Codice Penale art. 326 - Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio (1).

Vito Di Nicola

Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio (1).

[I]. Il pubblico ufficiale [357] o la persona incaricata di un pubblico servizio [358], che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete [256, 261, 622; 118 3, 201 c.p.p.], o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

[II]. Se l'agevolazione è soltanto colposa [43], si applica la reclusione fino a un anno.

[III]. Il pubblico ufficiale [357] o la persona incaricata di un pubblico servizio [358], che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 15 l. 26 aprile 1990, n. 86.

competenza: Trib. collegiale

arresto: non consentito (primo, secondo e seconda parte del terzo comma); facoltativo (prima parte del terzo comma)

fermo: non consentito (primo, secondo e seconda parte del terzo comma); consentito (prima parte del terzo comma)

custodia cautelare in carcere: consentita (prima parte del terzo comma)

altre misure cautelari personali: consentite (prima parte del terzo comma; v. 2892 c.p.p. per le rimanenti ipotesi)

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Il delitto in questione, che può essere commesso anche nella forma dell'agevolazione colposa (comma 2), è integrato (comma 1) dalla condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che rivela notizie di ufficio, le quali debbono rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, commettendo il fatto in violazione dei doveri inerenti alle funzioni o al servizio esercitato, o comunque abusando della qualità rivestita, ovvero è integrato — con previsione introdotta con la l. n. 86/1990, , onde colmare una lacuna di tutela che altrimenti si sarebbe venuta a creare in conseguenza della abrogazione, operata dalla stessa legge, dell'art. 324 c.p. — dalla condotta del pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio che si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbono rimanere segrete, al fine di procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale (comma 3, prima parte) o al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto (comma 3, seconda parte).

Soggetti

Soggetto attivo

La rivelazione e l'utilizzazione di segreti di ufficio è un reato proprio, che può essere commesso esclusivamente dal «pubblico ufficiale o dall'incaricato di un pubblico servizio».

Deve ritenersi applicabile l'art. 360 (v. sub art. 325) se la rivelazione o l'utilizzazione, compiuta quando la qualità sia cessata, riguardi notizie che si riferiscono all'ufficio o al servizio esercitato e per le quali, in quanto apprese anteriormente alla cessazione dell'ufficio o del servizio stesso, permanga l'interesse della pubblica amministrazione alla loro segretezza (Romano, 343).

Nozione di pubblico ufficiale

Cfr. sub art. 357.

Nozione di incaricato di pubblico servizio

Cfr. sub art. 358.

Soggetto passivo

Soggetto passivo del reato è la sola Pubblica Amministrazione (Cass. VI, n. 2675/1998) in quanto titolare dell'interesse alla segretezza delle notizie d'ufficio in funzione della tutela del buon andamento della pubblica amministrazione stessa, compromesso dal fatto che gli agenti pubblici, violando il dovere di fedeltà, realizzano condotte di rivelazione o di agevolazione di notizie d'ufficio destinate alla segretezza (in dottrina Romano, 342).

Il privato, in quanto titolare di un autonomo diritto inerente alla notizia la cui segretezza sia stata violata, potrà invece assumere la qualifica di danneggiato dal reato che lo legittima a costituirsi parte civile ma non a ricorrere per cassazione contro il provvedimento di archiviazione e ad attivare i meccanismi di controllo previsti dagli artt. 408-410 c.p.p. (Cass. VI, n. 4170/2012).

Materialità

Condotta

L'elemento materiale che contraddistingue la condotta incriminata nel reato di rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio consiste, nei primi due commi, nel rivelare a terzi o nell'agevolare in qualsiasi modo la conoscenza di notizie d'ufficio che devono rimanere segrete; nel terzo comma, nell'avvalersi illegittimamente di dette notizie.

Il fatto di rivelare si risolve in una qualsiasi forma di comunicazione — anche resa, per esempio, nel corso di una conferenza stampa (Cass. VI, n. 9331/2002) — della notizia d'ufficio destinata a rimanere segreta ed indirizzata, da parte del soggetto qualificato, a terzi non autorizzati a conoscerla; il fatto di agevolare si risolve nel facilitarne l'apprendimento ed il fatto di avvalersene illegittimamente si risolve nelle condotte di sfruttamento o di utilizzazione delle conoscenze, relative a notizie coperte dal segreto, che siano state apprese dal soggetto agente.

