Codice Penale art. 346 - [Millantato credito].[Millantato credito]. [ [I]. Chiunque, millantando credito presso un pubblico ufficiale [357], o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio [358], riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 309 euro a 2.065 euro. [II]. La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da 516 euro a 3.098 euro, se il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare [382].]1 competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.) arresto: facoltativo fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio [1] Articolo abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. s) l. 9 gennaio 2019, n. 3, in vigore dal 31 gennaio 2019. InquadramentoIl reato di Millantato credito è stato abrogato con l. 9 gennaio 2019, n. 3 e la relativa condotta sostanzialmente trasfusa nel reato di Traffico di influenze illecite. Si riporta, comunque, il commento della vecchia fattispecie, rilevante perché, non essendo punibile la “vittima” della millanteria, diversamente che nell'ipotesi dell'art. 346-bis (v. §“La riforma del 2019”), per i fatti anteriori alla riforma va chiaramente distinta l'ipotesi in cui il mediatore abbia solo vantato le sue relazioni con il pubblico ufficiale. La disposizione prevede due autonomi reati. Il primo comma, prevede la condotta di chi vanti dei rapporti privilegiati con dei pubblici ufficiali per proporsi quale mediatore a pagamento nei confronti del pubblico ufficiale (o pubblico impiegato che presti pubblico servizio). Il secondo comma prevede la condotta di chi si propone quale mediatore in una attività di corruzione (non reale, come si comprende dalla formula “col pretesto di dovere comprare il favore”). Con la introduzione del 2012 del reato di cui all’art. 346 bis, l’ ambito della norma, restata in vigore sino al 2019, è stato limitato alla ipotesi in cui non vi siano rapporti effettivi (o, comunque, corrispondenti a quelli millantati) tra il mediatore/millantatore ed il pubblico ufficiale/pubblico impiegato (Cass. VI, n. 37463/2017; Cass. VI, 53332/2017). L'interesse protetto in entrambe le ipotesi dell'art. 346 è quello, tradizionale, della tutela del prestigio ed immagine di imparzialità e serietà della amministrazione rispetto all'obiettiva denigrazione laddove i suoi rappresentanti siano fatti apparire influenzabili per interessi privati e, nel secondo comma, addirittura corruttibili. Il reato è monooffensivo in quanto tutela soltanto il prestigio della pubblica amministrazione che è l'unica parte offesa, mentre colui che ha versato le somme di denaro al millantatore è semplice soggetto danneggiato dal reato (Cass. VI, n. 10662/2003). I soggettiIl reato è comune, potendo essere commesso da chiunque. Il soggetto cui deve essere riferita la millanteria è, nel primo comma, ogni pubblico ufficiale o impiegato pubblico esercente un pubblico servizio; nel secondo la previsione si amplia a qualsiasi impiegato pubblico, pur non esercente un pubblico servizio. MaterialitàVa fatta una distinzione tra le fattispecie dei due commi, ribadendosi che la giurisprudenza e comunque le sezioni unite (Cass. S.U., n. 12822/2010) ritengono che le due ipotesi costituiscano reati autonomi per le differenze strutturali delle condotte. Innanzitutto in entrambi i casi è necessaria la condotta di “millanteria” o “vanteria”: il soggetto attivo deve ostentare la sua capacità di influire sul pubblico ufficiale, presentato quale persona disposta a favorire interessi privati su richiesta del millantatore, in violazione degli obblighi di correttezza ed imparzialità. L'effetto della condotta che rileva è il danno di immagine della amministrazione, condizione che si realizza già con la sola prospettazione della esistenza dei funzionari infedeli (Cass. VI, n. 9425/1999) per cui è irrilevante la individuazione del possibile soggetto “avvicinato” e, anzi, potendo anche non esistere e trattarsi di una assoluta simulazione (Cass. VI, n. 2645/2000). La condotta, quindi, è realizzata quando le circostanze riferite dal millantatore siano tali da far sorgere nel soggetto passivo la ragionevole convinzione di potere avere, per il tramite del mediatore, un'influenza sul pubblico ufficiale ovvero di poterne comprare il favore (Cass. VI, n. 4928/1984). La disposizione ha di mira il risultato obiettivo e non il rapporto tra le parti, tenuto conto che, come già detto, il soggetto verso cui è diretta la millanteria non è affatto la persona offesa; è quindi irrilevante di chi sia l'iniziativa che ben può partire anche dalla persona cui è offerta la falsa mediazione (Cass. S.U., n. 12822/2010). La giurisprudenza di legittimità, pronunciandosi dopo la riforma, con riferimento alla ipotesi del secondo comma, ha considerato come nel caso del millantato credito non sia necessario che il pubblico funzionario “avvicinabile” venga descritto come corruttibile (Cass. VI, n. 51049/2015) — laddove la nuova ipotesi dell'art. 346 bis fa