utilità — rilevanti agli effetti che ora interessano — che non necessariamente sono contenute o comunque materializzate in una cosa mobile. Ciò induce a ritenere che l'oggetto della condotta punita possa consistere anche in una progettazione, in un'invenzione, in una qualunque forma di beneficio o vantaggio; insomma, in una qualsivoglia attività comunque riconducibile all'opera dell'uomo.

In tema, è stata adottata la seguente descrizione, che vale la pena riportare nella sua integralità: “nel concetto di utilità di cui all'art. 316 rientrano non solo le cose mobili, ma anche quelle derivanti dall'altrui fare e non fare ed anche gli oggetti immateriali (l'ideazione di un'opera intellettuale, una formula chimica o matematica). Occorre, però, che si tratti pur sempre di una prestazione idonea a soddisfare un bisogno umano. Integra pertanto il reato de quo il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nell'esercizio delle sue funzioni, giovandosi dell'errore altrui, riceve indebitamente un servizio, quale ad esempio un trasporto aereo gratuito o un pernottamento gratuito da parte dei titolari di detti servizi” (De Luca-Segreto, 162).

Elemento psicologico

Il coefficiente psicologico preteso è il dolo generico. Questo consiste nella coscienza e volontà di compiere l'indebita ricezione o ritenzione dell'oggetto materiale della condotta, che sia già entrato nella sfera di disponibilità del soggetto attivo grazie all'errore altrui.

L'elemento psicologico deve peraltro dirigersi non solo sull'aspetto della condotta in quanto tale, dovendo esso invece giungere a ricomprendere la volontà di trarre vantaggio dall'errore altrui (Alpa-Garofoli, 181).

Un eventuale errore ricadente sulle norme che disciplinano lo svolgimento del servizio o le modalità di acquisizione dei beni, ovvero le competenze dei soggetti incaricati, rileverebbe ai sensi dell'art. 47, escludendo la punibilità.

Consumazione e tentativo

Il reato giunge a consumazione nel momento e nel luogo in cui il soggetto agente acquisisca — con la dovuta coscienza e volontà — la res indebita, ovvero la trattenga, omettendone consapevolmente la restituzione.

Non residuano perplessità, circa la piena configurabilità del tentativo.

Casistica

Secondo il Supremo Collegio, il delitto di peculato mediante profitto dell'errore altrui postula — quale presupposto indefettibile — la spontaneità della dazione, la quale non deve trarre origine dall'azione del soggetto agente, bensì essere cagionata dall'errore dell'offerente. Ciò si desume già dalla lettera espressa della norma, laddove vi è la frase «giovandosi dell'errore altrui», questa rimanda evidentemente all'esistenza di un errore che deve essere preesistente ed indipendente rispetto alla condotta del soggetto agente (Cass. VI, n. 5515/1996 e più di recente, Cass. VI n.6658/2015).

I Giudici hanno poi chiarito come — affinché resti integrata l’ipotesi meno grave di peculato ora in commento — occorra che l’errore vada ad incentrarsi alternativamente sul profilo dell’an o su quello del quantum debeatur. Non avrà alcuna rilevanza, pertanto, l’errore ricadente sull’individuazione del pubblico ufficiale delegato alla riscossione. Se l’errore ha ad oggetto una connotazione soggettiva, come ad esempio accade quando il denaro viene consegnato a soggetto incompetente, si dovrà applicare — in presenza di appropriazione — la fattispecie delittuosa di cui all’art. 314. In tal caso, infatti, resterà del tutto indifferente l’origine dell’errore (Cass. VI, n. 9732/1992).

Profili processuali

Il reato in esame è reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale in composizione collegiale; è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare.

Per esso:

a) non è possibile disporre intercettazioni;

b) l'arresto in flagranza è previsto come facoltativo; il fermo non è consentito;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali, anche fuori dei limiti di pena indicati dagli artt. 274 comma 1 lett. c) e 280 c.p.p., ma solo a seguito di arresto in flagranza (art. 391 comma 5 c.p.p.); è consentita la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, ai sensi dell'art. 289 comma 2 c.p.p.;

d) l'art. 322 ter — come novellato dall'art. 1 l. n. 190/2012 - prevede, in relazione anche al reato di cui all'art. 316, la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo; qualora ciò non sia possibile, è prevista in tali casi la confisca di beni, di cui il colpevole abbia la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.

L'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, conv., con modif., in l. n. 356/1992, prevede - in caso di condanna o di applicazione di pena ai sensi e per gli effetti dell’art. 444 c.p.p. - la confisca di denaro, beni o altra utilità, di cui non venga giustificata la provenienza e di cui — anche per interposta persona — il condannato risulti titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo. Occorre però che denaro, beni o altre utilità appaiano sproporzionati rispetto al reddito dichiarato dal condannato ai fini delle imposte sul reddito, ovvero all'attività economica svolta (v. ora art. 240-bis).

e) Come conseguenza di sentenze definitive o ancora in attesa di passaggio in giudicato, in relazione al delitto in commento, vi è la previsione della incandidabilità alle cariche elettive regionali e negli enti locali provinciali, comunali e circoscrizionali, nonché la previsione della sospensione e della decadenza di diritto per incandidabilità, in relazione alle medesime cariche (si vedano gli artt. 7, 8, 10 e 11 d.lgs. n. 235/2012).

Bibliografia

Alpa-Garofoli, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, t. I, Roma, 2015; Caringella-De Palma-Farini-Trinci, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, Roma, 2015; De Luca-Segreto, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 1995; Fornasari, Peculato, in Bondi-Di Martino-Fornasari, Reati contro la pubblica amministrazione, Torino, 2004.

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