La rivelazione o l'agevolazione (commi 1) deve avvenire violando i doveri inerenti alla funzione o al servizio oppure abusando della qualità.

L'utilizzazione o l'impiego e quindi l'avvalersi in qualsiasi modo delle notizie d'ufficio destinate a rimanere segrete (comma 3) deve essere realizzata illegittimamente, essendo necessario che l'utilizzazione delle notizie segrete avvenga in contrasto con le norme dell'ordinamento (Romano, 353), concretizzando un'ipotesi di antigiuridicità speciale, ovvero un elemento della tipicità ed adempiendo pertanto, per il comma 3, alla stessa funzione che la violazione dei doveri o l'abuso della qualità svolgono per il comma 1 dell'art. 326 (Romano, 354).

L'art. 326, comma 3, seconda parte, costituisce un titolo autonomo di reato e non una circostanza attenuante del delitto di utilizzazione di segreti di ufficio prevista dall'art. 326, comma 3, prima parte, ciò in quanto le distinte condotte di utilizzazione non sono tra loro rapporto di specialità, ponendosi il requisito di patrimonialità del profitto in termini alternativi con quello di non patrimonialità (Segreto-De Luca, 646).

Oggetto materiale del reato è la notizia di ufficio alla quale va assegnato un significato ampio, essendo tale quella che riguarda l'ufficio o il servizio in quanto concernente un atto o un fatto della pubblica amministrazione in senso lato (Cass. VI, n. n. 8635/1996) e cioè avente ad oggetto qualsiasi accadimento, fatto, atto o rapporto appartenente alla pubblica amministrazione, qualsiasi informazione, sia essa orale o trascritta su un documento ovvero su un supporto informatico (in dottrina Romano, 343; Segreto-De Luca, 602).

La notizia d'ufficio va pertanto tenuta distinta dalla notizia appresa per ragioni di ufficio perché mentre il primo termine indica la mera obiettiva disponibilità della notizia da parte della pubblica amministrazione, il secondo presuppone un collegamento tra la notizia e le funzioni esercitate, con la conseguenza che, diversamente dall'art. 325, l'art. 326 non richiede che la notizia sia stata appresa per ragione dell'ufficio o servizio (Cass. VI, n. 1898/2004) sicché la rilevanza penale non è esclusa da un apprendimento anche occasionale o abusivo della notizia stessa (in dottrina Romano, 345).

A questo proposito, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che il delitto di rivelazione di segreti di ufficio è integrato anche nell'ipotesi in cui il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio diffondano una notizia non appresa per ragioni dell'ufficio o del servizio, bastando che tale notizia dovesse rimanere segreta e che l'interessato, per le funzioni esercitate, avesse l'obbligo di impedirne l'ulteriore diffusione (Cass. III, n. 11664/2016).

Presupposto di tutte le fattispecie punite dall'art. 326 è l'esistenza di una notizia d'ufficio coperta dal segreto (Segreto-De Luca, 601).

Secondo la giurisprudenza prevalente, per notizie di ufficio che devono rimanere segrete si intendono non solo le informazioni sottratte all'accesso, ma anche quelle che, nell'ambito delle notizie accessibili, non possono essere diffuse in base alle norme sul diritto di accesso, vuoi perché effettuate senza il rispetto delle modalità previste ovvero perché diffuse a persone che non hanno il diritto di riceverle, in quanto non titolari dei prescritti requisiti (Cass. VI, n. 35779/2023).

In ordine alla nozione delle notizie di ufficio che devono rimanere segrete, è stato affermato che l'avvertimento, contenuto in una lettera anonima ed espresso in termini del tutto generici, del rischio derivante da intercettazioni in corso non costituisce "notizia d'ufficio", da intendersi invece, nella più ampia latitudine della nozione e a prescindere dal supporto materiale che eventualmente la incorpori, come specifica informazione riguardante atti e fatti funzionalmente collegati all'attività istituzionale. >Sulla base di tale principio è stato ritenuto che non integrasse il delitto di cui all'art. 326 c. p. la rivelazione a terzi dello svolgimento di attività intercettiva, appresa dal pubblico ufficiale in modo informale, mediante la ricezione di una lettera anonima (Cass. II, n. 16474/2024).

