Codice Penale art. 410 - Vilipendio di cadavere.

Marco dell'Utri
Sergio Beltrani

Vilipendio di cadavere.

[I]. Chiunque commette atti di vilipendio sopra un cadavere o sulle sue ceneri è punito con la reclusione da uno a tre anni.

[II]. Se il colpevole deturpa o mutila il cadavere [413], o commette, comunque, su questo atti di brutalità o di oscenità [529], è punito con la reclusione da tre a sei anni.

competenza: Trib. monocratico (udienza prelim. secondo comma)

arresto: non consentito (primo comma); facoltativo (secondo comma)

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita (primo comma); consentita (secondo comma)

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Reato inserito nel Capo II (denominato ”Dei delitti contro la pietà dei defunti“) del Titolo IV (”Dei delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti“) del Libro II del Codice. Il delitto in esame si sostanzia nel porre in essere atti che oggettivamente evochino una forma di dispregio nei confronti di un cadavere o delle ceneri dello stesso; occorre che tale condotta sia dotata dell’attitudine a ledere il sentimento di pietà riservato ai defunti. Risulta estranea alla sfera previsionale del presente delitto qualsiasi tutela di interessi di tipo sanitario (Fiandaca e Musco, 340).

Soggetti

Soggetto attivo

La figura tipica in commento è strutturata quale reato comune, come può desumersi dall’utilizzo del termine ”chiunque“ per indicare chi se ne renda protagonista.

Bene giuridico

Il bene giuridico oggetto di tutela è il sentimento di pietà verso i defunti, “che si estrinseca in un’avanzata tutela delle loro spoglie mortali>> (Caringella, De Palma, Farini, Trinci, 493). Si è in precedenza chiarito (cfr. commenti ai precedenti articoli) come la pietà verso i defunti collimi con un primigenio istinto umano, che in origine era addirittura scevro dalle marcate caratterizzazioni di natura religioso che ha in seguito assunto nel corso dei millenni. Tale pietas deve quindi essere letta nell’accezione di deferenza, onore e devozione che – attribuita ai resti umani dei defunti – ne celebra e onora in ultima analisi la memoria.

È stato giustamente evidenziato come vengano in rilievo beni immateriali, i quali assumono interesse penalistico in una declinazione etica, morale, affettiva; ad essi viene assicurata tutela non quali beni di esclusiva appartenenza al singolo, bensì nella misura in cui rimandino a componenti sentimentali tendenzialmente condivise dall’intera collettività (Rossi Vannini, 570).

Materialità

Condotta

La norma postula il compimento di atti di vilipendio, ossia di condotte che manifestino ironia, ludibrio, sarcasmo, irrisione, sbeffeggiatura, dispregio nei confronti del cadavere o delle ceneri (sarebbe a dire, in quest’ultimo caso, del prodotto risultante dalla combustione di spoglie umane); non sono allora atte ad integrare tale modello legale le mere locuzioni irridenti, evocative della medesima forma di disprezzo [fatto forse più agevolmente sussumibile sotto l’egida normativa del reato ex art. 597 comma 3 (offese alla memoria dei defunti) o dell’ormai depenalizzata contravvenzione di cui all’art. 724 comma 2 (bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti, punita ora con sanzione amministrativa in virtù dell’art. 57 comma1, lett. b) D.Lv 30 dicembre 1999, n. 507); vedere Garofoli, 609].

La nozione di cadavere e di ceneri

Con il termine cadavere viene indicato il corpo della persona morta. La morte coincide con il definitivo venir meno delle funzioni dell’encefalo, così divenendo ultroneo qualsiasi riferimento al battito cardiaco e alla respirazione; la definizione legale della morte può infatti rinvenirsi, nel nostro ordinamento, nel testo dell’art. 1 della L. 29 dicembre 1993 n. 578, a mente della quale: ”la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo“.

Le ceneri del defunto sono il prodotto della combustione del corpo umano, sia tale combustione derivata da un regolare procedimento di cremazione, ovvero sia il risultato di fatti di natura fortuita o criminosa. Occorre ovviamente che le ceneri siano identificabili, quali residui del corpo di determinati soggetti.

Ampio dibattito si è da sempre acceso in dottrina, circa la possibilità di ricomprendere nella nozione di cadavere – ai fini della previsione incriminatrice de qua – anche il feto nato morto, il feto che venga espulso dal corpo della donna quando è ancora non maturo, i cd. monstra, ossia i soggetti che nascano sostanzialmente privi di apparenza e morfologia umana, l’embrione e infine lo scheletro.

