Codice Penale art. 319 ter - Corruzione in atti giudiziari (1) (2) (3).

Alessandro Trinci

Corruzione in atti giudiziari (1) (2) (3).

[I]. Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da sei a dodici anni (4).

[II]. Se dal fatto deriva l'ingiusta condanna [442 2, 533, 605 1 c.p.p.] di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da sei a quattordici anni; se deriva l'ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all'ergastolo, la pena è della reclusione da otto a venti anni (5).

(1) Articolo inserito dall'art. 9 l. 26 aprile 1990, n. 86.

(2) In tema di responsabilità amministrativa degli enti v. art. 25 d.lg. 8 giugno 2001, n. 231.

(3) Per la confisca di denaro, beni o altre utilità di non giustificata provenienza, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta, v. ora artt. 240-bis c.p., 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e 301, comma 5-bis,d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (per la precedente disciplina, v. l'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., in l. 7 agosto 1992, n. 356).

(4) L'art. 1 l. 27 maggio 2015, n. 69, ha sostituito le parole «da quattro a dieci anni» con le parole «da sei a dodici anni». L'art. 1, comma 75, l. 6 novembre 2012, n. 190 aveva sostituito le parole «da tre a otto» con le parole «da quattro a dieci».

(5)L'art. 1 l. 27 maggio 2015, n. 69, ha sostituito le parole «da cinque a dodici anni» con le parole «da sei a quattordici anni», e le parole: «da sei a venti anni» dalle parole: «da otto a venti anni». L'art. 1, comma 75, l. 6 novembre 2012, n. 190 aveva sostituito la parola «quattro» con la parola «cinque».

competenza: Trib. collegiale

arresto: facoltativo (primo comma e prima parte del secondo comma); obbligatorio (seconda parte del secondo comma)

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Il delitto di corruzione in atti giudiziari consiste nel fatto del pubblico ufficiale che riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo.

Se dal fatto deriva l'ingiusta condanna di taluno alla reclusione è previsto un aggravamento del trattamento punitivo che varia in ragione dell'entità della pena ingiustamente irrogata.

Secondo il prevalente orientamento, la norma in esame, introdotta dalla l. 26 aprile 1990, n. 86 e modificata in tema di pene dalla l. n. 190/2012 e dalla l. n. 69/2015, prevede una figura autonoma di reato e non una circostanza aggravante dei delitti di corruzione previsti dagli artt. 318 e 319 (Cass. VI, n. 24349/2012; in dottrina Fiandaca-Musco, PS, I 2002, 230; Segreto-De Luca, 420).

Essa si connota per il particolare oggetto del pactum sceleris, consistente nel compiere un atto conforme o contrario ai doveri d'ufficio al fine di favorire o danneggiare una parte in un processo.

Con la presente incriminazione, dunque, il legislatore intende sanzionare tutti quei comportamenti che si pongono in contrasto con l'esigenza di garantire che l'attività giudiziaria sia svolta imparzialmente.

Bene giuridico tutelato

Il reato in esame ha natura plurioffensiva in quanto tutela sia l'interesse al buon andamento e all'imparzialità della pubblica amministrazione che l'interesse alla correttezza dell'esercizio delle funzioni giudiziarie, che viene leso da una decisione inquinata dal fatto corruttivo (Cass. VI, n. 10026/2008).

Soggetti

Soggetto attivo

Soggetti attivi del reato in commento sono il pubblico ufficiale (di regola un magistrato con funzioni giudicanti o requirenti) e il soggetto privato (extraneus); non sembra rientrarvi l'incaricato di pubblico servizio in quanto l'art. 320 non annovera l'art. 319-ter  tra le disposizioni codicistiche richiamate (Fiandaca-Musco, PS I, 2002, 235).

La giurisprudenza, prendendo le mosse da una interpretazione ampia dell'espressione “atti giudiziari” (intesi come tutti gli atti che possono influire sul processo), ha riconosciuto il ruolo di soggetto attivo a tutti quei pubblici ufficiali che si trovano a compiere degli atti, direttamente o indirettamente, idonei ad influire sull'esito di un dato processo (Cass. S.U., n. 1528/2010).