In particolare, ai fini dell'integrazione del delitto di rivelazione di segreti d'ufficio ex art. 326, comma primo, c. p., occorre che: 1) la notizia rivelata inerisca all'ufficio pubblico ricoperto dal pubblico agente; 2) sia destinata a rimanere segreta (tale non essendo quella che il destinatario abbia titolo legittimo a conoscere); 3) la rivelazione avvenga in violazione dei doveri connessi alla funzione, ovvero utilizzando in modo distorto i poteri o le prerogative derivanti dalla stessa (Cass. VI, n. 31171/2023).

La rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio è un reato:

a) a forma vincolata, in quanto la rilevanza della condotta è determinata dalla violazione di norme poste a protezione del segreto d'ufficio violato dalla condotta contra ius dell'agente;

b) a condotta attiva, limitatamente al fatto tipico della rivelazione, quindi necessariamente mediante azione, non anche mediante omissione, difettando, nella fattispecie in parte qua come nell'art. 325, un qualsiasi riferimento al rapporto causale che renda di per sé operante il meccanismo di conversione previsto dall'art. 40, comma 2, c.p. In ogni caso, una condotta di rivelazione mediante omissione si risolverebbe in una condotta di “agevolazione”, di per sé sussumibile nell'art. 326, quale seconda forma di condotta tipica alternativa alla rivelazione;

- a condotta attiva o omissiva, quanto all'agevolazione che, concretizzandosi invece in un comportamento con cui si facilita la conoscenza del segreto, ammette entrambe le forme di manifestazione della condotta punibile;

- a condotta attiva, per quanto riguarda il fatto tipico dell'avvalersi illegittimamente delle notizie di ufficio, e quindi necessariamente mediante azione, non anche mediante omissione (in dottrina Segreto-De Luca, 630);

c) di pericolo concreto e non meramente presunto in quanto la rivelazione del segreto è punibile non già in sé e per sé ma in quanto dalla divulgazione della notizia possa derivare un qualche nocumento alla P.A. o ai terzi (Cass. S.U., n. 4694/2011).

E’ stata pertanto esclusa la inoffensività della rivelazione da parte di un funzionario della cancelleria dell'ufficio del giudice per le indagini preliminari, su richiesta informale di un privato, dell'assenza della iscrizione di quest'ultimo nei registri consultabili da tale ufficio, iscrizione in realtà esistente ma segretata dal P.M., sul rilievo che il reato di rivelazione di segreti di ufficio, previsto dall'art. 326, comma 1, è un reato di pericolo concreto, posto a tutela del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione, la cui configurabilità va esclusa solo con riferimento alla divulgazione di notizie futili o insignificanti, ma non in relazione a notizie inesatte (Cass. VI, n. 49526/2017).

Sotto tale aspetto, la giurisprudenza di legittimità - nel ribadire che il delitto di rivelazione di segreti di ufficio ha natura di reato di pericolo concreto, posto a tutela del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione, la cui configurabilità va appunto esclusa solo con riferimento alla divulgazione di notizie futili o insignificanti -  ha ritenuto l'offensività, in concreto, della rivelazione da parte di un dirigente comunale che aveva reso noto la lista delle ditte partecipanti ad una gara ad uno degli imprenditori ad essa concorrente, il quale aveva poi ricevuto in subappalto parte dei lavori dalla ditta risultata vincitrice (Cass. VI, n. 20677/2024).

Cause di giustificazione

Al reato di rivelazione di segreti di ufficio è applicabile la causa di giustificazione dell'esercizio di un diritto, allorché la rivelazione sia fatta per difendersi in giudizio, essendo il diritto di difesa prevalente rispetto alle esigenze di segretezza e buon funzionamento della Pubblica Amministrazione (Cass. III, n. 35296/2011).

