Codice Penale art. 328 - Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione (1).

Vito Di Nicola

Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione (1).

[I]. Il pubblico ufficiale [357] o l'incaricato di un pubblico servizio [358], che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio [366, 388 5] che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

[II]. Fuori dei casi previsti dal primo comma il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 1.032 euro. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.

(1) Articolo dapprima modificato dall'art. 17 l. 13 aprile 1988, n. 117, e successivamente così sostituito dall'art. 16 l. 26 aprile 1990, n. 86.

competenza: Trib. collegiale

arresto: non consentito

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita

altre misure cautelari personali: v. 2892 c.p.p.

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Trasformata con la l. n. 86/1990 la fisionomia dei delitti dei soggetti qualificati contro la P.A., il reato in esame, a seguito di un ampio dibattito dottrinale, è stato profondamente modificato (Romano, 364) attraverso la riformulazione del modello legale che ha fatto registrare il passaggio da un'unica previsione (l'omissione in atti d'ufficio), che comprendeva in una stessa fattispecie le condotte di omissione, rifiuto o ritardo di un atto d'ufficio, a due distinte e autonome fattispecie incriminatrici che disciplinano, la prima, l'indebito rifiuto di un'attività “qualificata” (per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità), “indifferibile” e “doverosa” (il rifiuto di atti d'ufficio) e, la seconda, l'omissione di un atto della pubblica amministrazione espressamente richiesto, con “messa in mora” del funzionario competente alla sua adozione, da parte di chi abbia interesse al suo compimento e la mancata risposta sulle ragioni del ritardo (l'omissione di atti d'ufficio), diversificando il rispettivo trattamento sanzionatorio riservato alle due distinte previsioni legali.

Soggetti

Soggetto attivo

Il rifiuto o l'omissione in atti d'ufficio è un reato proprio, che può essere commesso esclusivamente dal «pubblico ufficiale o dall'incaricato di un pubblico servizio».

Per il funzionario di fatto e per l'inapplicabilità dell'art. 360, v. sub art. 323.

Nozione di pubblico ufficiale

Cfr. sub art. 357.

Nozione di incaricato di pubblico servizio

Cfr. sub art. 358.

Soggetto passivo

Il bene giuridico tutelato dal reato in esame è costituito dall'interesse al buon funzionamento della pubblica amministrazione in maniera che la funzione pubblica ed il servizio pubblico siano espletati con regolarità, efficienza, rapidità per l'efficace perseguimento dei fini pubblici, anche per assicurare l'imparzialità dell'attività amministrativa.

Nel reato di rifiuto di atti d'ufficio di cui all'art. 328, comma 1, soggetto passivo è soltanto la P.A. e non il privato, che può risentire solo eventualmente, quale persona danneggiata, della condotta antigiuridica del pubblico ufficiale (Cass. VI, n. 40594/2008).

Il delitto di omissione di atti di ufficio, di cui all'art. 328, comma 2, integra invece un reato plurioffensivo, in quanto la sua realizzazione lede, oltre l'interesse pubblico al buon andamento ed alla trasparenza della P.A., anche il concorrente interesse del privato danneggiato dall'omissione o dal ritardo dell'atto amministrativo dovuto (Cass. VI, n. 9730/2013; in dottrina Romano, 369).

Nel primo caso, il privato cittadino potrà considerarsi mero danneggiato dal reato e legittimato a costituirsi parte civile.

Nel secondo caso, il privato assume la posizione di persona offesa dal reato ed è quindi titolare dei diritti di cui agli artt. 408, 409 e 410 c.p.p., essendo pertanto legittimato a proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione formulata dal P.M.

Materialità

Condotta

Oggetto della condotta di rifiuto o di omissione ed elemento costitutivo dei reati di cui all'art. 328, commi 1 e 2, riferito ai soggetti qualificati, quindi tanto al pubblico ufficiale quanto all'incaricato di un pubblico servizio, è unatto del suo ufficio” (Romano, 370).

La prima implicazione è che l'atto ritardato od omesso deve rientrare nella competenza funzionale dell'agente (Cass. VI, n. 9426/1999), in quanto il possessivo “suo” (riferito all'ufficio) evoca una siffatta competenza, nel senso che l'atto deve rientrare nei compiti d'ufficio dell'agente e dovendo la competenza funzionale intendersi come competenza sia ratione personae che ratione materiae.

La seconda implicazione è che, per l'integrazione della fattispecie incriminatrice, non è sufficiente un inadempimento solo interno all'ufficio (Cass. VI, n. 28482/2009; in dottrina Romano, 371), distinguendosi tra primo e secondo comma, nel senso che l'atto a rilevanza esterna è richiesto solo nel caso di omissione (secondo comma), mentre nell'ipotesi del rifiuto (primo comma) l'atto potrebbe avere, per l'integrazione del reato, anche solo rilevanza interna e, in ogni caso, gli atti interni, se anche inidonei a fondare una responsabilità penale ex art. 328, sarebbero comunque sussumibili in quella disciplinare. (Cass. IV, n. 34385/2011).

