Codice Penale art. 322 - Istigazione alla corruzione (1) (2) (3).Istigazione alla corruzione (1) (2) (3). [I]. Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale [357] o ad un incaricato di un pubblico servizio [358], per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri (4), soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel comma 1 dell'articolo 318, ridotta di un terzo [323-bis]. [II]. Se l'offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale [357] o un incaricato di un pubblico servizio [358] ad omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nell'articolo 319, ridotta di un terzo [323-bis] (5). [III]. La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri (6). [IV]. La pena di cui al comma secondo si applica al pubblico ufficiale [357] o all'incaricato di un pubblico servizio [358] che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall'articolo 319 [32-quater, 323-bis]. (1) Articolo sostituito dall'art. 12 l. 26 aprile 1990, n. 86. (2) In tema di responsabilità amministrativa degli enti v. art. 25 d.lg. 8 giugno 2001, n. 231. (3) Per la confisca di denaro, beni o altre utilità di non giustificata provenienza, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta, v. ora artt. 240-bis c.p., 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e 301, comma 5-bis,d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (per la precedente disciplina, v. l'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., in l. 7 agosto 1992, n. 356). (4) L'art. 1, comma 75, l. 6 novembre 2012, n. 190 ha sostituito le parole «che riveste la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a compiere un atto del suo ufficio», con le parole: «, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri». (5) Comma modificato dall'art. 3 l. 7 febbraio 1992, n. 181. (6) Comma sostituito dall'art. 1, comma 75, l. 6 novembre 2012, n. 190. Il testo recitava: «La pena di cui al comma primo si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall'articolo 318». competenza: Trib. collegiale arresto: non consentito (primo e terzo comma); facoltativo (secondo e quarto comma) fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita altre misure cautelari personali: consentite (secondo e quarto comma); primo e terzo comma: v. 2892 c.p.p. procedibilità: d'ufficio InquadramentoCon la norma in esame il legislatore ha inteso elevare a reato autonomo consumato ipotesi di tentativi unilaterali di corruzione antecedente propria e per l'esercizio della funzione non andati a buon fine, commessi da soggetti pubblici (sollecitazione) o privati (istigazione). A stretto rigore, posto che la corruzione è un reato a concorso necessario, la mera istigazione alla corruzione non accolta, così come la sollecitazione non accolta a dare o promettere denaro o utilità non dovute, non potrebbero essere sanzionate, neanche a livello di tentativo e pertanto, in assenza della norma di cui all'art. 322, non sarebbero punibili. L'illecito in parola si connota per la sua essenza monosoggettiva, a consumazione anticipata, a differenza della struttura plurisoggettiva bilaterale che caratterizza i delitti di corruzione precedentemente analizzati. Aspetti generaliLa norma in esame è stata dapprima modificata dalla riforma del 1990, con la quale sono stati aggiunti i due (nuovi) commi relativi alla istigazione alla corruzione realizzata dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio, e poi dalla l. n. 190/2012, che ha adattato il testo alle modifiche apportate all'art. 318 (sostituzione del riferimento all'atto d'ufficio con il riferimento all'esercizio delle funzioni e dei poteri) e all'art. 320 (apertura della corruzione impropria — rectius: per l'esercizio della funzione — anche agli incaricati di un pubblico servizio che non rivestono la qualità pubblico impiegato). Le fattispecie di istigazione alla corruzione, di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 322, come sostituite dalla l. n. 190/2012, si pongono in rapporto di continuità normativa