Codice Penale art. 316 ter - Indebita percezione di erogazioni pubbliche 1 2 3 4 .

Angelo Valerio Lanna

Indebita percezione di erogazioni pubbliche1 2 3 4.

[I]. Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'articolo 640-bis, chiunque mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, sovvenzioni,5finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri6. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni se il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.0007.

[II]. Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a 3.999,96 euro si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da 5.164 euro a 25.822 euro. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito8.

 

competenza: Trib. collegiale

arresto: non consentito (1° comma primo periodo); facoltativo (1° comma secondo e terzo periodo)

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita

altre misure cautelari personali: v. 2892 c.p.p.

procedibilità: d'ufficio

[1] Articolo inserito dall'art. 4, comma 1, l. 29 settembre 2000, n. 300. V. art. 15 l. n. 300, cit.

[2] La parola «pubbliche» è stata sostituita alle parole «a danno dello Stato» dall'art. 28-bis, comma 1, lett. c), n. 1), d.l. 27 gennaio 2022, n. 4, conv., con modif., in l. 28 marzo 2022, n. 25, in sede di conversione. Precedentemente la medesima modifica era stata disposta dall'art. 2, comma 1, lett. c), n. 1, d.l. 25 febbraio 2022, n. 13, abrogato dall'art. 1, comma 2, l. n. 25/2022, cit. Ai sensi del medesimo comma 2, restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo d.l. n.13/2022, cit.

[3] In tema di responsabilità amministrativa degli enti v. art. 24 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.

[4] Per la confisca di denaro, beni o altre utilità di non giustificata provenienza, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta, v. ora artt. 240-bis c.p., 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e 301, comma 5-bis,d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (per la precedente disciplina, v. l'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., in l. 7 agosto 1992, n. 356).

[5] La parola «sovvenzioni,» è stata inserita dall'art.28-bis, comma 1, lett. c), n. 2), d.l. 27 gennaio 2022, n. 4, conv., con modif., in l. 28 marzo 2022, n. 25, in sede di conversione. Precedentemente la medesima modifica era stata disposta dall'art. 2, comma 1, lett. c), n. 2, d.l. 25 febbraio 2022, n. 13, abrogato dall'art. 1, comma 2, l. n. 25/2022, cit. Ai sensi del medesimo comma 2, restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo d.l. n.13/2022, cit.

[6] Periodo aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. l), l. 9 gennaio 2019, n. 3in vigore dal 31 gennaio 2019.

[7] Periodo aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75, in vigore dal 30 luglio 2020. A norma dell'art.7, comma 1, d.lgs. n. 75/2020, cit., il riferimento alle parole «Comunità europee» deve intendersi ora come riferimento alle parole «Unione europea».

[8] Per un'ipotesi di aumento della sanzione nei casi di indebita percezione del contributo erogato in seguito all'emergenza epidemiologica da Covid-19, l'art. 58, comma 8, del d.l. 14 agosto 2020, n. 104 conv., con modif., in l. 13 ottobre 2020, n. 126, ha disposto quanto segue: «8. Salvo che il fatto costituisca reato, l'indebita percezione del contributo, oltre a comportare il recupero dello stesso, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio del contributo non spettante. Ai fini dell'applicazione del presente articolo, l'ammontare di cui al secondo comma dell'articolo 316-ter del codice penale è elevato a 8.000 euro.».

Inquadramento

Delitto inserito nel Capo primo del Titolo Secondo del Libro Secondo del Codice; dunque collocato — sotto il profilo sistematico — tra i delitti contro la pubblica amministrazione, in particolare fra i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. La norma è stata introdotta nell'ordinamento dall'art. 4, comma 1,  l. 29 settembre 2000, n. 300, quale esecuzione di obblighi scaturenti dalla “Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee” (nota come Convenzione Pif), siglata a Bruxelles il 26 luglio 1995. È la norma che completa il quadro degli interventi repressivi statali nel settore delle pubbliche erogazioni, affiancandosi alle fattispecie ex artt. 316-bis e 640-bis, oltre che alla previsione di cui all'art. 2 l. 23 dicembre 1986, n. 898.

La presente disposizione codicistica è stata modificata dall'art. 28-bis, comma 1, lett. c), d.l. 27 gennaio 2022, n. 4, conv., con modif., in l. 28 marzo 2022, n. 25, in sede di conversione, che ne ha modificato la rubrica, sostituendo le parole «a danno dello Stato» con la parola «pubbliche». La medesima novella è inoltre intervenuta sul testo del primo comma, inserendo dopo la parola «contributi» la parola « sovvenzioni>>. Precedentemente la medesima modifica era stata disposta dall'art. 2, comma 1, lett. c), d.l. 25 febbraio 2022, n. 13, abrogato dall'art. 1, comma 2, l. n. 25/2022.

Questa disposizione punisce l'indebito ottenimento — per il tramite dell'utilizzo di dati o notizie non veritieri — di somministrazioni finanziarie a carico del “Fondo europeo agricolo per lo sviluppo” e del “Fondo europeo agricolo di garanzia rurale”, abitualmente denominati con l'acronimo Feoga (Bonilini-Confortini, 1586).