L'art. 328 è configurabile anche con riferimento agli atti collegiali ma con responsabilità separata di ciascuno dei singoli membri per l'omessa giustificazione del ritardo o per la mancata adozione del provvedimento (Cass. VI, n. 2320/1997); se invece il procedimento coinvolge più uffici appartenenti alla medesima amministrazione, per l'individuazione dell'autore del reato, siccome il delitto di rifiuto od omissione di atti d'ufficio può essere commesso solo dal pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che abbia competenza a compiere l'atto richiesto, occorre avere riguardo soltanto agli atti esterni costituiti dal provvedimento finale o a quelli che, precedendo il provvedimento finale, si presentano come atti necessari, dotati di autonoma rilevanza, essendo invece penalmente irrilevanti gli atti interni o le attività interne, la cui omissione trova rimedio nella previsione di attività sostitutive di altri soggetti e sanzione nel promovimento del giudizio disciplinare (Cass. VI, n. 9426/1999).

La nozione di “atto di ufficio” comprende non solo il compimento di atti di amministrazione attiva, la formulazione di richieste o di proposte, l'emissione di pareri, ma anche la tenuta di una condotta meramente materiale o il compimento di atti di diritto privato (Cass. VI, n. 38698/2006) e pertanto è atto d'ufficio anche il risultato dell'esercizio di una funzione giurisdizionale e, quanto alle autorità amministrative, è atto do ufficio tanto il provvedimento quanto l'atto normativo (per es., un regolamento) nonché gli atti di diritto privato della pubblica amministrazione e le operazioni o comportamenti materiali (in dottrina Romano, 372), sempre che risultino compatibili con la pubblica funzione o il pubblico servizio sicché non ogni comportamento dovuto, se omesso, integra il delitto ex art. 328, in quanto occorre che, come risultato della condotta, non venga in essere quell'atto amministrativo — nel significato tecnico — che doveva essere doverosamente adottato. Sotto tale profilo, la nozione di atto d'ufficio recepita nell'art. 328 sarebbe diversa dalla nozione attribuita dall'art. 318 al medesimo segno linguistico, perché l'atto di ufficio, di cui ex art. 318, comma 1,non va inteso in senso formale e comprende ogni comportamento del pubblico ufficiale, che sia inerente al suo ufficio (Cass. VI, n. 3935/1985).

Anche l'atto discrezionale può rientrare nella nozione di atto d'ufficio rilevante ai sensi dell'art. 328 (Romano, 372 e 372).

Il giudice può valutare l'esercizio della discrezionalità tecnica opposta dall'agente qualificato a giustificazione del suo comportamento (Cass. VI, n. 35526/2011).

Il rifiuto dell'atto: la condotta dell'art. 328, comma 1

L'atto di ufficio da compiersi senza ritardo, ai sensi dell'art. 328, comma 1, deve essere un “atto qualificato” da ragioni:

a) di giustizia, per il quale deve intendersi qualunque provvedimento od ordine autorizzato da una norma giuridica per la pronta attuazione del diritto obiettivo e diretto a rendere possibile o più agevole l'attività del giudice, del pubblico ministero o degli ufficiali di polizia giudiziaria (Cass. VI, n. 3398/2003);

b) di sicurezza pubblica, per il quale deve intendersi qualsiasi atto predisposto alla tutela degli interessi declinati dall'art. 1 r.d. 773/1931 (t.u.l.p.s.), che prevede la tutela della sicurezza dei cittadini e la loro incolumità (Cass. I, n. 2595/1993), nonché qualsiasi atto attinente all'attività di polizia tesa sia all'attività di prevenzione che a quella di repressione in via amministrativa (Cass. I, n. 3301/1992);

c) di ordine pubblico, per il quale deve intendersi qualsiasi atto volto ad evitare turbative della quiete e della tranquillità pubblica (Cass. VI, n. 101/1971);

d) di igiene e sanità, per il quale deve intendersi qualsiasi atto attinente alla salute sia fisica che psichica del cittadino (Cass. VI, n. 3599/1997) intesa quale diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività (art. 32 Cost.) e, più in generale, gli atti tesi alla prevenzione e alla cura delle malattie.

Ricorrendo siffatte ragioni, è comunque necessario, per l'integrazione del reato, l'ulteriore requisito dell'indifferibilità dell'atto (Cass. VI, n. 784/1998).

