Codice Penale art. 414 - Istigazione a delinquere 1 .

Marco dell'Utri
Sergio Beltrani

Istigazione a delinquere 1.

[I]. Chiunque pubblicamente [266 4] istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell'istigazione [115 3, 302, 303, 322, 415]:

1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;

2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a 206 euro, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.

[II]. Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel numero 1.

[III]. Alla pena stabilita nel numero 1 soggiace anche chi pubblicamente [266 4] fa l'apologia di uno o più delitti. La pena prevista dal presente comma nonché dal primo e dal secondo comma è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici [266, 272 2, 303 2, 327] 2.

[IV]. Fuori dei casi di cui all'articolo 302, se l'istigazione o l'apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l'umanità la pena è aumentata della metà. La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici 3.

competenza: Trib. monocratico (udienza prelim., salva l'ipotesi sub n. 2 comma 1)

arresto: facoltativo (primo comma n. 1)

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: consentita (primo comma n. 1, ma v. art. 275, comma 3, c.p.p.)

altre misure cautelari personali: consentite (primo comma n. 1)

procedibilità: d'ufficio

[1] Per la pubblica istigazione e l'apologia del genocidio v. art. 8 l. 9 ottobre 1967, n. 962. Per la pubblica istigazione e l'apologia del fascismo v. l'art. 4 l. 20 giugno 1952, n. 645.

[2] L'art. 2, d.l. 18 febbraio 2015, n. 7, conv., con modif. in l. 17 aprile 2015, n. 43, ha aggiunto l'ultimo periodo.

[3] Comma aggiunto dall'art. 15 1-bis d.l. 27 luglio 2005, n. 144, conv., con modif., in l. 31 luglio 2005, n. 155. L'art. 2, d.l. n. 7 del 2015, conv., con modif. in l. 17 aprile 2015, n. 43, ha aggiunto l'ultimo periodo.

Inquadramento

La norma in esame individua due distinte fattispecie incriminatrici rappresentate dall'istigazione a commettere reati e dall'apologia di delitti: condotte entrambe punite là dove ritenute concretamente idonee a porre in pericolo l'ordine pubblico, inteso come assenza di pericolo di reati, quale premessa indispensabile per un'ordinata e pacifica convivenza sociale.

Il reato di istigazione consiste nell'incitare pubblicamente taluno alla commissione di delitti o contravvenzioni in modo da creare pericolo per l'ordine pubblico.

La condotta di apologia di delitti si realizza mediante il pubblico elogio di atti delittuosi con modalità tali da indurre l'azione criminale altrui ponendo in pericolo l'ordine pubblico.

I delitti di istigazione e di apologia sono aggravati se commessi attraverso strumenti informatici o telematici.

Costituisce un'ipotesi aggravata di entrambi i reati la circostanza che l'istigazione o l'apologia abbiano ad oggetto la commissione di delitti di terrorismo o di crimini contro l'umanità. Anche in tal caso la pena è ulteriormente aggravata là dove le condotte siano commesse attraverso strumenti informatici o telematici.

Soggetti

Soggetto attivo

Entrambe le fattispecie di istigazione a commettere reati e di apologia di delitti sono reati comuni, che possono essere commessi da “chiunque”.

Bene giuridico

Il reato in esame tutela (quale bene giuridico) l'ordine pubblico.

Tale espressione — da taluno intesa in senso ideale-normativo, ossia quale complesso di principi e istituzioni fondamentali, dalla cui continuità e immutabilità dipenderebbe la sopravvivenza dell'ordinamento (sul punto v. Fiandaca e Musco, 474) — deve viceversa intendersi (secondo l'interpretazione invalsa nelle prevalenti giurisprudenza e dottrina) nel significato, d'indole materiale, di buon assetto o regolare andamento del vivere civile, a cui corrispondono nella collettività l'opinione e il senso della tranquillità (Corso, 1061) e della sicurezza (Cass., I, n. 4993/1974: Fiore, 1085; Violante, 1001), obiettivamente pregiudicati dalla pubblica sollecitazione (determinata dall'istigazione o dall'apologia) a commettere reati. In tal senso, il bene giuridico tutelato attraverso le condotte incriminate dalla norma in esame può essere più specificamente individuato in un'accezione materiale-oggettiva dell'ordine pubblico, inteso quale assenza di pericolo di reati (De Vero, 294); pericolo di per sé idoneo a offuscare l'atmosfera di comune fiducia nel rispetto delle leggi da parte dei consociati, che costituisce la premessa indispensabile per un'ordinata e pacifica convivenza sociale (Cass. S.U., n. 10/1958).

