Codice Penale art. 404 - Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose (1).Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose (1). [I]. Chiunque, in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, offendendo una confessione religiosa, vilipende con espressioni ingiuriose cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all'esercizio del culto, ovvero commette il fatto in occasione di funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. [II]. Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto o siano destinate necessariamente all'esercizio del culto è punito con la reclusione fino a due anni. (1) Articolo così sostituito dall'art. 8 l. 24 febbraio 2006, n. 85, con effetto a decorrere dal 28 marzo 2006. Il testo dell'articolo era il seguente: «Art. 404. (Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di cose). - Chiunque, in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, offende la religione dello Stato, mediante vilipendio di cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all'esercizio del culto, è punito con la reclusione da uno a tre anni. - La stessa pena si applica a chi commette il fatto in occasione di funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto cattolico». Precedentemente, la Corte cost., con sentenza 14 novembre 1997, n. 329, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui prevedeva «la pena della reclusione da uno a tre anni, anziché la pena diminuita prevista dall'art. 406 del codice penale». competenza: Trib. monocratico arresto: non consentito fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita altre misure cautelari personali: non consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoIl delitto di offese ad una confessione religiosa mediante vilipendio di persone o danneggiamento di cose è inserito nel Libro II del Codice Penale, all'interno del Titolo IV (denominato ”Dei delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti”), precisamente nel Capo I (intitolato ”Dei delitti contro le confessioni religiose“). La riforma del 2006 ha profondamente modificato il contenuto della norma in commento. Il Legislatore - al fine di garantire la coerenza sistematica della fattispecie in commento, con il capo all'interno del quale la stessa è collocata, nonché con i principi espressi ad opera della giurisprudenza costituzionale - ha in primis inserito il concetto di confessione religiosa, da intendersi quale fondamentale bene di civiltà ( Antolisei , 223) . Il modello legale risultante dalla novella suddetta è così strutturato in due commi; questi delineano due distinte fattispecie, che sono tra loro alternative: da una parte, vi è il vilipendio di cose; dall'altra, il danneggiamento di cose. L'intervento legislativo operato con la L. n. 85/2006 ha altresì eliminato la previsione della pena pecuniaria per l'ipotesi di vilipendio di cose; per converso è però fissata la pena della reclusione fino a due anni, nel caso di danneggiamento di cose. Il delitto di offese ad una confessione religiosa mediante vilipendio di cose, di cui al primo comma dell'articolo in commento, consiste nella manifestazione - mediante qualsiasi mezzo - di espressioni ingiuriose, atte ad offendere cose che assumano una determinata qualità e che si evidenzino per il loro collegamento funzionalecon la confessione religiosa. Differentemente, il secondo comma delinea i caratteri del delitto di offese ad una confessione religiosa mediante danneggiamento di cose, incriminando la condotta di colui il quale distrugga, disperda, deteriori, renda inservibili cose che siano connotate da un legame con la confessione religiosa. «Anche questa fattispecie è stata introdotta dalla l. n. 85/2006, la quale, sulla scorta di una precedente pronuncia di incostituzionalità per l'irragionevole disparità di trattamento (Corte cost, sent. 14/11/1997, n. 329), ha eliminato il riferimento alla religione di Stato ed ha affiancato alla condotta di vilipendio di cose quella di danneggiamento» (Farini e Trinci, 264). SoggettiSoggetto attivo Le condotte in esame sono strutturate alla stregua di reati comuni, come può evincersi dall’utilizzo del termine ”chiunque“ per indicare chi se ne renda protagonista. Bene giuridicoPuò qui operarsi un integrale rinvio all'analogo paragrafo, contenuto nel commento all'art. 403 (v. § 3). Secondo la dottrina: «La disposizione, incisa dall'art. 8, l. 24 febbraio 2006, n. 85, tutela essenzialmente il sentimento religioso come supra descritto, mentre del tutto secondaria ed eventuale è l'offesa al bene sotto il profiilo patrimoniale. Come