Codice Penale art. 317 - Concussione (1).Concussione (1). [I]. Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni. (1) Articolo sostituito dall'art. 3, l. 27 maggio 2015, n. 69. Il testo recitava: «Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni». Precedentemente l'articolo era stato sostituito dall'art. 1, comma 75, l. 6 novembre 2012, n. 190. Il testo originale recitava: « Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni». Precedentemente l'articolo era già stato sostituito dall'art. 4 l. 26 aprile 1990, n. 86. competenza: Trib. collegiale arresto: facoltativo fermo: consentito custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoIl delitto di concussione consiste nel fatto del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, abusando della sua qualità o dei suoi poteri. Come risulta dall'entità della pena comminata, il delitto in commento è senza dubbio il reato più grave dell'intero Titolo II del codice penale. La ratio sottostante all'incriminazione in esame va ricercata, principalmente, nell'esigenza di stigmatizzare e prevenire atteggiamenti di sopraffazione da parte dei pubblici funzionari nei confronti dei cittadini; in particolare, l'art. 317 intende sanzionare tutti quei comportamenti che si risolvono in una strumentalizzazione dell'ufficio pubblico al fine di coartare l'autonomia e la libertà del privato. Bene giuridico tutelatoIl bene giuridico tutelato è, innanzitutto, l'imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione (Fiandaca-Musco, PS I, 2002, 205); tuttavia, secondo certa dottrina, la tutela si estende anche al privato, sotto il profilo della sua autonomia di determinazione nei rapporti con la pubblica amministrazione che non può essere limitata o sopraffatta da soprusi o abusi di potere messi in atto dai funzionari medesimi (Antolisei, PS, II, 1999, 299; Segreto-De Luca, 200; Ravagnan, 159; Contra Fiandaca-Musco, PS, I, 2002, 205; Pedrazzi, 350). In ordine a tale profilo, può agevolmente affermarsi, quindi, che il delitto de quo ha natura plurioffensiva; tale ipotesi ricostruttiva risulta inoltre avvalorata dal dato testuale della norma in quanto essa richiede, oltre all'abuso della qualità o dei poteri pubblici, anche la costrizione di taluno a dare o promettere indebitamente denaro o altra utilità. Si tratta, a nostro avviso, di una soluzione interpretativa che esce rafforzata dalla novella del 2012, che ha ristretto la condotta concussoria al suo profilo più penetrante rispetto all'autodeterminazione del privato, ossia la coartazione dell'altrui volontà. Ci si chiede invece se possa ritenersi integrato l'illecito di cui si discorre quando il soggetto passivo sia costretto a dare o promettere qualcosa al pubblico funzionario in conseguenza di un preesistente rapporto di natura privata. Al riguardo, la dottrina maggioritaria ritiene comunque sussistente, anche in queste ipotesi, la concussione, atteso che il pubblico ufficiale, al pari di tutti i cittadini, dovrebbe servirsi, per soddisfare i propri crediti, degli ordinari mezzi predisposti dall'ordinamento, senza avvalersi della sua posizione privilegiata (Antolisei, PS II, 1999, 299; Contra Fiandaca-Musco, PS I, 2002, 213). Di diverso avviso, invece, quella dottrina che esclude la possibilità di qualificare come indebita la promessa, dal momento che essa risulta giuridicamente dovuta (Segreto-De Luca, 269). La giurisprudenza, dal canto suo, sembra allinearsi alla posizione della dottrina maggioritaria, ravvisando la concussione anche nella condotta del pubblico ufficiale che, abusando della propria posizione di potere, compia atti idonei e diretti ad influire sulle trattative con la controparte, al fine di squilibrare, in proprio favore, la par condicio che deve caratterizzare ogni rapporto contrattuale (Cass. VI, n. 5276/1990). Pertanto, in tema di concussione, l'utilità, che il pubblico ufficiale indebitamente si fa promettere o dare, può anche identificarsi in una pretesa di per sé non illecita, ma la cui realizzazione venga ottenuta non con gli strumenti legali apprestati dall'ordinamento, bensì col mezzo della costrizione posta in essere mediante l'abuso funzionale (Cass. VI, n. 31341/2011; Cass. VI, n. 8906/2007, nella quale la Suprema Corte ha ravvisato il delitto di concussione nella condotta di un Maresciallo dei Carabinieri che aveva costretto il responsabile di un sinistro stradale commesso ai suoi danni a risarcirgli il danno subito, prospettandogli nel caso contrario la possibilità di ritiro della patente). La prestazione indebita può anche essere indirizzata ad un terzo, intendendo come tale chiunque sia estraneo alla condotta abusiva del pubblico funzionario. Il reato di concussione, infine, non è escluso dalla circostanza che la vittima versi in una situazione illecita e possa trarre un qualche vantaggio economico dall'accettazione della pretesa del pubblico ufficiale, non essendo previsto il danno del soggetto passivo quale elemento costitutivo del delitto di cui all'art. 317 (Cass. VI, n. 46805/2003). SoggettiSoggetto attivo Il delitto di concussione è un reato proprio, in quanto può essere commesso solo dal «pubblico ufficiale» e dall'«incaricato di pubblico servizio». Occorre rilevare che il soggetto attivo del reato è mutato nel tempo. Nella formulazione originaria del codice Rocco era solo il pubblico ufficiale; poi la riforma dei delitti contro la p.a. operata dalla l. n. 86/1990 vi aveva inserito anche i soggetti incaricati di un pubblico servizio; il novero dei soggetti agenti si è di nuovo ristretto con la riforma operata dalla l. n. 190/2012, che è tornata alla soluzione originaria; da ultimo, la l. n. 69/2015 ha reinserito gli incaricati di pubblico servizio fra i soggetti attivi della concussione. Occorre rilevare che la scelta operata dal legislatore del 1990 non era stata da tutti accolta con favore. Una voce autorevole della dottrina aveva infatti osservato che gli incaricati di pubblico servizio, poiché dotati di poteri più limitati rispetto ai pubblici ufficiali, non sembravano in grado di poter esercitare quella forza psicologica sui privati, idonea a costringere od indurre, tipica del delitto di cui all'art. 317 c.p. (Fiandaca-Musco, PS I, 2002, 205-206; Palazzo, 824). La suddetta ricostruzione muoveva dalla premessa che il metus publicae potestatis (v. infra) costituisse un elemento indefettibile della fattispecie delittuosa di cui trattasi, con la conseguenza che l'illecito in esame sarebbe stato realizzabile soltanto da quei soggetti in grado di spendere poteri di tipo autoritativo. Viceversa, ai più, l'estensione del novero dei soggetti attivi ad opera della riforma del 1990 era apparsa appropriata e doverosa, posto che il fulcro della figura criminis di cui si tratta è da ravvisarsi nell'abuso che, come tale, può colorare anche la condotta dell'incaricato di pubblico servizio (Benussi, 88). Si pensi, ad esempio, al medico che, svolgendo l'attività professionale in una casa di cura privata convenzionata con l'Azienda Sanitaria Nazionale, si fa dare somme di denaro dai suoi assistiti minacciandoli altrimenti di non praticare loro le necessarie cure post-operatorie (l'esempio è tratto da Bottiglioni, 398). Venendo alla riforma del 2010, ad avviso di alcuni, una volta scelto di scorporare dalla concussione le condotte induttive, relegate ad una ipotesi delittuosa minore e residuale (art. 319-quater c.p.), l'eliminazione dal novero dei soggetti attivi degli incaricati di un pubblico servizio risultava coerente con la mancanza in capo ai predetti di quei poteri autoritativi realmente capaci di esercitare una coartazione psicologica sulla vittima (Pulitanò, 12). Altri commentatori, a nostro avviso più condivisibilmente, avevano invece espresso delle riserve su tale ragionamento, in quanto non considerava che anche le minacce degli incaricati di un pubblico servizio possono nella realtà avere un effetto di integrale soggezione del privato (Amato, 14; Spadaro-Pastore, 50; Palazzo, 227; Balbi, 11). La scelta di espellere l'incaricato di pubblico servizio dalla fattispecie di concussione rischiava di condurre ad esiti applicativi irragionevoli, in tensione conflittuale con l'art. 3 Cost. Ed infatti, l'incaricato di pubblico servizio che abusava dei propri poteri per costringere il privato alla dazione indebita avrebbe dovuto rispondere di estorsione, aggravata dall'abuso dei poteri inerenti ad un pubblico servizio (artt. 61, n. 9 e art. 629), con l'irragionevole conseguenza di assoggettarlo ad un trattamento sanzionatorio (da cinque a dieci anni di reclusione, aumentati di un terzo, salvo il bilanciamento con circostanze attenuanti ritenute prevalenti o equivalenti) superiore rispetto a quello previsto per la concussione (da sei a dodici anni di reclusione) (Spadaro-Pastore, 50; Balbi, 11; Dolcini-Viganò, 243) Per quanto riguarda la posizione