Codice Penale art. 368 - Calunnia (1).Calunnia (1). [I]. Chiunque, con denuncia [333 c.p.p.], querela [336 c.p.p.], richiesta [342 c.p.p.] o istanza [341 c.p.p.], anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale (2), incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni. [II]. La pena è aumentata [64] se s'incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un'altra pena più grave. [III]. La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all'ergastolo; [e si applica la pena dell'ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte] (3). (1) Per un particolare aumento delle pene v. art. 16-septies 7 d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, conv., con modif., in l. 15 marzo 1991, n. 82. Successivamente, in tema di protezione dei testimoni di giustizia, v. l'art. 22 l. 11 gennaio 2018, n. 6 che prevede che le pene previste per il reato di calunnia di cui al presente articolo sono aumentate da un terzo alla metà quando il colpevole ha commesso il fatto allo scopo di usufruire o di continuare ad usufruire delle speciali misure di protezione previste dalla legge n. 6/2018, cit.. L'aumento è dalla metà ai due terzi se uno dei benefici è stato conseguito. (2) L'art. 10, l. 20 dicembre 2012, n. 237, ha inserito, dopo le parole «o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne», le parole: «o alla Corte penale internazionale». (3) Per l'inciso relativo alla pena di morte, v. sub art. 9. competenza: Trib. monocratico arresto: facoltativo (primo, secondo e prima parte del terzo comma); obbligatorio (seconda parte del terzo comma) fermo: non consentito (primo comma); consentito (secondo e terzo comma) custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoIl reato di calunnia, condotta che si realizza quando in modo diretto od indiretto si accusa taluno che si sa innocente della commissione di un reato (delitto ovvero contravvenzione, quest'ultima prevista dall'art. 370 quale ipotesi attenuata), è un reato plurioffensivo (Cass. VI, n. 49740/2017). Innanzitutto tutela l'interesse della Amministrazione della giustizia a che la sua attività non sia fuorviata con la simulazione di reati inesistenti o realizzati in modo sostanzialmente diverso, in ciò con sostanziale corrispondenza alla simulazione di reato del precedente art. 367. Poi vi è l'ulteriore interesse della vittima della calunnia, ovvero il soggetto falsamente accusato, a non essere esposto anche solo ad indagini per fatti da lui non commessi. Il rilievo assunto da tale secondo interesse, come del resto è ragionevole, è tale che la pena base rispetto alla simulazione di reato è doppia ed è aggravata laddove la falsa accusa riguardi un reato di particolare gravità; ed è ulteriormente aggravata, con autonoma determinazione della pena in misura assai elevata, quando si realizzi l'evento condanna. Come la simulazione di reato, anche in questo caso vi sono due diverse modalità di commissione del fatto: la calunnia formale o diretta, quando vi è denuncia espressa da parte del reo, e la calunnia materiale o indiretta, che si realizza quando il reo simuli tracce di reato che siano tali da portare alla individuazione di un soggetto quale responsabile. I soggettiLa calunnia è un reato comune, potendo essere commesso da chiunque. MaterialitàCaratteristiche fondamentali della fattispecie sanzionata sono la prospettazione di un reato con autore determinato e che tale prospettazione sia idonea a far iniziare una indagine. Evidentemente, quindi, è un reato di pericolo. Effettività del reato La calunnia consiste nella incolpazione di reati effettivi e non di reati putativi, con la conseguenza che, qualunque sia stato il proposito nell'accusare falsamente un innocente, se il fatto attribuito non costituisce reato ed integra, tutt'al più, una ipotesi di responsabilità civile o disciplinare, la configurabilità della calunnia resta di per sé esclusa. Ciò vale anche nel caso in cui il denunziante abbia indicato un preciso nomen iuris e si sia espressamente proposto di provocare l'apertura di un procedimento penale (Cass. VI n. 26542/2015), ma i fatti descritti nella denunzia non abbiano alcuna attitudine ad integrare la data ipotesi. Né rileva che, di fatto, una indagine venga comunque avviata venendo indotte in errore le Autorità competenti. Ad esempio, è stato escluso che rappresentasse una calunnia presentare allo sportello comunale dedicato ai rapporti con il cittadino un atto di opposizione a una sanzione amministrativa nel quale si lamentava che la stessa era stata comminata a “senza aver commesso il fatto e con motivazione falsa attuando abuso di potere” (Cass. VI n. 21204/2013); è stata esclusa la calunnia in un caso di specifica denunzia di inerzia in una procedura fallimentare, che era di fatto attribuita soltanto a colpa e perciò non erano affatto configurabili i reati