riferimento alla mediazione ai fini di corruzione; “è sufficiente che il millantatore faccia credere alla vittima di essere in grado di intervenire presso un pubblico ufficiale o un pubblico impiegato perché questi, per denaro, spenda a «favore» della vittima il prestigio, l'autorevolezza e l'influenza connessi alla sua qualità di pubblico impiegato, non occorrendo che egli eserciti o presti una funzione pubblica o un servizio pubblico strumentali rispetto alla realizzazione del prefigurato «favore» (Cass. VI, n. 17941/2013): quindi la condotta “venduta” del pubblico ufficiale, nel reato in esame, può anche essere semplicemente il suo ruolo che si afferma poter essere speso in favore del soggetto cui è diretta la millanteria. Elemento psicologicoil reato richiede il dolo generico. Consumazione e tentativoIl reato è consumato con la promessa del denaro/utilità; il tentativo è ritenuto configurabile, quando lo sviluppo del fatto non sia giunto al momento di tale promessa (Cass. VI, n. 8989/2015). La consumazione anticipata al momento della promessa rende irrilevante che non venga più richiesto od offerto l'effettivo pagamento (Cass. VI, n. 34440/2006). Si è dato però rilievo al momento della dazione, quando segua effettivamente alla promessa, per la determinazione del luogo di commissione del reato ai fini della competenza (Cass. VI, n. 50078/2014). Forme di manifestazionePer distinguere le due ipotesi di millantato credito va considerato se il reo abbia indicato la somma richiesta quale prezzo per la propria mediazione (primo comma) ovvero quale prezzo per il pubblico ufficiale/impiegato (Cass. VI, n. 17923/2003).
Rapporti con la truffa La giurisprudenza più recente, anche alla luce della rideterminazione dell'ambito del reato, ha affermato che millantato credito e truffa possono concorrere, essendo diverso l'oggetto della tutela penale, quando, allo specifico raggiro consistente nel vantare la propria capacità di ingerenza, il reo aggiunge una ulteriore attività diretta alla induzione in errore del soggetto passivo (Cass. VI, n. 9960/2017; Cass. VI, n. 9961/2017) – come il caso della compilazione di falsa documentazione di assunzione apparentemente proveniente dalla Amministrazione. Se tale ulteriore attività non vi è, invece, il delitto di truffa è assorbito nel millantato credito (Cass. VI, n. 40940/2017). Concussione Ricorre il reato di millantato credito (aggravato ex art. 61, n. 9) e non quello di concussione quando la condotta di induzione della vittima a versare una somma di denaro sia realizzata da un pubblico ufficiale mediante il raggiro della falsa rappresentazione di una situazione di grave pregiudizio e la proposta di comprare i favori di altri ignari ed inesistenti pubblici ufficiali per ottenere un risultato favorevole alla vittima (Cass. VI n. 34827/2009). Millantato credito del patrocinatore il rapporto con il reato di cui all'art. 382 è, chiaramente, di specialità del secondo, peraltro caratterizzato da una pena sensibilmente più alta. CasisticaRicorre la truffa e non il millantato credito nel caso di chi ottiene denaro vantando influenza presso noti esponenti politici per l'ottenimento di posti di lavoro, poiché il reato in oggetto è riferibile solo a pubblici ufficiali e impiegati (Cass. VI n. 49048/2004). Si è invece ritenuto che concorrano la truffa ed il millantato credito nel caso di offerta di intermediazione presso i funzionari della società esattrice delle imposte laddove la capacità di intervento era attestata con false ricevute idonee a simulare l'avvenuta estinzione dei debiti tributari (Cass. VI n. 8994/2015). Si è escluso che il reato ricorra nel caso in cui il mediatore prospetti solo la possibilità di mettere in contatto il proprio interlocutore con un pubblico funzionario senza millantare la sua capacità di esercitare una reale influenza sullo stesso (Cass. VI n. 35060/2010). Il millantato credito è stato ritenuto nel caso di coloro che si erano offerti per intermediare con dipendenti del Coni e dei Monopoli di Stato per far ottenere alle parti offese concessioni di ricevitoria per il totocalcio e per il lotto, organizzando, per rafforzare la propria credibilità, dei falsi sopralluoghi di sedicenti funzionari dei suddetti enti (Cass. VI, n. 39932/2005). BibliografiaDe Angelis, Millantato credito, in Enc. giur. Treccani; Morone, Sul rapporto tra corruzione e millantato credito (Nota a Cass. pen., VI, 19 luglio 2012, n. 33328, B. M.) in Giur. it., 2013, 1179; Rampioni, Millantato credito, in Dig. pen., VII, Torino, 1993.; Semeraro, I delitti di millantato credito e traffico di influenza, Milano, 2000; Stampanoni Bassi, Brevi note in merito alla natura giuridica del millantato credito corruttivo (art. 346, 2° comma, c.p.) e alla possibilità di concorso con il delitto di truffa (Nota a Cass. pen., sez. VI, 12 luglio 2017, n. 40940, G.), Cass. pen., 2017, 4398; Vecchi, Osservazioni e rilievi in tema di millantato credito, in Riv. pen., 1988, 425. |