Codice Penale art. 388 - Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice 1 .

Pierluigi Di Stefano

Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice1.

[I]. Chiunque, per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell'autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi all'autorità giudiziaria stessa, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, e` punito, qualora non ottemperi all'ingiunzione di eseguire il provvedimento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032.

[II]. La stessa pena si applica a chi elude [l'ordine di protezione previsto dall'articolo 342-ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero] ancora l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito2.

     [III].  La stessa pena si applica a chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice che prescriva misure inibitorie o correttive a tutela dei diritti di proprietà industriale3.

     [IV]. E' altresì punito con la pena prevista al primo comma chiunque, essendo obbligato alla riservatezza per espresso provvedimento adottato dal giudice nei procedimenti che riguardino diritti di proprietà industriale, viola il relativo ordine4.

[V]. Chiunque sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora una cosa di sua proprietà sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo è punito con la reclusione fino a un anno e con la multa fino a euro 309.

[VI]. Si applicano la reclusione da due mesi a due anni e la multa da euro 30 a euro 309 se il fatto è commesso dal proprietario su una cosa affidata alla sua custodia, e la reclusione da quattro mesi a tre anni e la multa da euro 51 a euro 516 se il fatto è commesso dal custode al solo scopo di favorire il proprietario della cosa.

[VII]. Il custode di una cosa sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo che indebitamente rifiuta, omette o ritarda un atto dell'ufficio è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 516.

[VIII]. La pena di cui al settimo comma si applica al debitore o all'amministratore, direttore generale o liquidatore della società debitrice che, invitato dall'ufficiale giudiziario a indicare le cose o i crediti pignorabili, omette di rispondere nel termine di quindici giorni o effettua una falsa dichiarazione5.

[IX]. Il colpevole è punito a querela della persona offesa.

competenza: Trib. monocratico

arresto: non consentito

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita

altre misure cautelari personali: non consentite

procedibilità: a querela di parte

[1] Articolo sostituito dall'art. 3, comma 21, della l. 15 luglio 2009, n. 94. Il testo recitava: «[I]. Chiunque, per sottrarsi all'adempimento degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi l'Autorità giudiziaria, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi alla ingiunzione di eseguire la sentenza, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da 103 euro a 1.032 euro. [II]. La stessa pena si applica a chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito. [III]. Chiunque sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora una cosa di sua proprietà sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo è punito con la reclusione fino a un anno e con la multa fino a 309 euro. [IV]. Si applicano la reclusione da due mesi a due anni e la multa da 30 euro a 309 euro se il fatto è commesso dal proprietario su una cosa affidata alla sua custodia e la reclusione da quattro mesi a tre anni e la multa da 51 euro a 516 euro se il fatto è commesso dal custode al solo scopo di favorire il proprietario della cosa. [V]. Il custode di una cosa sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo che indebitamente rifiuta, omette o ritarda un atto dell'ufficio è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 516 euro. [VI]. La pena di cui al quinto comma si applica al debitore o all'amministratore, direttore generale o liquidatore della società debitrice che, invitato dall'ufficiale giudiziario a indicare le cose o i crediti pignorabili, omette di rispondere nel termine di quindici giorni o effettua una falsa dichiarazione. [VII]. Il colpevole è punito a querela della persona offesa». I commi terzo, quarto, quinto e settimo erano stati così sostituiti all'originario terzo comma (il cui testo era riprodotto nell'ultimo comma) dall'art. 87 l. 24 novembre 1981, n. 689.Il sesto comma era stato inserito dall'art. 2 l. 24 febbraio 2006, n. 52.

[2] Comma modificato dall'art. 2, comma 1, lett. b) d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, che ha inserito le parole «l'ordine di protezione previsto dall'articolo 342-ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero ancora» e successivamente modificato dall'articolo 9, comma 1, lett. b) l. 24 novembre 2023, n. 168 che ha soppresso le parole da: « l'ordine di protezione » fino a: « ancora ».

[5] Le parole «settimo comma» sono state sostituite alle parole «quinto comma» dall'art. 9, comma 1, lett. b), d.lgs. 11 maggio 2018, n. 63.

Inquadramento

L'articolo 388, nella attuale formulazione, a seguito della integrazione dapprima dalla legge n.  689/1981 con l'aggiunta di ulteriori fattispecie e poi delle ulteriori leggi di cui alle note al testo dell’articolo, prevede una serie di reati chiaramente diversi tra loro ma accomunati dal riguardare ipotesi di mancata esecuzione dolosa di provvedimenti giurisdizionali in materia di rapporti di diritto civile.

Si tratteranno di seguito le  singole fattispecie.

In sintesi si tratta di:

a) condotte fraudolente su beni per fare venire meno le garanzie patrimoniali ovvero condotte di elusione di provvedimenti di affidamento di minori/persone incapaci ovvero provvedimenti cautelari di tutela di proprietà, possesso o credito nonché di proprietà industriale.

b) Operazioni di sottrazione in danno dei creditori di cose sottoposte a pignoramento o sequestro nonché omissioni di atti di ufficio del custode di tali bene.

c) False od omesse dichiarazioni all'ufficiale giudiziario in sede di pignoramento sui propri beni.