prospettati, artt. 323 e 328 (Cass. VI n. 3247/2011); nel caso della segnalazione di irregolarità previdenziali e contributive non integranti reato (Cass. VI, n. 35318/2013); nel caso dell'accusa di essere stato malmenato dagli agenti in un'azione palesemente determinata da necessità e svolta in adempimento di un dovere (Cass. VI, n. 1765/2012). Possibilità di inizio di indagini Il reato è punito purché vi sia la astratta possibilità di inizio delle indagini a carico dell'accusato. Tale necessaria efficacia della falsa denunzia comporta due conseguenze; la prima è che segnalare o formare tracce di un reato che non possa di per sé dar luogo ad una indagine non rientra nella fattispecie punita. La seconda è che il fatto non deve risultare palesemente inverosimile. Sotto il primo profilo, quindi, il reato non può ricorrere in una serie di ipotesi in cui il reato denunziato non può dar luogo ad apertura di indagine: è stato quindi escluso che costituisca calunnia la denuncia di un reato perseguibile a querela se questa non sia presentata (Cass. VI, n. 10132/2013) ovvero se la falsa accusa sia a carico di un morto (Cass. I, n 34894/2022; Cass. VI, n. 22926/2013). Nè è configurabile calunnia per la denuncia di un reato commesso all'estero laddove non ricorrano le condizioni per procedere in Italia. Se, invece, il reato è estinto per prescrizione, la giurisprudenza ritiene che comunque si realizzi il reato in oggetto perché in tale caso l'accertamento dell'estinzione del reato presuppone comunque un'attività di verifica della configurabilità dell'ipotesi criminosa e della decorrenza del termine prescrizionale: quindi è possibile l'avvio di un'indagine così realizzandosi lo sviamento del corso della giustizia (Cass. II, n. 14761/2018); simile opinione risulta espressa da Antolisei con riferimento, in generale, alle cause di estinzione del reato pur se risultino prospettate già nella denunzia. Viceversa, il reato è stato escluso nel caso in cui ricorra ”una causa di non punibilità intrinseca del fatto attribuito alla persona offesa, come tale confluente nella dimensione del fatto tipico”, tale ritenendosi la causa di non punibilità dell'art. 649, come affermato in tema di (falsa) denuncia di appropriazione indebita fra coniugi conviventi (Cass. VI, n. 1762/2003); in tale caso, la stessa prospettazione dei fatti nella denuncia esclude che debba procedersi ad indagini. In un remoto precedente (Cass. I n. 5258/1974), invece, si era ritenuto che il reato sussista anche quando il fatto denunciato risulti commesso nell'ambito di una causa di giustificazione. In questo caso, difatti, vi è di norma l'avvio delle indagini. Opinioni diverse si rinvengono in dottrina (Antolisei, secondo il quale “occorre anche l'assenza di causa di giustificazione” e quindi “non costituisce calunnia, ad esempio, comunicare all'Autorità che taluno ha ucciso per legittima difesa, in stato di necessità o per caso fortuito”); va però tenuto presente che l'indagine scatterebbe comunque, non essendo certo satisfattivo che il denunziante dia la sua opinione sulla sussistenza di una causa di giustificazione quale la legittima difesa. Altre ipotesi risultano oggetto di valutazioni dottrinarie. Si rileva, quindi, come non siano idonei all'avvio di un'indagine le denunzie nei confronti di soggetti per i quali valgono immunità assolute, ovvero non siano imputabili per ragioni di età (Fiandaca Musco) o di infermità di mente; in tale ultimo caso si deve, però, considerare che l'indagine è necessaria per l'accertamento, comunque, della responsabilità e delle condizioni mentali, anche ai fini dell'eventuale applicazione di una misura di sicurezza. Allo stesso modo, si afferma che il reato non ricorrerebbe nel caso di necessità di autorizzazione a procedere (Fiandaca Musco), ma anche in questo caso il procedimento sarebbe comunque avviato. Serietà della ipotesi di reato In quanto reato di pericolo, la calunnia sussiste indipendentemente dall'essere effettivamente avviata una indagine. Ciò che si richiede, difatti, è solo che vi sia l'astratta possibilità dell'inizio di indagini o di un procedimento penale nei confronti della persona falsamente incolpata (Cass. VI, n. 34738/2011). Quindi il reato sussiste anche quando l'indagine non abbia alcun inizio e anche se in contemporanea giunga la notizia della infondatezza dell'accusa. È quindi irrilevante che a seguito dell'accusa non vi sia stata iscrizione nel registro degli indagati (Cass. VI n. 7837/2012). Si è però individuata quale limite della fattispecie l'ipotesi in cui il fatto denunziato non sia assolutamente in grado di provocare l'inizio di una indagine. L'ipotesi è intesa in senso restrittivo per cui si afferma che soltanto in caso di addebito di circostanze assurde, inverosimili o grottesche, in contrasto con logica e buon senso, tali da escludere che sia