Codice Penale art. 319 quater - Induzione indebita a dare o promettere utilità 1 .

Alessandro Trinci

Induzione indebita a dare o promettere utilità 1.

[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi 2.

[II]. Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni ovvero con la reclusione fino a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000 3.

 

competenza: Trib. collegiale

      arresto: facoltativo (1° comma; 2° comma seconda parte); non consentito (2° comma prima parte)

fermo: consentito (1° comma); non consentito (2° comma)

custodia cautelare in carcere: consentita (1°comma); non consentita (2° comma)

altre misure cautelari personali: consentite (1° comma; 2° comma seconda parte); v. art. 2892 c.p.p. (2° comma prima parte)

procedibilità: d'ufficio

[2] L'art. 1 l. 27 maggio 2015, n. 69, ha sostituito le parole «da tre a otto anni» con le parole «da sei anni a dieci anni e sei mesi».

[3] L'art. 1, comma 1, lett. c), d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75, in vigore dal 30 luglio 2020, ha aggiunto le parole «ovvero con la reclusione fino a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000», dopo le parole «tre anni».

Inquadramento

Il delitto in esame consiste nel fatto del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che induce taluno a dare o promettere denaro o altra utilità a lui o ad una terza persona, abusando della sua qualità o dei suoi poteri.

Il capoverso della norma estende la punibilità anche a colui che dà o promettere il denaro o altra utilità.

La l. n. 69/2015 è intervenuta solo sulla pena, raddoppiando il minimo edittale ed elevando il massimo da otto anni a dieci anni e sei mesi di reclusione. Non è stata invece modificata la pena stabilita per il privato indotto dal pubblico agente a promettere o a dare.

Dal punto di vista del diritto intertemporale, sussiste continuità normativa fra la concussione per induzione di cui al previgente art. 317 ed il nuovo reato di cui all'art. 319-quater, di talché le condotte induttive tenute dal soggetto pubblico sotto la normativa precedente dovranno essere punite con il trattamento più mite previsto dalla norma in commento, salvo lo sbarramento del giudicato ai sensi dell'art. 2, comma 4, (Cass. S.U., n. 12228 /2013), soluzione che avrà conseguenze di non secondario rilievo sui processi in corso, tenuto conto della considerevole riduzione del termine di prescrizione.

Ovviamente, per il privato, trattandosi di nuova incriminazione, il reato in esame potrà essere imputato solo per le condotte tenute dopo l'entrata in vigore della riforma

Aspetti generali

L'introduzione del delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità è la conseguenza della scelta, operata dalla l. n. 190/2012, di scindere il delitto di concussione in due autonome fattispecie: da un lato, la concussione per costrizione, rimasta all'interno dell'art. 317 c.p., limitata al solo pubblico ufficiale e punita più gravemente (il minimo edittale è stato elevato da quattro a sei anni di reclusione), dall'altro, la concussione per induzione, ribattezzata “induzione indebita a dare o promettere utilità”, collocata nel nuovo art. 319-quater ed estesa anche al privato, che per tale fattispecie passa dal ruolo di vittima del reato a quella di soggetto attivo, sia pure punito con un trattamento assai più mite (reclusione fino a tre anni) rispetto al soggetto pubblico.

Per comprendere i motivi dell'introduzione della norma in commento, occorre tenere presente che da tempo si dibatteva in dottrina dell'opportunità di mantenere un'autonoma figura di reato in cui il privato, il quale promette o dà al pubblico ufficiale denaro o altre utilità, sia pure perché indotto, va comunque esente da qualsiasi sanzione penale, assumendo invece la veste di vittima del reato. Anche gli organismi internazionali (Greco e Working Group on Bribery) avevano in più occasioni espresso preoccupazione per la deresponsabilizzazione del concusso che avesse conseguito vantaggi dal comportamento del pubblico ufficiale e per la consequenziale tentazione degli inquirenti a privilegiare la qualificazione di fatti corruttivi in termini di concussione in modo da poter fare affidamento nelle dichiarazioni accusatorie rese della “vittima” del reato; veniva poi rilevata la difficoltà di distinguere la concussione per induzione dalle fattispecie contigue come la corruzione, soprattutto nei casi di c.d. concussione ambientale.

Si analizzeranno di seguito gli elementi peculiari della fattispecie in esame tenendo conto dell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale maturata sulla analoga figura della corruzione per induzione.

Bene giuridico tutelato

Il bene giuridico tutelato è senza dubbio l'imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione. Più problematica è invece l'estensione della tutela penale anche al privato, sotto il profilo della sua autonomia di determinazione nei rapporti con la pubblica amministrazione. Se la natura plurioffensiva può essere sostenuta senza particolari incertezze per la concussione per costrizione, nella fattispecie induttiva la libertà di autodeterminazione conservata dal privato nel rapporto deviato con il funzionario pubblico e la sua veste di soggetto attivo del reato porta a ritenere estromesso dall'oggettività giudica qualsiasi profilo di protezione attinente il privato.

Soggetti

Soggetto attivo

I soggetti attivi del reato sono i pubblici funzionari e gli incaricati di pubblico servizio (primo comma) e il privato (secondo comma).

Se, come visto (cfr. sub art. 317), l'estromissione degli incaricati di pubblico servizio dal novero dei soggetti attivi del nuovo delitto di concussione desta qualche perplessità, la loro inclusione fra gli autori del delitto in esame appare senza dubbio corretta, trattandosi di funzionari pubblici dotati di poteri capaci di incidere efficacemente sulle scelte del privato.

Soggetto passivo

Il reato di induzione indebita è configurabile anche se il destinatario della pressione abusiva sia un altro pubblico ufficiale, ma, in tal caso, l'effetto induttivo sulla libertà di autodeterminazione deve essere apprezzato con particolare prudenza, in considerazione dell'elevato grado di resistenza che ci si aspetta dal soggetto che riveste la qualifica pubblicistica, il quale, secondo la fisiologica dinamica dello specifico rapporto intersoggettivo, deve rendere recessiva la forza persuasiva di cui è oggetto (Cass. VI, n. 22526/2015).

Materialità

Condotta

La condotta tipica consiste nella induzione, per il soggetto pubblico, e nella dazione o promessa, per il soggetto privato. Il comportamento induttivo deve risultare funzionalmente collegato all'abuso della qualità o dei poteri del soggetto pubblico.

