Codice Penale art. 349 - Violazione di sigilli.Violazione di sigilli. [I]. Chiunque viola i sigilli, per disposizione della legge o per ordine dell'Autorità apposti al fine di assicurare la conservazione o la identità di una cosa [705 c.c.; 752-762 c.p.c.; 260, 261 c.p.p.; 81, 82 att. c.p.p.], è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 103 euro a 1.032 euro. [II]. Se il colpevole è colui che ha in custodia la cosa, la pena è della reclusione da tre a cinque anni e della multa da 309 euro a 3.098 euro [350]. competenza: Trib. monocratico arresto: non consentito (primo comma); facoltativo (secondo comma) fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita (primo comma); consentita (secondo comma) altre misure cautelari personali: non consentite (primo comma); consentite (secondo comma) procedibilità: d'ufficio InquadramentoLa norma è strumentale alla tutela dell'interesse della Pubblica Amministrazione alla conservazione delle cose sottoposte a sequestro. Nella ipotesi aggravata per la commissione da parte del custode, si aggiunge la tutela dell'interesse alla fedeltà del soggetto individuato per la assicurazione della disponibilità ed integrità del bene. La disposizione è funzionale a qualsiasi tipo di sequestro, in sede penale, civile od amministrativa. Il reato ha natura plurioffensiva in ragione della sua idoneità a ledere, oltre che l'interesse della amministrazione, anche un parallelo e concorrente interesse di un soggetto privato alla conservazione della identità del bene (Cass. III, n. 23128/2007). I soggettiIl reato è comune, potendo essere commesso da “chiunque”. L'ipotesi aggravata, invece, può essere commessa solo dal (o in concorso con il) custode. Materialità e forme di manifestazioneLa descrizione della condotta è peculiare, facendosi riferimento alla “violazione dei sigilli”, (bollo, timbro in ceralacca, strisce di carta, cartelli, fili di ferro e così via) ovvero dei segni, anche solo simbolici, apposti per rendere la cosa inaccessibile o segnalarne l'accesso, realizzandosi quindi formalmente il reato con la rimozione, rottura o distruzione di tale segni. L'interpretazione ha portato a superare la stretta interpretazione letterale, che lasciava impunita, ad esempio, l'utilizzazione del bene resa possibile dalla cattiva apposizione dei sigilli ritenendo che il fatto sussista quando venga tenuta una condotta materiale riferita alla cosa sequestrata in aperta violazione del divieto desumibile dai “segni” del provvedimento di sequestro. Perciò, ai fini del reato in questione, i sigilli possono essere costituiti anche da semplici cartelli contenenti l'indicazione del vincolo sulla cosa e costituisce condotta penalmente rilevante quella di chi in qualsiasi modo rimuova, rompa o distrugga anche un solo segno fisico del provvedimento (Cass. n. 15674/2012). Ai fini della configurabilità del reato vanno qualificati quali sigilli anche i cartelli apposti sul luogo con la indicazione del provvedimento di sequestro, atteso che ciò che rileva è la funzione strumentale di identificare esattamente il bene e la intimazione a chiunque di astenersi da qualsiasi atto che possa attentare alla indisponibilità della cosa (Cass. III, n. 6446/2006). Quindi perché il reato sussista non occorre che i sigilli siano stati materialmente apposti, né tanto meno che gli stessi siano stati oggetto di rottura o di rimozione, purché sia resa certa la volontà dell'amministrazione di garantire l'integrità della cosa sequestrata; si è, quindi, ritenuto sufficiente nei confronti dell'imputato anche la semplice notifica del provvedimento di sequestro con nomina a custode del manufatto ed espressa intimazione a non immutare lo stato dei luoghi (Cass. III, n. 24684/2015). Ed è stato ritenuto responsabile anche il terzo, essendo sufficiente che al momento della condotta fosse a conoscenza del vincolo (Cass. III, n. 43169/2018). Il reato, poi, è integrato anche dal semplice riutilizzo del bene o dalla ripresa dell'attività illecita sullo stesso, pur se con l'adozione di accorgimenti idonei ad evitare la lesione dell'integrità materiale del sigillo (Cass III, n. 7407/2015). Ed ancora, è integrato dalla rimozione o dalla distruzione dei sigilli apposti, nonché, in materia edilizia, da ogni condotta di modifica dell'immobile che, pur lasciando intatti i sigilli, sia idonea a frustrare le finalità di assicurazione della cosa (Cass. III, n. 38198/2017). Il reato ricorre anche nel caso in cui i sigilli siano stati apposti esclusivamente per impedire l'uso illegittimo della cosa, perché questa finalità deve ritenersi compresa in quella di assicurare la conservazione o la identità della cosa (Cass. fer., n. 43884/2012). In conseguenza della valorizzazione del vincolo sostanziale, la giurisprudenza ritiene che la revoca del provvedimento di sequestro priva di rilevanza giuridica i sigilli, escludendo il rilievo penale dell'uso del bene prima della rimozione