Il rifiuto di cui all'art. 328 può essere espresso o tacito; può tanto intervenire a seguito di una richiesta o di un ordine e tanto può prescinderne, come nell'ipotesi di inerzia omissiva in cui sussista comunque un'urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell'atto, in modo tale che l'inerzia del pubblico ufficiale assume la valenza di rifiuto dell'atto medesimo (Cass. VI, n. 40799/2018).

Rileva penalmente soltanto il rifiuto dell'atto che avviene indebitamente (in dottrina Romano, 381), dovendo l'agente agire con la consapevolezza del proprio contegno omissivo e dovendo egli rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento contra ius (Cass. VI, n. 43903/2018), con la conseguenza che la condotta deve porsi in contrasto con la normativa che disciplina l'ufficio o il servizio, integrando in tal modo un'ipotesi di antigiuridicità speciale in cui la contrarietà dei doveri posti dalla normativa di riferimento diviene un elemento di tipicità del fatto con relative conseguenza in ordine al dolo (in dottrina Romano, 381)

La fattispecie delittuosa in esame (art. 328, comma 1) configura:

a) un reato omissivo proprio che si perfeziona con la semplice omissione del provvedimento;

b) un reato di pericolo (Cass. VI, n. 33857/2014), sicché la violazione dell'interesse tutelato dalla norma incriminatrice al corretto svolgimento della funzione pubblica ricorre ogniqualvolta venga denegato un atto non ritardabile alla luce di esigenze prese in considerazione e protette dall'ordinamento, prescindendosi dal concreto esito dell'omissione (Cass. VI, n. 40799/2018).

E’ stato ritenuto che il rifiuto di un atto dell'ufficio, previsto dall'art.328, comma primo, cod.pen., ha natura di reato istantaneo e può manifestarsi in forma continuata quando, a fronte di formali sollecitazioni ad agire rivolte al pubblico ufficiale rimaste senza esito, la situazione potenzialmente pericolosa continui a esplicare i propri effetti negativi e l'adozione dell'atto dovuto sia suscettibile di farla cessare (Cass. VI, n. 1657/2020).

L'omissione dell'atto: la condotta dell'art. 328, comma 2

L'art. 328, comma 2, si apre con una clausola di riserva («fuori dei casi previsti dal primo comma») con la conseguenza che la fattispecie punisce il soggetto qualificato (pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio) che, non avendo compiuto l'atto dell'ufficio o servizio, non lo compie neppure «entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse... e non risponde per esporre le ragioni del ritardo», con riferimento a tutti gli atti dell'ufficio o servizio che non trovino fondamento in ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, o che, pur trovando base in dette ragioni, non siano indifferibili cioè non debbano comunque essere compiuti senza ritardo (Romano, 385).

Affinché possa configurarsi il reato di rifiuto di atti di ufficio nella formulazione di cui al secondo comma dell'art. 328, è innanzitutto necessaria una richiesta scritta da parte di chi vi abbia interesse, che deve essere presentata al funzionario competente e che deve assumere natura e funzione di “diffida ad adempiere” (Cass. VI, n. 2331/2014), tanto che si è parlato di un “delitto di messa in mora” (in dottrina Fiandaca-Musco, PS I 2006, 263). Siccome, a differenza del primo comma, non viene punito il mancato compimento di atti “qualificati” e “indifferibili”, bensì l'inerzia dell'intraneus, è poi necessaria l'omissione da parte del soggetto qualificato o la mancata esposizione delle ragioni del ritardo del compimento dell'atto oltre il termine di trenta giorni dalla richiesta scritta da parte di chi vi abbia interesse.

Il mancato compimento dell'atto o la mancata esposizione delle ragioni del ritardo entro un termine prefissato sono previsti dalla norma in via alternativa (Cass. VI, n. 7761/1997), nel senso che il reato è escluso dall'adempimento anche di una sola delle due condotte, e non ammettono equipollenti (Cass. VI, n. 11484/1997).

Non ogni richiesta di atto che il privato sollecita alla P.A. può ritenersi idonea ad innescare il “meccanismo” su cui è costruita la fattispecie delittuosa di cui all'art. 328, comma 2, che mira a tutelare il privato che intenda ottenere un risultato utile in relazione al rapporto amministrativo tra lui e la pubblica amministrazione. Ne consegue che sono idonee soltanto le richieste che mirano ad ottenere un atto dovuto dai pubblici poteri quale risultato concreto del loro agire, cioè quale effetto positivamente apprezzabile del dovere di attivarsi per la realizzazione dei fini istituzionali dell'ente pubblico, sicché rimangono al di fuori della tutela legale le richieste palesemente pretestuose ed irragionevoli che impropriamente sollecitano alla pubblica amministrazione un'attività superflua e non doverosa, la quale non è destinata a spiegare alcuna necessaria incidenza sul rapporto amministrativo (Cass. VI, n. 12977/1998).