Abuso della qualità o dei poteri

Si ha abuso della qualità quando l'agente pubblico ricorre alla sua condizione soggettiva per conseguire vantaggi non dovuti (si pensi, ad esempio, ad un ufficiale della Guardia di Finanza che si presenta in divisa in un esercizio pubblico chiedendo ed ottenendo la consegna di merce senza pagare); si ha invece abuso dei poteri quando il medesimo scopo viene perseguito con l'esercizio distorto delle attribuzioni pubbliche (si pensi sempre al predetto ufficiale che si faccia consegnare gratuitamente della merce da un commerciante sottoposto a controllo svolgendo le relative operazioni in modo vessatorio).

L'abuso costituisce, dunque, lo strumento utilizzato dall'agente pubblico per realizzare l'effetto induttivo, in quanto trasforma la generica ed irrilevante posizione di supremazia, sempre connaturata alla qualifica pubblicistica, in quello stato di soggezione che condiziona l'agire del privato.

Ne consegue che il reato non è configurabile nel caso in cui il soggetto agente, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, non faccia valere tale qualità, bensì si limiti ad esercitare l'autorevolezza derivante dal ruolo politico svolto nel territorio di riferimento (Cass. VI, n. 41726/2019).

L'abuso dei poteri da parte del pubblico ufficiale può realizzarsi anche in forma omissiva attraverso il mancato compimento di atti doverosi, ove tale comportamento sia idoneo ad indurre il privato alla dazione o alla promessa dell'indebito (Cass. VI, n. 10066/2021). 

Si ha abuso della qualità anche quando il pubblico ufficiale prospetta un efficace potere di ingerenza nel compimento di atti formalmente estranei alle proprie competenze, ma pur sempre spettanti alla pubblica amministrazione cui egli è preposto (Cass. III, n. 29321/2020).

Induzione

Cosa debba intendersi per induzione, e quale sia il confine con la costrizione, risulta particolarmente controverso. Sul punto si possono richiamare brevemente gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sviluppatisi nell'esegesi del “vecchio” art. 317, stante la continuità normativa tra le due disposizioni, formulate in termini del tutto identici (Cass. VI, n. 8695/2012).

Alla luce di un primo orientamento, il termine induzione andrebbe inteso in senso restrittivo, ossia come sinonimo di induzione in errore mediante inganno; in questa prospettiva ermeneutica soltanto un'attività fraudolenta sarebbe in grado di incidere sull'altrui volere (Pagliaro, PS, I 2000, 122).

Un'altra opinione si dirige invece in direzione opposta, ritenendo che lo stato di errore della vittima sia incompatibile con la struttura della concussione (Ravagnan, 171).

Secondo un'ultima corrente di pensiero, l'induzione penalmente rilevante si identifica in ogni comportamento idoneo a porre il destinatario in una condizione di soggezione psicologica, determinandolo ad una certa condotta. L'induzione, dunque, potrebbe estrinsecarsi in qualsiasi forma (Antolisei, PS, II, 1999, 318).

La giurisprudenza ha mostrato di preferire un concetto ampio di induzione, intendendo come tale ogni attività di persuasione, convinzione o suggestione, attuata in qualsiasi forma, anche velata e indiretta, purché sufficiente ad influire sulla volontà del soggetto passivo (Cass. VI, n. 49538/2003).

Così, nella nozione di induzione va ricompresa qualsiasi condotta capace di creare nel privato uno stato di soggezione psicologica che lo porti ad agire nel senso voluto dall'agente; essa può assumere svariate forme (quali l'inganno, la persuasione, la suggestione, l'allusione, il silenzio o l'ostruzionismo, anche variamente ed opportunamente combinati tra loro), in considerazione anche del diverso contesto in cui i soggetti si muovono e la loro maggiore o minore conoscenza di certi moduli operativi e dei relativi codici di comunicazione (Cass. II, n. 2809/1995).

In alcune pronunce, inoltre, si distingue tra induzione mediante persuasione ed induzione mediante frode: entrambe possono infatti integrare l'elemento materiale dell'illecito in esame; ciò che conta è che il comportamento dell'agente determini una pressione psicologica nella vittima, indipendentemente dalle modalità con cui questa sia provocata ed ottenuta.

In conclusione, nel concetto di induzione previsto dalla norma rientra sia l'attività di persuasione che quella che comporta un inganno del soggetto passivo: l'inganno, infatti, ancorché non necessario, non può neppure dirsi in contrasto con la natura e la struttura della concussione, sempre che l'induzione si sia essenzialmente svolta attraverso l'abuso della qualità o della pubblica funzione (Cass. VI, n. 52/2002).

Occorre rilevare che l'alternatività fra la costrizione e l'induzione, che caratterizzava la previgente formulazione dell'art. 317, non ha stimolato, almeno a livello giurisprudenziale, un approfondimento della distinzione fra le due condotte, spesso accomunate nelle imputazioni (“costringeva o comunque induceva”) e, in alcune pronunce, ritenute un'endiadi (come se la norma recitasse “costringendo induceva”) oppure ritenute l'una una versione minore dell'altra, quasi che l'induzione fosse una forma blanda, implicita di costrizione.

Oggi la scissione delle due ipotesi criminose e il loro diverso trattamento attribuiscono all'interprete il delicato compito di tracciare una distinzione chiara.

Sul punto sono intervenute alcune recenti pronunce dei giudici di legittimità che hanno cercato di fornire delle prime indicazioni utili (Cass. VI, n. 7495/2012; Cass. VI, n. 7495/2012; Cass. VI, n. 8695/2012).

Prendendo le mosse da un'esegesi letterale, è stato rilevato come sotto il profilo linguistico il verbo “indurre”, a differenza di “costringere”, indica soltanto l'effetto senza dire nulla sulle modalità di conseguimento dello stesso. Ne è riprova l'uso che ne fa il legislatore penale: si pensi, ad esempio, agli artt. 377-bis (ove l'induzione si ottiene « con violenza o minaccia o con offerta o promessa di denaro o altra utilità »), 507 (ove l'induzione si realizza mediante « propaganda o valendosi della forza e autorità di partiti, leghe o associazioni ») e 558 (ove l'induzione al matrimonio avviene attraverso l'inganno).

Nella dicotomia costringere/indurre di cui agli artt. 317 e 319-quater l'induzione, stante l'atipicità della relativa condotta, finisce per essere un'ipotesi residuale che comprende tutto quello che si realizza senza la costrizione.