nel caso dell'art. 403, la dottrina ha dibattuto il tema, ma qui appare nettamente preferibile la tesi della sostanziale monoffensività sol che si pensi a come l'offesa al più prezioso oggetto di culto cattolico, l'ostia consacrata, non sia passibile di alcuna valutazione patrimoniale ma ben suscettibile di offesa arrecata all'in sé della fede» (Garofoli, 598). «Il bene giuridico tutelato consiste, compatibilmente con l'impostazione seguita per l'art. 403 c.p., nella eminente tutela della libertà a della dignità della confessione religiosa» (Farini e Trinci, 264). MaterialitàCondotta La strutturazione in due commi dell’art. 404 cod. pen. rende conto dell’esistenza di due distinte fattispecie delittuose: da un lato, il delitto di offese ad una confessione religiosa mediante vilipendio di cose; dall’altro, il delitto di offese ad una confessione religiosa mediante danneggiamento di cose. Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di cose L'intervento del legislatore del 2006 ha come detto riformulato l'articolo in commento. Ne è derivata una differente ricostruzione del fatto tipico: da ”offendere la religione mediante vilipendio di cose” a ”offendendo una confessione religiosa, vilipende con espressioni ingiuriose cose“. Però, nonostante la norma possa apparire anche profondamente diversa, si ritiene che in realtà a questa differente struttura non corrispondano poi grandi modifiche sostanziali. La ricostruzione dottrinale e giurisprudenziale successiva ha infatti negato l'esistenza di profondi sconvolgimenti, valorizzando la formulazione testuale della rubrica, oltre che l'intentio legis del legislatore riformatore. La condotta di vilipendio ”è integrata laddove si denigri, disprezzi o si tenga ostentatamente a vile“ (Garofoli, 488). In altri termini, il vilipendio consiste nell'espressione di un'opinione di disprezzo e di dileggio. La condotta si estrinseca nella manifestazione, in un luogo destinato al culto, o in luogo pubblico o aperto al pubblico, di espressioni offensive rivolte verso cose che si palesino per l'esistenza di un collegamento funzionale con la confessione religiosa, quali le cose che formano oggetto di culto, consacrate al culto, destinate necessariamente all'esercizio del culto ovvero il fatto che si verifichi in occasione di funzioni religiose compiute in luogo privato da un ministro di culto. Si ritiene unanimemente che il delitto in commento possa essere integrato da qualunque manifestazione di volontà. Va però sottolineato come un elemento di discrimine, rispetto al contenuto dell'art. 403 c.p., risieda nel fatto che il vilipendio deve realizzarsi mediante espressioni ingiuriose. L'aggiunta della modalità attraverso la quale si deve esplicare il vilipendio delinea pertanto come le espressioni utilizzate debbano essere, per loro stessa natura, intrinsecamente sprezzanti. In realtà, si è dibattuto circa la necessità dell'ingiuriosità del vilipendio. Secondo parte della dottrina, difatti, la puntualizzazione del carattere necessariamente ingiurioso del vilipendio implicherebbe consequenzialmente l'insussistenza del delitto ogni qualvolta dovesse difettare tale carattere. Queste contrapposizioni argomentative sono riconducibili all'esigenza di evitare che l'espressione in commento possa essere ritenuta meramente pleonastica. Secondo Corte cost. n. 20/1974, il vilipendio si sostanzia nel fatto di ”tenere a vile “ , ossia nel negare ogni ”valore etico o sociale o politico all'entità contro la cui manifestazione è diretta “ , in tal modo rifiutando alla stessa qualsivoglia reputazione, stima, credito, istigando al dispregio verso le istituzioni. Offese a una confessione religiosa mediante danneggiamento di cose Il secondo comma della norma in commento delinea quindi una distinta fattispecie di reato: il delitto di offese ad una confessione religiosa mediante danneggiamento di cose. Trattasi di fattispecie più grave, sottoposta alla pena detentiva. L’offesa alla confessione religiosa deve esplicarsi per il tramite di alcuna delle condotte specificamente descritte: distruggere, disperdere, deteriorare, rendere inservibile e infine imbrattare. Ovviamente le condotte sono tra loro alternative, nel senso che basta una di queste perché possa ritenersi integrata la condotta in esame. La distruzione consiste nella materiale eliminazione dell’idoneità della cosa al soddisfacimento di bisogni umani, materiali o spirituali; la dispersione delinea l’irrecuperabilità della cosa; il deterioramento comporta la diminuzione della funzione strumentale della cosa; la cosa diviene inservibile