del funzionario pubblico che ha perduto la qualifica, occorre distinguere tra abuso di poteri e abuso della qualità. Nella prima ipotesi non può trovare applicazione la regola dettata dall'art. 360 perché chi non esercita più il pubblico potere non può abusarne. Viceversa, nel secondo caso la suddetta norma può trovare applicazione se la posizione in precedenza rivestita dal soggetto all'interno dell'amministrazione pubblica era tale da consentirgli ancora di interferire nella sfera degli interessi altrui (Cass. VI, n. 39010/2013, relativa a concussione commessa da un ex dirigente di una Asl che, per le sue relazioni, era in condizione di continuare ad incidere indebitamente sui procedimenti amministrativi di pertinenza dell'ente presso il quale aveva prestato servizio). La concussione non è esclusa qualora il pubblico ufficiale si avvalga dell'opera di un terzo intermediario che agisca in veste di nuncius, senza assumere alcuna autonoma iniziativa. Secondo la giurisprudenza, comunque, in siffatti casi, è pur sempre necessario che la vittima abbia la consapevolezza che il denaro o altra utilità sia effettivamente richiesto dal pubblico ufficiale attraverso l'intermediazione del correo fattosi portatore delle istanze del funzionario. Ne consegue che il pubblico ufficiale deve essere esattamente individuato, benché non nominativamente, poiché a lui va riferito lo stato di soggezione e coartazione venutosi a determinare nella persona offesa (Cass. VI, n. 1319/1994). Soggetto passivo Riguardo al soggetto passivo, aderendo alla tesi della natura plurioffensiva del delitto di concussione, si ritiene tale non solo la pubblica amministrazione, ma anche il soggetto che abbia subito la condotta delittuosa (che può essere anche un soggetto pubblico il quale si venga a trovare in una condizione di soggezione rispetto all'agente: Cass. VI, n. 1306/1997). Nel caso di soggetto incapace, l'opinione prevalente è quella che ritiene necessario, di volta in volta, un accertamento in ordine alla capacità del soggetto medesimo di percepire la coazione, circostanza dalla quale non si può prescindere ai fini della sussistenza del delitto di concussione (Pagliaro, PS II 2000, 128). Va detto che il delitto di concussione è collegato alla obiettiva qualifica di pubblico ufficiale dell'autore del reato e non alla convinzione soggettiva che la vittima ne abbia. È quindi del tutto irrilevante la circostanza che la persona offesa non avesse creduto alla qualità di pubblico ufficiale dell'autore della costrizione Cass. VI, n. 3689/1993). Allo stesso modo, la sussistenza del delitto non è esclusa nel caso in cui il soggetto passivo sia inconsapevole della qualità di pubblico ufficiale oggettivamente propria del suo interlocutore, purché ricorra il rapporto di causa ad effetto configurato nella norma incriminatrice, e cioè il concreto influsso sulla volontà della vittima della condotta realizzata dall'agente mediante un abuso del potere o della qualità rivestiti (Cass. VI, n. 8907/2007). MaterialitàCondotta L'elemento materiale che caratterizza la concussione consiste nel costringere taluno a dare o a promettere denaro o altra utilità, abusando della qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio o dei poteri connessi alle predette qualifiche. La concussione è un reato: a) a forma vincolata: non ogni costrizione assume rilevanza penale, ma solo quella funzionalmente collegata all'abuso della qualità o dei poteri del soggetto pubblico. L'abuso costituisce, dunque, lo strumento utilizzato dall'agente per realizzare l'effetto della coazione. b) che può essere integrato solo da condotte attive. c) di evento, in quanto la condotta deve aver provocato la dazione o la promessa di una indebita prestazione proveniente dalla vittima e indirizzata al soggetto pubblico. Assume, pertanto, rilievo la sussistenza e il consequenziale accertamento giudiziale di un nesso di derivazione causale fra l'azione costrittiva del soggetto pubblico e l'evento di dazione o promessa del soggetto privato, in quanto, se il privato si è indotto spontaneamente alla dazione o alla promessa non si versa nell'ipotesi di cui all'art. 317. L'eliminazione dell'induzione Occorre premettere che la novella del 2012 (con soluzione mantenuta dalla riforma del 2015) ha eliminato la condotta induttiva. Tale novità va letta in correlazione con l'introduzione, ad opera della medesima novella, del nuovo delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.) che punisce, con la reclusione da tre a otto anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità. In sostanza, la precedente concussione è stata “spacchettata” in due fattispecie diverse, a seconda che la condotta del soggetto pubblico nei confronti della vittima sia costrittiva o induttiva, conservando nell'alveo della più grave fattispecie di cui all'art. 317 c.p. solo il nucleo forte della fattispecie previgente rappresentato dalla coazione psichica relativa del soggetto passivo, che recupera così la sua dimensione di reale “vittima” del reato. Ne consegue che le condotte induttive tenute sotto la previgente formulazione dell'art. 317. dovranno essere punite con il trattamento più mite previsto dall'art. 319-quater salvo lo sbarramento del giudicato ai sensi dell'art. 2, comma 4, soluzione che avrà conseguenze di non secondario rilievo sui processi in corso tenuto conto della considerevole riduzione del termine di prescrizione. Per capire il senso di questa modifica, occorre tenere presente che da tempo si dibatteva in dottrina dell'opportunità di mantenere un'autonoma figura di reato in cui il privato, il quale promette o dà al pubblico ufficiale denaro o altre utilità, sia pure perché indotto, va comunque esente da qualsiasi sanzione penale, assumendo invece la veste di vittima del reato. Anche gli organismi internazionali (Greco e Working Group on Bribery) avevano in più occasioni espresso preoccupazione per la deresponsabilizzazione del concusso che avesse conseguito vantaggi dal comportamento del pubblico ufficiale e per la consequenziale tentazione degli inquirenti a privilegiare la qualificazione di fatti corruttivi in termini di concussione in modo da poter fare affidamento nelle dichiarazioni accusatorie rese della “vittima” del reato; veniva poi rilevata la difficoltà di distinguere la concussione per induzione dalle fattispecie contigue come la corruzione, soprattutto nei casi di c.d. concussione ambientale. Come vedremo meglio infra, trattando del nuovo delitto di cui all'art. 319-quater, anche il privato indotto al mercimonio della funzione pubblica trova ora collocazione nei soggetti attivi del reato. Sul punto va, però, considerato che l'apertura della repressione penale anche al privato indotto al mercimonio renderà in futuro più difficile la prova dell'induzione dal lato del soggetto pubblico (ex art. 319-quater c.p.), stante l'evidente interesse al silenzio di una delle fonti di prova più rilevanti, salvo il ricorso a poco commendevoli patteggiamenti per consentirne l'esame ai sensi dell'art. 197-bis c.p.p. (si veda Palazzo, 230, il quale rileva come sarebbe stata più opportuna la previsione di circostanze attenuanti o cause di non punibilità per il privato collaborante, come previsto, ad esempio, dal progetto Cernobbio). La costrizione Venendo allo stato attuale della legislazione, la condotta tipica può estrinsecarsi ora nella sola costrizione. Lo spazio applicativo della “nuova” concussione si è quindi drasticamente ridotto alle sole ipotesi di vera e propria sopraffazione, e ciò giustifica il severo trattamento punitivo della norma in commento, ulteriormente inasprito dal legislatore della riforma (Pulitanò, 12). Il comportamento costrittivo deve risultare funzionalmente collegato all'abuso della qualità o dei poteri del soggetto pubblico. L'abuso costituisce, dunque, lo strumento utilizzato dall'agente per realizzare l'effetto della coazione. La costrizione penalmente rilevante ai sensi dell'art. 317 consiste nell'obbligare taluno, mediante violenza o minaccia, a compiere un'azione che altrimenti non avrebbe compiuto o ad astenersi dal compiere un'azione che altrimenti sarebbe stata compiuta. Va da sé quindi che ai fini della configurabilità del reato di concussione non è sufficiente lo stato di timore riverenziale o autoindotto del destinatario di una richiesta illegittima proveniente da un pubblico ufficiale, neppure quando quest'ultimo riveste una posizione sovraordinata e di supremazia rispetto al primo (Cass. VI, n. 22526/2015). La minaccia consiste, più in dettaglio, nella prospettazione agli occhi della vittima di un male ingiusto, cui questa può sottrarsi solo mediante l'indebita promessa o l'indebita dazione. La minaccia deve essere seria e idonea, secondo l'id quod plerumque accidit, ad insinuare nel soggetto passivo uno stato di timore tale da eliderne o