Così, ad esempio, si è ritenuto «atto giudiziario», ai fini dell'integrazione del delitto in esame, anche quello del funzionario di cancelleria che, collocato nella struttura dell'ufficio giudiziario, esercita un potere idoneo ad incidere sul suo concreto funzionamento e sull'esito dei procedimenti (Cass. VI, n. 24349/2012).

Anche la formulazione di un parere espresso dal medico penitenziario sulle condizioni di salute di un imputato detenuto, ai sensi dell'art. 299 comma 4-ter, c.p.p., è stato ritenuto idoneo ad integrare il delitto di cui all'art. 319-ter quando lo stesso sia stato reso in modo consapevolmente difforme dalla realtà, dietro la dazione o la promessa di denaro o altra utilità da parte del corruttore (Cass. VI, n. 19803/2009).

Analogamente, è stato chiamato a rispondere di corruzione in atti giudiziari lo psichiatra che, in cambio di denaro, compila una certificazione compiacente per far ottenere ad un mafioso gli arresti domiciliari in luogo della detenzione carceraria (Cass. VI, n. 38475/2012).

Seguendo percorsi argomentativi talvolta differenti, la giurisprudenza è costante nell'attribuire anche al testimone la qualifica di pubblico ufficiale, dal momento che lo stesso, con la sua deposizione, concorre a formare la volontà del giudice. Al riguardo, le Sezioni Unite hanno infatti precisato che il testimone, ai fini dell'applicabilità dell'art. 319-ter, è pubblico ufficiale perché compie un atto giudiziario intendendosi per tale “l'atto che sia funzionale ad un procedimento giudiziario e si ponga quale strumento per arrecare un favore o un danno nei confronti di una parte del processo” (Cass. VI, n. 29400/2018; Cass. S.U., n. 15208/2010).

Per una critica a tale impostazione ermeneutica, si veda in particolare Macchia, 14.

Di contrario avviso, invece, la dottrina prevalente, secondo la quale la nozione di pubblico ufficiale tratteggiata dall'art. 357 risulta inconciliabile con la figura del testimone (Seminara, 973; Marra, 1091). Ed invero, la norma appena richiamata, come si è già avuto modo di dire, si limita ad affermare che sono pubblici ufficiali coloro che “esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa”. Ora, il testimone nell'ambito della disciplina dei codici di rito è destinatario di munus pubblico (vale a dire comparire e dire tutta la verità, come stabilisce in maniera puntuale l'art. 198 c.p.p.), ma non pare sia provvisto di alcun potere autoritativo o certificativo che contraddistingue in generale la funzione pubblica e che caratterizza, altresì, le altre figure processuali (si pensi ad esempio, oltre ovviamente al giudice e al pubblico ministero, al cancelliere, od anche al perito che pur essendo un privato cittadino, esercita dei poteri che sono propri del giudice e agisce quale longa manus di quest'ultimo). Del resto il testimone che non compare in udienza in assenza di un legittimo impedimento, non sarà imputato di omissione di atti d'ufficio ex art. 328, ma sarà sottoposto alle sanzioni processuali previste dall'art. 133 c.p.p.; la ritrattazione da parte del falso testimone, comporta la non punibilità del colpevole ai sensi dell'art. 376. Sono tutti elementi che mal si conciliano con la configurabilità di reati propri dei pubblici ufficiali come la corruzione. Del resto la testimonianza è definita dal codice di procedura penale come un mezzo di prova per acquisire la narrazione di un fatto da colui che è informato su quell'evento, di cui il giudice ne terrà più o meno conto nell'ambito della formazione del suo libero convincimento. La testimonianza potrebbe non avere alcun rilievo nella sentenza, perché del tutto irrilevante, perché il teste potrebbe non ricordare o perché essa potrebbe essere ritenuta falsa dal giudice. Inoltre, come acutamente osservato da alcuni Autori, affermare che il testimone è pubblico ufficiale perché compie un atto funzionale ad un procedimento giudiziario o perché concorre a formare la volontà del giudice che si esprime nella sentenza, porterebbe all'assurdo di considerare anche l'imputato un pubblico ufficiale, dato che anch'egli con le sue dichiarazioni rese eventualmente nel corso dell'esame dibattimentale o dell'interrogatorio davanti al pubblico ministero, compie atti funzionali alla definizione di un procedimento penale e concorre a formare la volontà del giudice.