La dottrina ha quindi chiarito che: “L’approccio metodologicamente più corretto appare quello di chi, a partire dal bene protetto dalla norma, cioè la pietà, il rispetto dunque, verso i defunti, rileva che esso non viene meno nel caso del bimbo nato morto, ma nemmeno nell’ipotesi del feto immaturo che ha tuttavia avuto una vita intrauterina e che, con i suoi resti mortali, riesce a suscitare nei vivi il medesimo senso di deferenza se non di affetto, che si tributa nei confronti di tutti i defunti. Il già citato regolamento di polizia mortuaria, d’altra parte, prevede la sepoltura dei resti ”dei prodotti del concepimento” di età anche inferiore alle 28 settimane, ma superiore alle 20 e la consente, a richiesta dei genitori, per i feti inferiori alle 20 settimane. Anche i cd. mostri, in quanto esseri umani , al di là delle sembianze, divengono con la morte cadaveri e come tali oggetto della medesima tutela>> (Garofoli, 609, in nota Frisoli, 176).

Ancora in dottrina: ”Ritengono MANZINI, ANTOLISEI e PANNAIN, seguiti dalla giurisprudenza dominante, che se comunemente la nozione di cadavere implica necessariamente la preesistenza della vita, ciò non può dirsi per i delitti di cui agli artt. 410-413 c.p., a proposito dei quali la nozione deve essere in armonia con l’oggettività giuridica di questa classe, in cui si tratta dell’offesa alla pietà sentita per i defunti: è “cadavere>>, di conseguenza, anche la spoglia del feto nato morto. Secondo la dottrina dominante è richiesto solo che tale feto abbia sembianze di natura umana; PANNAIN ammette il reato anche per i prodotti mostruosi“ (Delpino e Pezzano, 203).

Per ciò che inerisce all’embrione invece, la mancanza di una effettiva forma umana pur minimamente apprezzabile, comporta la non riconducibilità entro la sfera previsionale della figura tipica in esame, stante la assoluta inidoneità di tali resti a suscitare un sentimento di pietà verso i defunti.

Lo scheletro può essere ricompreso nel perimetro normativo dell’articolo in commento, anche all’indomani della completa eliminazione di tutti i tessuti. Ciò però a patto che permanga l’attitudine di tali resti, ad evocare una qualche forma di pietà verso i defunti e che quindi, correlativamente, l’azione vilipendiosa sia idonea a ledere il bene giuridico protetto dalla norma. Restano così fuori dall’ambito della tutela penale scheletri, ossa, mummie, resti di epoche molto antiche, che vengano esposti in istituzioni o musei a fini puramente scientifici, divulgativi o didattici (Antolisei, PS, 231).

Forma della condotta

Trattasi di figura delittuosa strutturata quale reato a forma libera, per l’integrazione della quale viene in considerazione qualsiasi condotta che sia comunque atta a vilipendere un cadavere oppure le ceneri di questo. Il reato – in entrambe le declinazioni che sono previste dal dettato normativo – assume una forma attiva; è astrattamente immaginabile che esso possa realizzarsi attraverso una condotta commissiva mediante omissione, purché secondo i crismi dell’art. 40 co. 2, ossia in presenza di un obbligo – in capo del soggetto agente – di impedire la condotta di vilipendio e dunque.

La fattispecie in esame è inoltre un reato di offesa. La concretizzazione di quest’ultima deve essere oggetto di accertamento in concreto, che tenga conto della effettiva attitudine lesiva della condotta realizzata, ad arrecare ad un cadavere o alle ceneri di questo un vilipendio, che sia a sua volta idoneo a ledere il sentimento di pietà verso i defunti.

La dottrina ritiene quanto segue: «La condotta incriminata consiste nel compiere atti di vilipendio su un cadavere o sulle sue ceneri. Poiché la norma usa il termine atti, si ritiene che la pronuncia di parole o discorsi dispregiativi non possa rientrare nell’ipotesi delittuosa in commento, integrando semmai il delitto di diffamazione (art. 595 c.p.) perseguibile a querela dei prossimi congiunti, dell’adottante o dell’adottato ai sensi dell’art. 597, comma 3, c.p.» (Caringella, De Palma, Farini, Trinci, 494).

Evento

Si è in presenza di un reato di evento, che si concretizza in una condotta di spregio commessa nei confronti di un cadavere o delle ceneri di questo e che sia dotata di una concreta capacità offensiva del sentimento di pietà verso i defunti.

Forme di manifestazione

Il capoverso della norma in commento contiene una circostanza aggravante speciale, che si può alternativamente realizzare sia nel deturpare o mutilare un cadavere, sia attraverso la concretizzazione – sul cadavere stesso – di atti connotati da brutalità o oscenità.

Così in dottrina: «Per deturpamento deve intendersi la deformazione dei lineamenti. Per mutilazione deve intendersi l’asportazione di parti di cadavere. Per atti di brutalità devono intendersi atti violenti (percosse, pestaggi ecc.). Per atti di oscenità devono intendersi gli atti sessualmente perversi» (Caringella, De Palma, Farini, Trinci, 495).

Elemento soggettivo

Il paradigma normativo in esame è retto dal solo dolo generico, che si sostanzia nella coscienza e volontà di perpetrare la condotta vilipendiosa in danno di un cadavere o delle ceneri dello stesso; il tutto deve essere accompagnato dalla consapevolezza della offensività degli atti nei confronti del sentimento di pietà verso i defunti. Il delitto in commento non è previsto nella declinazione colposa.