viziarne in maniera significativa la volontà. La minaccia non deve necessariamente concretizzarsi in espressioni esplicite, potendo attuarsi anche mediante una minaccia implicita, allusiva, ovvero che abbia assunto forma esortativa o di metafora, purché sia comunque idonea ad incutere nella persona offesa, in relazione alla personalità dell'agente ed alle circostanze del caso concreto, il timore di un danno ingiusto, così coartandone la volontà. (Cass. VI, n. 33653/2020). Sia la violenza che la minaccia possono essere rivolte nei confronti di un soggetto diverso dalla vittima, purché legato a questa da rapporti tali da produrre effetti costrittivi sulla vittima. Il reato di concussione è configurabile anche se il destinatario della pressione abusiva sia un altro pubblico ufficiale, ma, in tal caso, l'effetto coartante sulla libertà di autodeterminazione deve essere apprezzato con particolare prudenza, in considerazione dell'elevato grado di resistenza che ci si aspetta dal soggetto che riveste la qualifica pubblicistica, il quale, secondo la fisiologica dinamica dello specifico rapporto intersoggettivo, deve rendere recessiva la forza intimidatrice di cui è oggetto (Cass. VI, n. 22526/2015). Mentre la coazione fisica non può che essere assoluta, quella psicologica può essere distinta in assoluta e relativa a seconda che la vittima mantenga o meno una certa libertà di scelta, per quanto esigua, fra il male minacciato dall'aggressore e il male che subirebbe assecondandolo. Al riguardo va comunque precisato che, per giurisprudenza pacifica, non è necessario che la condotta costrittiva posta in essere dal pubblico funzionario determini una coartazione assoluta della volontà del privato, ma è sufficiente che tale volontà non si sia liberamente formata a cagione diretta o indiretta del comportamento criminoso del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio. Da ciò consegue che sussiste la concussione anche quando sia lo stesso privato ad offrire al soggetto pubblico danaro o altra utilità, qualora l'offerta rappresenti non già l'atto iniziale, bensì il logico sbocco di una situazione gradualmente creatasi anche attraverso allusioni o maliziose prospettazioni di danni, che possono consistere anche nella pratica impossibilità di lavorare nel settore pubblico, ovvero nella prospettiva di essere esclusi dagli appalti pubblici in favore di altre imprese (Cass. VI, n. 7876/1992). Vi è da chiedersi se la soluzione debba essere mantenuta ferma anche dopo la riforma operata dalla l. n. 190/2012. Alcuni autori non hanno mancato di rilevare come la ridefinizione del confine fra costrizione e riduzione, ora spartiacque fra fattispecie delittuose autonome punite differentemente, debba comportare la ricostruzione del “nuovo” art. 317 in termini di sola coazione assoluta (Balbi, 9-11; Amato, 14). Altri ritengono invece necessario considerare che l'ambito tipico di estrinsecazione del delitto di concussione è quello dei rapporti di potere, non di coercizione fisica, sicché è ragionevole continuare a ritenere vittima di concussione anche il privato cittadino che si sia determinato alla dazione o promessa non dovuta in stato di coazione relativa (Pulitanò, 12). In ogni caso, a nostro avviso, non può essere sottovalutato il nuovo assetto normativo volto a responsabilizzare il privato prevedendone la punizione in caso di indebita dazione o promessa di denaro o di altra utilità su induzione del funzionario pubblico (art. 319-quater). Potrebbe, quindi, sostenersi che la concussione vada ora circoscritta ai soli casi in cui l'abuso e la condotta prevaricatrice del pubblico ufficiale, e la conseguente pressione sulla volontà del privato, siano così intense da non rendere esigibile una resistenza dello stesso (si vedano anche Spadaro-Pastore, 53). In una delle prime pronunce successive alla riforma del 2012 la Suprema Corte ha ritenuto che la costrizione rilevante ai sensi del “nuovo” art. 317 implica l'impiego da parte del pubblico ufficiale della sola violenza morale, che consiste in una minaccia, esplicita o implicita, di un male ingiusto, recante alla vittima una lesione patrimoniale o non patrimoniale, mentre va esclusa ogni rilevanza alla violenza fisica, incompatibile con l'abuso di qualità o di funzioni (Cass. VI, n. 3251/2012). Sul tema si rinvia al commento dell'art. 319-quater, ove verranno analizzati i confini fra la costrizione (rilevante ex art. 317) e l'induzione indebita (rilevante ex art. 319-quater) alla luce delle importanti prese di posizione delle Sezioni Unite. Qui è possibile anticipare che secondo l'autorevole arresto giurisprudenziale, l'elemento fondante la concussione è la condizione di assoggettamento in cui viene a trovarsi il privato che, per effetto del comportamento prevaricatorio del pubblico funzionario, è costretto, senza alternative, a piegarsi alle indebite richieste del pubblico ufficiale (Cass. S.U., n. 12228/2013). L'abuso della qualità o dei poteri pubblici Come già emerso, la costrizione deve essere funzionalmente collegata all'abuso della qualità o dei poteri pubblici. In mancanza di abuso, la semplice costrizione non può, di fatto, definirsi concussoria. Ciò significa che la richiesta di denaro o altra utilità rilevante ai fini dell'illecito in esame è soltanto quella preceduta da uno o più atti che costituiscono estrinsecazione del concreto abuso della qualità o potere del pubblico ufficiale. Un'indebita richiesta di denaro non è pertanto sufficiente ad integrare l'abuso di cui all'art. 317, potendo al più integrare, ove sia rifiutata, il reato di istigazione alla corruzione (art. 322) (Cass. VI, n. 9730/1992). Ciò premesso, per abuso della qualità si intende la strumentalizzazione da parte del pubblico ufficiale della propria qualifica soggettiva, mentre per abuso dei poteri si intende l'esercizio dei medesimi secondo criteri volutamente diversi da quelli imposti dalla legge. Più nel dettaglio, l'abuso della qualità pubblica consiste nell'utilizzazione per tornaconto personale del ruolo che l'agente ha assunto nell'ambito dell'organizzazione amministrativa e quindi dell'ufficio, distorcendo il suo scopo di servizio a mezzo per limitare o condizionare la volontà degli amministrati, operando con suggestioni o minacce. Non è comunque necessario che l'atto intimidatorio rifletta la competenza specifica funzionale del pubblico ufficiale, potendosi ravvisare una condotta concussiva anche da parte di un soggetto che si sia arrogato abusivamente competenze a lui non attribuite dalla legge (Cass. VI, n. 10604/2014) oppure abbia manifestato la possibilità di interferire presso il competente organo amministratore (Cass. VI, n. 8512/2017, che ha ritenuto sufficiente ad integrare l’abuso della qualità richiesto dall’art. 317 l'evocazione dell'esercizio dei poteri spettanti all'amministrazione di riferimento del pubblico ufficiale). Si ritiene sufficiente anche lo sfruttamento generico della pubblica qualità, senza alcun riferimento al compimento di uno specifico atto del proprio ufficio, purché tale contegno si sia estrinsecato in un univoco messaggio di sopraffazione verso il privato, da lui chiaramente percepibile (se, invece, viene accertato che a seguito di tale contegno si è instaurata fra le parti una dialettica utilitaristica in vista di futuri favori, va esclusa la sussistenza di una concussione, potendosi semmai configurare per entrambi i soggetti la fattispecie di cui all'art. 319-quater). L'abuso dei poteri, invece, si configura tutte le volte in cui il pubblico funzionario utilizza i poteri inerenti alla pubblica funzione in modo distorto o eccedendo i limiti stabiliti dalla legge, ovvero in violazione delle regole giuridiche di legalità, imparzialità e buon andamento. Si tratta, in sostanza, di quelle stesse condotte che nel diritto amministrativo configurano il vizio di eccesso di potere, salvo che, nel caso della concussione, non è necessaria la concretizzazione del potere medesimo in un atto o provvedimento (viziato) della pubblica amministrazione. Come precisato dalla giurisprudenza, l'art. 317, con l'espressione abuso dei poteri, ha inteso dunque far riferimento alle ipotesi di condotte rientranti nella competenza tipica del soggetto, quali manifestazioni delle sue potestà funzionali, per scopo diverso da quello per il quale sia stato investito (Cass. VI, n. 15742/2003; Cass. VI, n. 35901/2017, che, in applicazione dei principi esposti sopra, ha ravvisato l'abuso nella minaccia di revoca di deleghe ad un assessore da parte del Sindaco). L'abuso dei poteri si configura sia nell'ambito dell'attività discrezionale, che in ipotesi di attività vincolata. In quest'ultimo caso, esso si manifesterà nel mancato compimento dell'atto o nell'adozione di un provvedimento diverso da quello prescritto dalla legge; nel primo, invece, l'abuso si concretizzerà tutte le volte