Codice Penale art. 322 quater - Riparazione pecuniaria 1 .

Alessandro Trinci

Riparazione pecuniaria1.

[I]. Con la sentenza di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321 e 322-bis, è sempre ordinato il pagamento di una somma equivalente al prezzo o al profitto del reato a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno2.

 

[1] Articolo inserito dall'art. 4, l. 27 maggio 2015, n. 69.

[2] L'art. 1, comma 1, lett. q) l. 9 gennaio 2019, n. 3in vigore dal 31 gennaio 2019, ha inserito dopo la parola: «320»  la seguente: «, 321» e ha sostituito le parole «di una somma equivalente al prezzo o al profitto del reato a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio,» alle parole: «di una somma pari all'ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di un pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione cui il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio appartiene, ovvero, nel caso di cui all'articolo 319-ter, in favore dell'amministrazione della giustizia,».

Inquadramento

Con la previsione in esame, introdotta dalla l. n. 69/2015, si impone al giudice di condannare l’imputato — che sia stato ritenuto responsabile dei reati previsti dagli artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321 e 322-bis c.p. — al pagamento, in favore dell’amministrazione di appartenenza al momento del fatto, di una somma a titolo di riparazione pecuniaria, pari al prezzo o al profitto del reato.

Originariamente, la somma da pagare a titolo di riparazione pecuniaria era equivalente all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal soggetto agente. Successivamente, la l. n. 3/2019 ne ha rimodulato i criteri di determinazione, in chiave afflittivo-sanzionatoria, stabilendo che la somma da pagare a titolo di riparazione pecuniaria debba essere determinata non più con riferimento a quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio, ma al valore corrisponde al prezzo o al profitto del reato. 

Si tratta di una sanzione avente natura sostanzialmente punitiva, dato che la condanna prescinde dall’esercizio dell’azione civile in sede penale da parte dell’amministrazione danneggiata e dalla prova che la condotta tenuta dall’imputato ha provocato un danno risarcibile. Infatti, è il legislatore a presumere che l’amministrazione abbia subito una perdita pecuniaria pari al prezzo o al profitto del reato e imponendone il pagamento all’imputato finisce per potenziare l’efficacia general-preventiva e retributiva dell’apparato sanzionatorio dei delitti anticorruzione nei confronti del pubblico agente. Resta in ogni caso impregiudicato il diritto dell’amministrazione di richiedere nelle forme ordinarie il risarcimento del danno patito.

La Suprema Corte ritiene che la riparazione pecuniaria abbia natura di sanzione civile accessoria, sicché la sua applicazione in assenza dei presupposti di legge è riconducibile nell’ambito delle ipotesi di irrogazione di “pena illegale”, con conseguente ammissibilità del ricorso per cassazione ai sensi del novellato art.448, comma 2-bis, c.p.p. (Cass. VI, n. 12541/2019).

La riparazione pecuniaria va disposta sia nei confronti del pubblico agente che del privato concorrente, in quanto costituisce una sanzione civile accessoria che consegue necessariamente alla condanna per i reati indicati dalla suddetta norma e che si aggiunge alla pena irrogata a ciascun soggetto condannato (Cass. VI, n. 16098/2020).

Trattandosi di una sanzione diversa dalla pena pecuniaria in senso stretto, deve escludersi la sua conversione in pena privativa della libertà personale ai sensi dell’art. 136 c.p., qualora il condannato risulti impossibilitato ad adempire il pagamento.

Inoltre, in quanto sanzione civile accessoria avente connotazione punitiva, la riparazione pecuniaria non è applicabile in relazione a fatti di reato commessi prima dell'entrata in vigore della norma, in quanto soggiace al principio di irretroattività di cui all'art. 2, comma 4 (Cass. VI, n. n. 16098/2020).

L’efficacia della misura è rafforzata dalla previsione (art. 2 l. n. 69/2015) secondo cui la concessione della sospensione condizionale della pena per i delitti di peculato, concussione, corruzione ed induzione indebita è subordinata al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato, ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito dall’intraneus, a titolo di riparazione pecuniaria.

Ambito di applicazione

Per quanto riguarda la sfera di applicazione, la disposizione risulta applicabile ai delitti previsti dagli artt. 314,317,318,319,319-ter, 319-quater, 320,321 e 322-bis c.p.

L'estensione all'art. 321 è opera della l. n. 3/2019, di talché la sanzione in esame non potrà essere applicata al corruttere che abbia compiuto il fatto prima dell'entrata in vigore della novella.

Si noti come il richiamo integrale all'art. 314 c.p. consenta di applicare la nuova sanzione anche al peculato d'uso (art. 314, comma 2, c.p.), il cui disvalore è sensibilmente inferiore rispetto a quello degli altri reati menzionati.

Dal tenore letterale della norma sembra che la sanzione sia applicabile solo ai pubblici ufficiali o agli incaricati di un pubblico servizio, dal momento che la disposizione fa riferimento a quanto da essi ricevuto e non anche al vantaggio tratto dal privato (Cingari, 810).

In giurisprudenza si ritiene che l'applicazione della riparazione pecuniaria di cui all'art. 322-quater presupponga la pronunzia di una sentenza di condanna resa a seguito di rito ordinario o abbreviato, di talché si esclude che possa essere disposta con la sentenza di patteggiamento, anche nella forma c.d. allargata (Cass . VI, n. 12541/2019; Cass. VI, n. 33260 /2021). A tale conclusione si giunge valorizzando una serie di parametri normativi dai quali sarebbe evincibile una netta distinzione, ai fini delle varie conseguenze sanzionatorie ed effetti penali, fra "condanna" propriamente detta e "sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti". Così, in particolare, le norme in tema di confisca obbligatoria di cui agli artt. 322-ter, 466-bis e 644, le quali prevedono espressamente l'applicazione della misura di sicurezza patrimoniale anche in caso di sentenza di patteggiamento, in specifica deroga del disposto dell'art. 445, comma 1, c.p.p. Si veda ancora il disposto dell'art. 609-nonies, comma 1, c.p., nel quale il legislatore ha testualmente previsto l'applicazione delle pene accessorie e degli altri effetti penali in caso di "condanna" e di "applicazione della pena su richiesta delle parti". Inoltre, l'art. 322-quater è stato inserito nel codice penale immediatamente di seguito all'art. 322-ter che fa espresso riferimento, oltre alla "condanna" anche alla "sentenza di applicazione della pena".

Per quanto attiene al parametro di calcolo dell'ammontare della sanzione pecuniaria, l'espressione « quanto indebitamente ricevuto » dal pubblico agente è stata oggetto di critiche. Si è, infatti, osservato che essa, da un lato, non tiene conto che per alcuni dei delitti richiamati (come il peculato) non vi è una “ricezione” indebita, concetto che sembra calibrato sui reati di corruzione e concussione, mentre, dall'altro, non tiene conto che nelle forme più moderne di corruzione non sempre è possibile individuare la ricezione di una entità materiale economicamente valutabile (si pensi, ad esempio, alle prestazioni sessuali) e talvolta l'utilità oggetto del patto corruttivo non viene destinata al pubblico agente corrotto ma ad un terzo (Cingari, 811).

Bibliografia

Cingari, Una prima lettura delle nuove norme penali a contrasto dei fenomeni corruttivi, in Dir. pen. e proc., 2015, 805 ss.

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