Il bene giuridico oggetto di tutela è qui costituito dalla libertà nel procedimento formativo della volontà della pubblica amministrazione, con particolare riguardo alla distribuzione delle risorse finanziarie. La norma ha peraltro colmato un evidente vuoto prima esistente, nella repressione delle condotte che conducono all'illecito ottenimento di risorse di provenienza pubblica. Ha infatti anticipato la soglia della punibilità anche a fatti non conformi al paradigma normativo di cui all'art. 640-bis, ma che comunque sono espressione di una marcata antigiuridicità (Caringella-De Palma-Farini, Trinci, 163). Sembra dunque evidente come vi sia — accanto all'esigenza di salvaguardia della libera formazione della volontà della pubblica amministrazione — anche una esigenza di tutela di tipo più strettamente patrimoniale, attinente all'esigenza di controllo circa l'impiego di risorse pubbliche.

I soggetti

 

Soggetto attivo

La disposizione normativa in esame sembra configurare un classico reato comune, come dimostrato a sufficienza da un argomento letterale, ossia l'utilizzo del termine chiunque per indicarne l'autore. Parte della dottrina ha in verità ritenuto trattarsi di un reato proprio, perpetrabile non da qualunque soggetto in maniera indifferenziata, bensì solo da chi tenti di conseguire una certa erogazione, mediante la condotta tipizzata dall'articolo stesso.

Sembra però preferibile la teoria che definisce il paradigma tipico in esame come un reato comune, apparendo in realtà insuperabile già il mero dato testuale (si veda, per una disamina delle diverse opinioni, Gambardella, 399).

Non vi è chi non rilevi, inoltre, come il reato possa essere realizzato esclusivamente da un soggetto estraneo alla pubblica amministrazione. Cosa che rende davvero poco coerente — sotto il profilo sistematico — la collocazione dello stesso nel Capo del Codice dedicato ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

 Il soggetto che abbia la semplice veste di cointestatario del conto corrente, sul quale sia periodicamente accreditata la pensione spettante ad un soggetto deceduto e che non renda noto all'Inps l'avvenuto decesso del contitolare del conto, non commette il delitto ex art. 316-ter. Ciò in quanto non è a questi ascrivibile una omissione di informazioni dovute, a meno che tale soggetto non faccia parte della categoria di soggetti individuati dall'art. 72 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (congiunti, conviventi o – laddove questi manchino - persona informata del decesso) i quali siano ex lege obbligati a dare comunicazione del decesso (Cass. VI, n. 14940/2018).

Soggetto passivo

Questo è sicuramente da identificare nello Stato, negli altri enti pubblici e nelle Comunità europee, quali soggetti titolari dei beni giuridici offesi dalla condotta.

Per quanto concerne le condotte offensive di interessi finanziari dell'Unione europea, si veda quanto amplius riportato infra.

Modifiche introdotte dalla l. n. 3/2019

La  legge c.d. Anticorruzione (Legge 9 gennaio 2019, n. 3, in G.U. n. 13 del 16 gennaio 2019, vigente al 31 gennaio 2019, "Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici") ha introdotto una forma aggravata del modello legale in commento. È infatti previsto che - allorquando del fatto si renda protagonista un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, con abuso di qualità e poteri – la pena edittale sia la reclusione da uno a quattro anni. Si delinea quindi qui – con tutta evidenza – un reato non più comune, bensì proprio, in quanto perpetrabile esclusivamente da chi rivesta una delle caratteristiche soggettive sopra indicate.

La struttura del reato

Trattasi di un reato che ha natura sussidiaria rispetto alla fattispecie di cui all'art. 640 bis, come dimostra la clausola che costituisce l'incipit del dettato normativo («Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'articolo 640-bis»).

La fattispecie delittuosa configura inoltre, come detto, un reato comune, oltre che di pericolo. Infine, dal momento che le modalità attuative della condotta punita risultano rigidamente indicate nella lettera della norma, si deve ritenere che si sia in presenza di un reato a condotta vincolata.

Materialità

 

La condotta punita

Questa presenta una duplice struttura alternativa. Nel senso che il fatto cristallizzato nella norma può essere realizzato tanto mediante una condotta di tipo commissivo, quanto attraverso una condotta semplicemente omissiva.

La prima modalità esecutiva — di carattere commissivo — resta integrata attraverso l'utilizzo o comunque la presentazione, ai pubblici funzionari incaricati del vaglio, di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere. Per ciò che concerne l'analisi dei termini adoperati, si dirà brevemente quanto segue. Utilizzare significa servirsi di qualcosa, che però non viene “prodotto” o allegato, ossia trasferito materialmente nella sfera di disponibilità del destinatario (è il caso, ad esempio, di chi si limiti a riassumere il contenuto di un determinato documento, senza però farne oggetto anche di produzione al funzionario incaricato del vaglio). Il verbo presentare è qui sinonimo di esporre, mostrare o far conoscere. Documento è l'atto scritto — manualmente o mediante l'utilizzo del computer — che contenga dati, nozioni o notizie; a tale ampia categoria vanno ricondotti anche i documenti informatici, fonici o audiovisivi. La dichiarazione — a differenza del documento — è una manifestazione solo verbale, non cristallizzata in un supporto.