con le previgenti disposizioni contenute nei medesimi commi, fatto salvo il divieto di applicazione retroattiva delle nuove norme nella parte in cui puniscono quei comportamenti che hanno assunto rilevanza penale a seguito dell'introduzione della fattispecie di corruzione per l'esercizio delle funzioni, di cui all'art. 318 (Cass. VI, n. 11792/2013; Cass. VI, n. 47216/2021).). Con riferimento alla precedente formulazione, la giurisprudenza aveva sostenuto che l'istigazione alla corruzione attiva o passiva propria fosse possibile solo con riferimento alla corruzione antecedente (Cass. VI, n. 8398/1996), ossia con riferimento ad un atto che doveva ancora essere compiuto. Infatti, secondo la precedente normativa l'offerta o la promessa dovevano essere effettuate "per indurre" il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio "a compiere" un atto conforme ai doveri dell'ufficio o del servizio. Da ciò derivava che non era possibile ipotizzare una forma d'istigazione passiva per un atto che fosse stato già compiuto, come si evinceva anche dal riferimento che la stessa faceva alla pena stabilita nel comma 1 dell'art. 318, che allora disciplinava la corruzione impropria antecedente. Ragioni di coerenza sistematica avrebbero dovuto imporre di adottare la stessa soluzione per l'istigazione alla corruzione per l'esercizio della funzione, secondo la nuova formulazione, non essendo giustificabile escludere la corruzione susseguente per una forma di istigazione più grave, quale quella alla corruzione propria ed ammetterla, invece, per una forma meno grave, quale quella alla corruzione per l'esercizio delle funzioni. Tuttavia, la giurisprudenza si è orientata in senso diverso sostenendo che ai fini della configurabilità del delitto di istigazione alla corruzione impropria, l'offerta o la semplice promessa possono essere effettuate anche in relazione ad una funzione o ad un potere già esercitati dal pubblico ufficiale; e ciò sia in ragione del tenore letterale del nuovo art. 322, comma 1, che non consente di delimitarne l'ambito di operatività alla sola istigazione alla corruzione impropria proiettata verso il futuro esercizio dei poteri o delle funzioni del destinatario dell'offerta o della promessa, sia in considerazione del rapporto tra le fattispecie previste dal primo e dal secondo comma dell'art. 322, che, replicando quello tra le fattispecie base di corruzione, consente di punire, ai sensi del primo comma, ogni forma di istigazione del privato "per l'esercizio delle funzioni o dei poteri" che non ricada nella ipotesi più grave sanzionata dal secondo comma (Cass. VI, n. 19319/2017). In ogni caso, l'offerta o la promessa di donativi di modesta entità (nell'ordine di poche decine di euro), quale manifestazione di gratitudine o di apprezzamento per l'attività già compiuta dal pubblico ufficiale in termini conformi ai doveri d'ufficio, non configura il delitto di istigazione alla corruzione impropria susseguente, ai sensi dell'art. 322, comma 1, in ragione della inoffensività della condotta dell'agente (Cass. VI, n. 19319/2017, che in motivazione richiama il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, adottato con il d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, che ha escluso la rilevanza penale dei donativi di modico valore, nell'ordine massimo di 150 euro). Dubbi interpretativi sorgono in ordine alla configurabilità come reato autonomo della istigazione alla corruzione in atti giudiziari. Il profilo problematico della questione è costituito dal fatto che l'art. 322 non richiama il fatto corruttivo di cui all'art. 319-ter In forza del mancato richiamo, si potrebbe ritenere che un simile comportamento sia comunque punibile in quanto rientrante nella più generale fattispecie dell'istigazione alla corruzione ex art. 322 (Cass. VI, n. 38920/2017; Cass. S.U., n. 43384/2013; in dottrina Grosso, 301; Fiandaca-Musco, PS I 2002, 240; Palazzo, 826), ma in tal caso si creerebbe l'inconveniente di applicare un trattamento sanzionatorio più