Infine, va evidenziato come la tutela avverso le condotte illecite che riguardano il testimone è data dalle norme specifiche che si riferiscono a tale soggetto processuale, ossia l'art. 372 che punisce la falsa testimonianza e l'art. 377 che punisce la subornazione del testimone (o secondo la rubrica della norma, l'intralcio alla giustizia).

Gli intermediari tra il privato corruttore ed il pubblico ufficiale, che contribuiscono a far sì che quest'ultimo riceva il denaro, vanno considerati concorrenti con quest'ultimo nella corruzione in atti giudiziari (App. Milano, 12 maggio 2001, Berlusconi, Cass. pen., 2001, 3554).

L'ambito soggettivo del delitto in esame comprende anche i soggetti indicati all'art. 322-bis, al cui commento si rinvia.

Materialità

Condotta

La condotta tipica consiste nel realizzare un fatto di corruzione (propria o per l'esercizio della funzione), in forza dell'espresso richiamo normativo a tali fattispecie contenuto nella disposizione in parola. Tuttavia, la corruzione in atti giudiziari presenta un quid pluris in termini di disvalore rispetto agli illeciti di cui agli artt. 318 e 319 (che ne giustifica, peraltro, il più rigoroso regime sanzionatorio) e, come più sopra anticipato, costituisce una specifica ed autonoma figura delittuosa. Infatti il pactum sceleris in questo caso è finalizzato a favorire una parte processuale, con essa intendendo la persona fisica o giuridica che abbia proposto o nei cui confronti sia stata proposta una domanda giudiziale.

Nel processo penale la qualità di parte va riconosciuta all'imputato, alla parte civile, al responsabile civile, alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e al pubblico ministero; la Suprema Corte vi ha aggiunto anche l'indagato (Cass. VI, n. 10026/2008).

Ai fini della configurabilità del delitto di corruzione in atti giudiziari, è da considerare «processo» anche il procedimento che si celebra dinanzi al giudice fallimentare, in quanto in esso intervengono soggetti portatori di contrapposti interessi e ben può realizzarsi, con particolare pericolosità, quella compravendita della funzione giudiziaria considerata nel suo complessivo svolgimento, che costituisce la condotta incriminata dalla norma in esame (Cass. VI, n. 35118/2007).

Poiché ciò che rileva è la contrapposizione di interessi, la corruzione in atti giudiziari dovrebbe essere realizzabile anche all'interno di un processo tributario o dinanzi ai Tribunale delle acque pubbliche, tanto più che in questi procedimenti si applicano le regole e le garanzie del processo civile. In tal senso, con riferimento al processo contabile e tributario, si è recentemente espressa la Suprema Corte (Cass. VI, n. 17973/2019).

Non è necessario che il processo sia in corso, in quanto l'atto può essere in connessione funzionale con esso anche se non è ancora iniziato (Segreto-De Luca, 436).

Secondo la maggior parte della dottrina, la reale sfera di operatività del reato in esame risulta circoscritta di fatto alla sola corruzione antecedente, in quanto di regola ad agire per favorire o danneggiare una parte processuale sarà il privato corruttore (mentre il magistrato agirà per ottenere un indebito guadagno) ed è impensabile che egli dia o prometta denaro o altra utilità per conseguire un obiettivo (l'emissione del provvedimento in questione) già ottenuto (Fiandaca-Musco, PS I 2002, 232).

La severità sanzionatoria dell'art. 319-ter c.p., trova giustificazione nel fatto che nella corruzione antecedente è in pericolo la corretta formazione dell'atto giudiziario, che potrebbe subire l'influenza negativa dovuta all'accordo corruttivo. Nell'ipotesi susseguente tale pericolo di strumentalizzazione compenso-atto non c'è più, perché l'atto è già stato compiuto autonomamente dal pubblico ufficiale; quello che viene punito nella corruzione susseguente non è in realtà la possibile interferenza, bensì la venalità del pubblico ufficiale, che sarebbe irragionevole colpire con una sanzione pari a quella riservata alle condotte che, in più, sono conseguenza di una strumentalizzazione illecita.