Ora, poiché la “costrizione” corrisponde all'impiego di violenza o minaccia per piegare qualcuno a un'azione non gradita e la violenza non può che essere morale (essendo quella fisica incompatibile con un abuso dei poteri o funzioni), compie il reato di cui all'art. 319-quater chi, per ricevere indebitamente denaro o altre utilità, prospetta una qualsiasi conseguenza dannosa che non sia contraria alla legge.

Nella concussione il pubblico ufficiale rappresenta che egli, violando la legge, recherà un detrimento, mentre nella induzione indebita questo detrimento deriva o è consentito dall'applicazione della legge. Nella prima ipotesi v'è costrizione della vittima perché si è impiegata una minaccia. Nella seconda ipotesi non può parlarsi di minaccia perché il danno non sarebbe iniuria datum e perciò la costrizione è mancata, ma essendosi, ciononostante, raggiunto il risultato, il soggetto è stato comunque indotto alla promessa o alla consegna indebita.

Alla luce di questa ricostruzione, ricavata da elementi letterali e sistematici, la Suprema Corte ritiene di superare l'orientamento giurisprudenziale che nella vigenza del “vecchio” art. 317 operava una distinzione tra le due forme di concussione in ragione di una supposta diversa intensità quantitativa della coazione per come ricavata dal tenore oggettivo delle condotte realizzate. Rilevano i giudici di legittimità che ove si volesse sostenere una simile idea si dovrebbe ritenere che l'interprete sia abilitato a costruire una gerarchia tra le minacce di per sé lesiva del principio di legalità in quanto conferirebbe all'interprete un implicito potere paranormativo diretto a tipizzare un precetto indeterminato.

Analogamente, non è possibile operare graduazioni nell'ambito dell'elemento comune della strumentalizzazione della qualifica o dei poteri, in quanto è tale abuso che costituisce la ragione della dazione o della promessa indebita sia nella costrizione che nella induzione e che, al contempo, consente di distinguere i delitti come la concussione e la induzione indebita, dove la volontà del privato, comunque sottoposta ad una pressione, risulta viziata nel suo determinarsi, e i delitti come l'istigazione alla corruzione e la corruzione, nei quali la formazione del volere in capo al privato rimane sostanzialmente insensibile rispetto al ruolo ed al contegno del soggetto pubblico, potendo la strumentalizzazione del potere o della qualità, al più, valere da mero spunto di una trattativa paritaria, destinata a sfociare in un sostanziale illecito accordo negoziale.

Ad avviso della Corte di Cassazione non rimane che interpretare le due norme nel senso di assegnare all'art. 317 l'ambito della minaccia in senso tecnico e all'art. 319-quater ogni altra prospettazione di un danno. Così risulta comprensibile perché chi prospetta un male ingiusto è punito più gravemente di chi prospetta un danno che deriva dalla legge. E ancora e soprattutto diventa ragionevole prevedere in quest'ultimo caso la punizione di chi aderisce alla violazione della legge per un suo tornaconto. Viceversa, punire chi si sia piegato alla minaccia, ancorché essa si sia presentata in forma blanda, significa richiedere al soggetto virtù civiche ispirate a concezioni di stato etico proprie di ordinamenti che si volgono verso concezioni antisolidaristiche e illiberali (Cass. VI, n. 3093/2012, secondo la quale « nel delitto di concussione di cui all'art. 317, così come modificato dall'art. 1, comma 75, l. n. 190/2012, la costrizione consiste in quel comportamento del pubblico ufficiale idoneo ad ingenerare nel privato una situazione di metus, derivante dall'esercizio del potere pubblico, che sia tale da limitare la libera determinazione di quest'ultimo, ponendolo in una situazione di minorata difesa rispetto alle richieste più o meno larvate di denaro o altra utilità e si distingue dall'induzione, elemento oggettivo della nuova fattispecie di cui all'art. 319-quater (pure introdotta dal medesimo art. 1, comma 75, l. n. 190/2012, cit.), che invece può manifestarsi in un contegno implicito o blando del pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio in grado, comunque, di determinare uno stato di soggezione, ovvero in un'attività di determinazione più subdolamente persuasiva »).

A nostro avviso, nell'actio finium regundorum fra le due nuove fattispecie l'interprete deve però ora tenere nel debito conto anche il ruolo assunto dal privato: vittima nella concussione, concorrente necessario nell'induzione indebita a dare o promettere utilità. Il passaggio da vittima ad autore del reato nella concussione per induzione (rectius: induzione indebita) va ricollegato al margine di libertà di scelta che residua in capo al privato a seguito delle pressioni o persuasioni subite ad opera del funzionario pubblico, di talché egli si pone consapevolmente contra legem pur potendo agire diversamente. Ma potrebbe aggiungersi, anche se non espressamente previsto dalla norma, che egli, di regola, si risolve nell'indebita dazione o promessa perché il mercimonio gli consente di conseguire una qualche utilità.

Di tali considerazioni sembra fare governo la Suprema Corte in un'altra recente pronuncia post riforma in cui affronta proprio il tema della distinzione fra i nuovi artt. 317 e 319-quater. Affermano, infatti, i giudici di legittimità che nella concussione da costrizione il pubblico ufficiale agisce con modalità ovvero con forme di pressione tali da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione del destinatario della pretesa, il quale è “vittima” del reato, perché, senza che gli sia stato prospettato alcun vantaggio diretto, decide di dare o promettere esclusivamente allo scopo di evitare il danno minacciato (certat de damno vitando). Nella induzione indebita, invece, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio agisce con modalità ovvero con forme di pressione più blande, tali dal lasciare un margine di scelta al destinatario della pretesa, il quale concorre nel reato perché gli si prospetta un qualche vantaggio diretto e decide di dare o promettere — più che per evitare il danno prospettato dal pubblico funzionario — per conseguire il predetto vantaggio (certat de lucro captando) (Cass. VI, n. 11794/2013; si veda anche Cass. VI, n. 7495/2012, che individua sempre il discrimine fra le due fattispecie nell'ingiustizia del male prospettato al privato: prospettazione, anche implicita, di un male ingiusto nella concussione e prospettazione di conseguenze sfavorevoli derivanti dall'applicazione della legge nell'induzione indebita; in dottrina si veda Spena, ad avviso del quale il criterio discretivo va individuato non già nell'intensità della pressione psicologica esercitata sul privato, quanto piuttosto nella natura giusta o ingiusta del male prospettato dal pubblico agente: «vi sarà tuttavia una costrizione quando si tratti di un male che il privato ha diritto di non subire, mera induzione, invece, quando si tratti di un male che deriverebbe da un esercizio legittimo dei poteri del p.a.»).

