Codice Penale art. 390 - Procurata inosservanza di pena.Procurata inosservanza di pena. [I]. Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato [110], aiuta taluno a sottrarsi all'esecuzione della pena è punito con la reclusione da tre mesi a cinque anni se si tratta di condannato per delitto, e con la multa da 51 euro a 1.032 euro se si tratta di condannato per contravvenzione. [II]. Si applicano le disposizioni del terzo capoverso dell'articolo 386. competenza: Trib. monocratico (udienza prelim. prima parte del primo comma) arresto: facoltativo (prima parte del primo comma); non consentito (seconda parte del primo comma) fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: consentita (prima parte del primo comma); non consentita (seconda parte del primo comma) altre misure cautelari personali: consentite (prima parte del primo comma); non consentite (seconda parte del primo comma) procedibilità: d'ufficio InquadramentoIl reato di procurata inosservanza di pena (evidentemente detentiva) è reato che si colloca in rapporto con il favoreggiamento personale e con la procurata evasione. Rispetto a quest'ultimo reato si caratterizza per una pena inferiore e per essere ovviamente una condotta che presuppone che non vi sia stata in alcun modo partecipazione alla evasione; come si è detto nel relativo commento, la condotta di ausilio nella clandestinità di chi è già evaso integra la procurata inosservanza di pena (ovvero favoreggiamento personale se non vi è condanna definitiva) salvo il particolare caso in cui si tratti di esecuzione di un programma preventivato — in tale particolare caso la promessa dell'aiuto successivo era parte della complessiva condotta per l'utile esecuzione della evasione (Cass. VI, n. 27722/2013). Rispetto al favoreggiamento personale, invece, si ritiene che l'art. 390 rappresenti una ipotesi speciale sia perché in questo caso la elusione è riferita soltanto alla sottrazione alle ricerche (quindi solo in parte vi è coincidenza rispetto al più ampio ambito delle condotte integranti il favoreggiamento personale) e sia perché il presupposto è che sia elusa la esecuzione di una condanna definitiva. Rispetto al favoreggiamento personale vi è anche la differenza sostanziale della inapplicabilità della disciplina dell'art. 384 e, di conseguenza, risultano punibili anche le condotte di ausilio prestate dagli stretti congiunti (in tal caso è comunque prevista una attenuante). L'interesse tutelato è, in via più specifica rispetto allo strutturalmente simile art. 378, quello di evitare gli ostacoli frapposti alla corretta esecuzione delle sanzioni penali. Il rapporto stretto con il reato di favoreggiamento personale consente di rinviare al relativo commento per i profili comuni tenendo conto che la differenza essenziale è, in questo caso, l'esistenza di una sentenza definitiva. I soggettiIl reato è di tipo comune, potendo essere commesso da “chiunque”. Il soggetto favorito è il condannato. MaterialitàIl reato è a forma libera; la condotta può assumere le forme più diverse purché risponda al fondamentale requisito della idoneità a conseguire l'effetto di sottrarre il condannato all'esecuzione della pena in un contesto di intenzione del condannato di sottrarsi all'esecuzione (Cass. VI, n. 12374/2016). Il reato, difatti, è configurabile solo se vi sia la “inosservanza” cui fornire aiuto per cui va ben individuata l'attività principale di sottrazione alla pena; l'attività dei responsabili di cui all'art. 390 deve dimostrarsi essere convergente rispetto a quella del condannato in modo che possa essere una concausa produttiva dell'evento (Cass. VI, n. 15897/2014). Rileva, come detto, l'idoneità della condotta a prescindere dall'effettivo vantaggio conseguito dal condannato (Cass. VI, n. 43548/2019). Una condotta così congegnata, quindi, consente di valorizzare sia una “commissione” che una “omissione”, in quest'ultimo caso però si rende necessaria la individuazione di un dovere giuridico violato, tipico quello gravante sull'agente di polizia giudiziaria (Cass. III, n. 51508/2013). La condotta rilevante, quindi, deve essere, nella prospettazione della parte, un contributo concreto che viene indicato in giurisprudenza nel senso che, senza quel determinato appoggio, non sarebbe stato possibile mantenere lo stato di latitanza