Il giudice penale che abbia concorso, in camera di consiglio, alla deliberazione collegiale non può essere richiesto — trattandosi di attività coperta da segreto di ufficio — di deporre come testimone in merito al relativo procedimento di formazione (e, se richiesto, ha l'obbligo di astenersi), limitatamente alle opinioni e ai voti espressi dai singoli componenti del collegio, salvo il sindacato del giudice che procede circa l'effettiva pertinenza della domanda formulata alle circostanze coperte da segreto (Cass. S.U., n. 22327/2002).

Elemento psicologico

La colpa

L'agevolazione è punita anche a titolo di colpa (art. 326, comma 2). La fattispecie si realizza quando la conoscenza del segreto d'ufficio avviene a causa di una condotta imprudente o negligente del soggetto agente, come nel caso in cui egli abbia lasciato alla libera vista un documento riservato che un terzo abbia fotocopiato (Romano, 351).

Il dolo

Il reato di cui all'art. 326, comma 1, richiede il dolo generico consistente nella coscienza e volontà di rivelare notizie o di agevolarne la conoscenza, nella consapevolezza del loro carattere segreto e della conseguente violazione dei doveri funzionali.

Il reato di cui all'art. 326, comma 3, è invece a dolo specifico (Romano, 353) e richiede che il soggetto qualificato agisca al fine di procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale o un ingiusto profitto non patrimoniale ovvero di cagionare ad altri un danno ingiusto.

Sul requisito della patrimonialità cfr. sub art. 323.

Consumazione e tentativo

Consumazione

Il delitto in questione si consuma sia nella forma della rivelazione che in quella dell'agevolazione, quest'ultima sia dolosa che colposa, nel momento in cui un terzo non autorizzato viene a conoscenza della notizia coperta dal segreto (Romano, 350), mentre il reato di cui all'art. 326, comma 3, si consuma invece con l'utilizzazione della notizia coperta dal segreto in qualunque modo avvenuta (Romano, 355).

È irrilevante la verificazione di un danno della pubblica amministrazione o per i terzi (Romano, 347), in quanto, attesa la natura di reato di pericolo dell'incriminazione, non è richiesto per la consumazione del delitto che si verifichi un danno effettivo, ma è sufficiente la probabilità di esso (in giurisprudenza, Cass. VI, n. 42726/2005).

Le fattispecie descritte nell'art. 326, comma 1, sono reati istantanei mentre l'utilizzazione di segreti di ufficio (art. 326, comma 2) è reato eventualmente permanente dal momento che la relativa condotta potrebbe protrarsi nel tempo senza soluzione di continuità (Segreto-De Luca, 635).

Tentativo

Il tentativo, ovviamente per le sole ipotesi di cui al primo ed al terzo comma dell'art. 326, è configurabile quando la condotta si realizzi attraverso l'esecuzione frazionata degli atti, con la conseguenza che l'agente sarà punibile a titolo di tentativo se non vi sia stata effettiva rivelazione, agevolazione o utilizzazione della notizia coperta da segreto (Romano, 351).

Forme di manifestazione

Concorso di persone

L'extraneus, che ha preso conoscenza del segreto, non è punibile per la mera ricezione o utilizzazione della notizia ma solo se, in base ai principi generali ex art. 110, abbia istigato, determinato o agevolato l'intraneus alla commissione del reato, così assumendo la qualifica di concorrente (Cass. I, n. 5842/2011).

Il delitto di rivelazione dei segreti di ufficio si risolve in una fattispecie plurisoggettiva anomala, essendo la condotta incriminata legata a chi riceve la notizia e alla previsione della punizione nei confronti del solo autore della rivelazione, nel senso, cioè, che il mero recettore della notizia non può essere assoggettato a pena in conformità del principio di legalità. Tuttavia, in base all'ordinaria disciplina del concorso di persone nel reato, non può escludersi la partecipazione morale del destinatario della rivelazione; partecipazione, questa, che, oltre alle tradizionali forme della determinazione e della istigazione, comprende anche l'accordo criminoso e, comunque, può estrinsecarsi nei modi più vari ed indifferenziati, ribellandosi a qualsiasi catalogazione o tipicizzazione, a cui invece deve uniformarsi la condotta dell'autore dell'illecito e, quindi, del concorrente che esegue l'azione vietata dalla norma e non già quella del partecipe (Cass. S.U., n. 420/1981).