L'estensione della punibilità al privato induce poi ad escludere dal novero delle condotte rilevanti ex art. 319-quater tutte le forme di induzione in errore, risultando irragionevole assoggettare a pena chi si sia determinato a dare o promettere utilità indebite perché tratto in inganno dal funzionario pubblico (Balbi, 11).

In senso contrario, però, si è sostenuto che anche in caso di inganno il privato sarebbe indotto ad accedere alla sollecitazione illecita, pur sempre nella convinzione che questa non sia dovuta, per ottenere, per sé, un vantaggio non dovuto. Si tratterebbe, secondo questo orientamento, di un'ipotesi diametralmente diversa da quella che integra il reato di truffa aggravato dalla qualità di pubblico ufficiale (artt. 640 e 61, n. 9), dove il privato è vittima, in quanto nella truffa mediante l'abuso dei poteri o della qualità il privato viene convinto con artifici o raggiri a eseguire una prestazione che egli crede dovuta (Amato, 17).

La soluzione lascia perplessi: non si capisce in quale falsa rappresentazione, diversa dall'erronea convinzione di dover eseguire la prestazione richiesta, debba essere indotto il privato dall'atteggiamento fraudolento del funzionario pubblico.

Vi è da chiedersi, invece, se possano rientrare nel campo di azione della nuova norma le ipotesi in cui il privato ceda all'induzione del funzionario pubblico non per evitare un danno che deriva dalla legge ma per conseguire un vantaggio “illecito” in quanto non ottenibile senza l'intervento abusivo del soggetto pubblico (si pensi, ad esempio, all'aggiudicazione di un appalto pubblico in violazione delle regole della concorrenza). A ben vedere, in questi casi si giustifica maggiormente la punizione del privato che ha ceduto alle pressioni o persuasioni del soggetto pubblico, ma i confini con la contigua fattispecie di corruzione rischiano di farsi più nebulosi, dovendo l'interprete analizzare il rapporto fra le parti per capire se la compravendita della funzione pubblica sia stata pattuita in condizioni di parità contrattuale oppure il privato abbia agito in una situazione di assoggettamento psicologico conseguente alla condotta abusiva del pubblico ufficiale.

Come vedremo meglio più avanti trattando dei confini fra il reato in esame e la concussione, sulla distinzione fra costrizione e induzione sono intervenute le Sezioni Unite con una elaborata pronuncia che, tenendo conto del mutato assetto normativo (e dell'inedita punizione del privato indebitamente indotto), hanno ritenuto che la condotta induttiva sia caratterizzata da una pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, che lascia al destinatario della stessa un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un suo indebito vantaggio. Nella concussione, invece, si è in presenza di una condotta del pubblico ufficiale che limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del destinatario.

Evento

L'evento è costituito dalla dazione o dalla promessa di una indebita prestazione proveniente dal privato e indirizzata al soggetto pubblico. L'evento deve essere causalmente collegato alla condotta induttiva dell'agente: se il privato si è indotto spontaneamente alla dazione o alla promessa non si versa nell'ipotesi di cui all'art. 319-quater c.p. Più precisamente, l'illecito in esame si contraddistingue per un duplice nesso di causalità, da un lato, tra l'abuso della qualità o dei poteri e l'induzione e, dall'altro, tra queste e la dazione o promessa.

Occorre anche che il privato sia consapevole dell'ingiustizia della prestazione indebita richiesta dal soggetto pubblico. Infatti, se l'indotto ignora l'illegittimità della dazione o promessa e, quindi del disvalore insito nell'azione dell'induttore, non si può affermare che la dazione o promessa sia stata “conseguenza” dell'abuso e, quindi, che la volontà del privato sia stata influenzata dalla condotta del pubblico agente.

La dazione implica il passaggio di un bene dalla sfera di disponibilità di un soggetto a quella di un altro soggetto e può assumere, in concreto, le forme più svariate.

La promessa è la manifestazione di un impegno ad effettuare in futuro la prestazione; può realizzarsi in qualsiasi modo e non necessita della forma scritta; occorre, tuttavia, che la stessa sia assistita da una seria credibilità.

Si ritiene che sia irrilevante ai fini della configurabilità del delitto in esame che la promessa venga effettuata con riserva mentale, ovvero senza una reale volontà di adempiere (o con l'intendimento di sollecitare l'intervento della polizia giudiziaria affinché la dazione avvenga sotto il suo controllo); e ciò sulla base del fatto che la riserva è confinata nella sfera interiore del soggetto passivo, mentre la promessa rileva per il suo significato oggettivo. Per aversi induzione è pertanto sufficiente che la vittima si sia determinata ad effettuare la promessa in conseguenza dell'altrui comportamento, non importa con quale intento soggettivo (Cass. VI, n. 16154/2013).

Oggetto della dazione o della promessa

Sotto la pressione dell'induzione, il privato deve consegnare o promettere al soggetto pubblico o a terzi denaro o altra utilità.

Mentre la nozione di denaro è pacifica, il concetto di altra utilità presenta contorni più sfumati.

La giurisprudenza ha avuto modo di osservare che tale espressione è idonea a ricomprendere qualsiasi bene che costituisca un vantaggio per il pubblico ufficiale o per il terzo; esso deve essere giuridicamente apprezzabile e può anche non possedere un contenuto economico (Cass. IV, n. 7597/2013, relativa ad una fattispecie nella quale l'utilità è stata riconosciuta nell'apprezzamento e nel consenso ottenuti dal direttore generale dell'Asl per l'apertura di una sala operatoria, che avrebbe consentito all'utenza locale di non spostarsi in altre sedi, così evidenziandosi la sua capacità manageriale e la sua efficienza).

Come precisato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, con riferimento al delitto di concussione, il termine utilità indica tutto ciò che rappresenta un vantaggio per la persona, materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, oggettivamente apprezzabile, consistente tanto in un dare quanto in un facere (o anche in un non facere: Cass. VI, n. 48764/2011) e ritenuto rilevante dalla consuetudine o dal convincimento comune. Ne deriva che i favori sessuali rientrano nella suddetta categoria in quanto rappresentano un vantaggio per il funzionario che ne ottenga la promessa o la effettiva prestazione (Cass. S.U., n. 7/1993).