lieve che non tiene in debito conto della maggiore gravità dei fatti corruttivi aventi ad oggetto provvedimenti giudiziari. Per ovviare ad un simile inconveniente, l'alternativa ermeneutica consisterebbe nel punire i fatti corruttivi in questione, se ed in quanto ne ricorrano i presupposti, a titolo di tentativo di corruzione in atti giudiziari ex artt. 56 e 319-ter (Cass. VI, n. 13048/2013; in dottrina Balbi, 297). Bene giuridico tutelatoI beni protetti dalla norma in commento sono gli stessi della corruzione propria e della corruzione per l'esercizio della funzione, con l'unica differenza che nel caso in esame la soglia della punibilità viene anticipata. SoggettiSoggetto attivo Soggetto attivo del reato è, nelle ipotesi di cui ai commi 1 e 2, il privato e, in quelle di cui ai commi 3 e 4, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio. Nei casi di istigazione al compimento di atti d'ufficio, la punibilità dell'incaricato di pubblico servizio che non riveste, al contempo, la qualifica di pubblico impiegato rappresenta una novità della riforma del 2012, di talché, trattandosi di nuova incriminazione, potrà trovare applicazione solo ai fatti istigatori commessi dopo l'entrata in vigore della novella. In virtù dell'art. 322-bis, la l'istigazione alla corruzione può essere realizzata anche nei confronti dei membri degli organi delle Comunità europee, dei membri della Commissione europea, del Parlamento europeo, della Corte di Giustizia e della Corte dei conti delle Comunità europee, dei funzionari o agenti delle Comunità europee o dei soggetti ad essi assimilati, degli agenti di altri Stati esteri, ovvero di coloro che nell'ambito degli Stati membri dell'Unione europea svolgono funzioni corrispondenti ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio, dei giudici, del procuratore, dei procuratori aggiunti, dei funzionari e degli agenti della Corte penale internazionale i quali esercitano funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, dei membri e degli addetti a enti costituiti sulla base del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale. MaterialitàCondotta La condotta tipica consiste, nelle ipotesi previste dai commi 1 e 2, nell'offerta o promessa di denaro o altra utilità non dovuta fatta dal privato al soggetto pubblico per compiere, omettere o ritardare un atto d'ufficio o per compiere un atto contrario ai doveri d'ufficio o, in generale, per esercitare le sue funzioni o i suoi poteri; nelle ipotesi previste dai commi 3 e 4, nella sollecitazione fatta dall' intraneus al privato al fine di indurlo ad una promessa o dazione di denaro o altra utilità per compiere, omettere o ritardare un atto conforme ai doveri di ufficio, per compiere un atto contrario ai doveri d'ufficio oppure, in generale, per esercitare le sue funzioni o i suoi poteri. Nell'istigazione alla corruzione propria si distingue l'istigazione a omettere o ritardare un atto dell'ufficio dall'istigazione a fare un atto contrario ai propri doveri: nella prima ipotesi delittuosa si richiede che il pubblico funzionario abbia la competenza funzionale a compiere l'atto che dovrebbe essere omesso o ritardato, mente nella seconda si ritiene sufficiente che l'istigato presti l'opera nell'ambito dell'ufficio ove debba essere posto in essere l'atto medesimo (Cass. VI, n. 10544/1982). L'offerta consiste nel porre spontaneamente la cosa o l'utilità a disposizione di altri (Grosso, 215), mentre la promessa consiste nell'impegno ad una futura messa a disposizione del denaro o dell'altra utilità. La giurisprudenza esclude che tali atti debbano essere recepiti dalla controparte per l'integrazione del reato (Cass. VI, n. 10305/2008), mentre la dottrina ritiene necessario che offerta e promessa vengano recepite dal destinatario (Segreto-De Luca, 453; De Roberto, 406). L'offerta o la promessa devono possedere i requisiti della serietà (di modo che possa sorgere il concreto pericolo che il soggetto pubblico accetti l'offerta o la promessa) e della idoneità (Antolisei, PS