La norma in commento è stata recentemente ampliata e integrata – mediante l'aggiunta di un ultimo periodo al testo del primo comma – ad opera del d.lgs 14 luglio 2020, n. 75 (Attuazione della Direttiva UE 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale), pubblicato nella G.U. Serie Generale n. 177 del 15.7.2020 e in vigore dal 30 luglio 2020; tale norma rappresenta appunto il recepimento nell'ordinamento italiano della Dir. UE n. 2017/1371 (Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio in data 5 luglio 2017 e “relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale”), concernente specificamente la repressione mediante l'utilizzo degli strumenti penalistici delle frodi, che siano connotate da una attitudine lesiva nei confronti degli interessi finanziari dell'Unione europea ed è attuativa della delega di cui all'art. 3 l. 4 ottobre 2019, n. 117 (“Delega al Governo per  il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione  europea  2018”). 

Fissando il massimo edittale ad anni quattro di reclusione, il Legislatore  ha introdotto sostanzialmente una  fattispecie di reato che pare autonoma rispetto all'ipotesi principale. L'ultimo periodo del primo comma dell'articolo in commento - come aggiunto dalla norma succitata - postula infatti anzitutto che la condotta sanzionata risulti lesiva nei confronti degli interessi finanziari dell'Unione europea; congiuntamente a tale profilo inerente all'identificazione del soggetto passivo, occorre  che – questa volta in via alternativa – il danno o  il profitto risultino superiori alla soglia di € 100.000,00.

I dubbi concernenti un possibile deficit di tipicità della fattispecie  possono essere superati ricordando come la succitata Direttiva UE n. 2017/1371 chiarisca, all'art. 2, che <<… a) per «interessi finanziari dell'Unione» si intendono tutte le entrate, le spese e i beni che sono coperti o acquisiti oppure dovuti in virtù: i) del bilancio dell'Unione; ii) dei bilanci di istituzioni, organi e organismi dell'Unione istituiti in virtù dei trattati o dei bilanci da questi direttamente o indirettamente gestiti e controllati>>.

Documenti e dichiarazioni devono poi, per espressa dizione normativa, essere falsi o attestanti cose non vere, secondo una dizione volutamente ampia, che abbraccia ogni tipo di falsità, sia essa ideologica o materiale (Vinciguerra, 292).

La ulteriore condotta — alternativa rispetto a quella sin qui descritta — mediante la quale è possibile integrare il modello legale in commento è di tipo omissivo. Deve ovviamente trattarsi dell'omissione di informazioni dovute. Si è infatti precisato che le “informazioni la cui omissione può integrare la fattispecie dell'art. 316-ter devono essere dovute, devono cioè trovare fondamento in una richiesta espressa dell'ente erogatore nel corso dell'istruttoria finalizzata alla concessione del finanziamento o risultare imposte dal principio di buona fede precontrattualeex art. 1337 c.c.” (Alpa-Garofoli, 187).

Concludiamo sottolineando come sia le dichiarazioni e i documenti (dunque, l'oggetto materiale della forma commissiva di manifestazione della condotta), sia le omissioni devono naturalmente presentarsi determinanti; sarebbe a dire: causalmente efficienti, in relazione all'esito positivo del percorso burocratico che conduce all'erogazione economica finale. Segnaliamo come - iIn caso di particolare tenuità del fatto - possa trovare applicazione la diminuzione sanzionatoria prevista dall'art. 323-bis.

L'oggetto materiale della condotta

Questo è rappresentato da contributi, finanziamenti, mutui agevolati o, con dizione volutamente aperta e onnicomprensiva, da altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate. L'esame dei termini adoperati dal legislatore risulta in realtà abbastanza agevole, non essendovi ostacoli nello sposare una interpretazione sostanzialmente letterale del dettato normativo.

Così, per contributi non può che intendersi le dazioni effettuate dalla pubblica amministrazione o da altri enti pubblici, in assenza di corrispettivo gravante sul privato beneficiario. Si tratta dunque di trasferimenti economici motivati da specifiche finalità di interesse pubblico, in relazione alle quali non si instaura un sinallagma e che quindi non comportano un obbligo di restituzione. I finanziamenti sono i trasferimenti di risorse che sottendono — a carico del soggetto che li percepisca — un obbligo di utilizzo per finalità determinate. Mutui agevolati sono niente altro che i medesimi contratti che si svolgono in ambito privatistico, ma che sono qui connotati dall'esistenza di tassi d'interesse che, per il mutuatario, risultano particolarmente convenienti (o comunque maggiormente vantaggiosi, rispetto a quelli normalmente praticati, per il medesimo tipo di obbligazioni, nel libero mercato). Vi è poi una locuzione aperta, di vastissima significazione («altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate»), che evidentemente tende a ricondurre sotto l'egida normativa della fattispecie in esame altri trasferimenti economici che — sebbene assimilabili alle categorie tipologiche tipizzate, quanto a funzioni e contenuti — vengano soltanto diversamente qualificate.