formale dei sigilli stessi (Cass. III, n. 44288/2019). Sequestro inefficace o illegittimo L'inefficacia o l'illegittimità del provvedimento di sequestro o di apposizione di sigilli non esclude il delitto di cui all'art. 349 atteso che la norma in questione richiede soltanto che l'apposizione dei sigilli derivi da una disposizione di legge o da un ordine dell'autorità (Cass. III, n. 2241/2017). Ipotesi aggravata L'aggravante si estende al concorrente se è a conoscenza della qualità di custode dell'autore del reato o se la ignora colpevolmente non rientrando la stessa tra quelle circostanze soggettive da valutarsi, come previsto dall'art. 118, soltanto con riguardo alla persona cui si riferiscono (Cass. III, n. 2283/2017). Elemento psicologicoIl reato richiede il dolo generico (Cass. VII, n. 24276/2019) ed ha una sua corrispondenza colposa nella fattispecie dell'art. 350, oggi trasformata in violazione amministrativa (agevolazione colposa della violazione dei sigilli da parte del custode). Il reato è configurabile anche nella forma del dolo eventuale, incombendo sul soggetto agente, nel dubbio, l'obbligo di informarsi dall'autorità procedente o dal proprio difensore della possibilità di disporre del bene, accettando in caso contrario il rischio della violazione sigilli (Cass. III, n. 27134/2015). Anche il dolo del custode, nella ipotesi aggravata, è generico. Si è posto il problema della sussistenza a suo carico di una “responsabilità oggettiva” in quanto lo si ritiene responsabile salva la prova del caso fortuito o della forza maggiore; in realtà si tratta di comune responsabilità dolosa in quanto l'elemento soggettivo è riferito all'esercizio dello specifico obbligo di vigilanza, volutamente e consapevolmente omessa (Cass. III, n. 7371/2017). Consumazione e tentativoIl reato è istantaneo. Nel caso dei sigilli apposti ad un immobile, ed al fine di ritenere la flagranza, si è ritenuta quest’ultima riferibile sia alla materiale rottura dei sigilli che al momento della introduzione o dell’uso dell’immobile (Cass. III, n. 3545/2016). Forme di manifestazioneRapporti con altri reati Il reato di violazione di sigilli si distingue dall'ipotesi (oggi illecito amministrativo) di agevolazione colposa di cui all'art. 350 per l'elemento psicologico consistente, nel secondo caso, nella negligenza e trascuratezza del custode. Secondo la recente giurisprudenza, l'art. 349 tutela la cosa con un vincolo di immodificabilità; nel caso in cui la modifica, invece, si realizzi, è escluso il reato di cui all'art. 334 che sanziona condotte diverse, ovvero la sottrazione ed il danneggiamento (Cass. III, n. 19722/2008; Cass. III, n. 10267/2003). CasisticaRisponde del reato di violazione di sigilli, in concorso con terzi, il custode del bene in sequestro che non abbia adeguatamente vigilato sull'integrità dei sigilli apposti, a nulla rilevando il fatto che risiedesse in luogo diverso, condizione che non esclude l'esercizio del dovere di vigilanza (Cass. III, n. 35956/2010). Del reato risponde anche il titolare di un'azienda agricola che manometta alcuni contrassegni auricolari di bovini (con i quali le autorità sanitarie certificano l'identità di un bovino) che hanno natura di sigilli di cui all'art. 349, preordinati ad assicurare l'identità di un bene (Cass. III, n. 2636/2003). Non integra il reato la mera rimozione dei sigilli di un contatore dell'Enel, perché i sigilli non hanno, nel caso, la funzione di assicurare la conservazione o la identità della res, ma, piuttosto, quella di garantire la misurazione della energia (Cass. VI, n. 1566/2000). Profili processualiGli istituti Il reato in esame è procedibile d'ufficio ed è di competenza del tribunale monocratico; è prevista la citazione diretta a giudizio. Nel caso del primo comma non è consentito l'arresto e non sono consentite misure cautelari. Nel caso del secondo comma è consentito l'arresto ed è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. è possibile disporre le intercettazioni (art. 266, comma 1 lett. b, c.p.p.). Interdizione La pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici consegue obbligatoriamente alla condanna per il delitto di violazione di sigilli, rientrando quest'ultimo nella categoria dei delitti perpetrati con abuso di poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio (Cass. III n. 9169/2009). BibliografiaBursese, Il reato di violazione dei sigilli ed il sequestro penale delle costruzioni abusive (Nota a Cass., 23 giugno 1982, De Filippis), in Giur. it., 1983, II, 197; Mannozzi, Violazione di sigilli, in Dig. pen. XV, Torino, 1999; Nastro, Sigilli (violazione di), in Enc. dir.; Piccialli, L'uso illegittimo della cosa e la violazione di sigilli (Nota a Cass. pen., sez. un., 26 novembre 2009, n. 5385, D'Agostino), in Corr. mer. 2010, 660; Stampanoni, Le condizioni per l'estendibilità ai concorrenti nel reato delle circostanze aggravanti soggettive, in Cass. pen. 2014, 1190. |