Pertanto, il diritto di ottenere dalla Pubblica amministrazione risposta alla propria istanza o richiesta nasce dalla congruità dell'istanza medesima in relazione alla doverosità del comportamento della Pubblica amministrazione, indipendentemente dalla fondatezza delle ragioni alla base dell'istanza e dunque dell'accoglimento della medesima (Cass. VI, n. 6778/2000).

Il termine di trenta giorni per ottenere la risposta decorre dal momento in cui il funzionario che ne è destinatario ne abbia avuta piena cognizione e consapevolezza e non da quello in cui l'istanza perviene all'ufficio, occorrendo che la messa in mora derivante dall'atto di diffida sia non solo conoscibile ma anche perfettamente conosciuta, posto che un dovere di risposta suppone necessariamente l'esistenza di una domanda (Cass. VI, n. 13628/1998).

Quindi, la richiesta di compimento dell'atto d'ufficio deve provenire da chi vi abbia interesse, deve rivestire la forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla sua ricezione (Romano, 396).

La giurisprudenza di legittimità ha pertanto chiarito che il reato di omissione di atti d'ufficio, di cui all'articolo 328, comma 2, incrimina non tanto l'omissione dell'atto richiesto, quanto la mancata indicazione delle ragioni del ritardo entro trenta giorni dall'istanza di chi vi abbia interesse, con la conseguenza che l'omissione dell'atto non comporta ex se la punibilità dell'agente, poiché questa scatta soltanto se il pubblico ufficiale (o l'incaricato di pubblico servizio), oltre a non avere compiuto l'atto, non risponde per esporre le ragioni del ritardo: viene punita, cioè, non già la mancata adozione dell'atto, che potrebbe rientrare nel potere discrezionale della pubblica amministrazione, bensì l'inerzia del funzionario, la quale finisce per rendere poco trasparente l'attività amministrativa. Ne discende che il reato si consuma allorquando, a fronte della richiesta scritta del privato di cui all'art. 328, comma 2, che deve assumere la natura e la funzione tipica della "diffida ad adempiere" (deve cioè essere rivolta a sollecitare il compimento dell'atto o l'esposizione delle ragioni che lo impediscono), sia decorso il termine di trenta giorni senza che l'atto richiesto sia stato compiuto o senza che il mancato compimento sia stato giustificato (Cass. VI, n. 42610/2015).

La parte interessata, sia essa una persona fisica o giuridica, deve essere titolare di una situazione giuridica perfetta e non di mero fatto, perché l'interesse, che deve animarla, non si identifica con quello generale al buon andamento della P.A., che riguarda tutti i consociati, ma in quello che fa capo a una situazione giuridica soggettiva su cui il provvedimento è destinato direttamente a incidere (Cass. VI, n. 21735/2008).

La previsione ed il meccanismo, di cui al secondo comma dell'art. 328, non si estendono ai rapporti tra pubbliche amministrazioni (Cass. VI, n. 2351/1998). Ne consegue che, in tema di omissione di atti di ufficio, la previsione di cui all'art. 328, comma secondo, cod. pen. è volta a dare risposta alle aspettative del privato che formalmente inviti la pubblica amministrazione a emettere un atto riguardante la sua sfera di interessi e, per questa ragione, non si estende ai rapporti tra pubbliche amministrazioni. E’ stato pertanto escluso che ricorresse il "fumus" del delitto di cui all'art. 328, comma secondo, cod. pen. in un caso in cui taluni amministratori comunali avevano omesso di dare risposta alla richiesta, proveniente da altri uffici pubblici, di predisporre la documentazione relativa all'agibilità di un immobile e di effettuare su di esso interventi di manutenzione straordinaria (Cass. VI, n. 10110/2019).

Questo principio è stato ribadito in un caso in cui taluni amministratori comunali avevano omesso di dare risposta alla richiesta, proveniente da altri uffici pubblici, di predisporre la documentazione relativa all'agibilità di un immobile e di effettuare su di esso interventi di manutenzione straordinaria cosicché è stata esclusa la configurabilità del delitto di omissione di atti d’ufficio proprio sul rilievo che la previsione di cui all'art. 328, comma 2, c.p. è volta a dare risposta alle aspettative del privato che formalmente inviti la pubblica amministrazione a emettere un atto riguardante la sua sfera di interessi e, pertanto, non si estende ai rapporti tra pubbliche amministrazioni. (Cass. VI, n. 10110/2019).

La risposta prevista dall'art. 328, comma 2, con cui la pubblica amministrazione è tenuta ad esporre al richiedente le ragioni del ritardo nel compimento dell'atto, deve rivestire la forma scritta (Cass. VI, n. 11484/1997).

