Codice Penale art. 393 - Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone.Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone. [I]. Chiunque, al fine indicato nell'articolo precedente, e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone, è punito, a querela dell'offeso [120], con la reclusione fino a un anno. [II]. Se il fatto è commesso anche con violenza sulle cose [392 2], alla pena della reclusione è aggiunta la multa fino a 206 euro. [III]. La pena è aumentata [64] se la violenza o la minaccia alle persone è commessa con armi [585 2-3]. competenza: Trib. monocratico arresto: non consentito fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita altre misure cautelari personali: non consentite procedibilità: a querela di parte InquadramentoSi veda il commento all'art. 392, attesa la comunanza di argomenti. Rapporto con altri reatiIn ordine alle percosse si è ritenuto (Cass. VI, n. 34108/2011) che il perimetro coperto dall'art.393 è più ampio di quello di cui all'art.581 in quanto comprende anche il particolare elemento soggettivo qualificante la condotta di esercizio arbitrario. (Se ne è ricavato che, pur essendo intervenuta condanna per le percosse non è preclusa l'azione penale e la condanna per l'esercizio arbitrario. La sentenza peraltro si preoccupa di rilevare che nella specie la condanna per percosse non fosse passata in giudicato, così forse implicitamente suggerendo che era nel processo per questo reato che si poteva fare questione di bis in idem). Il reato di violenza privata ha carattere sussidiario e pertanto non è applicabile quando la violenza sia esercitata per far valere un diritto nonostante la possibilità di ricorrere al giudice, ipotesi questa prevista dall'art. 393 (Cass. VI, n. 37814/2012). Il reato di minaccia è assorbito interamente in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, tanto da perdere la sua autonomia e diventarne elemento costitutivo (Cass. VI, n. 49867/2013). In particolare: il rapporto con l’estorsione Il tema più rilevante riguarda il rapporto con il reato di estorsione, per l'evidente apparente identità di condotta quando vi sia esercizio di minaccia o violenza per ottenere l'adempimento di una obbligazione, in particolare pecuniaria. Le Sezioni Unite (Cass. Sez. Un. n. 29541/2020) hanno risolto il contrasto di giurisprudenza in ordine al discrimine tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni, affermando che, a fronte di una situazione in cui la pretesa del reo corrisponda ad un diritto azionabile, la distinzione vada posta in riferimento all'elemento psicologico, indipendentemente dalla obiettiva gravità della violenza: quindi ricorre il reato di cui all'art. 393 quando l'autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale. Hanno così superato il diverso orientamento che riteneva sussistere sempre l'estorsione ove venga esercitata una violenza gratuita e sproporzionata rispetto al fine (Cass. II, n. 33712/2017). Quanto all'ulteriore profilo della possibilità del concorso materiale di un terzo, la medesima sentenza ha escluso che il reato di cui all'art. 393 sia un reato “esclusivo” o di “mano propria” (si veda anche sub art. 392), potendo quindi realizzarsi pienamente il concorso di un terzo nell'esercizio della violenza o minaccia; hanno però chiarito che, proprio perché la distinzione rispetto al reato di estorsione è basata sull'elemento psicologico, tale concorrente estraneo deve concorrere anche nella medesima finalità e non deve perseguirne una diversa ed ulteriore; in caso contrario, la sua condotta oggettiva, diversamente caratterizzata sul piano dell'elemento psicologico, integrerà il reato di estorsione. Di tale più grave reato risponderà in concorso lo stesso creditore che gli abbia conferito l'incarico: “nei casi di concorso in estorsione, l'eventuale fine di soddisfazione di un diritto del preteso creditore resta, infatti, assorbito nel concorrente fine di profitto illecito dei terzi concorrenti ”. In tale modo, quindi, è disciplinato il caso tipico del soggetto che eserciti dietro remunerazione il “recupero crediti” per conto terzi con modalità violente o minacciose. Una ipotesi applicativa è quella in cui la condotta del terzo sia aggravata ex art. 416-bis.1 cod. pen.: quando l'aggravante ricorre nella forma della “finalità mafiosa” è sempre sussistente la finalizzazione della condotta alla soddisfazione di un interesse ulteriore (anche se di per sé di natura non patrimoniale) rispetto alla mera soddisfazione del diritto arbitrariamente azionato; il fatto, quindi, integrerà sempre il reato di estorsione con il concorso dello stesso creditore (Cass. II, n. 5622/2022); quando, invece, ricorre il “metodo mafioso”, non vi è incompatibilità strutturale che faccia qualificare necessariamente il fatto quale estorsione; il discrimine è sempre nella eventuale finalizzazione della condotta alla soddisfazione di un interesse ulteriore del terzo rispetto alla mera soddisfazione del diritto arbitrariamente azionato; è, però, indubbio che la condotta così caratterizzata può essere un dato sintomatico del dolo di estorsione (Cass. II, n. 5622/2022). Profili processualiGli istituti Il reato in esame è procedibile a querela ed è di competenza del tribunale monocratico; è prevista la citazione diretta a giudizio. BibliografiaV. sub art. 392 |