in cui della discrezionalità non venga fatto un uso conforme alla valutazione degli interessi pubblici perseguiti (Cass. VI, n. 6091/1994). Prima della riforma del 2012, si riteneva che l'abuso delle funzioni pubbliche potesse essere realizzato anche mediante l'omissione o il ritardo di un atto dovuto (Segreto-De Luca, 227). Era il caso, ad esempio, del pubblico funzionario che ponesse in essere sistemi defatigatori, di ritardo o di ostruzionismo per conseguire la dazione o la promessa di denaro in cambio della sollecita definizione della pratica. La giurisprudenza aveva così ritenuto sussistente il delitto di concussione nella condotta del controllore dei servizi di trasporto pubblico il quale, abusando della sua qualità soggettiva e dei poteri anche certificativi e autoritativi ad essa inerenti, aveva chiesto al passeggero sprovvisto di biglietto di versargli brevi manu una somma, senza redigere un verbale o rilasciargli una ricevuta (Cass. VI, n. 37077/2007). Tuttavia, l'omissione o il ritardo rilevavano come forme di induzione della vittima, di talché il suddetto orientamento deve ritenersi ormai superato, posto che la concussione per costrizione è compatibile soltanto con una condotta commissiva di abuso. Si discute invece circa la configurabilità dell'illecito in esame nell'ipotesi in cui il pubblico ufficiale minacci l'esercizio del proprio legittimo potere per conseguire un'indebita utilità, ovvero per perseguire un fine illecito; si pensi al pubblico funzionario che, accertata a carico di un privato la commissione di un reato, chieda del denaro in cambio dell'omessa denuncia alle Autorità competenti. Al riguardo la giurisprudenza più risalente propendeva per la riconducibilità di tale fattispecie all'art. 317, posto che, anche in siffatti casi, sarebbe comunque ravvisabile un abuso dei poteri nel comportamento del soggetto agente. La migliore dottrina non condivide invece la predetta qualificazione, ritenendo che la minaccia di un uso normale della funzione pubblica non possa configurare, per ciò solo, un abuso, vuoi perché così opinando si finirebbe per identificare l'abuso nella sola direzione finalistica del comportamento dell'agente (orientato verso un fine illecito), vuoi perché a comportamenti leciti e doverosi non potrebbe mai attribuirsi efficacia costrittiva (Fiandaca-Musco, PS, I, 2002, 210, ad avviso dei quali in ipotesi di tal fatta sarebbe ravvisabile il diverso reato di corruzione). Più recentemente, la Suprema Corte ha ritenuto che sussista, invece, il delitto di induzione indebita, di cui all'art. 319-quater, qualora il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, abusando della qualità o dei poteri, per farsi dare o promettere il denaro o l'utilità, prospetti, con comportamenti di persuasione o di convinzione, la possibilità di adottare atti legittimi, ma dannosi o sfavorevoli. (Cass. VI, n. 13047/2013, relativa alla condotta di un sottufficiale della guardia di finanza che, nell'esercizio di attività di verifica, aveva prospettato al titolare di un'azienda il rilievo di gravi irregolarità fiscali, effettivamente sussistenti, e si era, quindi, fatto promettere una consistente somma di danaro). Per la configurabilità del delitto di concussione è irrilevante che l'atto compiuto dal funzionario pubblico sia legittimo o illegittimo, lecito o illecito, in quanto ciò che assume rilevanza non è l'atto in sé, ma l'abuso delle qualità o delle funzioni e la circostanza che la posizione di preminenza prevaricatrice del pubblico ufficiale abbia creato uno stato di timore tale da escludere la libera determinazione della volontà del privato (Cass. VI, n. 9528/2009). Il metus rei publicae potestatis La condotta criminosa del pubblico ufficiale, consistente nella costrizione qualificata dall'abuso, deve determinare la vittima a dare o promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro o altra utilità. Ciò detto, occorre a questo punto interrogarsi sulla rilevanza da attribuire, nell'economia della fattispecie in esame, al c.d. metus rei publicae potestatis. Con tale locuzione si fa in genere riferimento a quel particolare stato di timore e di soggezione in cui versa il privato a fronte della posizione di supremazia ricoperta dal pubblico ufficiale. La giurisprudenza più risalente riteneva che il metus rei publicae potestatis costituisse requisito essenziale del delitto in esame. Tale stato d'animo sarebbe ravvisabile, oltre che nei casi in cui la volontà del privato sia coartata dall'esplicita minaccia di un danno, ovvero sia fuorviata dall'inganno, anche quando sia repressa dalla posizione di preminenza del pubblico ufficiale, il quale, pure senza avanzare esplicite ed aperte pretese, di fatto agisca in modo da ingenerare nel soggetto privato la fondata convinzione di dovere sottostare alle decisioni del pubblico ufficiale, per evitare il pericolo di subire un pregiudizio ed inducendolo così a dare o promettere denaro o altra utilità (Cass. VI, n. 9389/1994). L'opinione più recente, tuttavia, non mostra di condividere tale interpretazione e ritiene che il metus non costituisca un elemento essenziale del reato de quo; in tal senso deporrebbe sia la lettera dell'art. 317, che nulla dice al riguardo, sia la struttura stessa della fattispecie in esame, in cui il timore del pubblico potere può ricorrere così come può non ricorrere, senza che ciò rilevi in maniera significativa in punto di qualificazione della fattispecie. Si ritiene infatti che la costrizione che caratterizza l'ipotesi di concussione non si identifichi necessariamente nella superiorità, nell'influenza o nell'autorità che il pubblico ufficiale può vantare rispetto al privato e, correlativamente, nella soggezione connaturata al rapporto privato-pubblica amministrazione; ciò che occorre è soltanto una costrizione qualificata, ossia prodotta dal pubblico ufficiale con l'abuso della sua qualità o dei suoi poteri, cosicché la successiva promessa o azione indebita sia l'effetto di quella costrizione e cioè conseguenza della coazione psicologica esercitata dal pubblico ufficiale sul privato mediante l'abuso della sua qualità o dei suoi poteri (Cass. VI, n. 52/2002). Non è pertanto necessario che il pubblico ufficiale determini uno stato soggettivo di timore per la vittima, ma è indispensabile soltanto che sussista una volontà prevaricatrice e condizionante in capo all'agente che si estrinsechi in una condotta costrittiva (Cass. VI, n. 23776/2006; Cass. VI, n. 15690/2009). In conclusione, secondo questo orientamento, di metus publicae potestatis può parlarsi solo come abuso della qualità o dei poteri visto dalla parte della vittima e solo in tal senso si può affermare, ma senza aggiungere nulla alla struttura del reato, che esso ricorre nella concussione. Tale stato d'animo, dunque, è requisito ordinario ma non essenziale del reato di concussione: questo sussiste, infatti, anche quando il privato si determina alla prestazione indebita non per timore, ma per evitare maggiori danni o per non avere “noie” (Cass. Sez. VI, n. 4898/2003). La concussione ambientale Non prevista espressamente dal codice penale, ma elaborata in via pretoria, la c.d. concussione ambientale ricorre allorquando il privato ponga in essere un atto di disposizione patrimoniale non perché costretto da un soggetto pubblico, ma perché mosso dal convincimento di doversi adeguare ad una prassi consolidata e tacitamente riconosciuta da ambo le parti. In buona sostanza, in ipotesi di questo tipo il pubblico ufficiale si limita ad eccepire nei confronti del privato l'adempimento di una prassi oramai consolidata, al punto che quest'ultimo percepisce la dazione o la promessa come una tappa indefettibile dell'iter amministrativo. Nello specifico, secondo la giurisprudenza, ai fini della configurabilità del reato di concussione ambientale non è comunque sufficiente l'accertamento di una situazione ambientale in cui sia diffuso il mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della c.d. tangente (ben potendo il cittadino approfittare di meccanismi criminosi in atto per lucrare vantaggi divenendo anch'egli protagonista del sistema), ma è necessario l'accertamento di una situazione caratterizzata da una convenzione tacitamente riconosciuta da entrambe le parti, che il pubblico ufficiale fa valere ed il privato subisce; occorre pertanto che il giudice accerti il concerto atteggiarsi della volontà del pubblico ufficiale e del privato cittadino, nonché il rapporto instaurato tra i due soggetti che deve essere caratterizzato da una pretesa (ancorché implicita ed indiretta) del primo e da una correlativa pressione sul secondo tale da determinarlo in uno stato di soggezione rispetto ad una volontà percepita come dominante (Cass. VI, n. 15690/2009; Cass. VI, n 12175/2005; Cass. VI, n. 450/2002). Occorre rilevare che l'ambito elettivo di applicazione