Tutti questi reati sono punibili a querela della persona offesa che si identifica per il soggetto a cui favore sono emessi i vari provvedimenti cui si fa riferimento. Ciò, quindi, appare già chiaramente delineare l'oggetto della tutela: è (anche) quello del soggetto privato il cui interesse è tutelato dal provvedimento civile eluso/inottemperato.

Per quanto la punibilità a querela possa sembrare restringere l'area dell'interesse tutelato, si tratta di reati plurioffensivi perché, a quello del privato, si aggiunge l'interesse della Amministrazione della giustizia, come si comprende dalla tipologia di precetti nonché in relazione alla collocazione nel codice (si tratta di reato contro la “autorità delle decisioni giudiziarie”). Più in particolare, si osserva che si tratta dell'interesse “a rendere possibile l'esecuzione di sentenze di condanna (o dei provvedimenti cautelari...) in vista del soddisfacimento del creditore” ovvero, come precisa Cass. VI, n. 51668/2014, si tratta della esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione.

La querela, nei vari casi, sarà proponibile a decorre dal momento di conoscenza da parte del creditore della inottemperanza o delle altre condizioni che integrano il reato.

Si individuano caratteri comuni per tutte le ipotesi disciplinate nell'articolo:

Provvedimento:

Nella nozione di provvedimento dell'Autorità giudiziaria rilevante per le varie ipotesi rientrano tutti i provvedimenti costitutivi di obblighi civili ed assistiti da forza esecutiva, quale il decreto ingiuntivo non opposto (Cass. VI, n. 6358/2016) nonché i corrispondenti atti di giudici stranieri debitamente legalizzati ai sensi di convenzioni bilaterali (nella specie sentenza di divorzio di giudice tunisino) (Cass. n. 36403/2014).

Soggetti:

Il privato — persona offesa è sempre la controparte nei procedimenti-provvedimenti cui è riferita la mancata ottemperanza. Per quanto riguarda il soggetto attivo, di norma questo è il debitore ovvero il custode, per cui si tratta di ipotesi di reati propri. Ciò significa che i reati non potranno mai realizzarsi per iniziativa del terzo senza la partecipazione dolosa del debitore/custode, secondo le regole in tema di concorso di persone nel reato proprio.

Pluralità di condotte

La pluralità di condotte elusive, quando riferite al medesimo provvedimento giudiziario, integra un unico reato, con la conseguenza pratica che la commissione di ulteriori fatti pospone la consumazione e, quindi, il termine per proporre querela (Cass. VI, n. 21534/2018).

Elusione dei provvedimenti del giudice

Si tratta dei fatti previsti dai primi due commi, caratterizzati da mezzi fraudolenti ed elusione degli obblighi imposti:

Prima ipotesi: atti fraudolenti per sottrarsi all'esecuzione del provvedimento

Il fatto tipico consiste nella a) commissione di atti simulati ovvero fraudolenti ovvero altri “fatti fraudolenti” con b) la specifica finalità di sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti dal provvedimento civile o che si presume sarà emanato.

Il reato è punito “qualora non ottemperi alla ingiunzione di eseguire il provvedimento”, quindi con la inutile decorrenza del termine ultimo per l'adempimento. Tale è il momento consumativo mentre la condotta successiva rappresenta l'effetto permanente.

Il reato è quindi contraddistinto dal dolo specifico; secondo alcune letture non va considerata la finalità di sottrarsi all'adempimento in sé ma la finalità di sottrarsi all'esecuzione forzata di tale adempimento; non si tratta, però, di una differenza ritenuta rilevante in giurisprudenza, per cui appare sufficiente dimostrare la consapevolezza del reo della esistenza della ingiunzione ad adempiere ed una intenzione di non ottemperare senza ulteriori specificazioni.

La condotta materiale consiste nella commissione di atti simulati o fraudolenti:

gli atti simulati corrispondono essenzialmente alla definizione civilistica, ovvero atti caratterizzati dalla divergenza tra volontà dichiarata ed effettiva (una vendita presentata quale donazione o viceversa); simulazione che può, ovviamente, essere effettuata anche sfruttando un procedimento giudiziario in modo da ottenere un provvedimento utile a creare la apparenza (Cass. VI, n. 11938/2014) La qualifica di “fraudolento” per gli atti o gli “altri fatti”, riguarda sostanzialmente condotte fattuali (quali nascondere i beni) con la specifica finalità di danneggiare il creditore. Ad es. costituisce condotta fraudolenta anche una rinuncia all'eredità diretta a eludere l'adempimento di obblighi civili (Cass. VI, n. 46387/2012). 