quando è inidonea alla sua funzione ed imbrattata ove insudiciata o sporcata con sostanze fluide, appiccicose o coloranti. ”L’avverbio intenzionalmente può essere considerato una superfetazione normativa, dato che non riesce ad aggiungere note di disvalore alla condotta incriminata “ (Fiandaca e Musco, 458). Gli oggetti della condotta Le condotte di vilipendio e di danneggiamento debbono essere indirizzate verso alcuna delle cose contemplate nell’elenco fornite dal legislatore: cose che formano oggetto di culto; cose consacrate al culto; cose destinate necessariamente all’esercizio del culto. La res oggetto materiale del delitto, individuata nella sua materialità e realmente presente al momento dell’offesa, viene offesa in considerazione del suo legame funzionale con la religione. In altri termini, essa è oggetto di vilipendio o di danneggiamento in virtù del fatto che essa è un simbolo d una determinata confessione religiosa. Secondo la dottrina, ”Cose che formano oggetto di culto sono quegli oggetti che i fedeli venerano, come le immagini sacre, le reliquie, il crocifisso, l’ostia consacrata alle statue, ecc... Cose consacrate al culto sono quelle cose consacrate dal vescovo o benedette dal sacerdote, come chiese, altari, calici, ostensori, aspersori, turiboli, tabernacoli, ecc... Cose necessariamente destinate al culto sono tutti gli oggetti non benedetti, senza i quali non è possibile svolgere attività liturgica o compiere riti sacri (paramenti, ceri, stendardi, ecc...)“ (Fiandaca e Musco, 458). Ancora in dottrina: ”Non rientrano in alcuno dei tre gruppi di cose descritti dall’art. 404 né le immaginette dei santi, né i banchi, le sedie, le cassette dell’elemosina e il denaro in esse contenuto, né infine i monumenti, i dipinti, le lapidi presenti nei luoghi di culto, ma non costituenti oggetto di culto“ (Dolcini-Marinucci, 4111). Forma della condotta Il delitto di offesa a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose è un reato a forma libera. In ambedue le declinazioni, trattasi di una condotta di tipo commissivo. La realizzazione nella forma omissiva potrebbe restare integrata, ai sensi dell’art. 40 comma 2, soltanto in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione della condotta di vilipendio o di danneggiamento. Trattasi sempre di un reato di offesa, da valutare secondo il parametro della capacità in concreto della condotta vilipendiosa o di danneggiamento, di ledere una confessione religiosa. Evento Il delitto in esame, laddove commesso attraverso il danneggiamento di cose, è reato di evento, consistente nell'offesa alla confessione religiosa arrecata per il tramite della materiale dispersione, distruzione o deterioramento di cose che tale confessione evochino. Il reato di offesa mediante vilipendio di tali cose può esser considerato quale reato di evento (tesi per la quale propendiamo) ovvero di mera condotta; tale differenti conclusioni dipendono dal fatto che si preferisca, o meno, stabilire una linea concettuale di discrimine, fra la semplice espressione vilipendiosa - pur se intrinsecamente idonea a ledere il bene giuridico tutelato - e l'evento fenomenico della effettiva percezione (con vista o udito) di tale offesa da parte di almeno un soggetto diverso dall'autore del fatto. Rapporti con altri reati Nel delineare il rapporto intercorrente tra la figura delittuosa in commento e il delitto di danneggiamento ex art. 635, si ritiene che i due commi dell'art. 404 c.p. debbano essere considerati separatamente. Analizzando distintamente l'ipotesi del vilipendio e l'ipotesi del danneggiamento, si giunge necessariamente alla conclusione che la prima possa concorrere col danneggiamento, mentre la seconda ne costituisca ipotesi speciale. Ne consegue l'inconfigurabilità del concorso tra il delitto di cui all'art. 404 e quello di cui all'art. 635 (Garofoli, 599). La dottrina si è così espressa, sul punto: «Si ritiene invece che entrambe le fattispecie possano concorrere con la turbatio sacrocum di cui all'art. 405 c.p., oltre che tra di loro (come nel caso di un soggetto che, all'interno di una chiesa, dapprima inveisca contro il crocifisso e poi lo distrugga» ( Garofoli , id. cit.). Elemento soggettivoIl paradigma normativo in esame postula il solo dolo generico. Questo si connota per la consapevolezza della natura di res sacrorum degli oggetti verso i quali vengano indirizzate le espressioni insultanti, ovvero vengano compiuti gli atti di danneggiamento. La norma pretende inoltre la coscienza e volontà di porre in essere un atto oggettivamente offensivo, nel confronti di un