La fattispecie delittuosa in esame (art. 328, comma 2) configura:

a) un reato omissivo proprio (Cass. VI, n. 27044/2008);

b) un reato di pericolo, non richiedendosi per l'integrazione della fattispecie che si sia verificato un danno per l'interessato o per la P.A.

Elemento psicologico

Il delitto di cui al primo comma è punito a titolo di dolo generico e consiste nella cosciente volontà di rifiutare l'atto dovuto, mentre l'avverbio “indebitamente” non implica l'esigenza di un dolo specifico ma sottolinea la necessità della consapevolezza di agire in violazione dei doveri imposti, con la conseguenza che gli atti d'ufficio rifiutati in buona fede, che deve essere rigorosamente provata, escludono il dolo (Cass. VI, n. 2301/1985).

Nel fuoco del dolo vi rientra la consapevolezza dell'urgenza dell'atto da compiere per una delle ragioni “qualificate” indicate nella norma per la salvaguardia dei relativi interessi generali altrimenti esposti al pericolo, mentre un effettivo danno per la pubblica amministrazione non è elemento del fatto tipico, cosicché non si richiede per il dolo la relativa consapevolezza: il soggetto qualificato deve conoscere la situazione concreta che attualizza l'obbligo come suo, di sua competenza (Romano, 383, 384).

Come già anticipato a proposito dell'interpretazione dell'avverbio “indebitamente”, ai fini della configurabilità dell'elemento psicologico del delitto di rifiuto di atti d'ufficio, è necessario che il pubblico ufficiale abbia consapevolezza del proprio contegno omissivo, dovendo egli rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento “contra ius”, senza che il diniego di adempimento trovi alcuna plausibile giustificazione alla stregua delle norme che disciplinano il dovere di azione (Cass. VI, n. 51149/2014).

Secondo le regole generali, il dolo può assumere la forma del dolo eventuale (Romano, 384).

La giurisprudenza di legittimità, diversamente dalla dottrina (Romano, 384; 401), è comunque orientata nel ritenere che le norme — anche se non penali, dettate per disciplinare ogni atto “dell'ufficio o del servizio” che rientri nella competenza funzionale dell'agente — assumono, ai fini del reato in questione, natura ed efficacia di norme integrative della norma penale, ex art. 328, cosicché non sarebbe ipotizzabile l'efficacia scriminante di un errore in parte qua che si risolverebbe in un errore sull' antigiuridicità della condotta (Cass. IV, n. 9176/1983). Ciò in quanto la fattispecie criminosa prevista dall'art 328 presuppone la presenza di norme che regolano il funzionamento dell'ufficio e che, pur se attinenti ad altri rami del diritto, accedono per integrazione o incorporazione al precetto penale, di modo che l'erronea valutazione o interpretazione di tali norme (in base alla quale l'agente ritenga insussistente un suo dovere funzionale) si risolve in un errore sulla legge penale, che non discrimina (Cass. VI, n. 1211/1972), dovendo considerarsi errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per “legge diversa dalla legge penale”, ai sensi dell'art. 47, quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata neppure implicitamente (Cass. VI, n. 25941/2015), con la conseguenza che, siccome l'art. 328 con l'avverbio “indebitamente” recepisce ogni violazione delle regole riguardanti l'attività dei singoli pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, l'errore su tali norme integrative del precetto penale non può essere invocato come errore su legge extrapenale (Cass. VI, n. 11156/1989).

Il dolo è generico anche con riferimento al delitto di cui al secondo comma dell'art. 328 e consiste nella consapevolezza da parte del soggetto qualificato della richiesta dell'interessato e dell'obbligo di compiere l'atto dell'ufficio o servizio nonché nella volizione dell'inadempimento e della mancata risposta ossia nella consapevolezza di avere ingiustificatamente omesso di dare risposta all'intimazione del privato (Cass. VI, n. 31669/2007; in dottrina Romano, 401).

Consumazione e tentativo

Consumazione

Il reato in esame, quanto al comma 1, si consuma nel momento in cui il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio rifiuta l'atto dovuto e quindi con la sola omissione del provvedimento (Cass. VI, n. 19551/2012; in dottrina Romano, 382). Il reato, di cui al secondo comma, si consuma invece quando, in presenza della diffida ad adempiere rivolta a sollecitare il compimento dell'atto o l'esposizione delle ragioni che lo impediscono, sia decorso il termine di trenta giorni senza che l'atto richiesto sia stato compiuto e senza che il mancato compimento sia stato giustificato (Cass. VI, n. 2331/2014).