Più in dettaglio, si è chiarito che l’atto “fraudolento” richiede un quid pluris rispetto alla idoneità a rendere inefficaci gli obblighi nascenti dal provvedimento giudiziario: quindi non è sufficiente che l’atto sia idoneo   alla sottrazione all'adempimento ma per potere giungere a tale finalità deve essere caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno (Cass. S.U., n. 12213/2018; Cass. VI, n. 4945/2020).

La condotta fraudolenta può anche essere antecedente al provvedimento del giudice e in tal caso il reato si perfeziona al momento in cui tale provvedimento diviene esecutivo, tanto rappresentando una condizione obbiettiva di punibilità. La condotta successiva di protrazione dell'inottemperanza rappresenta un effetto permanente del reato ma non la prosecuzione del reato già perfezionatosi, con la conseguenza che la prescrizione decorre dal verificarsi della predetta condizione obbiettiva di punibilità.

Quanto alla “ingiunzione”: la punibilità scatta con la inottemperanza; la formulazione testuale ha fatto ipotizzare che possa trattarsi di una condizione obbiettiva di punibilità ma, in dottrina (Antolisei, Fiandaca Musco), si sostiene che tale non sia in quanto è necessaria la consapevolezza dell'ingiunzione; se, quindi, tale elemento deve essere oggetto di dolo, la inottemperanza non può che essere un elemento costitutivo del reato.

Seconda ipotesi: elusione del provvedimento del giudice

Il comma 2 prevede la elusione di specifici provvedimenti giurisdizionali che riguardino “l'affidamento” di minori od altre persone incapaci ovvero che prescrivano misure cautelari a tutela di proprietà, possesso, credito.

Alle varie ipotesi è comune il concetto di “elusione” che, a fronte di provvedimenti il cui contenuto non è semplicemente riferibile ad un diritto di credito pecuniario, va considerata quale condotta libera per la quale è sufficiente la coscienza e volontà di disobbedire al provvedimento del giudice.

La elusione dell'”esecuzione” è la condotta con la quale si intende rendere ineseguibile il provvedimento (Cass. S.U., 36692/2007).

Non è un comportamento che possa consistere, di norma, nel mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti ma, secondo la giurisprudenza, va fatta salva la particolare ipotesi nella quale l'obbligo imposto al destinatario del provvedimento non sia di fatto eseguibile in via coattiva rendendosi necessaria la collaborazione dell'obbligato (Cass. VI, n. 51668/2014).

Il reato si perfeziona, laddove si tratti di frode in danno dei creditori, nel momento in cui siano state svolte le operazioni sui beni con la inottemperanza all'ordine giudiziale che corrisponde al momento della conoscenza legale con la notifica della sentenza e del relativo precetto. (Cass. VI, n. 29828/2012)

Il termine elusione, al di fuori della più particolare ipotesi appena citata, rappresenta una condotta ben più trasgressiva della mera inottemperanza; non sono quindi punibili inadempienze dovute a problemi o a errori esecutivi di carattere tecnico, pur se imputabili a titolo di colpa (nella specie di trattava dell'esecuzione di un provvedimento ex art. 700 c.p.c (Cass. VI, n. 26061/2012).

La elusione, quale comportamento di fatto e non mero inadempimento, non richiede la conoscenza legale, ma quella di fatto, non essendo quindi necessario che vi sia stata notifica (Cass. VI, n. 15895/2014). L'elemento soggettivo del reato è integrato dalla effettiva conoscenza del provvedimento.

Segue. Provvedimenti in materia di affidamento del minore o di altre persone incapaci

Si tratta del caso statisticamente più frequente nella casistica dell'art. 388.

I provvedimenti cui si fa riferimento sono quelli comuni in materia di affidamento, dovendosi precisare che i soggetti destinatari non sono solo coloro cui immediatamente è diretto il provvedimento ma anche coloro che siano per altra via tenuti a darvi esecuzione qual è il caso dei nonni che siano delegati dal genitore); La giurisprudenza si esprime in questi termini ma, in realtà, sembra sufficiente fare riferimento alle comuni regole del concorso di persone nel reato proprio.

Larga parte della casistica, poi, si incentra sui rapporti fra l'ex coniuge per quanto riguarda lo svolgimento delle normali attività di incontro con il genitore non affidatario. L'esame della fattispecie, per la particolarità delle situazioni di fatto, va effettuata fondamentalmente con una analisi della casistica.

Si osserva, quindi, che per individuare il dolo del genitore affidatario corrispondente al reato in oggetto occorre leggerne la condotta, per comprendere se abbia perseguito la finalità di tutelare l'interesse morale e materiale del minore (il dolo di elusione, ad es., è stato escluso nel caso di genitore affidatario che portava via con sé il minore a seguito del notevole ritardo dell'altro genitore nel presentarsi nel luogo del prelevamento Cass. VI, n. 36758/2012). Inoltre, l'elusione deve essere una condotta “positiva”; sempre nella materia dei minori, la elusione non può essere ritenuta nella condotta di mancato esercizio di un diritto quale il “mancato esercizio, da parte del genitore, del diritto a tenere con sé i figli nei giorni di sabato, domenica e nel periodo festivo” (Cass. VI, n. 47287/2015; Cass. VI, 13439/2021).