Tuttavia, ai fini della sussistenza del concorso nel reato dell'"extraneus", è necessario che questi non si sia limitato a ricevere la notizia, ma abbia istigato o indotto il pubblico ufficiale ad attuare la rivelazione, non essendo sufficiente ad integrare il reato la mera rivelazione a terzi della notizia coperta da segreto.  (Cass. VI, n. 34928/2018).

Secondo la dottrina, in tali casi, l'extraneus non concorre con il pubblico ufficiale in quanto il reato, salvo il caso di previo accordo rispetto al fatto successivo, sarebbe già consumato ma può eventualmente rispondere del reato di cui agli artt. 621 o 622 (Romano, 353).

L'estraneo concorre nel reato previsto dall'art. 326 anche se l'agente qualificato rimanga ignoto perché, ai fini dell'integrazione del reato, non è richiesta l'individuazione del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio rivelatore delle notizie segrete ma queste ultime devono riferirsi ad un soggetto di cui sia con certezza accertata tale qualità (Cass. fer., n. 2022/1996) e pertanto la responsabilità dell'estraneo per concorso nel reato previsto dall'art. 326 richiede siffatto accertamento.

In una fattispecie in tema di rivelazione di segreti di ufficio, nella quale l'"intraneus" era stato assolto con la formula per non aver commesso il fatto, è stato precisato che, ai fini della configurabilità della responsabilità dell'"extraneus" per concorso nel reato proprio, è indispensabile, oltre alla cooperazione materiale ovvero alla determinazione o istigazione alla commissione del reato, che l'"intraneus" esecutore materiale del reato sia riconosciuto responsabile del reato proprio, indipendentemente dalla sua punibilità in concreto per la eventuale presenza di cause personali di esclusione della responsabilità. Conseguentemente è stata annullata con rinvio la decisione di conferma della condanna dell'"extraneus" sebbene l'"intraneus" fosse stato assolto per non aver commesso il fatto (Cass. II, n. 219/2019).

Rapporti con altri reati

L'art. 326 sanziona una particolare forma di abuso di ufficio in rapporto di specialità rispetto all'art. 323 (Cass. VI, n. 7960/1997).

A seguito della riforma degli illeciti di abuso di informazioni privilegiate, gli artt. 184 e 187-bis d.lgs. n.58/1998, , hanno acquisito una autonomia che li rende speciali rispetto all'articolo 326 (Romano, 360).

Il concorso invece è ammissibile con l'art. 317, con l'art. 319 e con l'art. 378 (Cass. VI, n. 737/2009; in dottrina Romano, 357). 

Ne consegue che la rivelazione da parte del pubblico ufficiale di un segreto di ufficio, anche laddove sia compiuta per fini di utilità patrimoniale e in adempimento di una promessa corruttiva, integra il reato previsto dal primo comma dell'art. 326 c.p., concorrendo con il delitto di corruzione, mentre ricorre la diversa fattispecie prevista dal terzo comma della stessa disposizione quando il pubblico ufficiale sfrutta, per profitto patrimoniale o non patrimoniale, lo specifico contenuto economico e morale, in sé considerato, delle informazioni destinate a rimanere segrete e non il valore economico eventualmente derivante dalla rivelazione del segreto.

E’ stato precisato che la fattispecie di reato disciplinata all'art. 326 ., comma 3, non necessariamente richiede la rivelazione ad estranei del segreto, sicché, ove si verifichi anche quest'ultima condotta, si configura il concorso con il reato previsto all'art. 326, comma 1  (Cass. VI, n. 4512/2019).