Inoltre, nell'espressione “altra utilità” può essere ricompreso anche il vantaggio di natura politica, purché esso non si identifichi con il solo vantaggio di natura istituzionale che, in quanto rivolto esclusivamente alla pubblica amministrazione, esclude la sussistenza del reato.

Come detto, deve invece essere esclusa la sussistenza del reato che si analizza quando la prestazione promessa od effettuata dal soggetto privato giovi soltanto alla pubblica amministrazione e rappresenti una utilità per il perseguimento dei relativi fini istituzionali, poiché in tal caso non si determina alcuna lesione per l'oggetto giuridico del reato, sotto forma di buon andamento della pubblica amministrazione (Cass. VI, n. 32237/2014, con riferimento dal delitto di concussione).

La dazione o la promessa devono, altresì, essere indebite. È un dato oramai acquisito quello per cui deve considerarsi indebita la prestazione sine titulo, che non è dovuta né per legge, né per consuetudine. Con riferimento al delitto di concussione, dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto indebita anche la prestazione che è dovuta al pubblico agente come privato, ossia per ragioni non inerenti alla funzione servizio (Cass. VI, n. 31341/2011; in dottrina Fiandaca-Musco, PS I 2002, 216).

La prestazione indebita deve essere effettuata o promessa al soggetto pubblico o ad un terzo. Terzo è colui che è estraneo all'attività abusiva del funzionario pubblico. Tale non può essere l'ente presso il quale opera il funzionario pubblico stante il rapporto di rappresentanza organica che lega l'intraneus all'ente. Ne consegue che in caso di prestazioni indebite date o promesse all'ente non potrà configurarsi concussione, ma, semmai, abuso d'ufficio o altro delitto (Cass. VI, n. 31713/2003, con riferimento al delitto di concussione).

L'induzione ambientale

Cfr. sub art. 317.

Elemento psicologico

Dolo

Con riferimento all'elemento soggettivo, il dolo è generico e richiede, in omaggio alle regole generali, la rappresentazione e la volontà di tutti gli elementi costitutivi del fatto di reato. Entrambi i soggetti attivi del reato devono essere consapevoli sia dell'abusività della condotta del funzionario pubblico, sia del carattere indebito della prestazione data o promessa dal privato (Cass. VI, n. 8695/2012); quest'ultimo deve essere consapevole anche della qualifica dell'induttore.

Consumazione e tentativo

Consumazione

Il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità si consuma nel momento e nel luogo in cui è avvenuta la dazione o è stata fatta la promessa. Ai fini della configurabilità del reato è sufficiente la promessa, costituendo l'eventuale successiva dazione un post factum irrilevante. Pertanto, l'indebita promessa di denaro o di altra utilità, effettuata nei modi previsti dall'art. 319-quater c.p., integra gli estremi del reato in esame, mentre la successiva consegna della cosa promessa realizza solo il conseguimento dell'illecito profitto derivante dal reato già consumato. Ne consegue, quindi, che plurime corresponsioni rateali di somme di denaro originariamente pretese dal pubblico ufficiale e che il privato aveva promesso di versargli integrano un unico episodio criminoso e non una vicenda continuativa.

Con riferimento al delitto di concussione è stata, tuttavia, proposta una diversa interpretazione, che sembra applicabile anche al delitto di induzione indebita. Si è, infatti, sostenuto che qualora alla promessa consegua la dazione del denaro o di altra utilità, sarebbe ravvisabile un approfondimento dell'offesa, che sposta all'atto di tali prestazioni il momento consumativo del reato. In quest'ottica, il delitto di induzione si presenterebbe come fattispecie a duplice schema, nel senso che esso si perfeziona alternativamente con la promessa o con la dazione indebita conseguente all'attività di induzione del pubblico ufficiale; pertanto, se tali atti si susseguono, il momento consumativo si cristallizza nell'ultimo, venendo così a perdere di autonomia l'atto anteriore della promessa e concretizzandosi l'attività illecita nell'effettiva dazione, secondo un fenomeno assimilabile al reato progressivo, posto che ogni prestazione approfondisce l'offesa del bene tutelato dalla fattispecie incriminatrice (Cass. VI, n. 28431/2013; in dottrina Pagliaro, PS I 2000, 138).

Ai fini della consumazione del delitto in esame è sufficiente la promessa di denaro o altra utilità fatta dall'indotto al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio, senza che abbia rilevanza alcuna né la riserva mentale di non adempiere nè l'intendimento di sollecitare l'intervento della polizia giudiziaria affinché la dazione avvenga sotto il suo controllo (Cass. VI, n. 27723/2018)né il fatto che il privato si sia successivamente risolto a non dar seguito all'accordo (Cass. VI, n. 37509/2021).

Tentativo

L'induzione indebita è un delitto di evento quindi il tentativo è configurabile. A tal fine è sufficiente che siano stati posti in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco ad indurre taluno a dare o promettere denaro o altre utilità, a prescindere dall'effettiva realizzazione della prestazione e indipendentemente dal verificarsi dello stato di soggezione della vittima (Cass. VI, n. 46071/2015, nella quale la Corte ha qualificato in termini di tentativo un'ipotesi in cui il soggetto passivo, prima ancora di promettere la prestazione richiestagli, aveva concretamente manifestato la volontà di resistere all'induzione, registrando i colloqui avuti con un intermediario del pubblico ufficiale e presentando denuncia ai Carabinieri).

Si ha tentativo anche nei casi accordo apparente, ossia quando il privato ha simulatamente promesso la dazione (Cass. VI, n. 37509/2021).

La giurisprudenza ha chiarito che quello in esame non è un reato bilaterale, in quanto le condotte del soggetto pubblico che induce e del privato indotto si perfezionano autonomamente ed in tempi diversi, sicché il reato si configura in forma tentata nel caso in cui l'evento non si verifichi per la resistenza opposta dal privato alle illecite pressioni del pubblico agente (Cass. VI, n. 6846/2016, relativa ad un caso in cui la Corte ha qualificato in termini di tentativo un'ipotesi in cui il soggetto passivo aveva sporto querela, in tal modo manifestando la volontà di resistere all'induzione).