La remunerazione di atti già compiuti, dunque, pur esulando dall'area della tipicità dell'art. 319-ter c.p., rimane comunque sanzionata dalle norme che disciplinano la corruzione ordinaria.

La stessa dottrina restringe ulteriormente il campo di applicazione della norma in discorso alla sola corruzione propria antecedente, escludendo che possa essere emessa, al fine di arrecare un vantaggio o un danno ingiusto a una parte, una decisione giudiziaria conforme alla disciplina legale (Fiandaca Musco, PS I, 2002, 231-232). Infatti, colui che compie un atto conforme ai propri doveri d'ufficio non agisce evidentemente per favorire o danneggiare alcuno; la sua azione è libera e non è finalizzata ad incidere sull'esito processuale.

In conclusione, l'area delle condotte punibili è meno ampia rispetto a quella descritta dal combinato degli artt. 318 e 319, il cui richiamo non è perciò integrale ma circoscritto nei limiti della compatibilità logico-giuridica con la struttura finalistica ed il dolo specifico previsto dalla norma richiamante.

La giurisprudenza più recente invece ritiene sussumibili entro la disposizione in esame tutte le categorie delittuose previste dagli artt. 318 e 319, quindi anche la corruzione susseguente. In questi termini si sono espresse anche le Sezioni Unite con la pronuncia resa sul noto “caso Mills”, affermando che: «È configurabile il reato di corruzione in atti giudiziari nella forma susseguente e non solo antecedente. In favore di tale soluzione deve richiamarsi l'inequivoco dato letterale dell'art. 319-ter c.p., caratterizzato dal testuale richiamo a “i fatti indicati negli articoli 318 e 319”, in essi dunque ricompresa anche la forma susseguente. Inoltre, la finalità di “favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo”, valorizzata dall'orientamento negativo, non osta in realtà alla conclusione adottata, giacché detta finalità, lungi dal riferirsi alla condotta di accettazione o ricezione dell'utilità, deve invece riconnettersi all'atto o al comportamento di natura giudiziaria, evidentemente precedente rispetto alla successiva “retribuzione”; anzi, detta finalità è di tale preponderanza da condurre alla sostanziale vanificazione della distinzione tra atto contrario ed atto conforme ai doveri di ufficio, rimanendo esponenziale il presupposto che l'autore del fatto sia venuto meno al dovere di imparzialità e terzietà costituzionalmente presidiato. Più in generale, poi, la predisposizione, attraverso l'introduzione, ad opera della l. n. 86 del 1990, dell'apposita norma dell'art. 319-ter c.p., di una più incisiva tutela, rispetto al pregresso, della funzione giurisdizionale, non potrebbe non valere, pena l'irrazionalità dell'intervento normativo, anche per la corruzione susseguente» (Cass. S.U., n. 15208/2010). In tal senso si è orientata anche la giurisprudenza successiva, osservando che è indifferente che l'atto compiuto sia conforme o meno ai doveri d'ufficio, assumendo rilievo preponderante la circostanza che l'autore del fatto sia venuto meno al dovere costituzionale di imparzialità e terzietà soggettiva ed oggettiva, alterando la dialettica processuale (Cass. VI, n. n. 11626/2020).

Tanto premesso, ai fini della sussistenza del delitto in esame, ovvero per stabilire se la decisione sia conforme o contraria ai doveri d'ufficio, secondo la Suprema Corte deve aversi riguardo non tanto al contenuto, quanto, invece, al metodo con cui si perviene alla decisione medesima, nel senso che il giudice, che riceva da una delle parti denaro o altra utilità, o ne accetti la promessa, rimane inevitabilmente condizionato nei suoi percorsi valutativi e la soluzione del caso portato al suo esame — pur se formalmente corretta sul piano giuridico — soffre comunque dell'inquinamento metodologico “a monte” (Cass. VI, n. 33435/2006). L'accettazione dell'offerta corruttiva è considerata, perciò, di per sé idonea a viziare l'imparzialità del pubblico ufficiale, “offuscandone” il giudizio.