In continuità con il precedente indirizzo e  in un caso di rivelazione, da parte di un presidente di una commissione di un concorso pubblico, del contenuto di una prova d'esame per consentire ad un candidato di conoscere preventivamente i contenuti della prova concorsuale e, in tal modo, di ottenere l'assunzione a tempo indeterminato, a seguito della collocazione al primo posto della graduatoria, è stato ritenuto che: a) la disposizione dell'art. 326 c.p., quale risulta a seguito della modificazione operata con l. n. 86/1990, pone ad oggetto, nel primo comma, la rivelazione della notizia e, nel comma 3, l'avvalersi della notizia stessa; b) il coordinamento delle due previsioni porta a concludere, e per motivi letterali (rivela - si avvale) e per motivi sistematici (concorso con la corruzione) e per motivi teleologici (superfluità altrimenti della previsione del terzo comma), nel senso che la condotta del pubblico ufficiale che riveli un segreto di ufficio è esaustivamente prevista nel primo comma, applicabile anche se tale rivelazione è fatta per fini di utilità patrimoniale in adempimento di una promessa corruttiva, concorrendo in questo caso la corruzione con il delitto di cui alla disposizione in esame; c) la fattispecie contemplata dal terzo comma riguarda invece l'illegittimo avvalersi da parte del pubblico ufficiale, che lo sfrutti per profitto patrimoniale o non patrimoniale, non del valore economico eventualmente derivante dalla rivelazione del segreto, ma proprio del contenuto economico o morale in sé delle informazioni che devono rimanere segrete (Cass. II, n. 22973/2018).

Ne consegue che integra gli estremi del reato di rivelazione di segreto di ufficio la comunicazione, da parte di un membro della commissione esaminatrice di un pubblico concorso, di elementi diretti a far conoscere anticipatamente, a uno o più concorrenti, con l’esclusione di tutti gli altri, l’oggetto della prova d’esame, trattandosi di notizia “di ufficio” destinata a rimanere segreta (Cass. VI, n. 3157/2022).

Quanto ai rapporti tra il primo ed il terzo comma dell'art. 326, ne consegue che la rivelazione, da parte del pubblico ufficiale, di notizie di ufficio destinate a rimanere segrete, anche se avvenga verso corrispettivo in danaro o altra utilità (circostanza che può, se del caso, comportare il concorso con il reato di corruzione), integra l'ipotesi delittuosa prevista dal comma primo dell'art. 326 c.p., e non quella prevista dal successivo comma 3, per la cui configurabilità occorre che l'utilizzazione illegittima della notizia si concreti in una condotta di suo autonomo e diretto sfruttamento o impiego da parte dell'intraneus, pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (Cass. VI, n. 39428/2015).

V. sub art. 325, quanto ai rapporti con l'art. 326.

Quanto ai rapporti con l'art. l'art.684, non si verifica assorbimento della contravvenzione di cui all'art. 684 c.p. nel delitto di rivelazione dei segreti di ufficio previsto dall'art. 326 dello stesso codice (Cass. S.U., n. 420/1981).

Integra il reato previsto dall'art. 12 l. 1 aprile 1981, n. 121 la condotta del pubblico ufficiale che esegue la consultazione della banca dati istituita presso il Dipartimento della Sicurezza del Ministero dell'Interno utilizzando le informazioni acquisite in violazione delle norme stabilite o le comunica ad altri soggetti non autorizzati; se, però, l'utilizzo o la divulgazione delle informazioni sono realizzati al fine di perseguire un profitto patrimoniale o non patrimoniale ricorre il reato di divulgazione di segreti di ufficio (Cass. III, n. 50438/2015).

La condotta di utilizzazione di notizie di ufficio che devono rimanere segrete integra il solo reato previsto dall'art. 326, comma 3, e non anche quello di trattamento illecito di dati personali previsto dall'art. 167 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in quanto quest'ultimo ha ad oggetto il più generale trattamento di dati personali in violazione delle prescrizioni del citato d.lgs. ed è fattispecie residuale rispetto ad illeciti più gravi per effetto della clausola di riserva contenuta nella disposizione che lo contempla (Cass. VI, n. 9726/2013).