Materialità

Condotta

L'elemento materiale che caratterizza il delitto di istigazione a delinquere può essere realizzato in conformità a due distinte modalità tipiche: l'istigazione a commettere reati e l'apologia di delitti.

L'istigazione a commettere reati

La condotta di istigazione a commettere reati si realizza attraverso il compimento, in forma pubblica, di atti diretti a indurre taluno — attraverso l'incitamento, la sollecitazione o l'eccitazione — a commettere delitti e/o contravvenzioni, derivando dall'istigazione alla commissione dei primi, piuttosto che delle seconde, un differente trattamento sanzionatorio.

La condotta in esame è integrata dall'eccitazione (o dallo sprone) a commettere uno o più reati determinati (per l'indicazione di comportamenti rientranti in specifiche previsioni delittuose v. Cass., I, n. 10641/1997, in Cass. pen., 1998, 2933), compiuta pubblicamente a mezzo di scritti, parole o fatti, indipendentemente dalle conseguenze che da tale attività possano derivare o, più propriamente, indipendentemente dalla commissione o meno, da parte delle persone istigate, del reato voluto dall'istigatore (Cass., I, n. 4993/1974; Cass., I, n. 4815/1972). In tal senso, non assume alcun rilievo la circostanza che l'autore del fatto non si sia ulteriormente adoperato perché avvenissero i reati oggetto dell'istigazione, essendo sufficiente che l'istigatore compia la propria azione sulla psiche di coloro cui pubblicamente si rivolge per spronarli a commettere determinati fatti, facendo sorgere o rafforzando motivi di impulso o affievolendo motivi inibitori (Cass., I, n. 347/1971).

L'apologia di delitti

La condotta di apologia di delitti consiste nell'espressione, in forma pubblica, di un giudizio positivo su di un fatto delittuoso (non quindi contravvenzionale), in forme tali da costituire un efficace incitamento per il pubblico a commettere reati dello stesso tipo di quelli elogiati (Fiandaca e Musco, 480).

Ai fini della sussistenza dell'apologia (come ‘difesa elogiativa': v. Cass. S.U., n. 10/1958) non è necessario che il fatto delittuoso sia esaltato e glorificato (né che se ne sottolinei expressis verbis la sua contrarietà all'ordinamento punitivo: Cass. S.U., n. 10/1958), ma è sufficiente anche la sola approvazione del fatto medesimo, o un giudizio favorevole sullo stesso che implichi approvazione (Cass., I, n. 10804/1975). L'apologia di delitto può commettersi anche mediante l'esaltazione dell'autore di un fatto criminoso. In tal senso, non basta che l'esaltazione sia desunta per implicito o indirettamente (ossia come mera occasione in base alla quale l'agente s'induca a esprimere il suo pensiero contrario alla incriminazione): tuttavia, quando sia accertato o evidente il nesso tra l'azione apologetica e la persona autrice del delitto (ad es. perché la persona stessa è nota al pubblico proprio e solo perché autrice di quel fatto illecito), l'apologia della persona deve intendersi automaticamente trasfigurata in apologia di quel delitto, attesa l'inscindibilità che si crea tra l'opera e il suo autore (Cass., I, n. 967/1964).

Ai fini del reato di apologia, la valutazione giuridico-penale dell'episodio rievocato elogiativamente dall'apologeta va compiuta sulla base della norma incriminatrice vigente al momento della condotta apologetica, essendo irrilevante (non solo la circostanza che il fatto elogiato risalga ad epoca lontana o addirittura remota, ma anche) l'eventuale carenza di un precetto penalmente sanzionato all'epoca in cui il fatto rievocato avvenne (Cass. S.U., n. 10/1958).