ragionevole ipotizzare l'effettiva verificazione del reato, può escludersi che sussista l'elemento materiale del delitto in esame (Cass. II, n. 14761/2018) e tale carattere dell'accusa deve risultare prima facie ed intrinsecamente (Cass. VI n. 34532/2013). Falsità della accusa La accusa può essere falsa sotto il profilo di non essere affatto avvenuto il reato o sotto il profilo di non esserne autore la persona denunziata. Con riferimento al caso in cui la denunzia riguardi una vicenda non vera, si pone però il problema della prospettazione di una vicenda che non sia del tutto falsa, bensì diversa da quella reale. Invero il problema non si pone se la rappresentazione dei fatti avvenga in termini parziali per il consapevole occultamento di elementi che escludono l'antigiuridicità del fatto rappresentato, come nel caso in cui il denunciante ometta coscientemente di riferire le circostanze che sapeva integrare la legittima difesa (Cass. VI, 41562/2017); in tale caso è fuori di dubbio la commissione della calunnia (Cass. VI n. 1255/2014). Si pone, invece, quando, nell'ambito della denuncia di un fatto vero costituente reato, si rappresentino fatti diversi con effetti sostanziali sull'apparente consistenza dell'accusa. È il caso in cui, avvenuto un furto, lo si denunzia quale rapina, così mutando la qualificazione giuridica del fatto, ma anche il caso in cui si denunziano lesioni lievi come lesioni gravi o anche solo circostanze che potrebbero rilevare unicamente in sede di determinazione della pena. Il criterio guida applicato dalla giurisprudenza è nel senso che la calunnia è integrata anche quando la incolpazione riguardi un fatto diverso e più grave di quello effettivamente commesso, salvo che si tratti di modalità secondarie della sua realizzazione, che non ne modificano l'aspetto strutturale e non incidono in termini significativi sulla maggior gravità del reato e non ne determinano un mutamento del titolo (Cass. VI, 9874/2016). Si è, ad esempio, escluso il reato in un caso in cui denunziante aveva “enfatizzato la dinamica dei fatti, descrivendoli nelle loro modalità esecutive in maniera particolarmente allarmante e forse in parte non corrispondente al vero, senza, però, con ciò incidere sull'essenza degli illeciti denunciati e, in particolare, sulla loro identificazione e qualificazione giuridica” (Cass. VI, n. 35339/2008). In altre decisioni, si è ritenuto essenziale che resti ferma la qualificazione giuridica pur se, la falsità possa comportare l'applicazione di circostanze aggravanti; ciò è stato affermato (Cass. VI, n. 25901/2003) in un caso in cui si denunziavano lesioni, vere, provocate con un coltello, circostanza questa non vera. Quali altri casi in cui si è ritenuta la calunnia, si segnala l'accusa di rapina invece di una truffa (Cass. n. 34261/2011); l'accusa di avere impiantato una piantagione di canapa indiana a fronte della coltivazione di due piantine non ancora giunte a maturazione (Cass. n. 46533/2011); l'accusa ad una donna di aver preteso denaro nascondendosi il fatto che stava per avere un figlio dall'accusatore (Cass. n. 5882/2013); l'accusa contro la moglie separata di violazione di domicilio tacendo che la sentenza di separazione aveva revocato l'assegnazione esclusiva dell'appartamento in suo favore (Cass. n. 30350/2013). La varietà di decisioni sul punto consegue, evidentemente, alle peculiarità dei casi concreti. In dottrina (Antolisei) è seguita sia la tesi che sembra prevalente in giurisprudenza, ovvero che la diversità di versione dei fatti debba investire elementi essenziali per la diversa qualificazione giuridica, sia una tesi (Pagliaro) che invece valorizza qualsiasi divergenza che valga ad aggravare in modo significativo la posizione dell'incolpato, anche solo ai fini della determinazione della pena in una ipotetica condanna. Calunnia diretta: denuncia od equipollenti L'art. 368 prevede denuncia, querela, richiesta od istanza, anche anonima, quali tipi di atto contenenti la falsa accusa e come destinatarie l' Autorità giudiziaria o l'Autorità che alla stessa abbia l'obbligo di riferire. La disposizione è letta nel senso del massimo ambito degli atti idonei a realizzare il reato, da valutare fondamentalmente sotto il profilo del raggiungimento del fine. Ai fini del perfezionamento del reato, quindi, non occorre una denuncia in senso formale, bensì è sufficiente l'esposizione in qualsiasi forma di fatti concretanti gli estremi di reato (Cass. VI n. 463/2011), quindi anche quella che avvenga nel corso di dichiarazioni rese quale testimone od indagato/imputato all'Autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria. Anche il contenuto è sostanzialmente libero, l'esposizione non deve consistere in una dettagliata indicazione in diritto delle violazioni penali falsamente attribuite, essendo sufficiente che l'autorità possa