L'art. 36, comma 1, l. n. 124/2007 (legge che regola il sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e la nuova disciplina del segreto) stabilisce che, anche dopo la cessazione dell'incarico, i componenti del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, i funzionari e il personale di qualsiasi ordine e grado addetti al Comitato stesso e tutte le persone che collaborano con il Comitato oppure che vengono a conoscenza, per ragioni d'ufficio o di servizio, dell'attività del Comitato hanno l'obbligo del segreto relativamente alle informazioni acquisite, anche dopo la cessazione dell'incarico.

Il comma 2 prevede che la violazione del segreto, di cui al comma 1, è punita, salvo che il fatto costituisca più grave reato, a norma dell'art. 326; se la violazione è commessa da un parlamentare le pene sono aumentate da un terzo alla metà.

Il comma 3 stabilisce che, le pene previste dall'art. 326 si applicano, salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche a chi diffonde, in tutto o in parte, atti o documenti dei quali non sia stata autorizzata la divulgazione.

Nello stesso senso, l'art. 6 l. n.172/1988 – istitutiva di una commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia – stabilisce (al comma 1) che i  componenti la commissione parlamentare d'inchiesta, i funzionari e il personale di qualsiasi ordine e grado addetti alla commissione stessa ed ogni altra persona che collabora con la commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda le deposizioni, le notizie, gli atti e i documenti acquisiti al procedimento d'inchiesta, prevedendo, al comma 2, che – salvo che il fatto costituisca un più grave delitto – la violazione del segreto è punita a norma dell'articolo 326 del codice penale. Le stesse pene si applicano a chiunque diffonda in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, notizie, deposizioni, atti o documenti del procedimento d'inchiesta, salvo che per il fatto siano previste pene più gravi (comma 3).

L'art. 21 della Legge - 22/05/1978, n.194 prevede che chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 326 del codice penale, essendone venuto a conoscenza per ragioni di professione o di ufficio, rivela l'identità - o comunque divulga notizie idonee a rivelarla - di chi ha fatto ricorso alle procedure o agli interventi previsti dalla legge sull'interruzione volontaria della gravidanza, è punito a norma dell'articolo 622 del codice penale.

E’ stato ritenuto che non sussiste alcun rapporto di specialità fra il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio ex art. 319 c.p. e quello di utilizzazione di segreti di ufficio di cui all'art. 326, comma 3, stesso codice, data la diversità degli elementi strutturali delle rispettive fattispecie incriminatrici, la prima contemplando un reato bilaterale a concorso necessario, in cui la condotta antidoverosa del pubblico agente si pone come prestazione di un accordo sinallagmatico corruttivo, e la seconda, incentrata sulla utilizzazione del segreto, avendo ad oggetto un reato monosoggettivo 'di mano propria', a concorso solo eventuale dell’"extraneus", in cui il profitto indebito degrada ad elemento di dolo specifico (Cass. VI, n. 5390/2022).

Concorso di reati

Cfr. supra.

E’ stato configurato il concorso formale di reati tra il delitto militare di collusione con estranei per frodare la finanza, previsto dall’art. 3 della l. n. 1383/1941,  ed il delitto comune di rivelazione di segreti d'ufficio, previsto dall’art. 326, nella condotta con la quale un appartenente alla Guardia di Finanza aveva comunicato ad un privato notizie riservate circa un’imminente attività d'ufficio che avrebbe riguardato quest’ultimo, attesa la diversità dei beni giuridici protetti dalle rispettive norme incriminatrici, consistenti nella regolarità del gettito fiscale e nella disciplina del corpo della Guardia di Finanza, quanto al primo delitto, e nel prestigio e nel buon funzionamento della pubblica amministrazione, quanto al secondo (Cass. I, n. 37820/2019).

Casistica

Integra il reato di rivelazione di segreti di ufficio:

a) la divulgazione, da parte di un ufficiale di polizia giudiziaria, del contenuto di una informativa di reato e delle indagini eseguite (Cass. VI, n. 39337/2015);