determinato insieme religioso, volendo concretizzare un’offesa in danno di tale gruppo. Il dolo di offesa con il mezzo del vilipendio può configurarsi tanto come diretto o eventuale, quanto come intenzionale (sarebbe a dire, immediatamente deputato ad arrecare offesa). Il dolo dell’offesa a confessione religiosa attuata mediante danneggiamento di cose ha invece forzatamente natura di dolo intenzionale. Giova infatti rammentare come lo stesso dettato normativo riporti – nel descrivere la condotta di danneggiamento tipizzata al secondo comma – l’avverbio intenzionalmente. Consumazione e tentativoConsumazione Il reato in esame – nella forma dell’offesa mediante danneggiamento di cose - giunge a consumazione allorquando si verifichi un danneggiamento materialmente percepibile di tali cose. La figura tipica dell’offesa mediante vilipendio di cose si consuma nel momento e nel luogo in cui l’insulto ricada sotto il sistema senso-percettivo di almeno una persona diversa dal soggetto agente. Tentativo Non si dubita della possibilità di realizzare un tentativo di offesa a confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose; in tal caso occorre che vengano posti in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco a recare offesa a una confessione religiosa, attraverso il compimento - in pubblico, ovvero in uno dei luoghi tratteggiati dal dettato codicistico - di condotte che danneggino o portino vilipendio, in danno di cose che rappresentino oggetto di culto, o che siano in tal senso consacrate, o che siano necessariamente deputate all’esercizio della religione, in ragione della sussistenza di uno specifico legame funzionale fra le cose stesse e una determinata confessione religiosa. Casisticaa ) Secondo il Supremo Collegio il reato in esame – nella stesura risultante dall'intervento della già citata novella - rappresenta norma speciale rispetto al delitto di deturpamento e imbrattamento di cose di interesse storico o artistico ex art. 639 comma 2. La prima figura tipica resta infatti integrata allorquando vengano compiuti atti offensivi in danno di cose di culto, mediante distruzione, deterioramento o imbrattamento delle stesse. I Giudici di legittimità hanno altresì chiarito come le due fattispecie tipiche si differenzino quanto alla ratio; questa deve individuarsi – quanto al secondo comma dell'art. 404 – nell'essere tali condotte strumentali a recare offesa ad una confessione religiosa (Cass. III, n. 41821/2015). b ) Realizza una offesa alla religione cattolica il fatto di porre in essere atti di scherno nei confronti di un crocifisso, che si trovi in un luogo pubblico, aperto al pubblico, o anche destinato al culto. La norma non postula infatti che l'insulto si indirizzi alla confessione religiosa nella sua interezza, essendo invece sufficiente che tale condotta ne investa uno dei simboli evocativi (Cass. III, n. 1637/1967). c ) Agli effetti dell'art 404, costituisce cosa oggetto di culto quella verso la quale si rivolge la propria venerazione, quale può ad esempio essere il crocifisso, l'immagine Sacra o la reliquia (Cass. III, n. 2419/1966). Profili processualiGli istituti La fattispecie delittuosa in commento è procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale monocratico. Per tale reato: a) non è possibile procedere ad arresto in flagranza e a fermo; b) non si possono applicare né la custodia in carcere, né le altre misure cautelari personali. BibliografiaAlesiani, I reati di opinione. Una rilettura in chiave costituzionale, Milano, 2006; Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 1985; Gabrieli, Delitti contro il sentimento religioso e la pietà dei defunti, Milano, 1961; Marchei, Sentimento religioso e bene giuridico, Milano, 2006; Pelissero, Osservazioni critiche sulla legge in tema di reati di opinione: occasioni mancate e incoerenze sistematiche (II), in Dir. pen. e proc. 2006; Siracusano, Vilipendio religioso e satira: «nuove» incriminazioni e «nuove» soluzioni giurisprudenziali, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale (Rivista telematica), 2007, 997; Siracusano, Pluralismo e secolarizzazione dei valori: la superstite tutela penale del fattore religioso nell'ordinamento italiano, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2009, 621; Visconti, La tutela penale della religione nell'età post-secolare e il ruolo della Corte costituzionale, in Riv. it. dir. e proc. pen. 2005, 1029 ss.; Visconti, Il legislatore azzeccagarbugli: le «modifiche in materia di reati di opinione» introdotte dalla l. 24 febbraio 2006 n. 85, in Foro it. 2006, 217 ss. |