Forme di manifestazione

Circostanze

Nei confronti di colui che dà o promette denaro o altra utilità è previsto un aggravamento di pena quando il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000. Si tratta di una circostanza aggravante ad effetto comune introdotta dal d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75 allo scopo di armonizzare la disciplina penale italiana alla Dir. UE n. 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, in tema di lotta contro la frode che leda gli interessi finanziari dell'Unione (c.d. direttiva PIF).

Al delitto di indebita induzione si applica la circostanza attenuante comune di cui all'art. 323-bis, comma 1, c.p. che prevede una diminuzione della pena fino ad un terzo quando i fatti sono di particolare tenuità. L'attenuante richiede una valutazione globale del fatto e non solo una verifica delle conseguenze di carattere patrimoniale.

Al riguardo, la giurisprudenza è dell'avviso che possa configurarsi un concorso tra l'attenuante di cui all'art. 62, n. 4, e quella di cui all'art. 323-bis, in quanto quest'ultima si riferisce al fatto di reato nella sua globalità (condotta, elemento psicologico, evento), mentre la prima prende in esame il solo aspetto del danno o del lucro, che deve essere connotato da speciale tenuità (Cass. VI, n. 7919/2012). Il concorso va invece escluso quando la circostanza attenuante speciale in esame venga riconosciuta esclusivamente in ragione della ritenuta esiguità del danno economico cagionato dal reato, poiché in essa rimane assorbita quella comune del danno patrimoniale di speciale tenuità (Cass. VI, n. 34248/2011).

La specifica attenuante in commento, quindi, non è correlata alla (modesta) entità del danno o del vantaggio patrimoniale, bensì alla particolare tenuità dell'intera fattispecie di reato. Il giudice deve quindi valutare il fatto nella sua globalità al fine di stabilire se presenti una gravità contenuta, dovendo considerare ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato (Cass. VI, n. 190/2011).

Si applica anche la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui al capoverso dell'art. 323-bis, che prevede una diminuzione della pena da un terzo a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o al-tre utilità trasferite.

Si tratta di una misura premiale finalizzata a favorire la rottura del patto corruttivo, che rappresenta uno degli strumenti più efficaci per l'accertamento dei fatti corruttivi, soprattutto di fronte alle peculiari caratteristiche assunte dalle nuove forme di manifestazione della corruzione sistemica.

L'attenuazione del trattamento sanzionatorio trova fondamento nella minore capacità a delinquere dimostrata dal colpevole che, successivamente alla commissione del reato, si sia efficacemente adoperato per conseguire, in via alternativa, uno dei risultati previsti dalla norma.

Poiché la norma richiede che l'autore del reato si adoperi «efficacemente», occorre che l'ausilio fornito sia sostanziale, determinante e decisivo per conseguire i risultati indicati dalla norma, prima che gli stessi siano autonomamente conseguiti dalle autorità inquirenti.

In altri termini, è richiesta la realizzazione di un risultato che torni utile e proficuo agli organi giudiziari, nel senso che, senza la collaborazione del colpevole, valutando il complesso degli elementi processuali sussistenti al momento del suo sorgere, non si sarebbe innescato quel processo conducente alla raccolta delle prove o all'individuazione degli altri responsabili o al sequestro delle somme o delle altre utilità trasferite all'intraneus.

Va osservato che la collaborazione processuale in esame, a differenza di altre disposizioni premiali, non è sottoposta ad alcun limite temporale (es. prima del giudizio o prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna): essa, quindi, potrà essere utilmente prestata in qualsiasi fase del processo, ma non oltre il giudizio di primo grado, potendo il giudice di appello conoscere del procedimento limitatamente ai punti della decisione cui si riferiscono i motivi proposti dall'appellante.

La circostanza aggravante comune prevista dall'art. 61, n. 9, non è compatibile con il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità, in quanto l'abuso dei poteri, che lo integra, configura anche elemento costitutivo del delitto di cui all'art. 319-quater (Cass. III, n. 37839/2014).

Sanzioni accessorie

Al reato in esame si applicano le sanzioni accessorie previste dall’art. 317-bis, al cui commento si rinvia.

La causa di non punibilità della collaborazione

Al reato in esame si applica la causa di non punibilità prevista dall’art. 323-ter, al cui commento si rinvia.

Rapporti con altri reati

Per quanto attiene ai rapporti con altri reati, occorre rilevare che la norma in commento apre con una clausola di riserva relativamente indeterminata finalizzata ad escludere la punibilità per induzione indebita qualora il fatto costituisca un più grave reato. Non è chiaro, però, quali possano essere i diversi reati realizzabili dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio attraverso la condotta di induzione (salvo forse quello di truffa aggravata ai danni dello Stato). Si rinvia sub art. 322 (istigazione alla corruzione), 323 (abuso d’ufficio), 346 (millantato credito), 346-bis (traffico di influenze illecite), 353 (turbata libertà degli incanti), 609-bis (violenza sessuale), 640 (truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio)

Concussione

La giurisprudenza formatasi dopo la novella del 2012 ha dato vita, in tempi rapidi, al formarsi di ben tre diversi orientamenti in ordine ai rapporti fra il delitto in esame e quello di concussione, rendendo necessario un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

Secondo un primo orientamento, la distinzione dipenderebbe dal differente atteggiarsi della condotta dell'agente: la costrizione alluderebbe ad una vera e propria minaccia, mentre l'induzione sarebbe riferibile a condotte di persuasione, suggestione, inganno (Cass. VI, n. 8695/2013).

Per un secondo orientamento, la distinzione dipenderebbe invece dalla natura “giusta” o “ingiusta” del pregiudizio prospettato (esplicitamente o implicitamente) al privato dal pubblico agente per motivarlo alla indebita promessa o dazione: concussione se il pubblico agente prospetta al privato un pregiudizio ingiusto, induzione indebita se il pubblico agente prospetta al privato conseguenze sfavorevoli derivanti dall'applicazione della legge, a meno che questi non si determini a dargli o promettergli denaro o altra indebita utilità (Cass. VI, n. 3251/2013).

Secondo un terzo orientamento, infine, decisivo sarebbe l'effetto determinato dalla condotta dell'agente nella psiche del soggetto passivo: effetto tipico della costrizione rilevante ex art. 317 sarebbe l'annullamento della libertà di autodeterminazione del privato, o quanto meno una sua significativa compromissione; mentre nell'induzione di cui all'art. 319-quater il privato si determinerebbe pur sempre liberamente all'indebita promessa o dazione al pubblico agente, ciò che darebbe ragione della sua punibilità.