Così si è espressa la dottrina: «Il dolo è generico e consiste nella coscienza e volontà di compiere l’atto con la consapevolezza del suo carattere vilipendioso» (Garofoli, 610).

Consumazione e tentativo

Consumazione

Trattasi di reato che giunge a consumazione «allorquando il cadavere o le ceneri del defunto subiscono vilipendio per effetto della condotta attiva del reo» (Farini, Trinci, 271).

Tentativo

Non si dubita della configurabilità del tentativo, coincidente con la realizzazione di una condotta idonea e inequivocabilmente diretta ad arrecare vilipendio al cadavere o alle ceneri.

Casistica

La Corte di Cassazione ha chiarito come – affinché possa reputarsi integrata l'ipotesi aggravata del modello legale in analisi – basti la ricorrenza del dolo generico, consistente nella consapevolezza di porre in essere una mutilazione, essendo il vilipendio ricompreso già in tale condotta. Hanno proseguito i Giudici spiegando come la punibilità resti esclusa solo allorquando si sia agito in ossequio a norme regolamentari e attenendosi a modalità che non abbiano comportato la realizzazione sul feretro di una significativa alterazione, atta a modificare le condizioni del cadavere (Cass. III, n. 16569/2007).

La condotta che si sostanzi nella mutilazione o nel deturpamento di un cadavere, quali passaggi obbligatori per giungere alla soppressione o alla distruzione dello stesso, può esser considerata ricompresa nel reato complesso di cui all'art. 411. Bisogna però che emerga come tali modalità vilipendiose fossero in concreto indispensabili e non ultronee rispetto all'attività di soppressione; in carenza di tale accertamento, i due reati concorreranno (Cass. I, n. 1081/1970; in ordine alla possibilità di concorso fra le fattispecie del vilipendio e dell'occultamento di cadavere, si veda anche Cass. III, n. 1107/1971, la quale ha altresì ribadito come – per la ricorrenza dell'ipotesi aggravata di cui al capoverso dell'art 410, in presenza di una mutilazione di cadavere – non sia necessario il dolo specifico, bensì il solo dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di porre in essere una mutilazione, atto nel quale è insito un contenuto vilipendioso).

Secondo Cass. III, n. 17050/2003, il coefficiente soggettivo postulato dal delitto di vilipendio di cadavere è il dolo generico e sussiste nel caso in cui il soggetto agente sia consapevole di realizzare una attività in grado di ledere il sentimento di pietà verso i defunti, nonché vietata da disposizioni regolamentari, come accade nel caso della esumazione parziale, o almeno non del tutto indispensabile per il compimento di  una attività lecita comportante la manipolazione delle spoglie mortali (Nella concreta vicenda, era stata compiuta una parziale esumazione di resti destinati ad essere accolti in una urna ossario, con smembramento del corpo parzialmente mineralizzato ad opera dell'operatore addetto e conservazione nell'urna soltanto di una porzione dello scheletro, accompagnata invece dalla dispersione nell'ambiente delle parti del cadavere non ancora andate in decomposizione).

Profili processuali

Gli istituti

Il reato in commento è procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale monocratico; per esso è prevista - laddove ricorra l'ipotesi prevista dal secondo comma - la celebrazione dell’udienza preliminare. Per tale reato:

a) non è previsto l'arresto in flagranza, al ricorrere dell’ipotesi semplice tipizzata al primo comma; l’arresto stesso è però previsto come facoltativo, in presenza del caso di cui al secondo comma;

b) non può essere adottato il fermo;

c) la custodia cautelare in carcere non è possibile in relazione all’ipotesi di cui al 1° comma; essa è invece consentita al ricorrere dell'ipotesi di cui al comma 2;

d) possono trovare applicazione le altre misure cautelari personali. 

Bibliografia

Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, Milano, 1982; Caringella, De Palma, Farini, Trinci, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, VI ED. Roma, 2016; Dall’Ora, Sulla nozione giuridico-penale di cadavere. La questione del nato morto, in RIDPP, 1949; Delpino e Pezzano, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, XXII ED. Napoli, 2015; Farini, Trinci, Compendio di Diritto Penale, Parte Speciale, Roma, 2015; Fiandaca, Laicità del diritto penale e secolarizzazione dei beni tutelati, in Studi Nuvolone, I, Milano, 1991; Fiandaca e Musco, Diritto Penale, Parte Speciale, Bologna, 1993; Frisoli, La nozione di cadavere nel diritto penale, in RIDPP, 1961; Garofoli, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, Tomo I, Roma, 2015; Mantovani, Morte (generalità), in Enciclopedia del Diritto, XXVII, Milano, 1977, Padovani, La travagliata rinascita dei delitti in materia di religione, in Studium Iuris, 1998, 925; Rossi Vannini, Pietà dei defunti (delitti contro la), Digesto Penale, IX, Torino, 1995; Siracusa, I delitti in materia di religione. Beni giuridici e limiti dell’intervento penale, Milano, 1983.

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