Elemento psicologico

Il coefficiente psicologico preteso dal tipo legale in esame è il dolo generico. La forma omissiva di realizzazione del modello legale, inoltre, presuppone pacificamente la conoscenza — da parte del soggetto agente — delle informazioni rilevanti e della incidenza di queste sulla spettanza delle erogazioni. Per maggior chiarezza. Occorre che il soggetto sia, ad un tempo, conscio dell'esistenza di determinati dati; che sia a conoscenza del fatto che questi possano essere rilevanti, ai fini dell'ottenimento dell'aiuto pubblico; che volontariamente ometta, infine, la trasmissione di tali informazioni.

Consumazione e tentativo

Il delitto in esame giunge a consumazione nel momento e nel luogo in cui il soggetto attivo ottiene l'indebita erogazione. La norma postula evidentemente — ai fini della consumazione del reato — che il soggetto agente percepisca, materialmente o sotto forma di disponibilità giuridica, una erogazione a lui non spettante.

Si è osservato che — nel caso di erogazione rateizzata — il reato si consuma allorquando cessi la corresponsione dei pagamenti periodici. In caso di versamento in conto corrente, inoltre, la consumazione coincide con l'accredito disposto dall'ente; questo sarà quindi anche il momento rilevante in tema di inizio del termine prescrizionale, nonché di individuazione della competenza territoriale (Gambardella, 404).

Non sembrano esservi difficoltà di natura tecnica o logica, nell'ammettere la configurabilità della figura del tentativo.

L'illecito amministrativo

Il secondo comma della disposizione normativa in commento indica un limite minimo di rilevanza penale, pari alla somma di euro 3.999,96, poi elevata a € 8.000,00, grazie all’intervento dell’art. 58 comma 8 del d.l. 14 agosto 2020, n. 104, convertito con modifiche in L. 13 ottobre 2020, n. 126); sotto tale soglia, quindi, la condotta posta in essere integrerà una mera violazione di carattere amministrativo. Si tratta dunque di una linea di discrimine che — ferma restando la condotta materiale posta in essere dal soggetto agente — si fonda su un criterio di matrice esclusivamente quantitativa.

Giova comunque evidenziare come — al fine di determinare il superamento di tale soglia di punibilità — debbano prendersi in considerazione le somme indebitamente percepite nella loro globalità, non facendosi dunque esclusivo riferimento ad eventuali ratei.

La medesima novella sopra citata ha previsto che – a patto che non restino integrate fattispecie delittuose – la percezione indebita del contributo resterà assoggettata non solo al relativo recupero, ma anche ad una sanzione amministrativa pecuniaria di importo doppio rispetto al contributo illegittimamente percepito.

Il rapporto con altri reati

I più scottanti problemi in sede applicativa si pongono, ovviamente, in relazione alla figura tipica di cui all'art. 640bis (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche), rispetto alla quale — come sopra accennato — la norma in commento svolge una funzione residuale. Sotto il profilo squisitamente tecnico-dogmatico, gli interpreti della norma hanno molto dibattuto il tema dei rapporti esistenti fra le due disposizioni. Si è infatti prospettata sia la tesi dell'esistenza di un rapporto di specialità unilaterale per specificazione, sia quella della sussidiarietà (per inesistenza del requisito rappresentato dall'induzione in errore). Proprio la tesi della sussidiarietà — come enunciato in plurime pronunce della Suprema Corte — pare ormai essere prevalente.

Ebbene, la linea di discrimine esistente fra le due fattispecie si colloca non sul dato oggettivo della condotta, bensì sul fragile territorio costituito dall'elemento psicologico del soggetto passivo, occorrendo scandagliare quale sia l'atteggiamento psichico in cui versi l'amministrazione vittima della condotta. Quindi. Laddove la pubblica amministrazione destinataria si limiti a recepire soltanto — in maniera passiva — atti falsi o dichiarazioni comunque non rispondenti al vero, che siano teleologicamente rivolte all'ottenimento di erogazioni o aiuti di qualsiasi genere, si realizzerà la fattispecie vicaria in commento; ciò che invece qualifica come truffaldina la condotta punita è il dato della induzione in errore dell'amministrazione, che deve risultare effettivamente circuita proprio dalla condotta artificiosa o raggirante del soggetto agente.

Si è però osservato come tale differenziazione possa nella pratica giungere a costituire una vera e propria probatio diabolica, in quanto occorrerebbe verificare se condotte del tutto sovrapponibili sotto l'aspetto materiale abbiano o meno, in concreto, prodotto l'effetto di trarre in errore i funzionari destinatari. Infatti: “... anche da un punto di vista concettuale non sembra affatto agevole percepire il sottile distinguo che separa fra loro una amministrazione «circuita» rispetto a quella che semplicemente «confidi» nella (peraltro doverosa) rispondenza al vero delle dichiarazioni e dei documenti a essa rivolti per ottenere provvidenze di vario tipo. Per altro verso, non è neppure senza significato la circostanza che la falsa «autocertificazione» relativa alle condizioni personali prodotta a un pubblico ufficiale è in sé prevista dalla legge come un reato, così come risponderebbe di falso chi contraffacesse pubbliche certificazioni volte ad attestare quelle stesse condizioni personali” (Macchia, 61).