Ne consegue, per la consumazione del reato di cui al comma secondo, vi è la necessità di realizzare due condotte omissive, e cioè la mancata adozione dell'atto entro trenta giorni dalla richiesta scritta della parte interessata e la mancata risposta sulle ragioni del ritardo: espletato uno dei due adempimenti, previsti in via alternativa, la configurabilità del reato è esclusa (v. supra).

È un reato a consumazione istantanea, che si perfeziona con la scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta di chi vi ha interesse, senza il compimento dell'atto d'ufficio e senza la mancata esposizione delle ragioni del ritardo (Cass. VI, n. 27044/2008).

La giurisprudenza di legittimità ha tuttavia chiarito che il reato di rifiuto di atti di ufficio previsto dal primo comma dell’art. 328 c.p., pur se istantaneo, può configurarsi anche nel caso in cui l'inerzia omissiva, protraendosi oltre il termine per il compimento dell’atto, pur a fronte di formali sollecitazioni ad agire rivolte al pubblico ufficiale, si risolva in un rifiuto implicito, sì che in tal caso il momento consumativo coincide con l’adozione dell’atto dovuto, la quale determina la cessazione degli effetti negativi della inazione (Cass. VI, n. 16483/2022).

Tentativo

Il tentativo, sia con riferimento al primo comma che al secondo comma dell'articolo 328 è ritenuto teoricamente configurabile anche se di difficile concreta realizzazione (Romano, 373, 401).

Una parte delle dottrina ed un unico rintracciabile intervento della giurisprudenza di legittimità lo escludono (Cass. VI, n. 2783/1980).

Forme di manifestazione

Concorso di persone

Nel caso di ritardo o di omissione del compimento di un atto d'ufficio da parte di un organo collegiale, v. supra.

Rapporti con altri reati

L'art. 328, commi 1 e 2, si applica, secondo i principi generali, sino a che il fatto non rientri in altre norme penali che descrivano condotte di rifiuto od omissione di atti con elementi specializzanti rispetto all'art. 328 (Romano, 402).

A titolo esemplificativo, possono considerarsi figure di reato speciali, rispetto all'art. 328, il rifiuto o ritardo di obbedienza del militare o agente della forza pubblica (cfr. sub art. 329), l'omessa denuncia di reato (artt. 361-362), il rifiuto di uffici legalmente dovuti (art. 366).

Il reato in esame è invece ritenuto speciale rispetto al delitto, ex art. 593, di omissione di soccorso (Cass. VI, n. 28005/2011).

In tema di abuso d'ufficio e omissione in atti d'ufficio, cfr. sub art. 323.

Concorso di reati

È stato ritenuto il concorso materiale di reati dell'art. 328 sia con riferimento al reato di a corruzione propria (art. 319) quando, oltre a ricevere il prezzo della corruzione, il soggetto qualificato ometta effettivamente di compiere l'atto (Cass. VI, n. 5414/1985; in dottrina Romano, 403), e sia con riferimento al reato, ex art. 317, di concussione (Cass. VI, n. 7828/1981).

 

Casistica

È stata esclusa la configurabilità del reato ex art. 328 nei confronti di due infermieri addetti alla centrale operativa 118, i quali pur non intervenuti tempestivamente a prestare soccorso, avevano rispettato i protocolli medici indicativi della patologia in relazione alla sintomatologia riferita telefonicamente dal paziente, poi deceduto per aneurisma dissecante dell'aorta (Cass. VI, n. 36674/2015).

È stato ritenuto che integra il delitto di rifiuto di atti di ufficio da compiere senza ritardo per ragioni di giustizia, la condotta del Procuratore della Repubblica che, informato di un evento di rilevante gravità, pur se configurante al momento della notizia, gli estremi di un reato procedibile a querela, e consapevole dell'urgenza di provvedere per evitare il rischio di modifiche dello stato di luoghi, omette di attivarsi per l'adozione dell'atto giudiziario che con immediata evidenza, doveva essere compiuto (Cass. VI, n. 27817/2015).

È stato escluso che attengano ad una ragione di giustizia la mancata elevazione, da parte di un carabiniere, della contravvenzione relativa all'omessa revisione di un veicolo, ed il mancato ritiro del relativo documento di circolazione (Cass. VI, n. 32594/2015).

È stato ritenuto configurabile il reato ex art. 328 a carico del medico ospedaliero, di turno presso il reparto di chirurgia d'urgenza, il quale si era rifiutato di visitare e redigere la consulenza richiesta dai colleghi del servizio “118”, propedeutica al ricovero, adducendo la provenienza del paziente da altro ospedale esclusivamente per eseguire una Tac cerebrale (Cass. VI, n. 45844/2014).