Le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 12228/2014), chiamate a pronunciarsi sui confini fra i due reati, non hanno avallato alcuno dei tre orientamenti, ritenendoli incapaci di fornire un sicuro criterio discretivo. Nella ricerca di un criterio differenziale, la Suprema Corte ha ritenuto che la costrizione implichi obbligare taluno a compiere/non compiere una certa azione, il che è realizzabile attraverso violenza fisica o, molto più spesso, attraverso minaccia. Secondo il Supremo Collegio, la minaccia consiste in una « forma di sopraffazione prepotente, aggressiva e intollerabile socialmente, che incide sull'altrui integrità psichica e libertà di autodeterminazione ». Osservano poi le Sezioni Unite che la prospettazione minacciosa ha sempre per oggetto un male (art. 1435 c.c.) o danno (art. 612) ingiusto, cioè un fatto contra ius e lesivo di interessi della vittima. La minaccia quindi presuppone sempre una vittima, messa con le spalle al muro perché oggetto di un sopruso e costretta, appunto, ad agire, in assenza di una sostanziale alternativa, non per conseguire un vantaggio, ma per evitare un danno.

Proprio perché la minaccia presuppone una vittima, i giudici di legittimità la confinano nell'alveo della concussione e affermano che « il criterio discretivo tra il concetto di costrizione e quello di induzione...deve essere ricercato nella dicotomia minaccia-non minaccia, che è l'altro lato della medaglia rispetto alla dicotomia costrizione-induzione, evincibile dal dato normativo ». Dove non vi è vittima (induzione indebita) non vi è minaccia, perché « mai nell'ordinamento il destinatario di una minaccia, intesa in senso tecnico-giuridico, è considerato un correo ».

L'induzione viene dunque intesa, in negativo, come effetto che non consegue a una minaccia e, in positivo, come « alterazione del processo volitivo altrui, che, pur condizionato da un rapporto comunicativo non paritario, conserva, rispetto alla costrizione, più ampi margini decisionali, che l'ordinamento impone di attivare per resistere alle indebite pressioni del pubblico agente e per non concorrere con costui nella conseguente lesione di interessi facenti capo alla p.a. ».

Le modalità della condotta induttiva, che non devono essere evidentemente aggressive e coartanti, non possono che concretizzarsi nella persuasione, nella suggestione, nell'allusione, nel silenzio e, perfino, nell'inganno, « sempre che quest'ultimo non verta sulla doverosità della dazione o della promessa, del cui carattere indebito il privato resta perfettamente conscio; diversamente si configurerebbe il reato di truffa ».

Tali condotte rappresentano forme di condizionamento psichico che, nel contesto della figura delittuosa di cui all'art. 319-quater, sono funzionali a carpire una complicità prospettando un vantaggio indebito. È proprio il vantaggio indebito che, al pari della minaccia tipizzante la concussione, rappresenta l'essenza della fattispecie induttiva e giustifica la punibilità dell'indotto. In sostanza, ciò che si rimprovera al privato, punendolo, è di avere approfittato dell'abuso del pubblico ufficiale per perseguire un proprio vantaggio ingiusto (come, ad esempio, scongiurare una denuncia, un sequestro, un arresto legittimi, assicurarsi comunque un trattamento di favore). In breve, l'induzione non costringe ma convince il privato a scendere a patti con il pubblico ufficiale, secondo una logica assimilabile a quella corruttiva.

In definitiva, le Sezioni Unite ritengono che « danno ingiusto » e « indebito vantaggio » siano elementi costitutivi impliciti, rispettivamente, delle fattispecie di cui agli artt. 317 e 319-quater che il giudice deve apprezzare tenendo conto della sfera conoscitiva e volitiva del privato e delle spinte motivanti la dazione o promessa indebita.

La Suprema Corte mostra di essere consapevole della difficoltà di applicare il criterio discretivo elaborato in taluni casi evidenziati dalla prassi nei quali il confine tra concussione e induzione indebita appare più sfumato registrandosi una compresenza di danno ingiusto e vantaggio indebito.

In tali casi, osserva la Corte, il giudice di merito, sulla base di un'attenta ricostruzione del fatto, dovrà accertare se, nella scelta di dare o promettere l'indebito, abbia prevalso, nel privato, la prospettiva di ottenere un vantaggio piuttosto che quella di evitare un danno.

La sentenza contiene anche una rapida rassegna di casi problematici di cui fornisce alcune linee-guida per l'interprete:

a) abuso di qualità di chi fa pesare la propria posizione soggettiva senza però fare riferimento a un atto specifico del proprio ufficio o servizio (si pensi, ad esempio, al poliziotto che pretenda di non pagare al ristoratore una cena con amici): si dovrà valutare se il fatto si colora della sopraffazione o della dialettica utilitaristica (si pensi, nell'esempio fatto sopra, al ristoratore che cede alla pretesa per ingraziarsi il poliziotto, in vista di futuri favori);

b) prospettazione di un danno generico che il destinatario, per autosuggestione o per metus ab intrinseco, può caricare di significati negativi, paventando di poter subire un'oggettiva ingiustizia: si dovrà valutare se vi è stata o meno prevaricazione costrittiva, tenendo però presente che « quanto più il supposto danno è indeterminato tanto più l'intento intimidatorio del pubblico agente e i riflessi gravemente condizionanti — per metus ab extrinseco — l'autodeterminazione della controparte devono emergere in modo lampante, per poter pervenire ad un giudizio di responsabilità per concussione »;

c) minaccia-offerta o minaccia-promessa, che ricorre quando il pubblico ufficiale minaccia un danno ingiusto (ad esempio, l'esclusione illegittima e arbitraria da una gara d'appalto) e contestualmente promette un vantaggio indebito (ad esempio, la sicura vincita della gara in caso di dazione o promessa dell'indebito): si dovrà stabilire se il motivo della dazione/promessa dell'indebito risiede nella prospettiva del danno o del vantaggio;

d) minaccia dell'uso di un potere discrezionale: concussione se l'esercizio sfavorevole del proprio potere discrezionale viene prospettato in via estemporanea e pretestuosa, al solo fine di costringere alla dazione/promessa dell'indebito; induzione indebita se l'atto discrezionale pregiudizievole per il privato è prospettato nell'ambito di una legittima attività amministrativa, e si fa comprendere che, cedendo alla pressione abusiva, si consegue un trattamento indebitamente favorevole;