individuare il reato commesso dall'esposizione dei fatti (Cass. VI n. 34521/2013). È così idonea anche la denuncia orale, come quella fatta telefonicamente al 113, pur se ritrattata in sede di formalizzazione negli uffici della polizia giudiziaria; ed è perciò idoneo ad accusare falsamente anche un ricorso civile per ottenere un sequestro giudiziario (Cass. VI n. 27908/2013). La disposizione va letta unitamente a quelle che individuano le “Autorità” tenute alla segnalazione dei reati al p.m.; si tratta, sostanzialmente, dell'art. 331 c.p.p., che impone tale obbligo a pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio. È da valutare se il termine “Autorità” che abbia obbligo di riferire possa restringere l'ambito della calunnia diretta rispetto ai soggetti obbligati al referto, ma va considerato come ciò che non rientra nella calunnia diretta può rientrare nella calunnia indiretta: qualsiasi segnalazione fatta ad un soggetto che si sa che, ragionevolmente, riferirà della segnalazione stessa alla Autorità giudiziaria integra comunque la calunnia indiretta. Perché possa parlarsi di calunnia diretta non è necessario che in denuncia sia espressamente indicato il soggetto che si intende incolpare: ai fini del reato è sufficiente che il destinatario dell'accusa sia implicitamente, ma agevolmente, individuabile sulla base degli elementi enucleabili dalla denunzia (Cass. VI n. 21970/2013). Con riferimento ai fatti, frequentissimi nella casistica del reato in esame, di falsa denuncia di smarrimento/furto di assegni, si discute se l'avere lasciato alla iniziativa degli inquirenti l'individuazione del prenditore falsamente accusato faccia di tale ipotesi una calunnia diretta od indiretta. Si veda il paragrafo successivo. Calunnia indiretta L'art. 368 prevede espressamente, quale forma alternativa di commissione del reato, la simulazione a carico di taluno di tracce di un reato. In tale caso, di norma, non vi deve essere la specifica indicazione dell'incolpato ma questi deve essere identificabile sulla base delle false tracce (Cass. VI, n. 460/2012). Deve, inoltre, trattarsi di persona esistente; nel caso di chi denuncia lo smarrimento della carta di identità per fare ritenere che un ignoto la abbia utilizzata per sottoscrivere un contratto a suo nome, non si realizza alcuna calunnia, non essendovi uno specifico destinatario dell'accusa rispetto al quale vi sia la possibilità di iniziare indagini, ma l'ipotesi minore di simulazione di reato (Cass. VI, n. 4139/2016). Un caso ricorrente in giurisprudenza è quello di colui che, fornendo le generalità di altra persona ed inducendo in errore agenti di polizia che lo individuano per la commissione di un reato, consapevolmente consente la redazione del verbale di accertamento nei confronti di tale diversa persona; (Cass. VI, n. 34101/2011). Tale condotta è ritenuta integrare calunnia indiretta laddove sia utilizzato il nome di altra persona esistente e l'identità fisica del reo non sia stata contestualmente e in modo insuperabile acquisita al procedimento per esempio attraverso rilievi foto dattiloscopici (Cass. VI, n. 6150/2013). Come detto, nella casistica è preponderante il caso della denunzia di smarrimento di assegni (da valutare, come si dirà, alla luce della depenalizzazione del reato di appropriazione di cosa smarrita; secondo Cass. VI, n. 15964 /2016 anche dopo tale riforma la falsa denuncia di smarrimento di assegni integra la calunnia nei confronti del prenditore perché lo espone al rischio di indagini per altre ipotesi di reato). Sebbene la denunzia di semplice smarrimento non contenga una notizia di reato, comunque allarma l'Autorità che la riceve sui possibili reati commessi dalla persona che verrà trovata in possesso dei titoli. È infatti nell'ambito delle ordinarie possibilità che tale detentore abbia operato un furto o una ricettazione. Ne consegue che la falsa denunzia di smarrimento (nella consapevolezza del denunziante della loro negoziazione e della liceità della circolazione: Cass. VI, n. 5133/2014), simula tracce di reato perseguibili d'ufficio ed è condotta idonea al configurare la calunnia (Cass. VI, n. 13702/2020; Cass. VI, n. 48445/2012). Oltre che nel comune caso di falsa denuncia di smarrimento di un titolo già consegnato (per il quale è stato affermato che la calunnia sia diretta: Cass. VI, 400121/2016), la sussistenza di calunnia è stata anche affermata nel più particolare caso in cui la negoziazione del titolo avvenga successivamente alla denuncia di smarrimento, poichè la condotta ha comunque lo stesso effetto di simulare le tracce di reati a carico del futuro prenditore; in tale caso, inquadrato quale calunnia reale, sarà però necessario dimostrare in modo specifico il collegamento oggettivo e soggettivo tra falsa denuncia e successiva cessione; in caso in cui tale collegamento manchi, la