II 1999, 361; Grosso, 215; Segreto-De Luca, 454), elementi che vanno valutati alla stregua di un giudizio concreto che tenga conto di tutte le circostanze del caso in cui viene posta in essere la condotta delittuosa (Cass. VI, n. 28311/2003; Cass. VI, n. 46494/2019). La giurisprudenza ha chiarito che la serietà dell'offerta deve essere necessariamente correlata al tipo di controprestazione richiesta, alle condizioni dell'offerente e del pubblico ufficiale, nonché alle circostanze di tempo e di luogo in cui l'episodio si è verificato (Cass. VI, n. 3176/2012). Tuttavia, si è precisato che il reato rimane integrato anche in presenza di offerta o promessa di donativi di modesta entità, non essendo richiesto dalla norma che il denaro o l'altra utilità, offerta o promessa, costituiscano retribuzione per il pubblico ufficiale e che siano proporzionali alla prestazione illecita richiesta (Cass. VI n. 48205/2012, relativa ad una fattispecie in cui a due agenti era stata offerta una somma di trecento euro al fine di impedire la redazione di un verbale di contestazione di aver circolato alla guida di un autocarro sottoposto a fermo amministrativo). Infatti, ai fini della configurabilità del delitto di istigazione alla corruzione, l'idoneità dell'offerta deve essere valutata con giudizio ex ante, sicché il reato può essere escluso solo se manchi l'idoneità potenziale dell'offerta o della promessa a conseguire lo scopo perseguito dall'autore, che ricorre solo quando la somma di denaro offerta si connoti dei caratteri della assoluta risibilità (Cass. VI, n. 28311/2003). Non è necessario neppure che l'offerta abbia una giustificazione, né che sia specificata l'utilità promessa, né quantificata la somma di denaro, essendo sufficiente la prospettazione, da parte dell'agente, dello scambio illecito (Cass. VI, n. 21095/2004). Quindi, integra il delitto in esame anche la condotta di colui che formuli al pubblico ufficiale una offerta non determinata, rimettendo la quantificazione al destinatario della richiesta (Cass. VI, n. 37402/2011). Agli effetti della idoneità potenziale della promessa di denaro non è necessario che l'offerta o la promessa siano formulate al pubblico ufficiale in via diretta ed immediata, essendo parimenti punibile, come ipotesi di istigazione alla corruzione, la condotta della persona che si interpone, in veste di intermediario ed alla cui iniziativa, volontaria o cosciente, comunque è riconducibile la formulazione della proposta illecita (Cass. VI, n. 2950/1979). La condotta deve essere finalizzata all'esercizio della funzione o all'ottenimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio. A tal fine la giurisprudenza ritiene sufficiente che l'offerta sia in rapporto causale con una qualsivoglia prestazione, indipendentemente dalla possibilità di determinare quella effettivamente richiesta (Cass. VI, n. 2919/1987). Riguardo alla sollecitazione espressamente prevista dalla disposizione in commento, essa veniva intesa dalla giurisprudenza come una forma di astuta e serpeggiante pressione psicologica sul privato, disposto, dal canto suo, a recepirla anche per tornaconto personale (Cass. VI, n. 15117/2003). La dottrina ha interpretato il termine “sollecitare” come sinonimo di insistente richiesta, senza pressioni, suggestioni o velate minacce (Fiandaca-Musco, PS I, 2002, 240; Grosso, 2018; Segreto-De Luca, 467). Si tratta di una lettura che consente di evitare la disapplicazione di fatto della norma in commento in favore del tentativo di induzione indebita (artt. 56 e 319-quater). In quest'ultima direzione sembra essersi orientata la giurisprudenza più recente, secondo la quale la condotta di sollecitazione, punita dal comma 4 dell'art. 322, si distingue sia da quella di costrizione (art. 317) che da quella di induzione (art. 319-quater) in quanto si qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente senza esercitare pressioni o suggestioni che tendano a piegare ovvero a persuadere, sia pure allusivamente, il soggetto privato, alla