Si è, da ultimo, osservato che, ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 414, comma 3, non basta l'esternazione di un giudizio positivo su un episodio criminoso, ma occorre che il comportamento dell'agente sia tale per il suo contenuto intrinseco, per la condizione personale dell'autore e per le circostanze di fatto in cui si esplica, da determinare il rischio effettivo della consumazione di altri reati lesivi di interessi omologhi a quelli offesi dal crimine esaltato (Cass. VI, n. 31562/2019: fattispecie in cui la S.C. ha confermato il proscioglimento di un imputato accusato della pubblicazione su un sito internet di scritti contenenti espressioni offensive nei confronti della vittima di un attentato terroristico, rivendicato da un gruppo di area anarco-insurrezionalista, unitamente a generiche manifestazioni di solidarietà verso "i compagni arrestati" ed incitamenti all'azione diretta).

Dall'apologia di delitto va distinta la condotta di propaganda (entrambi elementi costitutivi di vari reati: v. ad es. gli artt. 266, 272, 303, 327). Mentre entrambe le condotte sono caratterizzate dall'elemento comune di agire essenzialmente sulla sfera intellettiva dei destinatari, nel caso dell'apologeta questi si limita a manifestare la propria convinta adesione all'episodio rievocato senza esplicare alcuna attività specificamente diretta a influenzare la genesi del pensiero altrui. L'attività del propagandista, in tal senso, si estende alla prospettazione delle note favorevoli dei fatti o delle persone oggetto della propaganda, agevolando con ciò la formazione del giudizio da parte del destinatario. In altri termini, l'autore della propaganda usa mezzi intrinsecamente efficaci per influenzare il pensiero altrui, mentre l'apologeta tende soltanto a trasferire l'elaborato del proprio pensiero nelle altrui coscienze: sicché, mentre nella propaganda i destinatari avvertono eventualmente lo stimolo a imitare le persone o a rinnovare il fatto in forza delle ragioni probanti addotte in proposito, nell'apologia invece lo stesso risultato eventuale avviene per effetto di riflessioni interiori, spontaneamente concepite (Cass. S.U., n. 10/1958).

Pubblicità

Ai fini della legge penale, la nozione di pubblicità è fornita dall'art. 266, là dove si stabilisce che il reato si considera avvenuto pubblicamente quando il fatto è commesso a mezzo stampa o con altro mezzo di propaganda; in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone; in una riunione che, per il luogo in cui è tenuta o per il numero degli intervenuti o per lo scopo od oggetto di essa, abbia carattere di riunione non privata.

In tal senso, si è ritenuto penalmente rilevante la commissione del fatto all'interno di un salone di barbiere in cui chiunque può accedere per i servizi che esso offre, e in presenza di più persone (almeno due, come nella specie) (Cass., I, n. 13541/1986).

Sulla necessaria presenza di più persone, oltre al luogo pubblico (o aperto al pubblico), v. Cass., I, n. 4519/1973.

Con riguardo a entrambe le fattispecie contemplate dall'articolo in esame, la pubblicità costituisce una nota modale di esecuzione della condotta (Mormando, 40), da taluni individuata quale elemento costitutivo del fatto tipico (Fiandaca e Musco, 478), e da altri, viceversa, quale condizione obiettiva di punibilità (Cass., I, n. 4519/1973).

Caratteri distintivi tra istigazione e apologia

Mentre la condotta rilevante a titolo di apologia è finalizzata a determinare solo e unicamente l'apprezzamento generale di un fatto delittuoso, l'istigazione a delinquere si tipizza in relazione alla creazione di nuovi motivi ad agire (Mormando, 40).

Muovendo dai lavori preparatori del codice, taluni autori classificano l'apologia di delitto come una forma di istigazione indiretta (Contieri, 13; Bognetti, 271; Oliviero, 618).

In tal senso, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come il fondamento dell'incriminazione dell'apologia di delitti va rinvenuto nel pericolo di turbamento della sicurezza e della tranquillità della vita sociale, e cioè dal pericolo di ulteriori reati e di turbamento nell'ordine pubblico, risolvendosi sostanzialmente l'apologia in una forma di istigazione indiretta (Cass., I, n. 784/1966).