Del resto, l'attestazione o la dichiarazione debbono presupporsi veritiere, dunque in grado di risultare attendibili per il soggetto che le recepisca; eventuali falsità o omissione, pertanto, comportano ipso facto una ingannevole raffigurazione della realtà fenomenica, che è immediatamente in grado di trarre in errore i destinatari. E dunque, i confini fra le due fattispecie restano estremamente vaghi e fumosi, proprio perché affidati ad una sorta di percezione o deduzione dell'interprete, fondata sulla ricostruzione ex post dell'atteggiamento psichico del soggetto destinatario.

“Ne deriva, dunque, un singolare ricocervo, nel quale il nebuloso tratto distintivo rispetto alla truffa colloca la fattispecie «descritta» dall'articolo 316-ter del cp agli estremi confini di compatibilità con il principio di determinatezza.” (Macchia, 61).

La soluzione che tende a privilegiare il valore dell'esito raggiunto dalla condotta, rispetto all'esame di questa in quanto tale, è stato peraltro oggetto di critiche. Fra tante voci, citiamo le seguenti parole, che a nostro avviso descrivono in maniera davvero esaustiva le difficoltà interpretative esistenti: “..... 1) da un lato, ridimensionando il ruolo della condotta in favore dell'«enfatizzazione» del (solo) risultato, finisce per accentrare la distinzione su un profilo eminentemente psicologico, rappresentato dall'errore in cui sarebbe o meno incorsa l'amministrazione pubblica nella valutazione degli elementi attestativi artificiosamente decettivi. Accertare se quest'ultima sia stata o meno «circuita» o si sia piuttosto limitata a recepire, prendendone atto, i documenti o le dichiarazioni presentate, rievoca una sorta di probatio diabolica, che svilisce l'effettività del criterio discretivo, rimettendo all'interprete l'arduo compito di darvi attuazione nel caso concreto; 2) dall'altro lato, se pressante era parsa l'esigenza di non propendere per un'interpretazione asistematica, che risultasse isolata dal diritto vivente poiché ritagliata «su misura» sulla specifica questione dei rapporti strutturali tra le fattispecie in oggetto, tale condivisibile premura non ha trovato una altrettanto adeguata concretizzazione, proprio in ragione della palese contraddittorietà, già sopra evidenziata, tra le soluzioni proposte circa gli effetti decettivi delle dichiarazioni aventi carattere giuridicamente fidefacente, a seconda che il reato contestato sia il falso ideologico o la truffa, nonostante l'«identità di materia» comprovata anche dal riconosciuto assorbimento del delitto di cui all'art. 483 c.p. nel delitto di cui all'art. 316-ter c.p.” (Bellagamba, 959)

Sembra forse utile precisare come il dibattito concernente il rapporto fra le due figure non costituisca una sterile esercitazione teorica. Al contrario. Ritenere che tra i due modelli legali sussista — come ormai appare comunemente accettato — un rapporto di sussidiarietà e non di specialità comporta infatti che ognuna delle condotte dettagliatamente descritte nell'art. 316-ter può a sua volta andare a integrare, in presenza ovviamente degli ulteriori elementi costitutivi della fattispecie, il fatto tipico ex art. 640 bis. In assenza di elemento specializzante, infatti, l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, così come l'omissione di informazioni dovute, sono tutte condotte in grado di integrare ambedue i modelli legali. I quali, secondo i concetti sopra ampiamente enucleati, si andranno a differenziare su altri versanti (Carcano-Follieri, 497).

La fattispecie tipica exart. 495 (falsa attestazione su qualità personali), resta invece assorbita nell'ipotesi delittuosa in argomento. Stesso rapporto esiste fra la figura tipica in esame ed il falso tipizzato nell'art. 483: allorquando infatti l'utilizzo di falsi documenti o dichiarazioni rappresenti un elemento essenziale del reato di cui all'art. 316 ter, si verificherà tale assorbimento della condotta tipica ex art. 483, nell'alveo previsionale della norma ora in commento. Parimenti assorbita nel paradigma normativo in commento è la figura tipica di cui all'art. 489.

Secondo Cass. SS.UU., n. 16568/2007, ricorrono gli estremi del reato di indebita percezione di elargizioni a carico dello Stato ora in commento e non la fattispecie della truffa aggravata ex art. 640 bis, nella condotta consistente nella indebita percezione – in misura superiore rispetto al limite minimo ivi stabilito - del cd. reddito minimo di inserimento ex D.Lgs. 18.6.1998 n. 237. I Giudici hanno qui anche precisato come l'alveo previsionale ex art. 316 ter assorba i delitti ex artt. 483 e 489, ma non le ulteriori falsità che possano in ipotesi essere perpetrate allo scopo di ottenere l'erogazione, potendosi in tal caso configurare un concorso di reati.