cui libertà di scelta viene prospettato, su basi paritarie, un semplice scambio di favori, connotato dall'assenza sia di ogni tipo di minaccia diretta o indiretta sia, soprattutto, di ogni ulteriore abuso della qualità o dei poteri (Cass. VI, n. 23004/2014). Oggetto materiale della condotta sono il denaro o altra utilità, per le cui nozioni si rinvia al commento all'art. 317. Elemento psicologicoDolo In riferimento all'elemento soggettivo, tutte le fattispecie di cui all'art. 322 c.p. risultano caratterizzate da dolo specifico, che si identifica, nelle ipotesi di cui ai commi 1 e 2, nello scopo perseguito dal privato di indurre il pubblico agente a compiere un atto conforme o contrario ai doveri di ufficio o, in generale, ad esercitare le sue funzioni o i suoi poteri e, nelle ipotesi delineate dai commi 3 e 4, nella finalità del soggetto pubblico di farsi retribuire illecitamente per il compimento di tale atto o per tale asservimento (Fiandaca-Musco, PS I, 2002, 241; Grosso, 214; Segreto-De Luca, 460). Consumazione e tentativoConsumazione Il reato in commento è di mera condotta e si consuma nel tempo e nel luogo in cui viene eseguita l'offerta o la promessa oppure la sollecitazione ad offrire o promettere, senza che occorra che la promessa del privato o la sollecitazione del pubblico ufficiale siano recepite dalla controparte (Cass. VI, n. 2714/1995). Di contrario avviso la dottrina maggioritaria, che ritiene necessario che l'offerta o la promessa giungano a conoscenza dell'intraneus e siano da questi percepite e comprese nel loro significato (Segreto-De Luca, 453) Trattandosi di reato di mera condotta, non è configurabile la desistenza volontaria (art. 56, comma 3) (Cass. VI, n. 2714/1995). Tentativo In ordine alla configurabilità del tentativo non vi è univocità di vedute. L'opinione prevalente la esclude rilevando che la figura delittuosa in questione risulta già di per sé una forma di tentativo e, diversamente opinando, si sanzionerebbe il tentativo di un tentativo (Cass. VI, n. 1208/1972; in dottrina Antolisei, PS II 1999, 362; Balbi, 208). Secondo un'opinione minoritaria, invece, il tentativo è configurabile allorquando l'azione di promettere o di offrire sia iniziata ma non venga portata a compimento (si pensi, ad esempio, all'ipotesi di una lettera contenente una promessa di retribuzione che sia intercettata dall'autorità prima di pervenire al destinatario) (Pagliaro, PS I 2000, 221). La giurisprudenza ha avuto occasione di chiarire che ricorre l'ipotesi criminosa in esame e non quella di cui agli artt. 318, 319 o 320 c.p., allorché il pubblico ufficiale simuli l'accettazione di danaro o altra utilità, ovvero, della sua promessa con l'intenzione di denunciare il fatto e di assicurare alla giustizia l'istigatore alla corruzione (Cass. VI, n. 11680/1988; si veda anche in dottrina Grosso, 178). Più recentemente, con riferimento ad un caso in cui il funzionario di un ufficio immigrazione aveva ricevuto materialmente un acconto in danaro sull'offerta corruttiva, ma con riserva mentale, subito dopo informando il proprio superiore e sporgendo denuncia, così da permettere il tempestivo avvio delle indagini nei confronti dell'istigatore, la Suprema Corte ha precisato che l'accettazione della proposta corruttiva, che esclude la fattispecie incriminatrice in esame, rendendo configurabile quella più grave di corruzione, deve essere connotata da effettività e concretezza, sicchè non può ritenersi adesiva alle richieste del proponente la condotta del pubblico agente che, secondo una valutazione ex ante ed in concreto, non appaia idonea a determinare almeno un inizio di trattativa, né sia significativa di un impegno assunto per accondiscendere ad essa (Cass. VI, n. 33655/2020). Forme di manifestazioneCircostanze Al delitto di istigazione alla corruzione si applica la circostanza attenuante comune di cui all'art. 323-bis, comma 1, che prevede una diminuzione della pena fino ad un terzo quando i fatti sono di particolare tenuità. L'attenuante richiede una