Tra i provvedimenti concernenti l'affidamento del minore rientra il divieto di avvicinamento di un genitore (Cass. VI, n. 31301/2015) ma non sono ricompresi quei provvedimenti di interesse solo patrimoniale quali quelli che decidono sulla disponibilità della casa di comune abitazione.

L'elusione del provvedimento (applicando le regole affermate da Cass. S.U.. 36692/2007può concretarsi in qualsiasi comportamento da cui derivi la frustrazione delle legittime pretese altrui, ivi compresi atteggiamenti di carattere omissivo, quando questi siano finalizzati a ostacolare o a impedire di fatto l'esercizio del diritto di visita o di frequentazione della prole (trasferimento in una lontana regione dell'affidataria, senza avvertire l'altro coniuge titolare del diritto di visita; poco importa la ragione a fronte della mancata ottemperanza al dovere di collaborazione per favorire la visita (Cass. VI, n. 43292/2013).

Quando la natura personale delle prestazioni imposte dal provvedimento esclude che l'esecuzione possa prescindere dal contributo dell'obbligato (consentire all'altro genitore di prelevare e tenere con sé il figlio minore in certi periodi) l'inadempimento contraddice di per sé la decisione giudiziale senza la necessità di speciali condotte fraudolente (Cass. VI, n. 37634/2012).

Frequente è anche, nella casistica, il particolare caso di rifiuto del minore di incontrare il genitore non affidatario; in tali casi, la giurisprudenza non ha ritenuto di escludere di per sé la colpevolezza dell'affidatario ma anzi ha sempre stigmatizzato la mancata attivazione di quest'ultimo al fine di favorire tale incontro, in nome di un equilibrato sviluppo psicologico del minore. Il motivo plausibile e giustificante l'ostacolo al diritto di visita va individuato nella sola ipotesi in cui il rifiuto del minore sottenda una situazione sopravvenuta che, pur senza configurare l'esimente dello stato di necessità, integrerebbe i presupposti per ottenere dal giudice la modifica del provvedimento di affidamento (Cass. VI, n. 7611/2014).

Il reato in questione non è in rapporto di specialità con il reato di cui all'art. 574, sottrazione di minore quando incidente in un rapporto regolato in fatto dal provvedimento del giudice, trattandosi di fattispecie che hanno obbiettività giuridiche e condotte ben diversa (Cass. VI, n. 33989/2015).

In questa materia si pone in modo più evidente il problema di quale possa essere un motivo che esclude la colpevolezza, pur al di fuori dello stato di necessità, e si ritiene che possano integrare situazioni giustificative quelle transitorie per le quali non è stato ancora possibile rivolgersi al giudice per la eventuale modifica dei provvedimenti in tema di affidamento ma che comunque costituiscono i presupposti di fatto per ottenerlo (Cass. VI, n. 7611/2015).

Lo specifico riferimento alla materia dell'affidamento dei minori esclude che possa rientrare nella fattispecie il mero inadempimento dei provvedimenti di carattere patrimoniale conseguenti all'affidamento della prole, come affermato in tema di in ottemperanza all'ordine di rilascio della casa di comune abitazione da parte del coniuge non affidatario (Cass. VI, n. 1038/2012)

Segue. Elusione di ordini di protezione contro gli abusi familiari

La l. n. 168 del 2023 ha spostato tale fattispecie nell’art. 387-bis, al cui commento si rinvia. Per i fatti commessi sino alla modifica normativa, è applicabile la più favorevole disposizione dell’art. 388 che prevede una pena edittale inferiore e la procedibilità a querela.

Segue. Elusione di misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso, del credito

Per quanto riguarda la elusione delle misure cautelari, in assenza di una chiara linea unitaria nel definire i provvedimenti “tutelati” appare più utile un'elencazione ragionata della casistica.

Difatti, per quanto riguarda la previsione di provvedimenti a tutela della proprietà e del possesso, sembrerebbe chiaro il riferimento ai corrispondenti provvedimenti del codice civile così denominati. Meno chiaro sul piano testuale il riferimento ai provvedimenti in materia di tutela cautelare del credito: dalla casistica sostanzialmente da un lato si individuano i provvedimenti così definibili in base al codice di procedura civile (primo tra tutti il provvedimento ex  art. 700 c.p.c.) e dall'altro si individua una tutela del credito rispetto alla realizzazione di quelle condizioni di rischio cui è finalizzata la “cautela”.

Ribadendo che si tratta di “elusione” si afferma:

non è affatto integrata la condotta con il mero rifiuto di ottemperare al provvedimento giudiziario, qual è il caso del provvedimento ex art.700 c.p.c. che consentiva al proprietario di entrare nell'immobile per effettuare riparazioni anche forzandone la serratura ma a fronte del quale gli inquilini si rifiutavano di collaborare e si chiudevano nell'appartamento (Cass. VI, n. 51668/2014).