Nel rapporto tra le due fattispecie, l'apologia di reato si caratterizza, rispetto all'istigazione, in termini di minor selettività, esprimendo una pericolosità meno univocamente orientata, soprattutto in relazione all'indeterminatezza del destinatario dell'istigazione (in dottrina De Vero, 220). In tale prospettiva, le due ipotesi di reato di differenziano nel relativo significato direzionale, nel senso che, mentre nell'ipotesi dell'istigazione la spinta al reato è diretta alla persona, in quella dell'apologia la spinta è indiretta, essendo affidata al contenuto apologetico (Cass., I, n. 13541/1986). Al riguardo, la giurisprudenza più risalente ha ritenuto di evidenziare che, nel punire l'apologia di un delitto, diversamente dall'ipotesi dell'istigazione, il legislatore ha intenso sostanzialmente vietare la trasmissione di taluni elaborati mentali dalla sfera intellettiva del soggetto che li ha concepiti a quella di altri soggetti destinati a riceverli. Invero, mentre l'apologia si sostanzia in un'attività che si ripromette di incidere sull'intelletto dei destinatari senza essere immediatamente diretta a influenzarne la volontà, l'istigazione consiste invece in un'espressione del pensiero che, direttamente o per vie indirette o mediate, tende con immediatezza a stimolare l'altrui volontà per ottenerne uno specifico comportamento (Cass. S.U., n. 10/1958).

Caratteri comuni tra istigazione e apologia: l'idoneità degli atti

Ai fini della rilevanza penale delle condotte di istigazione alla commissione di reati e di apologia di delitti, non è sufficiente l'estrinsecazione di una semplice manifestazione di pensiero diretta alla diffusione di dottrine che promuovano la commissione di reati o l'abrogazione di norme incriminatrici (anche nel momento della loro applicazione in concreto) attraverso la dimostrazione del loro disvalore sociale o morale, ma è altresì necessario che dette manifestazioni di pensiero, per le modalità in cui vengono compiute, esprimano una forza di suggestione e di persuasione tali da poter concretamente stimolare nel pubblico la commissione di altri delitti del genere di quello oggetto dell'apologia e dell'istigazione (Cass. n. 8779/1999, Cass. I, n. 11578/1997; Cass. I, n. 8236/1983); nel senso che l'azione deve avere la concreta capacità di provocare l'immediata esecuzione di delitti o, quanto meno, la probabilità̀ che essi vengano commessi in un futuro più o meno prossimo (Cass. I, n. 46178/2016).

In tal senso, la Corte costituzionale ha accertato la legittimità costituzionale della norma in commento nella misura in cui la stessa è destinata a reprimere le sole attività che si rivelino concretamente idonee a provocare la commissione di delitti (Corte cost. n. 65/1970).

Per stabilire l'idoneità di un determinato fatto a costituire eccitamento a delinquere, occorre rifarsi al complesso dell'attività che è stata posta in essere, considerata in relazione alle peculiari circostanze nelle quali si è svolta, e non già limitarsi all'esame del mezzo adoperato, avulso dal complesso dei fattori che in concreto ne hanno consigliato l'adozione (Cass., I, n. 4815/1972).

Tanto per l'istigazione alla commissione di reati, quanto per l'apologia di delitto, deve escludersi la necessità che siano specificamente indicati gli elementi per cui il fatto costituisce reato, purché gli elementi evidenziati siano tali da far rientrare il fatto concreto oggetto dell'istigazione o dell'apologia nello schema di una fattispecie criminosa — pur senza l'indicazione specifica del nomen juris — e risultino dalle modalità di svolgimento del fatto stesso (per l'istigazione v. Cass. I, n. 2252/1985; per l'apologia v. Cass. I, n. 10804/1975).

Per l'integrazione della fattispecie dell'istigazione a delinquere (in entrambe le forme dell'istigazione a commettere reati e dell'apologia di delitti) è sufficiente il riferimento a un fatto delittuoso, anche se in ordine ad esso non sia intervenuto un giudizio dell'autorità giudiziaria, essendovi assoluta indipendenza tra l'istigazione e il singolo fatto criminoso oggetto dell'istigazione o dell'apologia, sì che il reato stesso sussiste anche se il delitto, oggetto dell'istigazione o dell'apologia, sia estinto, — ad esempio per amnistia — o non sia perseguibile o punibile o che comunque, in relazione a esso, non sia stata ancora esercitata l'azione penale (per l'istigazione v. Cass. I, n. 1/1967; per l'apologia v. Cass. I, n. 10804/1975).