falsa denuncia integra comunque una simulazione di reato (Cass. II, n. 14145/2018). Altra ipotesi frequente nella casistica giudiziaria si realizza quando un soggetto denuncia all'Autorità di disconoscere atti di cui risulta, attraverso le relative attestazioni, la notificazione e ricezione a mani dello stesso denunciante; in tale caso l'agente accusa implicitamente il pubblico ufficiale autore di dette attestazioni di falsità ideologica (Cass. VI, n. 13090/2014). Consumazione e tentativoLa calunnia è reato istantaneo la cui consumazione si esaurisce con la comunicazione all'autorità della falsa accusa a carico di una persona innocente; sicché le successive dichiarazioni del soggetto attivo di conferma, senza alcuna sostanziale variazione o aggiunta che muti la gravità del fatto denunziato, non possono considerarsi né come nuove violazioni della stessa disposizione di legge (Cass. VI, n. 32513/2015) né come fatto di permanenza del reato perché l'ipotesi delittuosa si è già esaurita con il verificarsi della lesione giuridica e di essa persistono solo gli effetti consequenziali (Cass. II, n. 17705/2022; Cass. VI, n. 43104/2011). Si è anzi affermato che le ulteriori dichiarazioni calunniose rese nell'esame testimoniale a seguito della precedente denunzia sarebbero comunque discriminate dal principio nemo tenetur se detegere in quanto il reo, per affermare la verità, dovrebbe autoaccusarsi della precedente calunnia (Cass. VI, n. 45360/2011). Invece, colui che abbia indotto il terzo a presentare falsa denuncia, così concorrendo nella calunnia, se rende in proprio false dichiarazioni al PM confermando le medesime accuse, commette un nuovo ed autonomo reato di calunnia (Cass. VI, n. 51688/2017). Se, invece, le successive denunzie vadano ad ampliare l'accusa originaria, saranno integrati ulteriori reati di calunnia (Cass. VI, n. 3368/2018). Il tentativo è ammissibile, come affermato in giurisprudenza e, sostanzialmente, confermato in dottrina. I casi noti sono invero pochi e riguardano la calunnia indiretta, per la qual si è affermato che il tentativo può ben configurarsi “quando l'agente sia sorpreso nell'atto della simulazione o comunque quando questa non sia portata a compimento per fatto indipendente dalla volontà dell'agente” (Cass. VI, n. 8827/1999), ad es, quando l’’agente sia scoperto mentre nasconde nell’auto della vittima dello stupefacente, per una falsa accusa di spaccio, o come avvenuto nel caso in cui il calunniatore predisponeva una falsa ritrattazione delle accuse a suo carico recapitandola a persona che l'avrebbe certamente prodotta all'Autorità, venendo scoperto per tempo (Cass. VI, n. 15007/2013). Il carattere di reato istantaneo della calunnia comporta che il fatto falsamente denunciato deve costituire reato al momento della condotta, restando irrilevante la successiva abrogazione (Cass. VI, n. 39981/2018) o la successiva derubricazione o previsione di una pena minore (Cass. VI, n. 12655/2016). Anche in dottrina si afferma la possibilità del tentativo, in teoria possibile anche per la calunnia diretta (es.: il pubblico ufficiale che riceve la denunzia da trasmettere scopre per tempo la falsità) (Antolisei, Fiandaca Musco) pur se, si osserva, è ragione di perplessità l'ulteriore anticipazione della soglia di punibilità di un reato di pericolo. Elemento psicologico ed accertamento del reatoLa calunnia è indubbiamente un reato punito a titolo di dolo generico. Il tema dell'accertamento del dolo è oggetto di numerose pronunce sia per la specifica richiesta della disposizione che si dimostri che il colpevole sappia che l'incolpato non è affatto responsabile (“taluno che egli sa innocente”) sia per la incertezza che comunque si accompagna alla denunzia di fatti per i quali può esservi anche una erronea percezione: il dolo di calunnia non è configurabile se il denunciante ritenga per errore che l'incolpato si sia reso responsabile di un reato, in caso contrario rischiandosi di sanzionare una condotta colposa (Cass. VI, n. 22922/2013). La regola fondamentale è quella della non configurabilità del dolo eventuale in quanto la formula "taluno che egli sa innocente" richiede la consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato (Cass. VI, 4112/2017): “Non sussiste il dolo del delitto di calunnia se non si ha intenzione di accusare una persona che si sa innocente, e ci si limita alla formulazione di addebiti temerari” (Cass. VI, n. 16645/2009). Per tale ragione si è escluso il dolo di calunnia in un caso in cui l'imputato aveva denunciato fatti non personalmente percepiti, ma a lui riferiti da terzi, senza aver proceduto ad alcuna verifica (Cass. VI, n. 2750/2009). Sostanzialmente, questa è la tesi dominante anche in dottrina. Per la condanna, quindi, non può prescindersi da una sostanziale certezza dell'intento calunniatore pur se si sostiene che