La giurisprudenza ha però individuato un ambito di collaborazione obbligatoria e che anzi giustifica la tutela forte della norma in esame ove sia indispensabile il contributo dell'obbligato.

In altri termini il mero rifiuto di ottemperare al provvedimento non costituisce comportamento elusivo a meno che l'obbligo imposto non sia coattivamente eseguibile e richieda la collaborazione dell'obbligato. Infatti ratio della norma non è quella di punire la disobbedienza bensì quella di assicurare l'effettività della giurisdizione. In tale senso si vedano Cass. VI, 11952/2017 in relazione al caso in cui l'imputato doveva esporre per la vendita nel proprio supermercato i prodotti forniti dalla controparte e Cass. VI, n. 40962/2015 in relazione ad un provvedimento che  precludeva all'obbligato l'accesso a dati luoghi. In entrambi i casi si è ritenuto che si trattasse di obblighi non eseguibili coattivamente e per i quali, quindi, la mancata collaborazione integra l'elusione rilevante ex art. 388).

Si veda anche Cass. VI, n. 1649/2020 secondo la quale integra il reato  l'inosservanza di un provvedimento di tipo interdittivo, che imponga al destinatario un obbligo di "non facere", così confermando la condanna di chi aveva continuato ad esercitare una servitù di passaggio, esclusa dal giudice.

Peraltro, fondamento della situazione tutelata è quello della esistenza di un provvedimento cautelare vigente per cui con la sentenza di merito il provvedimento cautelare viene assorbito e cessa ogni ragione della peculiare tutela che l'art. 388 riconosce (Cass. VI, n. 45960/2012).

Non tutte le decisioni sono lineari nel ritenere in cosa consistono i provvedimenti a tutela della proprietà, possesso o del credito. Difatti, non sempre la giurisprudenza limita la tutela alle ipotesi di violazione di specifici provvedimenti cautelari in materia di possesso o proprietà ma, tramite il meccanismo di tutela del provvedimento di urgenza generico ex art. 700 c.p.c., arriva a far rientrare nella disposizione anche la tutela del bene sotto profili prettamente obbligatori.

I provvedimenti di cui all'art. 700 c.p.c. possono essere costitutivi della situazione tutelata ma non è sufficiente il titolo in quanto categoria generale ma è necessario che abbiano specifica attinenza alla difesa di proprietà, possesso o credito.

Rientra nella fattispecie astratta anche la condotta di omesso rispetto di una inibitoria all'uso di una invenzione coperta da brevetto identificandosi la proprietà industriale con la proprietà definita nell'articolo 388 (Cass. VI, n. 15646/2015) - tale ipotesi, ora, rientra espressamente nella nuova fattispecie introdotta al terzo comma nel 2018 (vedi dopo).

È misura a difesa (anche) della proprietà quella adottata ai sensi dell'art.700 c.p.c. con la quale si inibiscono attività rumorose ed emissioni gassose (Cass. VI, n. 54974/2016 Cass. VI, n. 13902/2012).

È misura a tutela della proprietà qualsiasi provvedimento atto ad incidere sull'esercizio di un diritto reale che richieda l'ottemperanza del destinatario (Cass. VI, n. 17650/2015).

Anche in materia di tutela del credito, le varie decisioni attengono a vari profili di “credito” e non solo a quello della conservazione l'integrità patrimoniale.

Non è misura a tutela del credito il provvedimento con cui il giudice intima la cessazione dell'attività di concorrenza sleale (art. 2598 c.c.) quando l'azione di concorrenza sleale abbia tratto origine dal principio del neminem ledere e non da specifiche pattuizioni intervenute tra le parti (Cass. VI, n. 20179/2012).

È illecito ogni comportamento elusivo del provvedimento con cui il giudice abbia sospesa l'esecuzione di una delibera assembleare di condominio della quale era stata contestata in merito la legittimità (Cass. VI, n. 33227/2014).

Vi è poi il particolare rapporto dell'art. 388 con la materia dei provvedimenti di urgenza in materia di licenziamento. Premesso che andrebbe differenziato fra provvedimento di urgenza di reintegra ex art. 700 c.p.c., qualificabile quale provvedimento cautelare, e provvedimento di rifiuto o elusione della reintegrazione ordinata con sentenza definitiva, la giurisprudenza più risalente di fatto esclude che si tratti di provvedimenti che rientrino nelle varie ipotesi dell'articolo 388 (fatto ovviamente salvo il caso in cui la condotta rientri nella categoria generalissima del primo comma)

Più di recente si legge qualche decisione in senso inverso, ovvero che prospetta la utilizzabilità della norma, in tema di pubblico dipendente che eserciti pubbliche funzioni.