Istigazione a delinquere e libertà di manifestazione del pensiero

Con riguardo a entrambe le condotte, di istigazione e di apologia, rileva il rapporto tra l'incriminazione e il legittimo esercizio della libertà di manifestazione del pensiero garantita dall'art. 21 Cost. In particolare, l'esercizio di tale libertà può incontrare limitazioni nelle disposizioni di legge destinate alla tutela di altri beni e interessi fatti oggetto di protezione costituzionale, imponendosene il bilanciamento. Siffatta valutazione, in particolare, va compiuta tenendo conto che la libertà di pensiero, il diritto di cronaca e quello di critica non sono assoluti, trovando un limite, non solo nella necessità di proteggere altri beni costituzionalmente tutelati, ma anche nell'esigenza di prevenire o far cessare quei turbamenti della sicurezza pubblica, la cui salvaguardia costituisce finalità immanente al sistema (Cass., I, n. 350/1990).

In tal senso, in un caso particolare (in occasione del quale un religioso, non limitandosi a esporre un'ideologia religiosa sugli obiettori di coscienza, o a criticare il divario tra la legge statuale e le pretese leggi naturali o morali, aveva esaltato, con congrue e idonee espressioni, un conosciuto e concreto episodio di ribellione del cittadino alla legge) si è ritenuto che la fattispecie di apologia di reato valesse a segnalare propriamente il limite delle libertà assicurate dalle norme costituzionali (in particolare dagli artt. 19 e 21 Cost.), per le modalità e i termini con cui in concreto erano stati manifestati il pensiero e l'ideologia religiosa. In tale vicenda, la pretesa punitiva avanzata dallo stato nei confronti del religioso non aveva colpito l'opera di pensiero del soggetto (che rimane libera e legittima anche nelle sue più avanzate posizioni critiche), bensì quel plus della sua attività espressiva che era trasmodata nell'illecito, in quanto consapevolmente intesa alla violazione e alla disobbedienza dei precetti formalmente posti dallo stato per la difesa dell'ordine giuridico vigente (Cass., I, n. 967/1964, in Foro It. 1964, 281).

Anche la rievocazione di un fatto delittuoso condotta sul piano della ricostruzione storica o del resoconto di cronaca (attività di per sé pienamente lecite) può assumere i caratteri dell'apologia penalmente rilevante, quando l'autore, non limitandosi alla ricerca della genesi dell'episodio criminoso, alla sua narrazione o all'apprezzamento critico della sua reale portata etico-sociale, finisca col far prevalere le proprie valutazioni personali, inclini a prestare assoluta e convinta adesione al delitto rievocato, considerandolo come espressione della propria interiorità, con modalità espressive concretamente ed effettivamente idonee a influenzare in senso criminogeno la sfera intellettiva dei propri interlocutori (Cass. S.U., n. 10/1958).

Forma della condotta

L'istigazione a delinquere è un reato a forma libera, potendo esser commesso con qualunque mezzo espressivo (visivo, scritto, verbale, etc.) purché diretto alla perpetrazione di reati previsti dal sistema penale vigente (Cass., I, n. 347/1971).

La condotta di reato è attiva; può ipotizzarsene la realizzazione anche in forma meramente omissiva, ex art. 40, comma 2, nei limiti in cui si ritenga che l'agente sia gravato dall'obbligo di impedire che si verifichi la condotta di istigazione o di apologia. In tal senso, la costruzione della fattispecie tipica impone di qualificare l'evento di cui all'art. 40 in termini giuridici (c.d. evento giuridico), salvo non si condivida la configurazione del delitto come reato di evento (naturalistico) e non già di mera condotta (v. infra par. 4.10): in tal caso, l'evento si identifica con il fenomeno della ‘percezione' delle espressioni istigatorie o apologetiche da parte di (almeno) un soggetto diverso dall'autore: percezione che l'agente, essendo gravato del corrispondente obbligo giuridico (ex art. 40), abbia omesso di impedire. Occorre non confondere tale ipotesi con quella di cui all'art. 57 (a proposito dei reati commessi col mezzo della stampa periodica) che punisce (a titolo di colpa) il direttore o il vice-direttore responsabile che omette di esercitare, sul contenuto del periodico da lui diretto, il controllo necessario a impedire che col mezzo della pubblicazione sia commesso il reato in esame.