valutazione globale del fatto e non solo una verifica delle conseguenze di carattere patrimoniale. Al riguardo, la giurisprudenza è dell'avviso che possa configurarsi un concorso tra l'attenuante di cui all'art. 62, n. 4 e quella di cui all'art. 323-bis, in quanto quest'ultima si riferisce al fatto di reato nella sua globalità (condotta, elemento psicologico, evento), mentre la prima prende in esame il solo aspetto del danno o del lucro, che deve essere connotato da speciale tenuità (Cass. VI, n. 7919/2012). Il concorso va invece escluso quando la circostanza attenuante speciale in esame venga riconosciuta esclusivamente in ragione della ritenuta esiguità del danno economico cagionato dal reato, poiché in essa rimane assorbita quella comune del danno patrimoniale di speciale tenuità (Cass. VI, n. 34248/2011). La specifica attenuante in commento, quindi, non è correlata alla (modesta) entità del danno o del vantaggio patrimoniale, bensì alla particolare tenuità dell'intera fattispecie di reato. Il giudice deve quindi valutare il fatto nella sua globalità al fine di stabilire se presenti una gravità contenuta, dovendo considerare ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato (Cass. VI, n. 190/2011). Si applica anche la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui al capoverso dell'art. 323-bis, che prevede una diminuzione della pena da un terzo a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa fosse portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite. Si tratta di una misura premiale finalizzata a favorire la rottura del patto corruttivo, che rappresenta uno degli strumenti più efficaci per l'accertamento dei fatti corruttivi, soprattutto di fronte alle peculiari caratteristiche assunte dalle nuove forme di manifestazione della corruzione sistemica. L'attenuazione del trattamento sanzionatorio trova fondamento nella minore capacità a delinquere dimostrata dal colpevole che, successivamente alla commissione del reato, si sia efficacemente adoperato per conseguire, in via alternativa, uno dei risultati previsti dalla norma. Poiché la norma richiede che l'autore del reato si adoperi «efficacemente», occorre che l'ausilio fornito sia sostanziale, determinante e decisivo per conseguire i risultati indicati dalla norma, prima che gli stessi siano autonomamente conseguiti dalle autorità inquirenti. In altri termini, è richiesta la realizzazione di un risultato che torni utile e proficuo agli organi giudiziari, nel senso che, senza la collaborazione del colpevole, valutando il complesso degli elementi processuali sussistenti al momento del suo sorgere, non si sarebbe innescato quel processo conducente alla raccolta delle prove o all'individuazione degli altri responsabili o al sequestro delle somme o delle altre utilità trasferite all'intraneus. Va osservato che la collaborazione processuale in esame, a differenza di altre disposizioni premiali, non è sottoposta ad alcun limite temporale (es. prima del giudizio o prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna): essa, quindi, potrà essere utilmente prestata in qualsiasi fase del processo, ma non oltre il giudizio di primo grado, potendo il giudice di appello conoscere del procedimento limitatamente ai punti della decisione cui si riferiscono i motivi proposti dall'appellante. La circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 9 è incompatibile con le figure criminose dell'istigazione alla corruzione di cui all'art. 322, commi 3 e 4, le quali, integrando reati propri, presuppongono la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio; non è, invece, incompatibile con l'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 322, che si sostanzia in una fattispecie di reato in cui il soggetto attivo, ancorché appartenente alla pubblica amministrazione, opera in posizione analoga a quella del privato (Cass. VI, n. 4062/1999). Per quanto attiene alla circostanza attenuante di cui all'art. 61, n. 6, la giurisprudenza più risalente ne ha escluso