un atteggiamento deliberato di somma imprudenza nella rappresentazione dei fatti coincida con la consapevolezza del carattere arbitrario dell'accusa lanciata (Cass. VI, n. 37654/2014). Ovvero, la calunnia ricorre “se la formula dubitativa è utilizzata in maniera maliziosa al fine di incolpare subdolamente” (Fiandaca Musco). Il tema dell'accertamento del reato, quindi, sostanzialmente corrisponde all'accertamento dell'elemento psicologico. Il dolo ricorre quando il denunziante dia volontariamente una falsa rappresentazione degli eventi su cui fonda la denunzia (Cass. VI, n. 41328/2011). Il reato di calunnia non sussiste quando la dichiarazione accusatoria corrisponda alla realtà per come percepita. Ciò è stato affermato, ad es., nel caso di soggetti che riferivano di aver riportato lesioni perché aggrediti da agenti di polizia: essendovi stata realmente la colluttazione il reato è stato escluso, ancorché si potesse dubitare che la dichiarazione servisse anche a precostituirsi una prova per difendersi dal reato di resistenza: Cass. VI, n. 19376/2012). Vari elementi esteriori possono evidenziare la consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato e, quindi, il dolo di calunnia: la volontaria omissione di aspetti problematici della vicenda (Cass. VI, n. 42701/2011) e, più in generale, la consapevole e maliziosa parzialità del racconto (Cass. VI, n. 25587/2012); l'essere l'ipotetica incertezza sulla colpevolezza riferibile a fatti oggetto di specifica e contraria valutazione giudiziaria, omessi in denuncia (Cass. VI, n. 18495/2012). Non ricorre invece il dolo quando si accerti che il denunciante abbia agito basandosi su circostanze di fatto non solo veritiere, ma la cui forza rappresentativa sia tale da indurre una persona di normale cultura, esperienza e capacità di discernimento a ritenere la colpevolezza dell'accusato (Cass. VI, n. 12209/2020). Più in generale si afferma che, al fine di determinare se vi sia il dolo di calunnia, il giudice è tenuto a considerare il grado di cultura di un soggetto (Cass. VI, n. 24606/2015) ovvero se la situazione rappresentata sia fondata su elementi di fatto tali da ingenerare dubbi condivisibili da parte del cittadino comune che si trovi nella medesima situazione di conoscenza (Cass. VI, n. 35558/2011). Forme di manifestazioneRapporto con l'accertamento del reato oggetto della calunnia Oltre a quanto riportato in tema di questioni processuali, va considerato che non vi è pregiudizialità sostanziale in quanto il giudizio sul reato di calunnia è autonomo rispetto a quello (eventuale) sul reato attribuito all'incolpato: quando il processo penale abbia per oggetto una contestazione di calunnia, compete al giudice di tale processo verificare l'innocenza o meno della persona falsamente accusata, senza che sia necessario attendere le determinazioni di altra autorità giudiziaria, anche se penale (Cass. VI n. 21441/2012); il giudice della calunnia, difatti, procede ad una valutazione autonoma delle prove (Cass. VI n. 44095/2011). Vi è, però, una innegabile pregiudizialità logica dell'accertamento dell'innocenza dell'incolpato: un accertamento giudiziale di colpevolezza di costui non potrà non essere considerato ai fini della sussistenza della calunnia, anche quanto alla verifica dell'atteggiamento psicologico del presunto calunniatore (Cass. VI n. 32801/2012). Regola ovvia è, poi, che non è automaticamente configurabile il delitto di calunnia a carico dell'accusatore per effetto dell'intervenuta sentenza irrevocabile di proscioglimento nel merito della persona incolpata (Cass. VI n. 15758/2012); una tale conseguenza può solo conseguire alla particolarità del singolo caso. Esercizio del diritto di difesa. Scriminante della legittima difesa Si è discusso se la negazione da parte dell’imputato delle accuse a suo carico possa integrare una condotta di calunnia lì dove sostenga la falsità delle prove a carico. Si afferma, quindi, che è legittimo per l'imputato negare, anche mentendo, la verità delle dichiarazioni a lui sfavorevoli pur se questo significa una accusa implicita di calunnia di chi ha reso dichiarazioni a suo carico. Questa, però, è una conseguenza non voluta per la quale si esclude la valutabilità penale, essendo un esercizio del diritto di difesa ai sensi dall'art. 51 nei limiti, però, di un rigoroso rapporto funzionale tra accuse implicite e la confutazione dell'imputazione. La calunnia, invece, sussiste quando sia travalicato il rapporto funzionale tra le dichiarazioni autodifensive (e virtualmente calunniose) e la confutazione delle accuse. L'implicita calunnia scriminata è, quindi, quella che rappresenta una conseguenza non voluta dall'atteggiamento difensivo (Cass. VI, n. 40886/2018) quando l’imputato accusi un terzo nell’immediatezza dell’accertamento del reato a suo carico o nel corso del suo processo al