L'istigazione a delinquere come reato di pericolo

Il delitto di istigazione a delinquere (comma 1) è un reato di pericolo concreto, e non presunto,  e richiede, di conseguenza, per la sua configurazione, un comportamento concretamente idoneo, sulla base di un giudizio operato ex ante, a provocare la commissione di delitti (Cass. V, n. 48247/2019:  in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto integrato il reato dalla pubblicazione di alcuni opuscoli, diffusi da un gruppo che aveva organizzato attentati incendiari contro alcuni C.I.E., nei quali era scritto che “i C.I.E. si chiudono con fuoco”).

In tal senso, la Corte Costituzionale ha accertato la legittimità costituzionale della norma in commento nella misura in cui la stessa è destinata a reprimere le sole attività che si rivelino concretamente idonee a provocare la commissione di delitti (Corte Cost., 4 maggio 1970, n. 65).

Ciò posto, non sono mancate successive pronunce di legittimità inclini a persistere nella qualificazione del pericolo indotto dal reato di istigazione a delinquere come pericolo presunto (nel senso del pericolo presunto v., per l'istigazione, Cass. I, n. 2997/1994; Cass., I, n. 2710/1979.

Con riferimento al reato di apologia , la tesi del pericolo presunto è sostenuta da Cass. I, n. 8600/1986 e Cass. I, n. 10804/1975.

Evento

Il reato di istigazione a delinquere può qualificarsi come reato di evento solo ove si ritenga di distinguere, dalla mera espressione dell'atto istigatorio o apologetico in sé astrattamente idoneo a determinare taluno alla commissione di reati, l'evento naturalistico della “percezione” (uditiva, visiva, etc.) dell'atto istigatorio da (almeno) un soggetto diverso dall'agente (v. supra). Viceversa, là dove si ritenga la sufficienza, ai fini della rilevanza penale, della sola manifestazione in sé delle espressioni istigatorie, il delitto in esame deve ritenersi quale reato di mera condotta (in tale ultimo senso Cass. I, n. 8236/1983; Cass. I, n. 10804/1975).

Concorso di reati

Il reato di istigazione a delinquere disciplinato dall'articolo in esame rappresenta un'ipotesi-base (o norma-quadro) destinata a non trovare applicazione nel caso in cui il fatto sia previsto in termini di ‘specialità' da altre disposizioni di legge, quali, ad es., l'istigazione ed apologia al genocidio (di cui all'art. 8, l. n. 962/1967); la diffusione di idee fondate sulla superiorità e/o sull'odio razziale (di cui all'art. 3, l. n. 654/1975, come sostituito dall'art. 1, d.l. n. 122/1993 convertito nella l. n. 205/1993); l'apologia del fascismo (di cui all'art. 4, l. n. 645/1952); nonché dalle disposizioni di cui agli artt. 266, 302, 303, 414-bis, 415.

Rapporti con altri reati

Integra il delitto di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo internazionale (art. 270-bis c.p.), e non il delitto di istigazione a delinquere, la condotta di soggetti che, aperti sostenitori del c.d. Stato islamico e rispondenti alla chiamata al jihad, abbiano posto in essere condotte strumentali al consolidamento ed al rafforzamento dell'organizzazione sia mediante atti di propaganda apologetica rilevanti sul piano della concreta incentivazione dell'adesione al progetto criminoso (nella specie, uso del web e dei social media, con pubblicazione di video relativi a gravi attentati terroristici per divulgare la chiamata al jihad; partecipazione a gruppi chiusi di condivisione dell'ideologia jihadista; adesione espressa alla rivista on line "Dabiq News" che fornisce consigli sui bersagli da colpire in occidente, sulla fabbricazione di armi e sulle modalità di emigrazione verso i territori conquistati dal c.d. stato islamico), sia con condotte volte ad agevolare il reclutamento e l'autoradicalizzazione (nella specie, evidenziando la conoscenza ed i pregressi contatti con soggetti combattenti nelle zone di guerra e fornendo ausilio a chi intendeva unirsi alle milizie jihadiste), nonché il convogliamento di risorse economiche-finanziarie verso l'organizzazione di matrice islamica (Cass. II, n. 22163/2019).