È stata esclusa la configurabilità del reato con riferimento alla mancata adozione di un'ordinanza sindacale contingibile e urgente, in relazione al pericolo cagionato ai pedoni e ad un'abitazione da una frana insistente sulla sede stradale, cui si sarebbe potuto ovviare anche con la chiusura della strada ad opera dei Vigili del Fuoco (Cass. VI, n. 33857/2014).

In presenza di mere richieste al Consiglio dell'ordine degli avvocati di revoca della sospensione cautelare dall'esercizio della professione forense, è stato escluso il reato ex art. 328 in assenza di formali diffide ad adempiere rivolte al pubblico ufficiale competente (Cass. VI, n. 2331/2014).

In materia di edilizia, è stato escluso il reato ex art. 328 per omessa emanazione dell'ordinanza di sospensione dei lavori, la quale deve essere emessa dal p.u. nel caso di lottizzazione abusiva, sul rilievo che detto provvedimento non rientra tra gli atti da compiere senza ritardo per ragioni di giustizia (Cass. III, n. 5688/2013).

Sotto tale specifico aspetto, si è sostenuto che, ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 328, comma 1, del c.p., deve escludersi che gli atti di competenza dell'autorità amministrativa in materia di normativa edilizia e urbanistica rientrino nelle "ragioni di ordine pubblico" e neppure nelle "ragioni di giustizia", giacché queste ultime sono semmai assicurate, in materia, dai provvedimenti cautelari penali e dalle misure di sicurezza patrimoniali adottate da soggetti appartenenti alla funzione giudiziaria o loro ausiliari, con la conseguenza che, sulla base di tali premesse, non è stato ravvisato il reato di cui all'articolo 328, comma 1, del c.p. a carico del responsabile dell'ufficio tecnico comunale cui era stato addebitato di non essersi attivato per l'adozione di provvedimenti di sospensione e, poi, di demolizione rispetto a lavori abusivi segnalatigli dalla polizia municipale (Cass , VI, n. 4845/2019).

È stato escluso, con conseguente inconfigurabilità del reato ex art. 328, che attenga ad una ragione di giustizia la mancata notifica, da parte di un messo comunale, di un atto trasmesso da una Direzione provinciale del lavoro per il recupero di contributi dovuti agli enti previdenziali e per l'applicazione di sanzioni amministrative (Cass. VI, n. 16567/2013).

È stato ritenuto responsabile del delitto di omissione di atti di ufficio il sanitario ospedaliero che, in servizio di pronta reperibilità e chiamato dal medico già presente nel nosocomio, rifiuti di recarsi in ospedale, sul presupposto che non sarebbe ravvisabile alcuna situazione di urgenza, non avendo il sanitario medesimo alcuna possibilità di sindacare la necessità e l'urgenza della chiamata (Cass. VI, n. 12376/2013).

L’inosservanza, anche ripetuta e grave, da parte del magistrato, dei termini di deposito delle sentenze non integra, di per sé sola, il reato di rifiuto di atti d’ufficio per ragioni di giustizia ex art. 328, comma primo, c.p., se non sussista una indifferibilità dell’atto omesso, la quale non può essere desunta dall’esigenza di regolare andamento dell'attività giudiziaria, ma presuppone che il ritardo determini un pericolo concreto di pregiudizio per le parti interessate, derivante dalla mancata definizione dell’assetto regolativo degli interessi coinvolti nel procedimento (Cass. VI, n. 8870/2022).

Siccome il reato di rifiuto di atti di ufficio è un reato di pericolo, ricorre la violazione dell'interesse tutelato dalla norma incriminatrice al corretto svolgimento della funzione pubblica ogni qual volta venga denegato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze prese in considerazione e protette dall'ordinamento, prescindendosi dal concreto esito della omissione. Ne consegue che integra il reato di rifiuto di atti di ufficio, la condotta del medico di guardia in servizio presso una casa di cura che, richiesto di prestare il proprio intervento da personale infermieristico in relazione alla progressiva ingravescenza delle condizioni di salute di un paziente ivi ricoverato, ometta di procedere alla visita ed alla diretta valutazione della situazione, a nulla rilevando che il paziente sia comunque assistito dal suddetto personale, incaricato di monitorarne le condizioni fisiche e i parametri vitali, e che, in tal caso, la valutazione del sanitario si fondi soltanto su dati clinici e strumentali (Cass. VI, n. 21631/2017).Sulla stessa linea, è stato ritenuto che integra il delitto di rifiuto di atti d'ufficio la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che non aderisca alla richiesta di recarsi al domicilio di un paziente malato terminale per la prescrizione di un antidolorifico per via endovena e si limiti a formulare per via telefonica le sue valutazioni tecniche e a consigliare la somministrazione di un altro farmaco di cui il paziente già dispone, trattandosi di un intervento improcrastinabile che, in assenza di altre esigenze del servizio idonee a determinare un conflitto di doveri, deve essere attuato con urgenza, valutando specificamente le peculiari condizioni del paziente (Cass. VI, n. 43123/2017).