Si è sostenuto, difatti, che l'ordine di reintegra nel posto di lavoro è anche un provvedimento a tutela del diritto di credito ove la ripresa del rapporto comporti una consistente indennità di posizione. In questo caso infatti il profilo creditizio appare dominante rispetto alla tutela professionale e dell'immagine (Cass. VI, n. 39075/2014). In una situazione apparentemente simile, non considerandosi però il profilo patrimoniale, si è invece escluso che il reato sussista per la mancata ottemperanza all'ordine di reintegra del dipendente nel pubblico ufficio ex art. 700 c.p.c. La norma, difatti, tutela i diritti di credito stricto sensu e cioè quelli che abbiano un contenuto direttamente patrimoniale e non ogni situazione in cui un soggetto possa pretendere un certo comportamento da un altro soggetto, anche se da tale comportamento possano poi derivare conseguenze patrimoniali (Cass. VI, n. 33907/2012).

Cass. I, 2603/2004 , nell'escludere che integrasse il reato di cui all'art. 650 l'inottemperanza del datore di lavoro all'ordine del giudice civile di reintegrazione del lavoratore licenziato nel posto di lavoro, emesso ai sensi dell'art. 18 l. n. 300/1970, lasciava spazio all'ipotesi di reato di cui all'art. 388 ritenendo, però, insussistenti i presupposti nel caso concreto. In epoca remota, come detto, Cass. VI, n. 3712/1981 ritenne configurabile il reato (con affermazioni riferibili al primo comma). Già nello stesso periodo, però, si affermava il contrario: secondo Cass. n. 879/1981 il provvedimento di reintegra non è tutelato dalla norma in esame poiché non ha natura di misura a difesa del credito (non essendo in questione il diritto alla retribuzione), né di misura a difesa della proprietà o del possesso (non essendo il posto di lavoro compreso tra i diritti reali).

Segue. Elusione di misure a tutela dei diritti di proprietà industriale

Il d.lgs. 11 maggio 2018, n. 63, di attuazione della direttiva (UE) 2016/943 sulla  protezione del know-how riservato  e  delle  informazioni commerciali  riservate, ha introdotto ai nuovi commi terzo e quarto due nuove ipotesi di reato, per la elusione della “esecuzione di un provvedimento del giudice che prescriva misure inibitorie o correttive a tutela dei diritti di proprietà industriale” e per la violazione dell'ordine del giudice che obblighi taluno alla riservatezza nel corso di procedimenti che riguardino diritti di proprietà industriale.

Il terzo comma, in particolare, pone una tutela rispetto ai provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 131 del codice della proprietà industriale (riferito alla inibitoria che il giudice può disporre, su richiesta di parte, rispetto alla fabbricazione, commercio, uso, ritiro, di cose per le quali si rileva la violazione del diritto di proprietà industriale), che è una misura cautelare, nonché rispetto all'articolo 124 del medesimo codice che, a seguito della sentenza che accerta la violazione di un diritto di proprietà industriale, prevede l'adozione di “misure correttive …” quali la inibitoria di fabbricazione, commercio, uso, ovvero l'ordine di ritiro o  la distruzione delle medesime cose, la assegnazione in proprietà del titolare del diritto delle cose prodotte in violazione della sua privativa.

il quarto comma sanziona l'ipotesi di violazione della misura cautelare introdotta dal medesimo decreto legislativo, art. 121-ter del codice della p.i., per la “tutela della riservatezza  dei  segreti  commerciali” (si tratta dell'ordine del giudice a parti del processo di astenersi dal divulgare segreti appresi con l'accesso al fascicolo).

 Si noti che, come già detto, la giurisprudenza riteneva che la proprietà industriale già rientrasse nella più ampia nozione di proprietà definita nell'articolo 388 (Cass. VI, n. 15646/2015).

Sottrazione ed altre condotte riferite a beni sottoposti a pignoramento o sequestro

Anche questa ulteriore ipotesi rappresenta un reato proprio che ha come presupposto il provvedimento sul bene, pignoramento ovvero sequestro con effetti civilistici, e, poi, la commissione di condotte che rendono indisponibile il bene rispetto alle ragioni per cui è sottoposto al provvedimento ablativo.

Ai fini del reato rileva la efficacia del provvedimento al momento della condotta e, se del caso, il solo successivo accertamento nella sede competente della sua totale nullità può avere effetto di elisione della antigiuridicità. Pertanto, eventuali cause di nullità o inefficacia del pignoramento non rilevano ai fini del reato, qualora non intervenga una pronunzia del giudice civile che ne accerti la sussistenza (Cass. VI, n. 1658/2013), come nel caso di perdita di efficacia del pignoramento a seguito di due inutili incanti (Cass. VI, n. 32439/2014).