La Cassazione ha chiarito, anche recentemente, come il confine fra il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche ora in esame e la fattispecie di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ex art. 640-bis sia rappresentata dalla carenza – nella prima figura tipica – del requisito dell'induzione in errore mediante la realizzazione di artifici e raggiri. Così si è ritenuto integrato il delitto in commento e non quello di truffa, in relazione alla condotta tenuta da un soggetto che aveva semplicemente mancato di comunicare all'I.N.P.S. di essersi trasferito all'estero, circostanza che gli avrebbe cagionato il venir meno del diritto all'assegno sociale (Cass. II, n. 47064/2017).

Sulla medesima linea interpretativa si è di recente posizionata Cass. II, n. 46857/2021; tale pronuncia ha in primo luogo ribadito la natura sussidiaria della norma in commento, rispetto al modello legale della truffa aggravata (artt. 640, co. 1 e 2 e 640-bis), per essere essa destinata ad essere applicata esclusivamente in relazione a condotte estranee all'area di operatività di quest'ultima fattispecie tipica. La Corte ha poi ricordato trattarsi di fattispecie a struttura complessa composta da due condotte, la prima delle quali deve sostanziarsi immancabilmente in una falsa dichiarazione. Rispetto al fatto tipico della truffa, restano però carenti sia il requisito degli artifici e dei raggiri, sia il profilo della induzione in errore.          La linea di discrimine fra la figura delittuosa in esame e la truffa aggravata si fonda dunque sulla mancanza – fra gli elementi costitutivi della prima -  dell'induzione in errore dell'ente erogatore. Quest'ultimo semplicemente prende conoscenza degli elementi oggetto di autocertificazione ad opera del soggetto agente; non espleta però alcuna attività autonoma di approfondimento, rimanendo ogni accertamento riservato ad una fase successiva, che è però solo eventuale e non necessitata. Trattasi peraltro di principi di diritto ripetutamente affermati dal Supremo Collegio (citiamo anche Cass. F., n. 44878/2019).

La Cassazione si è poi pronunciata anche in ordine alla configurabilità della fattispecie in esame, in presenza dell'indebita erogazione di un finanziamento ex D.L. 8.4. 2020, n. 23 (c.d. decreto liquidità), conv . con mod. i L. 5.6.2020, n. 40 [trattasi come noto della normativa in base alla quale vi è l'ammissione alla garanzia del Fondo di Garanzia per le PMI, in relazione a finanziamenti erogati da banche, intermediari finanziari ex art. 106 T.U.B. (D. IGS. 1.9.1993n. 385) e dagli altri soggetti abilitati alla concessione di credito, in favore di piccole e medie imprese nonché di persone fisiche che espletino l'impresa, le arti o le professioni]. Si è dunque posto il tema della riconducibilità o meno sotto l'egida normativa della figura tipica in esame, della condotta consistente nel rilascio - da parte dell'interessato - di una infedele dichiarazione o autocertificazione, inerente alla sussistenza dei requisiti di legge postulati per il conseguimento di un finanziamento di tal fatta. La Corte ha ritenuto integrato il paradigma normativo in esame, nella condotta di chi ottenga la garanzia – a sua volta condizione imprescindibile, perché vi possa poi essere l'apertura della linea di credito – in forza di un'autodichiarazione, falsamente attestante la sussistenza dei requisiti necessari per l'accesso al finanziamento in condizioni di garanzia. Il decreto liquidità succitato esige infatti esclusivamente la presentazione di una autocertificazione, non essendo demandato all'ente erogatore lo svolgimento di alcuna istruttoria preventiva, rispetto alla materiale erogazione. Una falsa dichiarazione che verta quindi sui danni asseritamente prodottisi sull'attività professionale, in conseguenza della nota situazione emergenziale correlata alla pandemia, nonché sul profilo delle dimensioni dell'azienda, non rappresenta un raggiro propriamente detto, atto a integrare eventualmente gli elementi costitutivi della truffa. Resta invece integrato il paradigma normativo ex art. 316 ter: al finanziatore ingannato non è infatti rimesso l'espletamento di alcuna attività di preventivo e prodromico approfondimento circa la genuinità delle dichiarazioni, potendo egli confidare nella correttezza dei dati autodichiarati dall'interessato. Non vi è quindi alcuna induzione in errore, visto che l'accertamento in ordine alla ricorrenza dei requisiti per l'ammissione al finanziamento garantito ha natura solo eventuale ed è rimesso allo Stato, in una fase successiva rispetto alla attribuzione del prestito.

Casistica

Secondo la Corte, la fattispecie delittuosa in commento si consuma nel momento in cui il soggetto agente consegue la effettiva disponibilità della somma oggetto di erogazione. Con la conseguenza che — nel caso di trasferimenti monetari frazionati in una pluralità di prestazioni — tale momento coinciderà con l'interruzione dei pagamenti. Tale momento sarà quindi anche quello di decorrenza iniziale del termine prescrizionale (Cass. II, n. 48820/2013; sul punto specifico è intervenuta anche Cass. III, n. 6809/2014, a mente della quale il momento consumativo del delitto de quo — in presenza di erogazioni pubbliche conferite con ratei periodici — è da individuarsi nella cessazione dei pagamenti, visto che l'antigiuridicità permane intonsa fino all'interruzione delle riscossioni).