Elemento soggettivo

Il dolo

Per la configurabilità del reato di istigazione a delinquere (in entrambe le forme dell'istigazione e dell'apologia) è richiesto il dolo generico consistente nella coscienza e volontà di commettere il fatto in sé, con l'intenzione di istigare alla commissione, o di fare l'apologia, di uno o più reati, essendo del tutto irrilevanti il fine particolare perseguito e i motivi dell'agire (Cass., I, n. 40684/2008; Cass. I, n. 13534/1986; Cass, I, n. 2252/1985) e con la consapevolezza dell'effetto dell'istigazione (Cass., I, n. 7185/1981) o dei possibili effetti apologetici della propria condotta (Cass., n. 10804/1975; Cass., I, n. 4506/1973).

Nel senso della necessaria presenza di un “dolo istigatorio” anche nella condotta apologetica v. Cass., I, n. 5380/1979.

È necessaria la coscienza e volontà della pubblicità della condotta istigatoria unicamente ove si ritenga di configurare detta pubblicità come elemento essenziale del reato (v. supra) e non già quale condizione obiettiva di punibilità (in tale ultimo senso v. Cass., I, n. 4519/1973).

La colpa

Il reato di istigazione a delinquere non è punibile a titolo di colpa. Come indicato in precedenza, costituisce un diverso reato (punito a titolo di colpa) quello previsto dall'art. 57 c.p., che ha ad oggetto la condotta del direttore o del vice-direttore responsabile che ometta di esercitare, sul contenuto del periodico da lui diretto, il controllo necessario a impedire che col mezzo della pubblicazione sia commesso il reato in esame.

Circostanze aggravanti

L'art. 15, d.l. n. 144/2005, convertito nella l. n. 155/2005, ha introdotto, quale circostanza aggravante (a effetto speciale) del reato in esame, il fatto che l'istigazione o l'apologia riguardino delitti di terrorismo o crimini contro l'umanità, purché il fatto non sia riconducibile alle ipotesi regolate dall'art. 302.

In tema di reato di apologia riguardante delitti di terrorismo, previsto dall'art. 414, comma 4, il pericolo concreto, derivante dalla condotta dell'agente di consumazione di altri reati lesivi di interessi omologhi a quelli offesi dal reato esaltato, può concernere non solo la commissione di specifici atti di terrorismo ma anche la adesione di taluno ad un'associazione terroristica (Cass. I, n. 47489/2015: fattispecie in cui la S.C. ha confermato la sentenza che aveva ritenuto la sussistenza del reato di apologia di cui all'art. 414, comma 4, nella condotta di diffusione su internet di un documento che sollecitava l'adesione dei potenziali lettori allo “Stato islamico”, esaltandone la natura combattente e la sua diffusione ed espansione, anche con l'uso delle armi).

Commette il reato di apologia di cui all'art. 414, comma 4, il soggetto che diffonde su Internet documenti diretti a sollecitare l'adesione dei potenziali lettori allo “Stato islamico”, esaltandone la natura combattente e la sua diffusione ed espansione, anche con l'uso delle armi (Cass. I, n. 47489/2015).

Si è, da ultimo, ritenuto che integra il reato di apologia di delitti di terrorismo, previsto dall'art. 414, comma 4:

- la condotta di chi condivide su social network (nella specie, Twitter e Whatsapp) link a materiale jihadista di propaganda, senza pubblicarli in via autonoma, in quanto, potenziando la diffusione di detto materiale, accresce il pericolo, non solo di emulazione di atti di violenza, ma anche di adesione, in forme aperte e fluide, all'associazione terroristica che li propugna (Cass. I, n. 51654/2018);

- la diffusione di documenti di contenuto apologetico - nella specie consistenti in tre playlist inneggianti al martirio per lo Stato islamico (IS), alle attività terroristiche dell'Isis ed alla figura del suo portavoce Al Adnani - mediante il loro inserimento sulla piattaforma internet denominata "Soundcloud", in considerazione sia della natura di organizzazioni terroristiche, rilevanti ai sensi dell'art. 270-bis c.p., delle consorterie di ispirazione jihadista operanti su scala internazionale, sia della potenzialità diffusiva indefinita di tale modalità comunicativa (Cass. V, n. 1979/2019);