La sottrazione della cosa pignorata si realizza anche con la mera amotio ingiustificata e non comunicata all'ufficio esecutante. Per l'elemento soggettivo sono sufficienti la conoscenza del vincolo giudiziario e la volontà dell'amotio (Cass. VI, n. 27999/2014). Inoltre, non è una questione di spostamento materiale ma di una condotta che comunque renda impossibile o difficile per gli organi della procedura esecutiva procedere alle attività di vendita

Sussiste sottrazione nel caso dell'amotio, se lo spostamento avviene senza preavviso. Ove l'avviso vi sia stato deve, invece, per lo meno escludersi l'elemento soggettivo del reato (Cass. VI, n. 17397/2012).

La vendita non autorizzata del bene pignorato, rendendo più difficoltosa l'attuazione del diritto da parte del soggetto pignorante, anche se non seguita da amotio, costituisce sottrazione ai fini della norma penale (Cass. VI, n. 32704/2014): nella specie era stata venduta l'universalità dei beni di un centro benessere, tra cui un lettino abbronzante pignorato che veniva fatto funzionare in loco da parte del nuovo acquirente).

La equivalenza dei beni rinvenuti rispetto a quelli pignorati sottratti non vale a caducare la rilevanza penale del fatto della sostituzione, in quanto rileva il preminente interesse pubblico al rispetto delle decisioni giudiziarie (Cass. VI, n. 5912/2012).

Per i beni immobili, in cui la “sottrazione” non può essere intesa in termini di amotio fisica e, quindi, consiste in una attività giuridica (vendita etc) incompatibile con la situazione giuridica del momento si pongono problemi quanto al momento nel quale si realizza il vincolo sul bene la cui violazione costituisce il reato in oggetto.

La giurisprudenza recente ritiene che  il reato sia integrato quando la sottrazione del bene immobile (con atto dispositivo) avvenga dopo la notifica dell'atto di pignoramento al debitore anche se non sia ancora stata effettuata la trascrizione per rendere il vincolo opponibile ai terzi; si considera, difatti, che la trascrizione non rileva nel rapporto con il debitore, già obbligato al rispetto del pignoramento, ma solo per risolvere i conflitti tra creditore e terzi cui sia stato alienato il bene esecutato (Cass. VI, 5528/2022). Lo stesso è stato affermato in materia di pignoramento di quote di s.r.l., essendo integrato il reato nel caso in cui il debitore ceda le quote dopo la notifica del pignoramento ma prima della iscrizione nel registro delle imprese (Cass. 16495/2020). Va, però, considerato che una precedente linea giurisprudenziale in tale stessa situazione aveva escluso il reato sostenendo che l'atto di disposizione del bene immobile prima che il pignoramento sia trascritto, sia formalmente legittimo e il vincolo non opponibile al terzo acquirente (Cass. VI, n. 29154/2015); allo stesso modo era stato escluso che il reato fosse configurabile in caso di vendita, ancorché simulata, del bene sottoposto a sequestro conservativo dopo la trascrizione del vincolo non essendo l'atto opponibile al creditore (Cass. VI, n. 27164/2011). Secondo tale interpretazione, una tale condotta poteva integrare la fattispecie del primo comma.

Responsabilità del proprietario. Nozione di proprietario

Ai sensi del terzo comma della norma in esame il proprietario avvertito del pignoramento è responsabile della sparizione dei beni pignorati, ancorché nella procedura esecutiva non sia stato nominato un custode (Cass. VI, n. 2087/2022). La nozione di proprietario è più ampia di quella assunta in sede civilistica includendo anche il soggetto contro il quale è stato eseguito il pignoramento e che abbia interesse a non subirne gli effetti pregiudizievoli (nella specie si trattava di pignoramento di bene acquistato in regime di leasing, Cass. VI, n. 932/2012).

Nella nozione di proprietario va ricompreso qualunque soggetto che abbia disponibilità gestoria dei beni pignorati e dunque anche i rappresentanti legali delle società sottoposte a pignoramento (Cass. VI, n. 20301/2020Cass. VI, n. 1658/2014).

L'estensione della nozione di proprietario a chiunque abbia la disponibilità del bene si risolve in un'analogia in bonam partem a favore dell'agente, altrimenti soggetto alle più gravi sanzioni di cui agli artt. 351 e 625 n. 7 (Cass. n. 15138/2014).

Omissione di indicazione dei beni pignorabili

Si sanziona la mancata indicazione, da parte del debitore e di chi lo rappresenti, dei beni pignorabili laddove gli venga rivolta formale richiesta. È norma recente, oggetto di critiche e poco applicata (viene anche paragonata alla “galera per debiti”).

Cass. VI, n. 2021/2018 ha chiarito come la disposizione del sesto comma sia strettamente servente rispetto alle regole fissate dall'art. 492 c.p.c.,  (“quando per la soddisfazione del creditore procedente i beni assoggettati a pignoramento appaiono insufficienti ovvero per essi appare manifesta la lunga durata della liquidazione, l'ufficiale giudiziario invita il debitore ad indicare ulteriori beni utilmente pignorabili …”) per cui si deve tenere conto non della omessa/falsa indicazione della intera consistenza del proprio patrimonio ma, soltanto, della omissione riferita a beni/valori “di facile vendibilità” che consentano di raggiungere il “presumibile valore di realizzo pari all'importo del credito precettato aumentato della metà” che, secondo il c.p.c., rappresenta il limite del pignoramento.  Va, del resto, considerato che i beni mobili e crediti indicati dal debitore sono automaticamente pignorati per il solo fatto della dichiarazione.