l'applicabilità al delitto in esame. Si è, infatti, osservato che nel reato di istigazione alla corruzione, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio non hanno la veste di danneggiati giacché oggetto specifico della tutela penale è l'interesse concernente il normale funzionamento e il prestigio della pubblica amministrazione in senso lato, in quanto attiene alla probità ed alla legittimità della medesima. Il danno perciò non ha natura patrimoniale, bensì carattere morale e come tale non è suscettibile di riparazione, neppure sotto forma di elisione o di attenuazione delle conseguenze dannose o pericolose (Cass. VI, n. 1482/1967). Tuttavia, occorre tenere conto che il più recente orientamento giurisprudenziale ritiene che la circostanza de qua si riferisca esclusivamente all'elisione o all'attenuazione di quelle conseguenze che non consistono in un danno patrimoniale o non patrimoniale economicamente risarcibile (Cass. II, n. 2970/2010), di talché non sembrano esservi ostacoli concettuali alla sua applicazione anche al delitto di cui all'art. 322. Sanzioni accessorieAl reato in esame si applicano le sanzioni accessorie previste dall’art. 317-bis, al cui commento si rinvia. La causa di non punibilità della collaborazioneAl reato in esame si applica la causa di non punibilità prevista dall’art. 323-ter, al cui commento si rinvia. Rapporti con altri reatiConcussione L'istigazione alla corruzione (art. 322, comma 4) si differenzia dalla concussione (art. 317), in quanto si qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente senza esercitare pressioni che tendano a piegare il soggetto privato, alla cui libertà di scelta viene prospettato, su basi paritarie, un semplice scambio di favori, connotato dall'assenza sia di ogni tipo di minaccia diretta o indiretta sia, soprattutto, di ogni ulteriore abuso della qualità o dei poteri (Cass. VI, n. 23004/2014). Induzione indebita a dare o promettere utilità Per quanto riguarda i rapporti con l'induzione indebita (art. 319-quater), ciò che deve venire in rilievo è la differenza tra i concetti di induzione e sollecitazione, che va colta in un quid pluris dell'induzione, insito « nel carattere perentorio e ultimativo della richiesta e nella natura reiterata e insistente della medesima », che in ultima analisi si caratterizza per una maggiore pressione (Cass. S.U., n. 12228/2014). Favoreggiamento personale Cfr. sub art. 378. Intralcio alla giustizia Cfr. sub art. 377. Istigazione a delinquere Cfr. sub art. 414. Estorsione Cfr. sub art. 629. Interesse privato del curatore negli atti del fallimento Integra il delitto di cui all'art. 322, comma 4 — e non quello di cui all'art. 228 r.d. n. 267/1942 (l. fall.) — la condotta del curatore che induca il fallito a promettergli somme di denaro per sottrarre beni dalla massa dell'attivo fallimentare e, pertanto, a compiere un atto contrario ai doveri del proprio ufficio. Infatti, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 228 r.d. n. 267/1942 (l. fall.) è necessario un concreto comportamento del curatore posto in essere con la consapevolezza di associare un interesse privato ad un atto del fallimento ovvero di realizzare, attraverso l'ufficio della curatela fallimentare, un interesse non ricollegabile alla finalità propria ed esclusiva dell'amministrazione fallimentare (Cass. V, n. 41339/2006). Responsabilità dell'enteL'art. 25 d.lgs. n. 231/2001 prevede, per le ipotesi di cui all'art. 322, commi 1 e 3, la sanzione pecuniaria fino a duecento quote e, per le ipotesi di cui all'art. 322, commi 2 e 4, la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote. Per le ipotesi di cui all'art. 322, commi 2 e 4, si applicano, inoltre, le sanzioni interdittive previste dall'art. 9 d.lgs. n. 231/2001. ConfiscaL'art. 322 è incluso nell'elenco tassativo delle fattispecie per le quali è stata prevista la possibilità di disporre la confisca allargata dei beni e delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito (art. 240-bis ). Profili processualiGli istituti