della fattispecie giurisprudenziale in esame è quello della concussione per induzione, e quindi ora della nuova fattispecie di cui all'art. 319-quater, posto che di regola il privato che agisce nell'ambito di sistemi nei quali il mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della “tangente” sono costanti tende ad assicurarsi vantaggi illeciti, approfittando dei meccanismi criminosi e divenendo anch'egli protagonista del sistema. In ogni caso, per privilegiare una interpretazione conforme a Costituzione, occorre un accertamento rigoroso della ricorrenza degli elementi di cui agli artt. 317 o 319-quater, non potendosi affermare la sussistenza del reato sulla base del solo dato ambientale, prescindendo dall'individuazione della condotta specificamente tenuta dal soggetto pubblico. Anche la Suprema Corte, dopo la riforma del 2012, ha statuito che non integra la fattispecie di concussione ex art. 317 o di induzione ex art. 319-quater la condotta di semplice richiesta di denaro o altre utilità da parte del pubblico ufficiale in presenza di situazioni di mera pressione ambientale, non accompagnata da atti di costrizione o di induzione (Cass. VI, n. 11946/2013: nel caso di specie la Corte ha ritenuto integrato il delitto di corruzione per atto di ufficio nel caso di cittadini stranieri che spontaneamente si rivolgevano ad un faccendiere che a sua volta li metteva in contatto con agenti di polizia che, dietro compenso, si interessavano alle pratiche inerenti il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno). Evento L'evento è costituito dalla dazione o dalla promessa di una indebita prestazione proveniente dalla vittima e indirizzata al soggetto pubblico. L'evento deve essere causalmente collegato alla condotta costrittiva dell'agente; se il privato si è indotto spontaneamente alla dazione o alla promessa non si versa nell'ipotesi di cui all'art. 317. Più precisamente, l'illecito in esame si contraddistingue per un duplice nesso di causalità, da un lato, tra l'abuso della qualità o dei poteri e la costrizione e, dall'altro, tra queste e la dazione o promessa (Cass. I, n. 47289/2005). Occorre anche che il privato sia consapevole dell'ingiustizia della prestazione indebita pretesa dal soggetto pubblico. Infatti, se il concusso ignora l'illegittimità della dazione o promessa e, quindi del disvalore insito nell'azione del concussore, non si può affermare che la dazione o promessa sia stata “conseguenza” dell'abuso e, quindi, che la volontà del privato sia stata coartata dalla condotta del pubblico agente (Cass. VI, n. 20195/2009). La dazione implica il passaggio di un bene dalla sfera di disponibilità di un soggetto a quella di un altro soggetto e può assumere, in concreto, le forme più svariate. La promessa è la manifestazione di un impegno ad effettuare in futuro la prestazione; può realizzarsi in qualsiasi modo e non necessita della forma scritta; occorre, tuttavia, che la stessa sia assistita da una seria credibilità. Si ritiene che sia irrilevante ai fini della configurabilità del delitto in esame, la promessa effettuata con riserva mentale, ovvero senza una reale volontà di adempiere e ciò sulla base del fatto che la riserva è confinata nella sfera interiore del soggetto passivo, mentre la promessa rileva per il suo significato oggettivo. Per aversi concussione, è pertanto sufficiente che la vittima si sia determinata ad effettuare la promessa in conseguenza dell'altrui comportamento, non importa con quale intento soggettivo (Cass. VI, n. 18997/2012; Cass. VI, n. 6006/1991) In dottrina, Pagliaro, PS II, 139; Segreto-De Luca, 269. Si discute tuttavia circa la configurabilità della concussione in forma consumata, ovvero soltanto tentata, laddove il privato effettui la promessa con la riserva mentale di non adempiere. Secondo un primo orientamento, in questi casi il delitto in esame non può dirsi consumato, posto che risulta assente, nella mente della vittima, il tipico processo motivazionale determinato dalla intimidazione: il privato, infatti, non subisce la condotta concussoria del pubblico funzionario e, di conseguenza, non promette perché costretto, ma finge. In ipotesi di tal fatta sarebbe dunque al più ravvisabile un tentativo di concussione (Cass. VI, n. 10355/2007; Cass. VI, n. 11384/2003; Cass. VI, n. 6637/1989). Ad analoghe conclusioni (tentativo punibile) si è giunti con riferimento alle richieste e pressioni illecite del pubblico ufficiale intervenute successivamente alla presentazione di denuncia all'Autorità giudiziaria da parte del soggetto passivo (Cass. V, n. 25677/2016, che ha escluso la configurabilità del reato impossibile di cui all'art. 49). In dottrina Fiandaca-Musco, PS I, 2002, 2012; Antolisei, PS II, 1999, 318). Ad avviso invece di una diversa impostazione, ricorre la concussione consumata e non soltanto tentata anche quando la promessa sia stata fatta con la riserva mentale di non adempiere o quando sia stata preavvisata la polizia, in quanto la lesione del bene giuridico tutelato si realizza al momento dell'accettazione della promessa o della realizzazione dell'utilità da parte del pubblico ufficiale, a nulla rilevando che la dazione sia soltanto apparente o la promessa simulata, poiché quel che conta è il fatto oggettivo della compiutezza dell'iter criminoso e non gli eventuali vizi della volontà della parte privata che si risolve a promettere o a dare solo formalmente (Cass. VI, n. 17303/2011; Cass. VI, n. 15742/2003; Cass. VI, n. 10492/1995; Cass. VI, n. 9747/1994; Cass. VI, n. 6006/1991). L'oggetto della dazione o della promessa Sotto la pressione della costrizione, la vittima deve consegnare o promettere al soggetto pubblico o a terzi denaro o altra utilità. Mentre la nozione di denaro è pacifica, il concetto di altra utilità presenta contorni più sfumati. La giurisprudenza ha avuto modo di osservare che tale espressione è idonea a ricomprendere qualsiasi bene che costituisca un vantaggio per il pubblico ufficiale o per il terzo; esso deve essere giuridicamente apprezzabile e può anche non possedere un contenuto economico. Come precisato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, il termine utilità indica tutto ciò che rappresenta un vantaggio per la persona, materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, oggettivamente apprezzabile, consistente tanto in un dare quanto in un facere (o anche in un non facere: Cass. VI, n. 48764/2011) e ritenuto rilevante dalla consuetudine o dal convincimento comune. Ne deriva che i favori sessuali rientrano nella suddetta categoria in quanto rappresentano un vantaggio per il funzionario che ne ottenga la promessa o la effettiva prestazione (Cass. S.U., n. 7/1993). Inoltre, nell’espressione altra utilità può essere ricompreso anche l'accrescimento del proprio prestigio professionale ovvero della propria considerazione nella comunità lavorativa (Cass. VI, n. 21019/2021), ma anche il vantaggio di natura politica, purché esso non si identifichi con il solo vantaggio di natura istituzionale che, in quanto rivolto esclusivamente alla pubblica amministrazione, esclude la sussistenza del reato. Da ciò consegue che sarà ravvisabile il delitto in esame, ad es., nella condotta del Sindaco che eserciti indebite pressioni su di un consigliere comunale, provocandone le dimissioni, così da liberarsi di un avversario politico (Cass. VI, n. 21991/2006). Come detto, deve invece essere esclusa la sussistenza del reato che si analizza quando la prestazione promessa od effettuata dal soggetto passivo giovi soltanto alla pubblica amministrazione e rappresenti una utilità per il perseguimento dei relativi fini istituzionali, poiché in tal caso non si determina alcuna lesione per l'oggetto giuridico del reato, sotto forma di buon andamento della pubblica amministrazione (Cass. VI, n. 32237/2014). La dazione o la promessa devono, altresì, essere indebite. È un dato oramai acquisito quello per cui deve considerarsi indebita la prestazione sine titulo, che non è dovuta né per legge, né per consuetudine. Secondo l'opinione prevalente è indebita anche la prestazione che è dovuta al pubblico agente come privato, ossia per ragioni non inerenti alla funzione servizio (Cass. VI, n. 31341/2011; in dottrina Fiandaca-Musco, PS I, 2002, 216). La prestazione indebita deve essere effettuata o promessa al soggetto pubblico o ad un terzo. Terzo è colui che è estraneo all'attività abusiva del funzionario pubblico. Tale non può essere l'ente presso il quale opera il funzionario pubblico stante il rapporto di rappresentanza organica che lega l'intraneus all'ente. Ne consegue che in caso di prestazioni indebite date o promesse all'ente non potrà configurarsi concussione, ma, semmai, abuso d'ufficio o altro delitto (Cass. VI, n. 31713/2003). Elemento psicologicoIl dolo è generico e richiede, in omaggio alle regole generali, la