Codice Penale art. 338 - Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti 1 2 .

Pierluigi Di Stefano

Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti 12.

[I]. Chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario , ai singoli componenti o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio o ai suoi singoli componenti, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l'attività, è punito con la reclusione da uno a sette anni [339] 34.

[II]. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per ottenere, ostacolare o impedire il rilascio o l'adozione di un qualsiasi provvedimento, anche legislativo, ovvero a causa dell'avvenuto rilascio o adozione dello stesso5.

[III]. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici [358 2] o di pubblica necessità [359 n. 2], qualora tali deliberazioni abbiano per oggetto l'organizzazione o l'esecuzione dei servizi [339].

 

competenza: Trib. monocratico

arresto: obbligatorio

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

[1] Per una causa di non punibilità, v. l'art. 393 bis, inserito dall'art. 1, comma 9, l. 15 luglio 2009, n. 94. Precedentemente analoga disposizione era contenuta nell'art. 4 d.lg.lt. 14 settembre 1944, n. 288 (ora abrogata dall'art. 1, comma 10, l. n. 94 cit.), che così disponeva: «4. Non si applicano le disposizioni degli articoli 336, 337, 338, 339, 341, 342, 343 del codice penale quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni».

[2] L'art. 1, comma 1, lettera c), della l.  3 luglio 2017, n. 105,  ha aggiunto le parole: «o ai suoi singoli componenti» dopo le parole: «Corpo politico, amministrativo o giudiziario».

[3] Per l'aumento delle pene, qualora il fatto sia commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione, v. art. 71, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, che ha sostituito l'art. 7 1 l. 31 maggio 1965, n. 575.

[4] L'art. 1, comma 1, lettera a), della l.  3 luglio 2017, n. 105, ha inserito al presente comma le parole «, ai singoli componenti» dopo le parole: «Corpo politico, amministrativo o giudiziario» e «o ai suoi singoli componenti» dopo la parola: «collegio».

Inquadramento

Questa disposizione ricomprende sostanzialmente le condotte cui ai precedenti due articoli individuando in questo caso, quale organo della pubblica amministrazione nei cui confronti è tenuta la condotta (di impedimento o turbamento dell’attività), quello costituente un “Corpo” politico, amministrativo o giudiziario o comunque costituito in collegio. In tale caso, difatti, vi è una oggettiva maggior rilevanza dell'attività dell'amministrazione e, per converso, una maggiore gravità della offesa arrecata. Si tratta di reato, secondo la casistica nota, poco ricorrente ma che, con la riforma di cui alla l. 3 luglio 2017, n. 105, è stato individuato, con le opportune modifiche, quale norma incriminatrice centrale per la funzione di “rafforzare gli strumenti penali contro le intimidazioni ai danni degli amministratori locali”; la disposizione, comunque, non presenta alcuna limitazione a tale sola categoria di “Corpi” o pubblici ufficiali. La differenza con i precedenti reati — al cui commento si rinvia — attiene al modo di esercizio dell'attività (la forma collegiale) e non al numero di soggetti che risultano lesi; peraltro il reato di cui all'art. 338, già prima della citata modifica del 2017, si riteneva integrato anche nel caso di minaccia di un singolo componente per impedire o turbare l'attività dell'intero organo collegiale.  Tale interpretazione è stata ora di fatto trasfusa nel nuovo testo, modificato nel senso di ritenere che il reato ricorra quando la violenza o minaccia sia diretta ad un singolo componente, purché, comunque, diretta ad influenzare sul “Corpo”.

Va però fatta una precisazione. Negli atti parlamentari (“elementi per l’esame in assemblea” per l’approvazione finale), invero, si ritiene che “La riforma adatta il contenuto del primo comma alle esigenze di tutela degli amministratori locali mediante il riferimento anche ai singoli componenti del corpo …. tutela quindi i medesimi singoli componenti in quanto tali, anche quando operano al di fuori dell'organismo collegiale”.

Ciò introduce il dubbio che si sia estesa la fattispecie anche alla attività singola del soggetto che, comunque, faccia parte di un “Corpo”, pur al di fuori della attività svolta per questo. Un caso è quello del Sindaco che agisce in proprio ma è anche componente della Giunta; ha una tutela “rafforzata” anche per le attività proprie?

Il testo “nuovo” sembra deporre per la “vecchia” interpretazione (vale la condotta nei confronti del singolo quando abbia di mira il condizionamento dell’attività del “Corpo”) ma si tratta di questione che dovrà risolvere la giurisprudenza.

La l. 3 luglio 2017, n. 105 ha introdotto un comma 2, formulato quale reato autonomo. Le condotte previste, invero, sembrano, per la prima parte, maggiormente una specificazione di ciò che rientrava già nella previsione del primo comma quale “impedimento” o “turbativa” dell’attività (in tal senso, Cass. VI, n. 16487/2020 quanto alla minaccia al collegio di Tribunale dopo la lettura del dispositivo). Nella seconda parte, invece, si trova il contenuto innovativo: si sanziona la “ritorsione” o “vendetta” per l’esercizio dell’attività del “Corpo” o di un suo componente in modo difforme da quello auspicato dal reo. Questa, invero, appare il profilo nuovo, non ricompreso in alcun modo nella precedente formulazione della norma.

Il terzo comma integra sostanzialmente un reato simile a quello del primo comma, ma autonomo, invero caratterizzato da una certa genericità di previsione che, unitamente al facile sconfinamento in altre ipotesi di reato, rende l'ipotesi pressoché sconosciuta nella giurisprudenza.