Circa l'esistenza di un rapporto di sussidiarietà del reato in esame, rispetto alla fattispecie di cui all'art. 640 bis, la Cassazione ha precisato che l'inoltro di dichiarazioni o di documenti attestanti cose non rispondenti alla realtà rappresenta qui un fatto radicalmente diverso — sotto il profilo ontologico e strutturale — rispetto agli artifici e raggiri rilevanti per il suddetto delitto di truffa. Nel reato di cui all'art. 316 ter, peraltro, è assente il requisito dell'induzione in errore (Cass. II, n. 46064/2012).

Il delitto previsto dall'art. 495 rimane assorbito dalla fattispecie tipica ex art. 316 ter, quando la falsa attestazione di qualità personali rappresenti un elemento essenziale per la configurazione di tale figura e ne costituisca la modalità di consumazione. (Cass. VI, n. 44230/2012 ; nello stesso senso, si veda anche Cass. II, n. 23163/2016, a mente della quale la linea di demarcazione fra le due fattispecie è segnata dal requisito dell'induzione in errore dell'ente che eroga la prestazione, il quale è qui solo chiamato a prendere atto della ricorrenza di quanto autocertificato, senza dover compiere alcuna attività di accertamento). Ancora in tema di rapporti fra le due fattispecie delittuose exartt. 316-ter e 640-bis - i giudici di legittimità hanno specificato come la produzione all'ente erogatore di una autocertificazione recante dati non rispondenti al vero, allo scopo di ottenere contributi previdenziali non dovuti, integri  gli estremi del modello legale di cui all'art. 316-ter.  Non ricorre infatti il reato di truffa aggravata - bensì quello in commento - tutte le volte in cui l'istituto assistenziale non risulti indotto in errore; ciò in quanto sia semplicemente tenuto ad acquisire nozione di determinati dati prodotti dall'interessato, piuttosto che esser chiamato ad effettuare una autonoma operazione di verifica dei presupposti fondanti l'erogazione (Cass. II, n. 47883/2016).

Il reato di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato assorbe il reato di falso di cui all'art. 483. Ciò si verifica in ogni occasione nella quale la produzione di dichiarazioni o di documenti falsi rappresenti elemento costitutivo della fattispecie in esame, oltre che nel caso in cui la somma erogata non superi la soglia minima di punibilità, pari ad euro 3.999,96, in tal modo venendosi a configurare una vicenda di semplice rilevanza amministrativa (Cass.  S.U., n. 7537/2010; nell'ambito della stessa pronuncia, la Corte ha stabilito che integra il reato di cui all'art. 316-ter la falsa attestazione, prodotta in riferimento all'esistenza delle condizioni di reddito utili a consentire l'esenzione dal pagamento di prestazioni sanitarie, nel caso in cui tali dichiarazioni non producano l'effetto di indurre in errore il destinatario).

La Corte ha ritenuto assorbiti nel reato in esame le fattispecie ex artt. 483 e 489, ma non le altre falsità che possano essere perpetrate, al fine di giungere al percepimento di una data erogazione; tali falsità ulteriori possono infatti eventualmente concorrere con il delitto ex art. 316 ter (il principio è enunciato in Cass. S.U., n. 16568/2007, la quale ha qui ribadito la relazione di sussidiarietà, che lega la fattispecie in esame a quella di cui all'art. 640-bis ed ha poi ritenuto integrato il primo reato, in caso di indebita percezione del reddito minimo di inserimento previsto dal d.lgs 18 giugno 1998, n. 237).

Sussistono gli estremi sia del reato in commento, sia del reato di frode comunitaria  ex art. 2. l. 23 dicembre 1986, n. 898, nel fatto di chi percepisca un contributo agricolo, tralasciando di comunicare all'ente erogatore di esser stato destinatario di misura di prevenzione antimafia in virtù di decreto irrevocabile, sebbene questo abbia ormai smesso di esplicare effetti (Cass. VI, n. 32730/2016).

Secondo Cass. VI, n. 21317/2018 è configurabile il delitto in commento, nel caso di indebita percezione di un voucher erogato da un ente pubblico (nella concreta fattispecie, trattavasi di un buono utile alla partecipazione ad un corso di formazione), dal momento che il dettato normativo, laddove prevede la concessione del beneficio economico come forma alternativa rispetto alla erogazione dello stesso, ricomprende senz'altro il formale conferimento della possibilità di fruire della prestazione economica.

Secondo la notizia di decisione di Cass. VI, 17/11/2022, non integra il reato di peculato la condotta di un consigliere regionale che si appropria di denaro proveniente dal fondo per il funzionamento del gruppo consiliare, avvalendosi di istanze di rimborso suffragate da una documentazione concernente spese sostenute, ma estranee all'espletamento del mandato di consigliere, laddove la legge regionale assegna il controllo sull'inerenza delle spese ed il conseguente rimborso al presidente del gruppo consiliare. A questi è quindi attribuita la disponibilità giuridica del fondo deputato ad assicurare il funzionamento del gruppo. A carico del consigliere regionale che - al fine di incamerare un rimborso – alleghi alla istanza una documentazione relativa a spese affrontate, ma avulse dall'espletamento del mandato di consigliere, deve invece ritenersi integrato il delitto di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all'art. 316-ter. Il reato di peculato è infatti ipotizzabile esclusivamente nel caso in cui emerga un concorso fra il consigliere ed il presidente del gruppo consiliare.