rappresentazione e la volontà di tutti gli elementi costitutivi del fatto di reato; il soggetto attivo deve essere consapevole sia dell'abusività della sua condotta, sia del carattere indebito della prestazione (Fiandaca-Musco, PS I, 2002, 312; Benussi, 382; contra Pagliaro, PS I, 2000, 136). La struttura del delitto di concussione si ritiene generalmente incompatibile con il dolo eventuale. Dal punto di vista del soggetto passivo, secondo la prevalente dottrina, occorre che la vittima sappia dell'illegittimità della dazione o della promessa; se così non fosse il comportamento del privato non troverebbe la sua ratio nella condotta costrittiva del pubblico ufficiale, bensì nell'intenzione di adempiere ad un obbligo nei confronti della pubblica amministrazione (Prontera, 1027). Diversamente, ad avviso della giurisprudenza maggioritaria, la sussistenza del delitto di concussione non è esclusa nel caso che il soggetto passivo sia inconsapevole della qualità di pubblico ufficiale oggettivamente propria del suo interlocutore, purché ricorra il rapporto di causa ad effetto configurato nella norma incriminatrice, e cioè il concreto influsso sulla volontà della vittima della condotta realizzata dall'agente mediante un abuso del potere o della qualità rivestiti (Cass. VI, n. 8907/2008; Cass. VI, n. 12175/2005; Cass. VI, n. 9929/1994). Consumazione e tentativoConsumazione Il delitto di concussione si consuma nel momento e nel luogo in cui è avvenuta la dazione o è stata fatta la promessa. Secondo l'opinione più risalente e minoritaria, ai fini della configurabilità del reato è sufficiente la promessa, costituendo l'eventuale successiva dazione un post factum irrilevante. Pertanto, l'indebita promessa di denaro o di altra utilità, effettuata nei modi previsti dall'art. 317 c.p., integra gli estremi del reato di concussione, mentre la successiva consegna della cosa promessa realizza solo il conseguimento dell'illecito profitto derivante dal reato già consumato (Cass. VI, n. 33419/2004). In dottrina Fiandaca-Musco, PS I, 2002, 217; Segreto-De Luca, 267). Ne consegue, quindi, che plurime corresponsioni rateali di somme di denaro originariamente pretese dal pubblico ufficiale e che la vittima aveva promesso di versargli integrano un unico episodio criminoso e non una vicenda continuativa. Sul punto, si registra comunque una diversa corrente dottrinale (Pagliaro, PS, II, 138), ancora minoritaria, ma che sembra trovare sempre maggiori consensi nella giurisprudenza più recente e maggioritaria (Cass. VI, n. 45468/2016), ad avviso della quale, qualora alla promessa conseguisse la dazione del denaro o di altra utilità, sarebbe ravvisabile un approfondimento dell'offesa, che sposterebbe all'atto di tali prestazioni il momento consumativo del reato. In quest'ottica, il delitto di concussione si presenta come fattispecie a duplice schema, nel senso che esso si perfeziona alternativamente con la promessa o con la dazione indebita conseguente all'attività di costrizione del pubblico ufficiale; pertanto, se tali atti si susseguono, il momento consumativo si cristallizza nell'ultimo, venendo così a perdere di autonomia l'atto anteriore della promessa e concretizzandosi l'attività illecita nell'effettiva dazione, secondo un fenomeno assimilabile al reato progressivo, posto che ogni prestazione approfondisce l'offesa del bene tutelato dalla fattispecie incriminatrice. Tentativo La concussione è un delitto di evento quindi il tentativo è configurabile. A tal fine è sufficiente che siano stati posti in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere taluno a dare o promettere denaro o altre utilità, a prescindere dall'effettiva realizzazione della prestazione e indipendentemente dal verificarsi dello stato di soggezione della vittima (Cass. Fer., n. 38658/2019). L'interpretazione del requisito dell'idoneità della condotta non è tuttavia univoca. Una prima opinione ritiene che per valutare l'idoneità della condotta ai fini della configurabilità di una tentata concussione occorra utilizzare il criterio della prognosi postuma. Il giudice dovrà pertanto collocarsi idealmente nel momento in cui è stata realizzata la condotta per accertare se l'azione del pubblico ufficiale si presentava in concreto adeguata rispetto al fine, in ciò tenendo conto non solo delle caratteristiche dell'azione, ma anche considerando l'effetto di essa nel soggetto passivo, costituito dallo stato di soggezione, che non è ancora evento del reato (occorrendo la promozione o la dazione), ma che può essere almeno prova della idoneità degli atti (Cass. VI, n. 31689/2007). Altro indirizzo propende invece per una valutazione in astratto dell'idoneità della condotta, a prescindere, dunque, dalle concrete modalità in cui essa si è estrinsecata (Cass. VI, n. 9189/1994). Forme di manifestazioneCircostanze Il contrasto giurisprudenziale sorto in merito alla possibilità di applicare al delitto di concussione la circostanza attenuante di cui alla prima parte dell'art. 62, n. 6 (riparazione del danno mediante risarcimento o restituzioni) è stato risolto positivamente dalle Sezioni Unite in considerazione del fatto che anche il delitto in esame può offendere il patrimonio dei privati e generare un danno patrimoniale o non patrimoniale suscettibile di riparazione a norma delle leggi civili nelle forme delle restituzioni o del risarcimento (Cass. S.U., n. 1048/1991). In relazione all'attenuante del risarcimento del danno, la Suprema Corte ha precisato che l'imputato deve risarcire il danno sia alla pubblica amministrazione che al privato (Cass. VI, n. 4437/1992). Anche la circostanza attenuante di cui alla seconda parte dell'art. 62, n. 6, (elisione o attenuazione delle conseguenze del reato) è stata ritenuta applicabile al delitto di concussione qualora ne sia derivato un danno risarcibile che sia stato integralmente risarcito dal colpevole (Cass. VI, n. 4437/1992; Cass. VI, n. 2523/1992). Poiché la concussione è un delitto determinato da motivi di lucro o che può offendere il patrimonio della vittima, si ammette l'applicazione dell'art. 62, n. 4, (Cass. VI, n. 6140/1996; in dottrina Segreto-De Luca, 272). Per quanto riguarda la circostanza attenuante del fatto di particolare tenuità (art. 323-bis), la sua applicazione al delitto in esame è subordinata ad una valutazione globale del fatto, in tutti i suoi elementi e modalità, con la conseguenza che il dato patrimoniale, ancorché positivamente apprezzato ai fini dell'attenuante prevista dall'art. 62, n. 4, può non essere sufficiente ad integrare la distinta attenuante in esame, caratterizzata da una più complessa oggettività giuridica (Cass. VI, n. 9727/1997). Si noti come l'art. 317 non sia stato richiamato dall'art. 323-bis, comma 2 — che attribuisce rilievo attenuante, con una consistente diminuzione della pena (da un terzo a due terzi), alle condotte di collaborazione processuale tenute dall'autore del reato — nonostante anche il concussore possa fornire un'utile collaborazione agli inquirenti (ad esempio, indicando loro il nome dei propri complici). Venendo alle circostanze aggravanti, risultano applicabili quelle previste per i delitti che offendono il patrimonio (Cass. VI, n. 4082/1984), quella di cui all'art. 61, n. 5, ossia l'aver approfittato di circostanze di tempo, luogo o di persone tali da ostacolare la pubblica o privata difesa (Cass. VI, n. 1017/1980), quella prevista dall'art. 61, n. 10, nel caso in cui il concusso sia persona investita di mansioni pubbliche, mentre non sarà applicabile l'art. 61, n. 9, dato che l'abuso di poteri o la violazione dei doveri costituisce già di per sé elemento costitutivo della concussione (Cass. VI, n. 37839/2014). Concorso di persone È configurabile il concorso dell'extraneus al fatto di concussione commesso dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio. Il contributo concorsuale può estrinsecarsi sia in un contributo materiale, qualora l'extraneus contribuisca con l'intraneus a coartare il privato, sia in un contributo morale qualora l'extraneus faccia sorgere o rafforzi il proposito delittuoso dell'intraneus (Cass. VI, n. 16058/1989, che ha ritenuto che costituisca atto di concorso morale nel reato la promessa d'aiuto da prestarsi successivamente alla perpetrazione del reato, allorché abbia fatto sorgere o rafforzato il proposito delittuoso dell'agente). È possibile anche che sia il soggetto pubblico ad istigare il terzo estraneo a tenere la condotta costrittiva, relegando quest'ultimo al ruolo di mero intermediario del pubblico funzionario che si avvale di lui per minacciare il privato e costringerlo a dare o promettere l'indebita utilità (Cass. VI, n. 506/2008). Occorre inoltre che il soggetto estraneo abbia la consapevolezza di contribuire, con la propria condotta, alla realizzazione di un fatto costitutivo del delitto di concussione realizzato da