L'istigazione alla corruzione è un reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale in composizione collegiale. Per il delitto di istigazione alla corruzione: a) è possibile disporre intercettazioni (solo per le fattispecie di cui all'art. 322, commi 2 e 4); b) è consentito l'arresto facoltativo in flagranza (solo per le ipotesi di cui all'art. 322, commi 2 e 4), mentre non è consentito il fermo; c) non è consentita l'applicazione della custodia in carcere, mentre è consentita l'applicazione delle altre misure cautelari personali (solo per le ipotesi di cui all'art. 322, commi 2 e 4) e della misura della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 289 c.p.p.). La competenza territoriale Ai fini della determinazione della competenza per territorio, occorre fare riferimento al luogo di consumazione della condotta, ossia al luogo in cui avviene la promessa della dazione di denaro, trattandosi di un reato di mera condotta per la cui consumazione non si richiede che la promessa del privato o la sollecitazione del pubblico ufficiale siano recepite dalla controparte (Cass. VI, n. 10305/2008). Il divieto di concessione dei benefici penitenziari Il comma 1 dell'art. 4-bis l. 26 luglio 1975, n. 354, come novellato dalla l. n. 3/2019, prevede che l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per il delitto in esame solo nei casi in cui i predetti soggetti collaborino con la giustizia a norma dell'art. 58-ter ord. pen. o dell'art. 323-bis, comma 2. Le operazioni sotto copertura Al fine di dare attuazione agli impegni assunti dall'Italia con la ratifica (eseguita con l. 3 agosto 2009, n. 116) della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 (c.d. convenzione di Merida), la l. n. 3/2019 ha inserito il delitto in esame nel catalogo delle fattispecie che consentono lo svolgimento di operazioni di polizia sotto copertura al fine di acquisire elementi prova ai sensi dell'art. 9 l. 16 marzo 2006, n. 146. La preoccupazione del possibile abuso delle operazioni sotto copertura, per provocare il reato, è alla base della previsione secondo cui la causa di non punibilità di cui all'art. 323-ter (connessa alla denuncia del reato) non si applica in favore dell'agente sotto copertura che abbia agito in violazione del citato art. 9. Senonché il testo della disposizione, nella misura in cui consente all'agente sotto copertura di dare e ricevere tangenti, anche nell'ambito di un rapporto bilaterale (cioè al di fuori di contesti complessi/organizzati, ma nell'ambito di un semplice schema corrotto-corruttore), lascia residuare il rischio di possibili abusi, sub specie di sconfinamenti, più o meno palesi, nella provocazione. Come correttamente osservato in dottrina (Gatta), si tratta di un rischio che potrà e dovrà essere evitato ricorrendo a un'interpretazione conforme a Costituzione, che valorizzi, per il tramite dell'art. 117 Cost., la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in materia di entrapment, che ravvisa una violazione dell'art. 6 CEDU (diritto all'equo processo) quando risulti che, senza la provocazione, il reato non sarebbe stato commesso e che, pertanto, le forze dell'ordine non si sono limitate a un ruolo passivo rispetto a un reato in essere, ma hanno creato il reato stesso, incitando l'autore a commetterlo. BibliografiaBalbi, I delitti di corruzione. Un'indagine strutturale e sistematica, Napoli, 2003; De Roberto, Tentativo di corruzione e istigazione alla corruzione, in Arch. pen. 1967, 404; Gatta, Riforme della corruzione e della prescrizione del reato: il punto sulla situazione, in attesa dell’imminente approvazione definitiva, in Dir. pen. cont., 17 dicembre 2018; Grosso, Commento agli artt. 318-322, in Padovani (a cura di), I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 1996, 170; Palazzo, La riforma dei delitti dei pubblici ufficiali: un primo sguardo d'insieme, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1990, 815; Segreto-De Luca, Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 1999. |