Codice Penale art. 391 bis - Agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti alle restrizioni di cui all' articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 . Comunicazioni in elusione delle prescrizioni 1 2 .Agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti alle restrizioni di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. Comunicazioni in elusione delle prescrizioni 1 2. [I]. Chiunque consente a un detenuto, sottoposto alle restrizioni di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, di comunicare con altri in elusione delle prescrizioni all'uopo imposte è punito con la reclusione da due a sei anni 3. [II]. Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense si applica la pena della reclusione da tre a sette anni4.
[III]. La pena prevista dal primo comma si applica anche al detenuto sottoposto alle restrizioni di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, il quale comunica con altri in elusione delle prescrizioni all'uopo imposte5. [1] Articolo inserito dall'art. 2, comma 26, della l. 15 luglio 2009, n. 94. [2] Rubrica sostituita dall'art. 8 , comma 1, lett. a), d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, conv., con modif., in l. 18 dicembre 2020, n. 173. Il testo della rubrica era il seguente: «Agevolazione ai detenuti e internati sottoposti a particolari restrizioni delle regole di trattamento e degli istituti previsti dall'ordinamento penitenziario». [3] Le parole «da due a sei anni» sono state sostituite alle precedenti parole «da uno a quattro anni» dall'art. 8 , comma 1, lett. b), d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, conv., con modif., in l. 18 dicembre 2020, n. 173. [4] Le parole «da tre a sette anni» sono state sostituite alle precedenti parole «da due a cinque anni» dall'art. 8 , comma 1, lett. c), d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, conv., con modif., in l. 18 dicembre 2020, n. 173. [5] Comma aggiunto dall'art. 8 , comma 1, lett. d), d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, conv., con modif., in l. 18 dicembre 2020, n. 173.
competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.) arresto: facoltativo fermo: non consentito (1° e 3° comma); consentito (2° comma) custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoL'art. 391-bis è stato inserito dalla l. n. 94/2009, uno dei vari “pacchetti sicurezza” degli ultimi anni. Introduce una importante disposizione che intende reprimere il fenomeno della prosecuzione di rapporti criminali per i soggetti sottoposti al regime del carcere duro (art. 41-bis l. n. 354/1975). Il d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, conv. con modif. in l. 18 dicembre 2020, n. 173 l'ha modificata, sostituendo la rubrica con un testo più aderente al contenuto della disposizione, aumentando le pene, sia nel minimo che nel massimo, ed introducendo una nuova ipotesi di reato, ovvero la condotta del detenuto sottoposto alle restrizioni dell'art. 41-bis l. cit. che comunichi con altri soggetti in esecuzione delle prescrizioni imposte. La norma al comma 1, quindi, sanziona l'attività di chiunque consenta ad un detenuto sottoposto a uno di questi trattamenti di comunicare con altri. Alla già consistente sanzione del reato di base si aggiunge un forte aumento laddove del fatto siano responsabili pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio o esercenti la professione forense. Per tale aggravante non è precisato, quanto ai pubblici ufficiali ed agli incaricati di pubblico servizio, se la condotta debba essere commessa con abuso dei poteri o violazione dei doveri e, quanto all’esercente la professione forense, se la condotta debba essere commessa nell’esercizio dell’attività professionale; è del resto possibile che il reato possa essere commesso da soggetti muniti della qualifica ma che agiscano quali privati. Ragionevolmente, l’aggravante deve essere interpretata nel senso che la qualifica deve avere assunto una funzione nella commissione del reato, richiedendosi quantomeno un abuso del ruolo che, ad es., consenta di avere minori controlli. La nuova previsione del comma 3 sanziona la condotta del detenuto che comunichi con terzi, indipendentemente dalla presenza di un intermediario che abbia favorito tale comunicazione. Tale previsione esplicita, comunque, risolve i dubbi relativi alla precedente formulazione che non risultava chiara sul punto di essere punibile quale concorrente anche il detenuto agevolato. La collocazione nel capo dedicato al rispetto delle decisioni giudiziarie è solo per “familiarità” non trattandosi evidentemente di decisioni giudiziarie (la disposizione sul “carcere duro” ha natura amministrativa) ed essendo, peraltro, lo scopo della norma, più che il rispetto formale della Autorità, la prevenzione sostanziale delle condotte criminali dall'interno del carcere. Vi sono quindi riserve critiche in dottrina (Fiandaca Musco) ma investono questioni, invero, solo formali. Difatti tale collocazione non pone ragioni di dubbio sulla corretta interpretazione. Quanto all'ipotesi del comma 1: È un reato comune, richiedendosi la qualifica solo per la ipotesi aggravata. La condotta consiste nel consentire di comunicare con altri in elusione delle prescrizioni; ragionevolmente va tenuto conto anche della eventuale inconsistenza del contenuto di comunicazioni (non necessariamente nell'ambito delle condotte criminali). La norma richiede la presenza del soggetto che comunica, del soggetto che riceve la comunicazione e del soggetto intermediario, che è colui che espressamente risulta sanzionato dalla norma. Da considerare, poi, se la sanzione si applichi a colui che riceve le notizie, non essendo espressamente previsto dalla disposizione. Il dolo è generico e la consumazione avviene con la ricezione della “notizia”. Secondo la dottrina (Fiandaca Musco), questa specifica previsione dovrebbe escludere la possibilità di considerare tale reato come costituente un'ipotesi di “concorso esterno”, in associazione mafiosa. Appare invero plausibile che la condotta possa avere comunque una specifica finalità criminale (mandato omicidiario, ad esempio) per cui ben può essere ipotizzata la sanzione del fatto anche quale concorso in un diverso reato. Il “carcere duro” non riguarda la sola criminalità mafiosa e non necessariamente l'attività di criminalità organizzata, il che impedisce di ritenere che la condotta in questione si inserisca automaticamente nel contesto di attività di criminalità organizzata, ciò ai fini delle eventuali intercettazioni etc. Quanto all'ipotesi del comma 3, incentrato sulla condotta del detenuto, vale sostanzialmente quanto già detto, con la precisazione che si tratta di un reato proprio e che resta non chiaro se la mancata previsione di sanzione per il soggetto che riceve la comunicazione comporti la irrilevanza penale della sua condotta o vada ritenuto concorrente. nel reato Nella unica decisione nota (Cass. II, n. 55948/2018) risulta condannato il coniuge che si rendeva latrice di un messaggio del marito camorrista ad un affiliato libero. Nell'occasione la Corte riteneva infondata l'eccezione di incostituzionalità per la mancata previsione di un attenuante per essere il fatto commesso in favore di un congiunto, essendo sanzionata una condotta che non è solo a vantaggio del congiunto stesso ma anche a beneficio del suo sodalizio di appartenenza. Profili processualiGli istituti Il reato in esame è procedibile d'ufficio ed è di competenza del tribunale monocratico: - l'arresto in flagranza è consentito; il fermo non è consentito; - è consentita l'applicazione della custodia in carcere (nella ipotesi aggravata) e delle altre misure cautelari personali. BibliografiaCantone: Agevolazione criminosa ai detenuti ed internati in regime detentivo speciale [aggiornamento-2010], in Dig. pen.; Siracusano, L'art. 391-bis c.p. e la contiguità alla mafia, in Arch. pen. 2015, 169. |