alle medesime condizioni di vita o di sicurezza. Una tale definizione, però, ha portato alla ampia casistica, comune al reato di favoreggiamento personale, in tema di come intendere quelle condotte che possano apparire di contenuto non diretto alla inosservanza di pena, ancorché in concreto utili; ciò soprattutto nel più particolare caso della latitanza del “mafioso” in cui vi è la difficoltà di distinguere tra attività specifica di ausilio al latitante e attività che risulti parte della esecuzione della attività di affiliazione alla banda criminale (che ben può ricomprendere la protezione dei sodali in fuga). Solo se l'attività si pone, invece, al di fuori di quella di esecuzione dell'attività della associazione mafiosa, sarà integrato il reato di procurata inosservanza di pena (Cass. VI, n. 8657/2014). Il significato del termine «aiuta» non può essere che quello di favorire il ricercato mediante un'attività volontaria, concorrente con quella del latitante al fine della realizzazione dello scopo di quest'ultimo. Quindi non integra il reato la condotta di chi, pur consapevole di avere rapporti con un latitante, non svolge alcuna specifica attività di copertura rispetto alle ricerche degli organi di polizia, intrattenendo solo rapporti interpersonali leciti (Cass. VI, n. 37980/2016). Elemento psicologicoIl reato è punito a titolo di dolo generico, consistente nella consapevolezza di agevolare l'autore di un reato a sottrarsi all'esecuzione della pena. Per quanto riguarda i tipici problemi di prova di questo genere di reati, si afferma che la consapevolezza può derivare anche da una “notorietà” della caratura criminale del determinato soggetto favorito (Cass. I, n. 44136/2019). Come in genere può avvenire per esponenti di rango della criminalità organizzata, è sufficiente che la condotta consapevole del reo si colleghi oggettivamente, sul piano causale, con l'interesse del soggetto aiutato a sottrarsi all'esecuzione della pena. Consumazione e tentativoIl tentativo appare certamente configurabile a fronte di una condotta che appare frazionabile nel contenuto e nei tempi. Invero si è affermato che il tentativo possa ricorrere solo nell'ipotesi in cui si pongano in essere atti preparatori, in sé univocamente idonei a concretizzare l'aiuto, ma l'attività a ciò diretta non sia attuata neppure in parte per ragioni indipendenti dalla volontà dell'agente (Cass. VI, n. 14230/2012). La consumazione è condizionata dalla scelta del condannato di sottrarsi alla esecuzione ma non è, invece, condizionata dall'essere stata iniziata o meno l' esecuzione. Il reato è, difatti, del tutto autonomo dalla messa in esecuzione della sentenza (Cass. VI, n. 4057/1983). Forme di manifestazioneÈ applicabile l'aggravante di cui all'art. 416-bis.1, per essere l'attività finalizzata ad agevolare una associazione mafiosa, che deve derivare dalla obiettiva agevolazione a prescindere dal ruolo associativo del soggetto aiutato (Cass. VI, n. 4386/2015). Non potrà quindi, derivare dal solo ruolo di capo della associazione del favorito ma occorre che la condotta venga, ad esempio, svolta al fine di consentirgli di proseguire l'attività di vertice (Cass. VI, n. 19079/2010). Rapporti con il favoreggiamento personale Il rapporto è evidente, se vi è condanna definitiva sussiste il reato in esame, altrimenti per la medesima condotta materiale sussiste favoreggiamento personale. Invero la questione si pone in casi concreti in cui il latitante (soprattutto quelli di “rango”, componenti di associazioni mafiose) fugge sia da una ordinanza cautelare sia da una condanna definitiva. In tal caso, vi è concorso di reati con la peculiarità che, laddove vi sia un soggetto che rientri per qualità soggettive nella ipotesi di cui all'art. 384 risponderà, del reato in esame (ancorché con una diminuente) ma non del favoreggiamento. Profili processualiGli istituti Il reato in esame è procedibile d'ufficio ed è di competenza del tribunale monocratico; è prevista la citazione diretta a giudizio (art. 550, comma 2, c.p.p.). Per esso: a) l'arresto in flagranza è consentito; il fermo non è consentito; b) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. BibliografiaBrunelli: La tutela penale dell'esecuzione delle decisioni giudiziali: crisi e riforma del sistema, in Rass. giur. umbra 2000. |