solo fine di negare la propria responsabilità (Cass. VI, n. 17883/2021). Se, invece, l'imputato oltre a negare prende ulteriori iniziative dirette a coinvolgere altri di cui sa l'innocenza, con incolpazione specifica e circostanziata di un fatto concreto, commette calunnia (Cass. VI, n. 14761/2017). Rispetta, invece, i limiti del diritto di difesa l'imputato che, in un interrogatorio, definisca falso un atto della polizia giudiziaria per quanto attiene alla veridicità della denuncia a suo carico, nei limiti in cui questo sia stato unico e necessario mezzo di confutazione dell'imputazione; si deve, comunque, trattare di una generica contestazione della veridicità della relazione di servizio senza allegazione di elementi specifici per sostenere l'ipotesi della falsità dell'atto (Cass. VI, n. 16809/2015). Il tema è stato posto anche sotto il profilo della scriminante della legittima difesa, ad es. in relazione ad una falsa denunzia di smarrimento di assegni fatta per difendersi da una usura, ma si è ritenuta la mancanza di pericolo attuale, in quanto il soggetto ben avrebbe potuto ricorrere a mezzi legali per bloccare il pagamento del titolo (Cass. VI, n. 6708/2011). Stesso principio è stato affermato, sempre in relazione ad una falsa denuncia di smarrimento degli assegni, in un caso in cui il responsabile assumeva di avere agito per l'intento di evitare una truffa (Cass. VI, n. 9451/2012). Secondo una diversa e più recente interpretazione, invece, è del tutto esclusa la possibilità di scriminare la calunnia che sia stata commessa ai fini di esercizio del diritto di difesa. Si considera che, secondo un recente arresto delle SSUU (Sez. Un, n. 10381/2022), l’art. 384 cod. pen, comma 1, cod. pen. che esclude la punibilità di chi commette taluni reati contro all’amministrazione della giustizia per salvare sé stesso o un congiunto da un nocumento della propria liberà o onore, introduce una causa di non punibilità. In conseguenza, la scelta di non applicare tale disposizione al reato di calunnia dimostra che il legislatore ha già ritenuto che un esercizio del diritto di difesa che porti il soggetto agente ad incolpare falsamente un terzo di reati dai quali lo sappia innocente non faccia mai venir meno la colpevolezza dell'agente, e, a fortiori, l'antigiuridicità della condotta. Quindi, a fronte di tale scelta normativa inequivoca, non vi è spazio residuo per ricorrere alla disposizione generale di cui all'art. 51, comma primo, prima parte, cod. pen., per escludere l'antigiuridicità della condotta (Cass. II, n. 17705/2022). Ritrattazione Innanzitutto va rammentato che l'art.384 (casi di non punibilità) non è applicabile alla calunnia. Una volta perfezionato il reato, così come affermato nel commento all'art. 367, la spontanea «ritrattazione» delle false accuse, non immediata, non esclude la punibilità del delitto di calunnia, potendo, tuttalpiù, valere quale attenuante di cui all'art. 62, n. 6 per la spontanea elisione delle conseguenze negative del reato (Cass. VI n. 29536/2013). L'idoneità dell'accusa a ledere il bene giuridico può escludersi solo quando la ritrattazione intervenga contestualmente all'espressione (Cass. VI n. 41323/2011); non è stata ritenuta valida ritrattazione quella fatta, pur dopo poco tempo, in questura dopo una falsa denunzia fatta telefonicamente agli agenti del 113 e a loro reiterata al momento dell'intervento (Cass. VI n. 8062/2012). Secondo una diversa e più recente interpretazione, invece, è del tutto esclusa la possibilità di scriminare la calunnia che sia stata commessa ai fini di esercizio del diritto di difesa. Si considera che, secondo un recente arresto delle SU (Cass. S.U., n. 10381/2022), l'art. 384, comma 1, c.p. che esclude la punibilità di chi commette taluni reati contro l'Amministrazione della giustizia per salvare sé stesso o un congiunto da un nocumento della propria liberà o onore, introduce una causa di non punibilità. In conseguenza, la scelta di non applicare tale disposizione al reato di calunnia dimostra che il legislatore ha già ritenuto che un esercizio del diritto di difesa che porti il soggetto agente ad incolpare falsamente un terzo di reati dai quali lo sappia innocente non faccia mai venir meno la colpevolezza dell'agente, e, a fortiori, l'antigiuridicità della condotta. Quindi, a fronte di tale scelta normativa inequivoca, non vi è spazio residuo per ricorrere alla disposizione generale di cui all'art. 51, comma primo, prima parte, per escludere l'antigiuridicità della condotta (Cass. II, n. 17705/2022). Rapporto con altri reati Laddove in una prima fase la condotta integri la simulazione di reato e solo con condotta successiva sia accusata una persona specifica, non sono integrati due reati ma si realizza un reato progressivo; non vi è, quindi, concorso tra i due reati ma la simulazione è assorbita nel più grave