Pertanto è stato chiarito che risponde del reato di cui all'art. 328 ii dirigente medico, in servizio presso il Pronto Soccorso con mansioni di medico di guardia, che aveva omesso di visitare una paziente che si era presentata lamentando un dolore al braccio sinistro in conseguenza di una caduta, nonostante il reiterato invito fattogli dall'infermiera di sottoporre a visita la paziente per una probabile frattura alla spalla (Cass. VI, n. 40753/2016).

Integra il reato di rifiuto in atti d'ufficio da compiere senza ritardo per ragioni di igiene, il rifiuto dell'ausiliario scolastico di provvedere alla cura dell'igiene personale dell'alunno minore affetto di disabilità (art. 47 del CCNL 2002/2005). Ne consegue che rientra in tale fattispecie la condotta del collaboratore scolastico che, tenuto in forza del contratto collettivo nazionale di lavoro a prestare assistenza agli alunni con disabilità per le loro esigenze igieniche e più volte sollecitato dal dirigente scolastico all'espletamento di tali funzioni, abbia omesso di procedere in tal senso nei confronti di un minore disabile, tanto sul presupposto che, una volta riconosciuta l'esistenza di uno specifico dovere derivante dalla normativa contrattuale, il suddetto comportamento omissivo configura il reato di cui all'art. 328, comma 1, anche sotto il profilo soggettivo, posto che il rifiuto era stato opposto nella consapevolezza che fosse in contrasto con i doveri d'ufficio, dal momento che l'agente era stato sollecitato dal dirigente scolastico all'espletamento di tali attività (Cass. VI ,n. 22786/2016).

Ai fini della configurabilità del reato di rifiuto di atti di ufficio (art. 328, comma 1, c.p.), non rileva il principio di precauzione ambientale di cui all'art. 191 del Trattato consolidato sull'Unione europea e sul relativo funzionamento (2008/C 115/01), in quanto esso non stabilisce obblighi rispetto ai quali può assumere rilievo l'omissione dell'atto doveroso da compiere, ma si limita a consentire l'adozione di misure di prevenzione rispetto a rischi che si intendono evitare (Cass. VI, n. 3799/2016).

Non integra il delitto di rifiuto di atti di ufficio (art. 328 c.p.) la condotta del farmacista che si rifiuta di consegnare un farmaco antipiretico urgente ad un malato terminale in assenza della richiesta prescrizione medica, poiché, in ragione di quanto previsto dal decreto del Ministro della salute del 31 marzo 2008, l'obbligo di consegna di un medicinale senza ricetta ricorre, in caso di estrema necessità ed urgenza, solo ove si tratti di paziente con patologia cronica, ovvero vi sia la necessità di non interrompere il trattamento terapeutico o di proseguire la terapia a seguito di dimissioni ospedaliere, ed il farmacista abbia conoscenza di tali condizioni di salute del paziente (Cass. VI, n. 55134/2016).

Diritto penitenziario

Cfr. sub art. 323.

Profili processuali

Il reato ex art. 328 è reato procedibile d'ufficio e di competenza del tribunale in composizione collegiale.

Per il reato in esame:

a) non è possibile disporre intercettazioni;

b) non è consentito l'arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza e neppure è consentito il fermo;

c) non è consentita l'applicazione di misure cautelari personali, fatta eccezione per la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, ai sensi dell'art. 289, comma 2, c.p.p.

Nel reato di cui all'art. 328, comma 1, persona offesa dal reato è esclusivamente la P.A., con la conseguenza che il privato cittadino potrà considerarsi mero danneggiato dal reato e legittimato a costituirsi parte civile, ma non legittimato ad esercitare i diritti di cui agli artt. 408 ss. c.p.p. (Cass. VI, n. 47114/2019).

Quanto invece al reato di cui all'art. 328, comma 2, il privato assume la posizione di persona offesa dal reato ed è quindi titolare dei diritti di cui agli artt. 408, 409 e 410 c.p.p., essendo pertanto legittimato a proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione formulata dal P.M. (Cass. VI, n. 9730/2013).

Può essere applicata la misura interdittiva del divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione che, secondo la disposizione di cui all'art. 289-bis c.p.p., introdotta dall'art. 1, comma 4, lett. c), l. n. 3/2019, può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'art. 287, comma 1, c.p.p.

Bibliografia

Fiandaca-Musco, Diritto penale, PS, I, Bologna, 2006; Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Milano 2013; Segreto-De Luca, Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano 1999.

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