I soggetti

Il soggetto passivo è una delle autorità citate, o comunque una qualsiasi entità operante per l'amministrazione che sia costituita in collegio. Secondo la giurisprudenza precedente l’ultima modifica, la caratteristica essenziale del “corpo” ovvero “collegio”, ai fini di tale disposizione, è che la volontà venga espressa mediante atti riferibili collettivamente a tali soggetti, non rientrandovi, invece, l'attività di un organismo impersonale che sia, comunque, rappresentato da un singolo vertice (Cass. VI, n. 18184/2012; Cass. VI,  n. 2636/2000). L'ambito “…., amministrativo o giudiziario” è ben chiaro e non lascia spazi a dubbi; quanto al Corpo “politico” si veda il successivo paragrafo.

La definizione dirappresentanze” di tali corpi appare quella di gruppi operanti per l'ente non in via stabile; la corretta individuazione delle singole tipologie di organo, comunque, non rileva perché è sufficiente fare riferimento alla nozione generale di entità che decide collegialmente.

Il Corpo politico – rapporti con l’art. 289

In dottrina, si era precisato che la categoria “corpo politico”, non ricomprendeva le Camere, il Governo etc.,, perché tutelati autonomamente dall'art. 289, potendosi quindi ritenere disciplinate dall'art. 338 solo ipotesi residuali quali le Commissioni e gli Uffici elettorali (Manzini, Antolisei).

La l. n. 105/2017, però, con l'introduzione del secondo comma, chiarisce che il reato è riferibile anche ai casi di influenza su un provvedimento legislativo per cui il “corpo politico” ricomprende evidentemente anche le Camere, il Governo etc.

Materialità

Il delitto è di mera condotta assistita da dolo specifico e si consuma indipendentemente dal raggiungimento dello scopo prefissatosi dal reo.

Anche sulla scorta di quanto già detto nei simili reati di cui agli artt. 336 e 337 cui si rinvia, il reato è commesso tenendo la data condotta nei confronti del collegio o di talune sue componenti con la data finalità (dolo specifico) ma non è necessario che si verifichino l'impedimento ovvero il turbamento (Cass. VI, n. 2810/1995). Quanto alla condotta, con previsione più ampia rispetto alle norme generali, l'articolo in questione introduce anche l'ipotesi del “turbamento”. Quest'ultima è, allo stato, una nozione priva di chiara specificazione giurisprudenziale ma appare adeguata una interpretazione secondo la quale il “turbamento” consiste in una condotta effettivamente in grado di rappresentare un ostacolo al regolare funzionamento.

Come detto, vi è stata la recente aggiunta del secondo comma che, invero, nella prima parte appare una disposizione più interpretativa che estensiva della fattispecie astratta. Più rilevante, invece, la previsione della condotta per “ritorsione” in quanto non sembra che, in precedenza, vi fosse spazio perché determinate attività di pressione nei confronti del “Corpo” dovessero rientrare nella disciplina degli artt. 336 e 337, né vi è giurisprudenza nota.

Si è già detto che la giurisprudenza precedente la riforma aveva affermato che la condotta violenta o minacciosa non deve essere necessariamente tenuta nei confronti dell'intero collegio e che, laddove il destinatario sia un solo componente, vada operata una distinzione. Il reato dell'art. 338 sussiste quando la minaccia nei confronti del singolo componente sia diretta soggettivamente ed oggettivamente ad influire sulla deliberazione finale del collegio (Cass. VI, n. 18194/2012) — è il caso della pressione sul sindaco per l'esercizio di attività della giunta (Cass. II, n. 5611/2012). Quando la minaccia al componente, pur se in presenza dell'organo riunito risulti invece un'azione diretta a coartare la volontà del singolo, potranno realizzarsi altri reati ma non quello in oggetto; anche in questo caso la casistica nota riguarda un sindaco aggredito in consiglio comunale (Cass. VI, n. 2675/1998).

Elemento psicologico

Si è in presenza di una chiara previsione di dolo specifico, coerentemente con i reati precedenti.

Forme di manifestazione

La condotta è chiaramente a forma libera e può rientrarvi qualsiasi atteggiamento che sia idoneo a realizzare determinati effetti. Si è ritenuto, con riferimento ad una vicenda di pressioni su giudici popolari della Corte di assise, che la minaccia possa anche consistere in espressioni allusive, evocative di pericolo di danno ingiusto,utilizzate in un contesto ambientale di rischio di attività della criminalità organizzata (Cass. VI, n. 3828/2006).

Causa di non punibilità

È applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 393 bis (reazione ad atti arbitrari).

Profili processuali

Gli istituti

Il reato in esame è procedibile d'ufficio ed è di competenza del tribunale monocratico; è prevista la citazione diretta a giudizio. Nel caso di sussistenza dell' aggravante di cui all'art. 339, comma 2, c.p., la competenza è del tribunale in composizione collegiale.

Per esso:

a) è possibile disporre le intercettazioni (art. 266, comma 1 lett. b, c.p.p.);

b) l'arresto in flagranza è obbligatorio (art. 380, comma 2, lett. a) bis c.p.p., disposizione introdotta con la l. 3 luglio 2017, n. 105); il fermo non è consentito;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

Bibliografia

Seminara, I nuovi art. 338 e 339 bis c.p. (commento alla l. 3 luglio 2017 n. 105), in Dir. pen. e proc., 2017, 1344

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