reato di calunnia, e resta dunque escluso il concorso tra i due delitti (Cass. VI n. 26114/2003). Non sussiste un concorso formale tra calunnia e diffamazione, ma sussiste, per il principio di specialità, il solo reato di calunnia: invero gli stessi fatti che sostanziano la falsa incolpazione rientrano nella fattispecie astratta di entrambi i delitti in quanto, con la falsa attribuzione di un reato nei confronti della persona offesa, si realizzano non solo gli estremi di cui all'art. 368, ma anche l'offesa alla reputazione e la comunicazione con più persone (Cass.VI, n. 31601/2017). Il reato di calunnia concorre con vari reati che possono essere commessi con la medesima condotta: ciò vale per la falsa testimonianza quando nella falsa deposizione sia contenuta anche una falsa incolpazione (Cass. VI n. 33153/2012); per il falso ideologico del pubblico ufficiale che sia lo strumento della falsa incolpazione (Cass. VI n. 9822/2014); per il favoreggiamento personale quando la falsa attribuzione del reato serva a sviare le indagini dal vero autore dello stesso (Cass. VI n. 18082/2011). Invece, per il delitto di cui all'art. 371-bis, oltre ad affermarsi il concorso come per il reato di falsa testimonianza (Cass. VI n. 16558/2011), si è anche affermato che valga il principio di specialità, prevalendo il reato di calunnia (Cass. VI n. 2421/2009). CasisticaNei paragrafi precedenti sono già stati riferiti numerosi casi specifici. Se ne possono aggiungere altri: il reato di calunnia è stato escluso nel caso in cui, in sede di ricorso al prefetto, l'interessato definisca un «sopruso» la contestazione elevata a suo carico dagli agenti rilevatori, condotta rientrante nell'esercizio legittimo del diritto di difesa (Cass. VI n. 1662/2013). Ove la falsa accusa sia contenuta in un atto a firma di un difensore, la responsabilità per il contenuto dell'atto processuale va attribuita alla parte quando si accerti che le false accuse derivino da circostanze riferite da questa (Cass. VI n. 27908/2013). In tema di dolo Correttamente si desume il dolo dalla inverosimiglianza evidente della versione fornita e dal chiaro intento di limitare la propria responsabilità per la precedente condotta (Cass. VI, n. 34105/2011). Nel caso in cui si riferiscano notizie apprese da terzi occorre mantenere un atteggiamento asettico nel chiedere che se ne verifichi la fondatezza (Cass. VI, n. 35592/2011). Profili processualiGli istituti Il reato in esame è procedibile d'ufficio ed è di competenza del tribunale monocratico; è prevista la citazione diretta a giudizio. Nel caso di sussistenza delle aggravanti di cui al terzo comma, la competenza è del tribunale in composizione collegiale. Per esso: a) è possibile disporre le intercettazioni; b) l'arresto in flagranza è consentito; il fermo non è consentito salvo che nell'ipotesi del terzo comma; c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. Correlazione con il fatto contestato Il tema si è posto con riferimento alla contestazione di simulazione di reato riqualificata come calunnia e viceversa; si ritiene che tra le due fattispecie non vi sia una significativa diversità e la riqualificazione non compromette affatto le garanzie difensive (Cass. n. 42695/2011). BibliografiaAlemi, La falsa denunzia di smarrimento di assegno bancario come ipotesi di calunnia per il delitto di furto (Nota a Cass., sez. VI, 24 settembre 2002, Bonafede e Cass., sez. VI, 3 luglio 2002, Buffa), in Dir. pen. e proc. 2003; Cantone, Le informazioni confidenziali calunniose integrano il delitto di cui all'art. 368 c.p.? (Nota a Cass., sez. VI, 5 luglio 2004, Pacini Battaglia), in Cass. pen. 2006; De Majo, Sull'elemento soggettivo del delitto di calunnia: la consapevolezza dell'innocenza del soggetto accusato (Nota a Cass. pen., sez. VI, 26 marzo 2014, n. 34173), in Riv. Neldiritto 2015; Ferrari, In tema di elemento oggettivo nel reato di calunnia (Nota a Cass., sez. VI, 15 novembre 2004, Fresta), in Giur. it. 2006; Grillo, Efficacia scriminante del diritto di difesa nella condotta calunniosa (Nota a Cass., sez. VI, 16 gennaio 1998, Barbato), in Dir. pen. e proc. 1998; Grillo, Il pericolo del procedimento penale nel delitto di calunnia (Nota a Cass., sez. VI, 8 ottobre 1998, Panariello e Cass., sez. VI, 4 novembre 1998, Carbone), in Dir. pen. e proc. 1999; Micheli, Delitto di calunnia e procedibilità a querela del reato oggetto di falsa incolpazione (Nota a Cass., sez. VI, 10 gennaio 1997, Marchetti), in Cass. pen. 1999; Pezzi, Calunnia ed autocalunnia, in Enc. giur.; Potetti, Il delitto di calunnia, con particolare considerazione per la questione (ancora aperta) della falsa denuncia di smarrimento di assegno bancario, in Riv. pen. 2006; Pulitanò, Calunnia e autocalunnia, in Dig. pen., Torino, 1988; Santoriello, Calunnia, autocalunnia e simulazione di reato, Padova, 2004.. |