b) la comunicazione informale di notizie apprese consultando il sistema informatico della Procura della Repubblica: nella specie, l'avvenuta iscrizione di un soggetto nel registro delle notizie di reato (Cass. VI, n. 11358/2018); A questo proposito è stato ritenuto che integra il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio la condotta del collaboratore di cancelleria che fornisca a terzi non autorizzati a riceverla, e senza rispettare la procedura prevista dall'art. 110-bis disp. att. c.p.p., la notizia dell'iscrizione nel registro degli indagati di una determinata persona, potendo solo la segreteria della competente Procura della Repubblica fornire la notizia di iscrizioni a carico, previa autorizzazione del pubblico ministero, in mancanza della quale essa rimane segreta anche nei confronti del diretto interessato (Cass. VI, n. 2231/2019);

c) la divulgazione delle generalità e dei dati personali identificativi del titolare di un'utenza mobile da parte del dipendente di una società di gestione di servizi telefonici (Cass. VI, n. 7370/2012);

d) la divulgazione, da parte di un autista in servizio presso un comando regionale della Guardia di Finanza, di un documento contenente notizie riservate circa attività investigative da svolgere in merito a condotte delittuose riconducibili ad un ufficiale di P.G. (Cass. VI, n. 33609/2010);

e) in concorso con quello di favoreggiamento, la condotta di un dipendente della Polizia di Stato, che riveli ad una persona a lui legata da rapporti di amicizia e coinvolta in un'indagine per traffico illecito di stupefacenti i dati identificativi di un'autovettura sotto copertura, utilizzata dalla Polizia per l'espletamento di attività investigative finalizzate al controllo del mercato della droga (Cass. VI, n. 37797/2010);

f) la divulgazione da parte dell' extraneus del contenuto di informative di reato redatte da un ufficiale di polizia giudiziaria, realizzandosi in tal modo una condotta ulteriore rispetto a quella dell'originario propalatore (Cass. VI, n. 42109/2009);

g) la condotta del pubblico ufficiale che, al fine di avvalorare una propria richiesta concussiva, alimentando il timore e la soggezione delle persone offese, riveli alle stesse, pur consapevoli della pendenza del procedimento penale, informazioni sugli esiti delle indagini in corso (Cass. VI, n. 25677/2016);

h) la comunicazione anticipata ad una delle imprese concorrenti, da parte del direttore amministrativo di un Azienda Ospedaliera, del contenuto di un bando relativo ad una gara d'appalto per l'affidamento dei servizi di competenza aziendale (Cass. VI, n. 4896/2015);

i) la rivelazione da parte di un membro della commissione esaminatrice delle domande oggetto della prova di esame o anche solo di elementi diretti a far conoscere in anticipo l'oggetto ritenuto dalla commissione tra i più probabili della prova d'esame (Cass. VI, n. 39115/2015).

l) la rivelazione da parte di un'autista soccorritore del servizio 118, incaricato di pubblico servizio, ad un giornalista di notizie relative alla dinamica di tre omicidi in relazione ai quali aveva prestato il proprio servizio, essendo tenuto all'obbligo del segreto d'ufficio previsto, per gli impiegati civili dello Stato, dall'art. 28, l. 7 agosto 1990, n. 241 (Cass. VI, n. 5818/2016 ).

Diritto penitenziario

Cfr. sub art. 323.

Profili processuali

La rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio è reato procedibile d'ufficio e la competenza spetta al tribunale in composizione collegiale.

Per il reato di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio:

a) è possibile disporre intercettazioni solo con riferimento alla prima parte del terzo comma;

v. anche sub art. 323)

b) l'arresto facoltativo in flagranza è consentito solo con riferimento alla prima parte del terzo comma; non è consentito né l'arresto obbligatorio in flagranza, né l'arresto facoltativo nelle ipotesi di cui al primo, secondo e seconda parte del terzo comma; il fermo non è consentito;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali solo con riferimento alla prima parte del terzo comma; nei restanti casi (primo, secondo e seconda parte del terzo comma) non è consentita l'applicazione di misure cautelari personali, fatta eccezione per la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, ai sensi dell'art. 289, comma 2, c.p.p.

Può essere applicata la misura interdittiva del divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione che, secondo la disposizione di cui all'art. 289-bis c.p.p., introdotta dall'art. 1, comma 4, lett. c), l. n. 3/2019, può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'art. 287, comma 1, c.p.p.

Bibliografia

Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Milano 2013; Segreto-De Luca, Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 1999.

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