Si deve così ritenere che la presenza, all'interno di un organo giurisdizionale collegiale, di un componente privo del requisito dell'imparzialità, perché partecipe di un accordo corruttivo, inficia, nonostante l'estraneità degli altri componenti all'accordo corruttivo, la validità dell'intero iter decisionale, per sua natura dialettico e sinergico, e, conseguentemente, del provvedimento giudiziario emanato, poiché il giudice corrotto è del tutto privo di legittimazione.

Sul piano applicativo, la giurisprudenza ha ritenuto, ad esempio, sussistente il reato di corruzione in atti giudiziari a fronte della condotta di un giudice delegato ai fallimenti che, a fronte di ripetute dazioni economiche, mostrava una disponibilità continuativa ad elargire benefici a singoli professionisti privati, consistenti nel conferimento di sempre nuovi incarichi di curatori nelle procedure fallimentari (Cass. VI, n. 13919/2005). Parimenti si è affermata la ricorrenza dell'illecito in parola nel caso di accordo in esecuzione del quale un soggetto, previo compenso, aveva reso falsa testimonianza in una causa civile, a nulla rilevando in contrario che tale causa fosse stata artificiosamente intentata ai fini truffaldini nei confronti di parti fatte fittiziamente figurare come contumaci, mediante contraffazione delle cartoline di ricevimento degli atti di citazione notificati a mezzo posta (Cass. I, n. 2302/2002). Sussiste pertanto il reato di corruzione in atti giudiziari nella dazione di denaro a soggetti che abbiano reso false deposizioni in esecuzione di una pattuizione illecita diretta a favorire una parte del processo civile, in quanto il testimone, che partecipa alla formazione della volontà del giudice, riveste, sin dal momento della sua citazione, la qualità di pubblico ufficiale ex art. 357 c.p. (Cass. I, n. 6274/2003).

Elemento psicologico

Dolo

Con riferimento all'elemento soggettivo, occorre segnalare che il dolo è specifico ed è costituito dal fine di favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo (Cass. VI, n. 24349/2012).

Consumazione e tentativo

Consumazione

Il reato in commento si consuma nel tempo e nel luogo in cui viene concluso il pactum scleris. Qualora, successivamente all'accordo criminoso, il privato corruttore corrisponda al funzionario corrotto il compenso pattuito, il momento consumativo coinciderà con il ricevimento del denaro o dell'altra utilità, che assorbirà e farà perdere autonomia al precedente atto di accettazione della promessa (Cass. S.U., n. 15208/2010).

Va chiarito che il delitto in commento si consuma con l'accettazione della promessa di denaro o di altra utilità da parte del pubblico ufficiale indipendentemente dalla realizzazione del vantaggio perseguito dal corruttore e dalla legittimità dell'atto richiesto al pubblico ufficiale purché lo stesso risulti, comunque, confluente in un atto giudiziario destinato ad incidere negativamente sulla sfera giuridica di un terzo (Cass. VI, n. 5264/2016).

Tentativo

Nel delitto di corruzione in atti giudiziari, non essendo applicabile l'ipotesi di cui all'art. 322 c.p., è configurabile il tentativo, quando sia posta in essere la condotta tipica con atti idonei e non equivoci (l'offerta o la promessa) e l'evento non si verifichi (ad esempio per mancata accettazione) (Cass. VI, n. 13048/2013).

Forme di manifestazione

Circostanze

Il secondo comma dell'art. 319-ter c.p. prevede due circostanze aggravanti per l'ipotesi in cui dal fatto derivi l'ingiusta condanna di taluno alla reclusione, rispettivamente, non superiore a cinque anni, ovvero superiore a cinque anni o all'ergastolo.

Per ingiusta condanna deve intendersi una condanna non necessariamente passata in giudicato e, in ogni caso, emessa non solo nei confronti di un innocente, ma anche nei confronti di un colpevole cui si sarebbe dovuto infliggere un trattamento meno severo.