parte di un funzionario pubblico. Quanto alla prova della collusione tra il pubblico ufficiale e il privato, si è ritenuto che non possa essere desunta da un comune interesse insito in vincoli interpersonali o da un ruolo di virtuale adesione al delitto, ma debba provenire da un quid pluris, ricavabile dalle modalità e dalle circostanze del fatto o dai rapporti personali intercorsi con le parti, che dimostrino concretamente il raggiungimento di un'intesa con il pubblico ufficiale o, quanto meno, una pressione diretta a sollecitarlo o persuaderlo al compimento dell'atto illecito (Cass. VI, n. 5447/2004). Rapporti con altri reatiTruffa aggravata Espunta dalla concussione l'ipotesi dell'induzione, il delitto in esame presenta connotati del tutto eterogenei rispetto alla truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale (artt. 61, n. 9 e 640), con la quale non è più suscettibile di confusione, perché la prima fattispecie è costruita sulla “costrizione”, arricchita dall'abuso di qualità e poteri, mentre la seconda è costruita sull'“inganno”. La giurisprudenza mostra di cogliere tale netta distinzione sul piano degli effetti piscologici che l’azione delittuosa provoca sulla vittima. Si osserva infatti che la distinzione tra i due delitti va individuata nel fatto che nella concussione il privato mantiene la consapevolezza di dare o promettere qualcosa di non dovuto, mentre nella truffa la vittima viene indotta in errore dal soggetto qualificato circa la doverosità delle somme o delle utilità oggetto di dazione o promessa e la qualità di pubblico ufficiale concorre solo in via accessoria a condizionare la volontà del soggetto passivo. (Cass. VI, n. 41317/2015). Corruzione Da sempre controversa la distinzione fra concussione e corruzione (art. 318). Tre le teorie che sono state elaborate: a) quella dell'iniziativa; b) quella della posizione delle volontà; c) quella del danno e del vantaggio. Secondo la prima teoria, si ha concussione se il rapporto nasce per iniziativa del pubblico ufficiale, interessato a conseguire l'indebito vantaggio, mentre si ha corruzione se l'iniziativa è ravvisabile unicamente in capo al privato corruttore (Padovani, 1302; Ronco, 690; Amato, 2918). Per la seconda opinione, il vero discrimen tra corruzione e concussione andrebbe ricercato non nella genesi, bensì nelle modalità e caratteristiche dell'accordo. In buona sostanza, quindi, elemento determinante è l'atteggiamento delle volontà rispettive del pubblico ufficiale e del privato e conseguentemente del tipo di rapporto che si instaura tra i due soggetti. Nella corruzione, infatti, privato e pubblico funzionario trattano pariteticamente e si accordano sul factum sceleris con convergenti manifestazioni di volontà (si tratta infatti di reato a concorso necessario); nella concussione, per contro, la par condicio contractualis è inesistente, perché dominus dell'affare è soltanto il pubblico ufficiale che, abusando della sua autorità o del suo potere, costringe il privato a sottostare alla indebita richiesta, ponendolo in una situazione che non offre alternative diverse dalla resa (si tratta, di fatto, di reato monosoggettivo). Più nel dettaglio, nella corruzione le due volontà si incontrano su un piano pressoché paritario, ciascuna perseguendo, in modo deviato, ma libero, il risultato cui il soggetto tende. Nella concussione, invece, il pubblico ufficiale strumentalizza la propria autorità ed il proprio potere per coartare la volontà del soggetto, facendogli comprendere che non ha alternative rispetto all'aderire alla ingiusta richiesta, sicché lo stato d'animo del privato è caratterizzato da senso di soggezione rispetto alla volontà del pubblico ufficiale percepita come dominante (Cass. VI, n. 5116/1998). Ulteriore criterio elaborato in dottrina (Venditti, 762; Chiarotti, 706), talvolta seguito anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. VI, n. 10851/1996), è quello che si fonda sul processo motivazionale che induce il privato alla promessa o dazione indebita. In questa prospettiva ermeneutica, se il privato si determina alla dazione o alla promessa per evitare un danno ingiusto, sussiste il delitto di concussione; al contrario, se la vittima tende a conseguire un ingiusto vantaggio, ricorre la fattispecie della corruzione. Più nel dettaglio, si ritiene che nella concussione il concusso agisce certat de damno vitando, mentre nella corruzione il corruttore si accorda col pubblico funzionario certat de lucro captando. La Suprema Corte si è pronunciata sulla questione, affermando che il discrimine tra concussione o corruzione non può essere rinvenuto né in base al criterio dell'iniziativa, né a quello della conformità o contrarietà dell'atto ai doveri di ufficio, né a quello del vantaggio giusto o ingiusto, cui il privato tende, criteri tutti di valore indiziario e non di essenza. Il vero elemento discriminante tra le due figure criminose si delinea solo considerando la posizione psicologica del privato a fronte del pubblico ufficiale: se tale posizione risulta viziata da vis compulsiva per prevaricazione di quest'ultimo si ha concussione, a nulla rilevando il vantaggio che il privato può direttamente trarre, mentre nella corruzione il rapporto tra le volontà dei soggetti è paritario e implica la libera convergenza delle stesse verso un comune obiettivo illecito ai danni della pubblica amministrazione (Cass. VI, n. 38650/2010). Su questa linea esegetica si colloca anche la giurisprudenza successiva. Si è, infatti, osservato che i reati di concussione e di corruzione differiscono tra loro sia per l'elemento della condotta, in quanto nella concussione l'agente deve avere determinato nel soggetto passivo uno stato di paura o di timore atto ad eliderne o viziarne la volontà, mentre nella corruzione i due soggetti agiscono su un piano paritario nella conclusione del patto criminoso - per cui l'evento della datio o della promessa, pur esistendo in entrambi i reati, ha fonti diverse -, sia per la struttura soggettiva, essendo la corruzione, a differenza della concussione, un reato necessariamente plurisoggettivo, sicché differente è anche la posizione del solvens (Cass. III, n. 52378/2016, che, in ragione dei tratti differenziali sopra descritti, ha ritenuto violato il principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, di cui all'art. 521 c.p.p., in un caso in cui l'imputato, tratto a giudizio con l'accusa di corruzione passiva, era stato condannato per il reato di concussione). Sulla stessa linea si anche affermato che commette il delitto di concussione, e non quello di corruzione, il pubblico ufficiale dipendente dell'Agenzia delle Entrate che, nel corso di un procedimento di verifica, prima della comminazione di qualsiasi sanzione ad un privato soggetto a procedimento di verifica ed accertamento fiscale, richieda il pagamento di somme per evitare l'effettuazione delle contestazioni e l'irrogazione delle pene pecuniarie quando sia accertata l'assenza di violazioni o la somma richiesta sia comunque totalmente sproporzionata rispetto all'eventuale sanzione irrogabile (Cass. II, n. 37922/2020). Si è, infatti, sottolineato come tali ingenti somme non siano in alcun modo giustificate quando il procedimento amministrativo di controllo non sia ancora definito perché solo di fronte all’accertamento di specifiche violazioni e alla precisa quantificazione della sanzione si prospetta al privato la possibilità di pagare il pubblico ufficiale ottenendo un vantaggio concreto; mentre, le richiese di denaro, quando vengono effettuate in una fase in cui è ancora del tutto ignoto l'esito del procedimento, assumono carattere illecito e costrittivo poiché vengono rivolte senza che sia stato accertata e rappresentata alcuna irregolarità. Istigazione alla corruzione L'istigazione alla corruzione (art. 322, comma 4, c.p.) si differenzia dalla concussione, in quanto si qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente senza esercitare pressioni che tendano a piegare il soggetto privato, alla cui libertà di scelta viene prospettato, su basi paritarie, un semplice scambio di favori, connotato dall'assenza sia di ogni tipo di minaccia diretta o indiretta sia, soprattutto, di ogni ulteriore abuso della qualità o dei poteri (Cass. VI, n. 23004/2014). Estorsione aggravata È configurabile il reato di concussione quando la costrizione (ossia la minaccia) del pubblico ufficiale si concretizzi nel compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, strumentalizzato per perseguire illegittimi fini personali; mentre sussiste il delitto di estorsione aggravata (artt. 61, n. 9, e 629) quando l'agente ponga in essere, nei confronti di un privato, minacce diverse da quelle consistenti nel compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, sicché la qualifica di pubblico ufficiale si pone in un rapporto di