La dichiarazione, ovviamente, tenuto conto della sua funzione, deve riguardare solo i beni pignorabili e, quindi, non i beni impignorabili (Cass. VI, 36760/2017). Il debitore esecutato deve rendere la dichiarazione sussistendo le condizioni per l'ordine da parte dell'ufficiale giudiziario, prescindendo, quindi, dall'effettiva sussistenza di un titolo e, a maggior ragione, da eventuale futura contestazione del credito in sede giudiziale, ovvero dal suo accertamento con sentenza passata in giudicato (Cass. VI, n. 15915/2015).

L'invito previsto dalla disposizione non deve necessariamente essere consegnato “personalmente” al debitore. La disposizione, infatti, non deroga all'intero sistema delle notifiche, basato su forme alternative di “messa a conoscenza” idonee allo scopo. È ovvio, peraltro, che al destinatario è dato fornire prove concrete per superare la presunzione di conoscenza connessa al tipo di notifica prescelto (Cass. VI, n. 26060/2012).

L'invito (dell'ufficiale giudiziario) previsto dalla norma deve contenere l'avvertimento della sanzione per l'omessa o falsa dichiarazione (Cass. VI, n. 44895/2019): la norma del sesto comma va infatti letta in correlazione con il comma 4 dell'art. 492 c.p.c. (Cass. VI, n. 26060/2012). Per lo stesso motivo l'invito deve contenere espressamente l'indicazione del termine entro il quale la dichiarazione va resa, non essendo sufficiente che nell'invito stesso sia fatto riferimento al disposto del sesto comma dell'art. 388 (Cass. VI, n. 41682/2012).

Profili processuali

 

Gli istituti

Tutti i reati dell'art. 388 sono procedibili a querela; la competenza è del tribunale monocratico; è prevista la citazione diretta a giudizio.

Bibliografia

Auletta, La dichiarazione del debitore sulla propria responsabilità patrimoniale: per un ripensamento dei sistemi di compulsory revelation of assets a due secoli dall'abolizione dell'arresto per debiti, in Riv. esecuz. forzata 2014; Beltrani, La condotta elusiva rilevante ai sensi dell'art. 388 c.p. (Nota a Cass., sez. un., 27 settembre 2007, Vuocolo), in Cass. pen. 2008; Chicco, Diritto di visita ed interesse predominante del minore: qual'è il confine? (Nota a Cass. pen., sez. VI, 11 marzo 2010, n. 10701, G.), in Famiglia e dir. 2011; Cianciolo, Interesse predominante del minore e art. 388, 2º comma, c.p.: quale confine?, in Questioni dir. famiglia, 2017; Cianciolo, Il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice nel conflitto coniugale, in Questioni dir. famiglia, 2016; Conte, Tutela penale del diritto di credito - Sviluppi giurisprudenziali (Nota a Cass. pen., sez. VI, 31 gennaio 2012, n. 5912, I.), in Giur. it. 2012; Fabiani, Attualità della tutela penale al servizio dell'effettività della tutela civile dopo la riforma dell'art. 388 c.p., in Riv. esecuz. forzata 2011; Gargiulo, Sulla sanzionabilità ex art. 388 cpv. c.p. dell'omessa reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato (Nota a P. Catanzaro, 19 marzo 1999, Spina), in Riv. giur. lav. 2000; Manera, Brevi spunti sulla nozione di «elusione» dell'esecuzione del provvedimento del giudice di cui all'art. 388, 2º comma, c.p. (Nota a Cass., sez. VI, 18 novembre 1999, Baragiani), in Dir. famiglia 2001; Pellegrini, La tutela penale del pignoramento e del sequestro conservativo: suggestioni processualcivilistiche e ratio di tutela dell'art. 388, 3º comma, c.p. (Nota a T. Pisa, 26 maggio 2009, Ferrini), in Cass. pen. 2010; Pioletti, Inosservanza di sanzioni penali e di misure di sicurezza, in Dig. pen., Torino, 1993; Pisa, Provvedimenti del giudice (mancata esecuzione dolosa di), in Dig. pen., Torino, 1992; Pisani, Reiterazione della delibera condominiale sospesa ed elusione rilevante ex art. 388, 2º comma, c.p. (Nota a Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2014, n. 33227, A. R.), in Giur. it. 2015; Spolidoro, Un'importante sentenza delle sezioni unite penali della cassazione sul delitto di elusione dei provvedimenti cautelari e possessori del giudice civile: conseguenze e riflessioni nella prospettiva del diritto industriale, in Riv. dir. ind. 2008.

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