Secondo il prevalente orientamento, analogamente a quanto avviene per i delitti di calunnia, falsa testimonianza, perizia o interpretazione (artt. 368, 372 e 373 c.p.), anche in questo caso si è in presenza di un delitto aggravato dall'evento, in cui l'evento aggravatore (l'ingiusta condanna) deve essere almeno prevedibile dal reo.

Al delitto in esame si applica anche la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui al capoverso dell'art. 323-bis c.p., che prevede una diminuzione della pena da un terzo a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa fosse portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili, ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite.

Si tratta di una misura premiale finalizzata a favorire la rottura del patto corruttivo, che rappresenta uno degli strumenti più efficaci per l'accertamento dei fatti corruttivi, soprattutto di fronte alle peculiari caratteristiche assunte dalle nuove forme di manifestazione della corruzione sistemica.

L'attenuazione del trattamento sanzionatorio trova fondamento nella minore capacità a delinquere dimostrata dal colpevole che, successivamente alla commissione del reato, si sia efficacemente adoperato per conseguire, in via alternativa, uno dei risultati previsti dalla norma.

Poiché la norma richiede che l'autore del reato si adoperi «efficacemente», occorre che l'ausilio fornito sia sostanziale, determinante e decisivo per conseguire i risultati indicati dalla norma, prima che gli stessi siano autonomamente conseguiti dalle autorità inquirenti.

In altri termini, è richiesta la realizzazione di un risultato che torni utile e proficuo agli organi giudiziari, nel senso che, senza la collaborazione del colpevole, valutando il complesso degli elementi processuali sussistenti al momento del suo sorgere, non si sarebbe innescato quel processo conducente alla raccolta delle prove o all'individuazione degli altri responsabili o al sequestro delle somme o delle altre utilità trasferite all'intraneus.

Va osservato che la collaborazione processuale in esame, a differenza di altre disposizioni premiali, non è sottoposta ad alcun limite temporale (es. prima del giudizio o prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna): essa, quindi, potrà essere utilmente prestata in qualsiasi fase del processo, ma non oltre il giudizio di primo grado, potendo il giudice di appello conoscere del procedimento limitatamente ai punti della decisione cui si riferiscono i motivi proposti dall'appellante.

Sanzioni accessorie

Al reato in esame si applicano le sanzioni accessorie previste dall’art. 317-bis, al cui commento si rinvia.

La causa di non punibilità della collaborazione

Al reato in esame si applica la causa di non punibilità prevista dall’art. 323-ter, al cui commento si rinvia.

Rapporti con altri reati

Intralcio alla giustizia

Integra il reato di corruzione in atti giudiziari previsto dall'art. 319-ter la promessa o la dazione di denaro rivolta al teste, e da questi accettata, cui sia seguita la falsa testimonianza per favorire una parte del processo penale, mentre si ha il meno grave reato di intralcio alla giustizia, previsto dall'art. 377, nel caso in cui l'offerta o la promessa di denaro o di altra utilità, volta al condizionamento delle dichiarazioni dei testimoni, non sia accettata (Cass. VI, n. 40759/2016).

False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria

Il delitto in esame può concorrere con quello di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria (art. 374-bis), attesa la diversità strutturale delle due fattispecie e il differente bene giuridico tutelato dalle rispettive norma incriminatrici (Cass. V, n. 10443/2011).

Truffa e falsa testimonianza

Il reato di corruzione in atti giudiziari può concorrere sia con la truffa (art. 640) che con la falsa testimonianza (art. 372), trattandosi di reati aventi diverso oggetto giuridico ed essendo lesivi di diversi interessi (rispettivamente, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, tutela del patrimonio, corretto funzionamento dell'amministrazione della giustizia) (Cass. I, n. 3274/2003).

Responsabilità dell'ente

L'art. 25 d.lgs. n. 231/2001 prevede, per il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote. Si applicano, inoltre, le sanzioni interdittive previste dall'art. 9 d.lgs. n. 231/2001.