e) casi da risolvere confrontando e bilanciando i beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale: si tratta dei casi, richiamati dalla sentenza, del « primario » e della « prostituta », nei quali pare contrario al senso di giustizia punire l'extraneus e, pertanto, configurare l'induzione indebita in luogo della concussione. Nel caso del primario di una struttura pubblica, che allarmi il paziente circa l'urgenza di un intervento salvavita, e che pretenda denaro per operarlo personalmente e con precedenza, è configurabile la concussione. È vero che il paziente, cedendo alla pretesa, ottiene un vantaggio indebito; questo però non guida il suo processo volitivo, che è in realtà piegato dalla prospettiva di esporre a grave rischio la propria vita (la situazione è analoga a quella prevista dall'art. 54, comma 3). La concussione è parimenti configurabile, secondo le Sezioni Unite, nel caso della prostituta che il poliziotto faccia salire in macchina per evitare guai (giusti o ingiusti che siano). Il sacrificio di un bene di rango così elevato come la libertà sessuale, in spregio di qualsiasi criterio di proporzionalità, finisce per escludere lo stesso concetto di indebito vantaggio.

Più recentemente, la Suprema Corte ha precisato che il vantaggio del privato, quale conseguenza della dazione o promessa, non assume rilievo ai fini della possibile qualificazione del fatto come induzione indebita, anizché concussione, se ad esso si accompagni anche un male ingiusto di portata assolutamente spropositata, perché in tal caso il beneficio risulta integralmente assorbito dalla preponderanza del male ingiusto (Cass. VI, n. 38863/2021, relativa ad un fattispecie relativa alla condanna per tentata concussione emessa nei confronti di un appartenente all'Agenzia delle Entrate che, al fine di ottenere l'elargizione di una somma di denaro, prospettava un accertamento tributario per un importo assolutamente spropositato rispetto al dovuto ).

Corruzione

Per quanto attiene ai rapporti tra il delitto in esame e i delitti di corruzione, l'elemento differenziatore risiede nella presenza o meno di una soggezione psicologica dell'extraneus nei confronti dell'agente pubblico. Solo l'induzione indebita è caratterizzata da uno stato di soggezione psicologica e da un processo volitivo che non è spontaneo, ma è innescato dall'abuso del funzionario pubblico, che prende l'iniziativa e convince l'extraneus alla dazione indebita. Soggezione psicologica e abuso di potere/qualità sono dunque i due elementi differenziali tra induzione indebita e corruzione.

Ed è vero, come riconoscono le Sezioni Unite, che l'abuso non è estraneo alle fattispecie corruttive; in quelle, tuttavia, si atteggia a connotazione di risultato: solo nell'induzione indebita svolge, invece, il ruolo di strumento indefettibile per ottenere, con efficienza causale, la prestazione indebita (Cass. S.U. , n. 12228/2014 ; Cass. VI, n. 50065/2015).

Responsabilità dell'ente

L'art. 25 d.lgs. n. 231/2001 prevede, per il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità, la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote. Si applicano inoltre le sanzioni interdittive previste dall'art. 9 d.lgs. n. 231/2001.

Confisca

L'art. 319-quater è incluso nell'elenco tassativo delle fattispecie che consentono sia l'applicazione della confisca “diretta” che della confisca “per equivalente” di cui all'art. 322-ter, comma 1, al cui commento si rinvia.

Occorre segnalare che in relazione ai beni sequestrati in vista della confisca di cui all’art. 322-ter, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, l’art. 322-ter.1, al cui commento si rinvia , prevede la possibilità di affidarli in custodia giudiziale agli organi della polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative.

Al riguardo, va segnalato che le Sezioni Unite hanno ritenuto di includere nella nozione di “profitto” anche il bene immobile acquistato con somme di danaro illecitamente conseguite, quando l'impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all'autore di quest'ultimo (Cass. S.U., n. 10280/2008).

Anche per l'induzione indebita è stata prevista la possibilità di disporre la confisca allargata dei beni e delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito (art. 240-bis c.p.).

La sospensione condizionale della pena

Cfr. sub art. 317.

Profili processuali

Gli istituti

L'induzione indebita a dare o promettere utilità è un reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale in composizione collegiale.

Per il delitto di cui all'art. 319-quater, comma 1, c.p.:

a) è possibile disporre intercettazioni (anche tramite captatore informatico, per l’ipotesi di cui al primo comma);

b) sono consentiti l'arresto facoltativo in flagranza e il fermo;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

L'interdizione dai pubblici uffici

Sebbene l’art. 317-bis non preveda l’induzione indebita a dare o promettere utilità tra i reati che comportano l’interdizione dai pubblici uffici, deve ritenersiche a tale reato consegua comunque detta pena accessoria, trattandosi di reato commesso con abuso di poteri. In tal caso la pena accessoria deve essere modulata nella sua durata in base alle norme generali di cui agli artt. 29, 31 e 37(Cass. S.U., n. 12228/2013).

L'applicazione della pena su richiesta delle parti

Il comma 1-ter dell'art. 444 c.p.p., aggiunto dall'art. 6 l. n. 69/2015, subordina l'ammissione della richiesta di patteggiamento per il delitto in esame alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.

Riqualificazione della concussione in indebita induzione

Stante la continuità normativa fra i due illeciti, è possibile che il giudice dell'impugnazione riqualifichi l'originaria contestazione di concussione in quella di indebita induzione. Se tale decisione viene assunta dalla Suprema Corte, la sentenza impugnata deve essere annullata parzialmente, con rinvio al giudice di merito. Poiché tale rinvio è limitato alla sola rideterminazione della pena, va escluso che continuino a decorrere i termini di prescrizione (Cass. VI, n. 28412/2013). Inoltre, tale riqualificazione non fa venir meno il diritto alla restituzione e al risarcimento del danno a favore di colui che, al momento della commissione del fatto, era da considerarsi persona offesa dal reato (Cass. VI, n. 31957/2013).

Le operazioni sotto copertura

Cfr. sub art. 317.

Il divieto di concessione dei benefici penitenziari

Cfr. sub art. 317.

Bibliografia

Gatta, Riforme della corruzione e della prescrizione del reato: il punto sulla situazione, in attesa dell’imminente approvazione definitiva, in Dir. pen. cont., 17 dicembre 2018; Spena, Per una critica dell'art. 319-quater c.p. Una terza via tra concussione e corruzione?, in penalecontemporaneo.it. V. anche sub art. 317.

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