Cass. VI, n. 30770/2023 ha stabilito come ricorra il modello legale in commento, in presenza di una indebita percezione delle erogazioni statali rappresentate dal rimborso delle somme riconosciute dal Ministero della pubblica istruzione in favore dei docenti (il cd. bonus carta del docente), previste dall'art. 1, comma 121, legge 13 luglio 2015, n. 107.

In data 28 novembre 2024, le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione hanno stabilito che:

- nell'ambito previsionale della figura tipica di cui all'art. 316-ter è ricompreso anche l'indebito conseguimento della riduzione dei contributi previdenziali, che sono dovuti ai lavoratori in mobilità assunti dall'impresa, in conseguenza della mancata comunicazione – ad opera di questa – della sussistenza di una delle condizioni ostative fissate dalla legge (art. 8, legge 23 luglio 1991, n. 223 e successive modifiche);

- in presenza di plurime percezioni periodiche di contributi erogati dallo Stato, il delitto ex art. 316-ter deve essere considerato unitariamente, quale reato a consumazione prolungata, derivando da ciò il fatto che la relativa consumazione cessi al momento della percezione dell'ultimo contributo.

Cass. III, n 37248/2024 ha precisato che il paradigma normativo in esame è integrato anche nel caso in cui vengano conseguiti crediti fiscali, grazie all'omessa indicazione - in sede di asseverazione, ovvero nelle attestazioni previste dalla normativa incentivante - delle informazioni dovute, in vista della spettanza della sovvenzione tributaria, oppure di quelle che, autonomamente, valgano a inibire la possibilità di riconoscere la detrazione.

Profili processuali

Il reato in esame è reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale in composizione collegiale; è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare.

Per esso:

a) non è possibile disporre intercettazioni;

b ) l'arresto in flagranza non è consentito per l'ipotesi prevista dal primo comma, mentre lo è nel caso in cui ricorrano gli estremi previsti dal secondo comma della norma; il fermo non è consentito;

c ) per l'ipotesi prevista dal primo comma non sono previste misure coercitive, consentite invece – entro i limiti edittali ex art. 280 c.p.p. - al ricorrere dell'ipotesi di cui al secondo comma della norma; anche in presenza dell'ipotesi di cui al primo comma primo periodo, è comunque consentita l'applicazione della misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, a norma dell'art. 289 comma 2 c.p.p.

L'art. 322-ter — come novellato dall'art. 1 l. 6 novembre 2012, n. 190 — prevede, in relazione anche al reato di cui all'art. 316-ter, la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo; qualora ciò non sia possibile, è prevista in tali casi la confisca di beni, di cui il colpevole abbia la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.L'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., in l. 7 agosto 1992, n. 356 prevedeva, in caso di condanna o di applicazione di pena ai sensi e per gli effetti dell'art. 444 c.p.p., la confisca di denaro, beni o altra utilità, delle quali non venga giustificata la provenienza e di cui — anche per interposta persona — il condannato risulti titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo. Occorre però che denaro, beni o altre utilità appaiano sproporzionati rispetto al reddito dichiarato dal condannato ai fini delle imposte sul reddito, ovvero all'attività economica svolta (v. ora art. 240-bis).

Responsabilità degli enti

Per ciò che attiene alla responsabilità da reato riferibile alle persone giuridiche, si veda l'art. 24 d.lgs. n. 231/2001; tale norma – nel testo recentemente modificato dall'art. 5 d.lgs. n. 75/2020 - prevede le sanzioni pecuniarie per l'ente, laddove il fatto – fra gli altri – ex art. 316 ter sia commesso in danno dello Stato, di altro ente pubblico o dell'Unione europea.

Bibliografia

Alpa-Garofoli, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, t. I, Roma, 2015; Bellagamba, Specialità e sussidiarietà nei rapporti tra truffa aggravata ed indebita percezione di erogazioni pubbliche, in Dir. pen. e proc., 2011, n. 8; Bonilini-Confortini, Codice Penale commentato, a cura di Ronco-Romano, Torino, 2012; Carcano-Follieri, voce Malversazione, V, Pubblica Amministrazione (delitti contro la), in Enc. giur., 12; Caringella-De Palma-Farini-Trinci, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, Roma, 2015; Macchia, Senza l'elemento di induzione in errore della PA escluso il riconoscimento della truffa aggravata, in Guida dir., 2011, n. 12; Madia, Considerazioni in ordine ai rapporti tra l'art. 316-ter c.p. e l'art. 640-bis : quando l'ipertrofia normativa genera disposizioni in tutto o in parte inutili, in Cass. pen. 2003; Valenti, Sovvenzioni pubbliche (frodi nelle), in Dig. pen., XIII, Torino, 1997; Vinciguerra, Diritto Penale italiano - Delitti contro la pubblica amministrazione, Padova, 2008.

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