Confisca

L'art. 319 c.p. è incluso nell'elenco tassativo delle fattispecie che consentono sia l'applicazione della confisca “diretta” che della confisca “per equivalente” di cui all'art. 322-ter, comma 1, c.p., al cui commento si rinvia.

Occorre segnalare che in relazione ai beni sequestrati in vista della confisca di cui all’art. 322-ter, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, l’art. 322-ter.1, al cui commento si rinvia, prevede la possibilità di affidarli in custodia giudiziale agli organi della polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative.

Anche per la corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio è stata prevista la possibilità di disporre la confisca allargata dei beni e delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito (art. 240-bis c.p.).

La sospensione condizionale della pena

Cfr. sub art. 317.

Profili processuali

Gli istituti

La corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio è un reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale in composizione collegiale.

Per il delitto di corruzione per l'esercizio della funzione:

a) è possibile disporre intercettazioni (anche tramite captatore informatico);

b) sono consentiti l'arresto in flagranza (facoltativo per l'ipotesi di cui al primo comma e alla prima parte del secondo comma ed obbligatorio per l'ipotesi di cui alla seconda parte del secondo comma) e il fermo;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

L'applicazione della pena su richiesta delle parti

Il comma 1-ter dell'art. 444 c.p.p., aggiunto dall'art. 6 l. n. 69/2015, subordina l'ammissione della richiesta di patteggiamento per il delitto in esame alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.

Correlazione tra accusa e sentenza

Non si ha mutamento del fatto e nemmeno dell'imputazione nell'ipotesi in cui l'imputazione, originariamente contestata come violazione dell'art. 319-ter c.p., venga successivamente circoscritta alla violazione dell'art. 319 c.p., individuando in detta modifica giuridica — in quanto tale del tutto estranea alla modifica del contenuto del fatto, inteso nella sua sostanzialità — l'attuazione di un compito prioritario nell'esercizio della giurisdizione, ovvero l'applicazione esatta della legge (Cass. VI, n. 9574/1999).

Costituzione di parte civile

È controverso se la legittimazione a costituirsi parte civile nel procedimento penale a carico di un magistrato imputato di corruzione spetti al Ministro della giustizia oppure al Presidente del Consiglio dei ministri. Secondo alcune decisioni, al Ministro della giustizia difetterebbe tale legittimazione in quanto organo estraneo all'esercizio della funzione giurisdizionale ed al quale spetta, invece, l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi della giustizia. Ne consegue che l'interesse della collettività all'esercizio imparziale ed indipendente della funzione giurisdizionale non può essere rappresentato da un'entità organizzativa dello stato apparato, quale il Ministro della giustizia, ma solamente dal soggetto che rappresenta la sintesi politica e di governo dello stato-comunità, ovvero dal Presidente del Consiglio dei Ministri (Cass. VI, n. 8849/2000). Ad avviso di altro orientamento, invece, il Ministro della giustizia è legittimato a costituirsi parte civile, essendo l'organo cui spetta, come si desume dagli artt. 110 e 107 Cost., il compito di accertare la sussistenza e la consistenza del danno subito dall'amministrazione della giustizia a cagione della condotta del magistrato, nonché di individuare, nell'ambito della gestione patrimoniale delle spese inerenti l'Ordine Giudiziario, gli strumenti per porvi rimedio, ivi compresa la costituzione di parte civile nel processo penale diretta a recuperare i mezzi economici da destinare a tale fine (Cass. VI, n. 23024/2004).

Le operazioni sotto copertura

Cfr. sub art. 317.

La concessione dei benefici penitenziari

Cfr. sub art. 317.

Bibliografia

Gatta, Riforme della corruzione e della prescrizione del reato: il punto sulla situazione, in attesa dell’imminente approvazione definitiva, in Dir. pen. cont., 17 dicembre 2018; Macchia, Subornare non vuol dire corrompere, in Dir. e giust., 2003, n. 9, 14; Marra, La corruzione susseguente in atti giudiziari tra interpretazione letterale e limiti strutturali, in Dir. pen. e proc., 2010, 1091; Seminara, Gli interessi tutelati nei reati di corruzione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2003, 973.

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