pura occasionalità, avente la funzione di rafforzare la condotta intimidatoria nei confronti del soggetto passivo (Cass. VI, n. 12736/2014). Millantato credito aggravato Integra il delitto di millantato credito aggravato (artt. 61, n. 9 e 346 c.p.), e non quello di concussione, la condotta di induzione della vittima a versare una somma di denaro, realizzata dal pubblico ufficiale mediante il raggiro della falsa rappresentazione di una situazione di grave pregiudizio e della proposta di comprare i favori di altri ignari ed inesistenti pubblici ufficiali per ottenere un risultato a lei favorevole (Cass. VI, n. 8989/2015). Sanzioni accessorieAl reato in esame si applicano le sanzioni accessorie previste dall’art. 317-bis, al cui commento si rinvia. Concorso di reatiCfr. sub artt. 318 (corruzione), 319-quater (induzione indebita a dare o promettere utilità), 323 (abuso d'ufficio), 328 (rifiuto di atti d'ufficio), 353 (turbata libertà degli incanti), 377 (subornazione di teste), 629 (estorsione aggravata dall'abuso di poteri), 640 (truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale). Responsabilità dell'enteL'art. 25 d.lgs. n. 231/2001 prevede, per il delitto di concussione, la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote. Si applicano inoltre le sanzioni interdittive previste dall'art. 9 d.lgs. n. 231/2001. ConfiscaL'art. 317 è incluso nell'elenco tassativo delle fattispecie che consentono sia l'applicazione della confisca “diretta” che della confisca “per equivalente” di cui all'art. 322-ter, comma 1, al cui commento si rinvia. Occorre segnalare che in relazione ai beni sequestrati in vista della confisca di cui all’art. 322-ter, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, l’art. 322-ter.1, al cui commento si rinvia, prevede la possibilità di affidarli in custodia giudiziale agli organi della polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative. Al riguardo, va segnalato che le Sezioni Unite hanno ritenuto di includere nella nozione di “profitto” anche il bene immobile acquistato con somme di danaro illecitamente conseguite, quando l'impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all'autore di quest'ultimo (Cass. S.U., n. 10280/2008, relativa al sequestro di un immobile acquistato da un Maresciallo dei carabinieri con la somma di denaro frutto della concussione da lui commessa e fin dall'inizio specificatamente richiesta alla vittima al fine di procedere a tale acquisto). Anche per la concussione è stata prevista la possibilità di disporre la confisca allargata dei beni e delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito(art. 240-bis). La sospensione condizionale della penaL'art. 165, comma 4, come modificato dall'art. 2, comma 1, l. n.69/2015 e dalla l. n. 3/2019, prevede che nel caso di condanna per il delitto in esame, l'accesso al beneficio della sospensione condizionale della pena è subordinato al pagamento della somma determinata a titolo di riparazione pecuniaria ai sensi dell'art. 322-quater, cioè della somma equivalente al prezzo o al profitto del reato, fermo rimanendo il diritto all'ulteriore eventuale risarcimento del danno. Occorre rilevare che il primo comma dell'art. 166, come novellato dalla l. n. 3/2019, prevede che il giudice, quando riconosce il beneficio della sospensione condizionale della pena, possa stabile che l'effetto sospensivo non si estenda alle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Profili processualiGli istituti La concussione è un reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale in composizione collegiale. Per il delitto di concussione: a) è possibile disporre intercettazioni (anche tramite captatore informatico); b) sono consentiti l'arresto facoltativo in flagranza e il fermo; c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. L'applicazione della pena su richiesta delle parti Il comma 1-ter dell'art. 444 c.p.p., aggiunto dall'art. 6 l. n. 69/2015, subordina l'ammissione della richiesta di patteggiamento per il delitto in esame alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato. Le operazioni sotto copertura Al fine di dare attuazione agli impegni assunti dall'Italia con la ratifica (eseguita con l. 3 agosto 2009, n. 116) della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 (c.d. convenzione di Merida), la l. n. 3/2019 ha inserito il delitto in esame nel catalogo delle fattispecie che consentono lo svolgimento di operazioni di polizia sotto copertura al fine di acquisire elementi prova ai sensi dell'art. 9 l. 16 marzo 2006, n. 146. La preoccupazione del possibile abuso delle operazioni sotto copertura, per provocare il reato, è alla base della previsione secondo cui la causa di non punibilità di cui all'art. 323-ter (connessa alla denuncia del reato) non si applica in favore dell'agente sotto copertura che abbia agito in violazione del citato art. 9. Senonché il testo della disposizione, nella misura in cui consente all'agente sotto copertura di dare e ricevere tangenti, anche nell'ambito di un rapporto bilaterale (cioè al di fuori di contesti complessi/organizzati, ma nell'ambito di un semplice schema corrotto-corruttore), lascia residuare il rischio di possibili abusi, sub specie di sconfinamenti, più o meno palesi, nella provocazione. Come correttamente osservato in dottrina (Gatta), si tratta di un rischio che potrà e dovrà essere evitato ricorrendo a un'interpretazione conforme a Costituzione, che valorizzi, per il tramite dell'art. 117 Cost., la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in materia di entrapment, che ravvisa una violazione dell'art. 6 CEDU (diritto all'equo processo) quando risulti che, senza la provocazione, il reato non sarebbe stato commesso e che, pertanto, le forze dell'ordine non si sono limitate a un ruolo passivo rispetto a un reato in essere, ma hanno creato il reato stesso, incitando l'autore a commetterlo. La concessione dei benefici penitenziariIl primo comma dell'art. 4-bis l. n. 354/1975, come novellato dalla l. n. 3/2019, prevedeva che l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, potessero essere concessi ai detenuti e internati per il delitto in esame solo nei casi in cui i predetti soggetti avessero collaborato con la giustizia a norma dell'art. 58-ter ord. pen. o dell'art. 323-bis, secondo comma. Tale previsione è stata da ultimo soppressa con la l. n. 199/2022, che ha convertito con modificazioni il d.l. n. 162/2022 eliminando i delitti contro la pubblica amministrazione dal catalogo di quelli ostativi alla concessione dei suddetti benefici. BibliografiaAmato, Quale discrimen tra corruzione e concussione?, in Cass. pen., 1998, 2918; Amato, Concussione: resta solo la condotta di “costrizione”, in Guida dir., 2012, n. 48, 14; Balbi, Alcune osservazioni in tema di riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione, in Dir. pen. cont., 2012, nn. 3-4, 11; Benussi, I delitti contro la pubblica amministrazione, in G. Marinucci-E. Dolcini (a cura di), Trattato di diritto penale, parte speciale, Padova, 2001; Bottiglioni, L'estensione all'incaricato di un pubblico servizio della qualità di soggetto attivo nel delitto di concussione: un'ipotesi implicita di concussione ambientale?, in Indice pen., 1994, 398; Chiarotti, Concussione, in Enc. dir., VII, Milano, 1961, 706; Dolcini-Viganò, Sulla riforma in cantiere dei delitti di corruzione, in Dir. pen. cont., 2012, n. 1, 243; ; Gatta, Riforme della corruzione e della prescrizione del reato: il punto sulla situazione, in attesa dell’imminente approvazione definitiva, in Dir. pen. cont., 17 dicembre 2018;Padovani, Il confine conteso. Metamorfosi dei rapporti tra concussione e corruzione ed esigenze «improcrastinabili» di riforma, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1999, 1302; Palazzo, La riforma dei delitti dei pubblici ufficiali: primo sguardo d'insieme, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1990, 824; Palazzo, Concussione, corruzione e dintorni: una strana vicenda, in Dir. pen. cont., 2012, n. 1, 227;Pedrazzi, La promessa del soggetto passivo come evento nei delitti contro il patrimonio, in Riv. it. e proc. pen., 1952, 350; Prontera, Osservazioni in tema di distinzione tra concussione e truffa aggravata ex art. 61, n. 9 c.p., in Indice pen., 1998, 1027; Pulitanò, Legge anticorruzione (L. 6 novembre 2012, n. 190), in Cass. pen., supplemento al volume LII, 2012; Ravagnan, La concussione, in D'Avirro (a cura di), I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Padova, 1999; Ronco, Sulla differenza tra corruzione e concussione: note tra ius conditum e ius condendum, in Giust. pen., 1998, 690; Segreto-De Luca, Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 1999; Spadaro-Pastore, Legge anticorruzione (l. 6 novembre 2012, n. 190), Milano, 2012; Venditti, Corruzione (Delitti di), in Enc. dir., X, Milano, 1962, 762. |