- la diffusione, mediante l'inserimento su profilo personale Facebook, di comunicazioni contenenti riferimenti alle azioni militari del conflitto bellico siro-iracheno e all'Isis che ne è parte attiva, dai quali, anche solo indirettamente, possa dedursi un richiamo alla Jihad islamica e al martirio, in considerazione, sia della natura di organizzazioni terroristiche, rilevanti ai sensi dell'art. 270-bis c.p., delle consorterie di ispirazione jihadista operanti su scala internazionale sia della potenzialità diffusiva indefinita della suddetta modalità comunicativa (Cass. I, n. 24103/2017: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale del riesame che aveva disposto la liberazione dell'indagato, escludendo la rilevanza apologetica di alcune videoregistrazioni postate sul profilo Facebook tra le quali alcune, riguardanti il conflitto bellico siro-iracheno, prive di espliciti riferimenti all'Isis e alla matrice islamica radicale che ispirava le sue azioni, ma altre inneggianti esplicitamente alla Jihad e al martirio).

Si è ritenuto che la circostanza aggravante dell'incitazione a commettere delitti di terrorismo, prevista dall'art. 414, comma 4, non è compatibile con quella della finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico di cui all'art. 1 d.l. n. 625/1979, conv. dalla l. n. 15/1980 (ora trasfusa, in attuazione del principio della riserva di codice, nell'art. 270-bis.1 c.p.), che deve ritenersi assorbita dalla prima (Cass. I, n. 7203/2018).

Il d.l. n. 7/2015 (convertito nella l. n. 43/2015) ha introdotto, ai commi 3 e 4 dell'articolo in esame, la circostanza aggravante costituita dalla commissione del fatto attraverso strumenti informatici o telematici. Tale circostanza deve ritenersi a effetto comune nel caso previsto al comma 3, e a effetto speciale nel caso previsto al comma 4 (aumento della pena fino a due terzi).

Consumazione e tentativo

Consumazione

Il reato di istigazione a delinquere si consuma nel momento e nel luogo in cui sia stato commesso, pubblicamente, un fatto di istigazione percepibile da un numero indeterminato di persone. La prova concreta dell'effettiva percezione della condotta istigatoria deve ammettersi solo ove si configuri il delitto come reato di evento e non già di mera condotta (in tale ultimo senso v. Cass., I, n. 1636/1978).

Tentativo

Il reato di istigazione a delinquere non è configurabile nella forma del tentativo, con la conseguente esclusione della possibilità di procedere al sequestro di cose asseritamente destinate alla consumazione (non ancora avvenuta) del reato in esame (Cass., I, n. 24050/2012; Cass., I, n. 6004/1995).

Casistica

L'offerta in vendita di semi di piante dalle quali è ricavabile una sostanza drogante, accompagnata da precise indicazioni botaniche sulla coltivazione delle stesse, non integra il reato di cui all'art. 82 d.P.R. n. 309/1990, potendo bensì integrare, ricorrendone i presupposti, il reato di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti, ai sensi art. 414 c.p. (Cass. S.U., n. 47604/2012;  Cass. I, n. 21186/2016). 

È configurabile l'apologia di reato sotto forma di istigazione a delinquere nel fatto di erigere un monumento a perenne memoria — additandola ad esempio — a persona nota per avere spento la vita di un capo di Stato, qualora si accerti che, nonostante la lontananza storica dell'assassinio, sussiste attualmente e concretamente la possibilità che l'erezione del monumento eserciti una forza di suggestione e di persuasione tale da poter stimolare la commissione di altri fatti criminosi, corrispondenti o similari a quello esaltato. (Cass. I, n. 3422/1991: nel caso di specie, la condotta era relativa all'erezione, avvenuta la notte del 2 maggio 1990 in Carrara, di un monumento all'anarchico Gaetano Bresci che aveva ucciso il 29 luglio 1900 in Monza il Re Umberto I di Savoia) (Cass. I, n. 3422/1991).

Sussiste il delitto di cui all'art. 414 quando, con volantini o manifesti, s'intenda impedire lo svolgimento d'un comizio elettorale indetto da un partito politico regolarmente ammesso alla competizione posto che in tal caso s'istiga a perpetrare il reato di cui all'art. 99 t.u. leggi elettorali (Cass. I, n. 7185/1981). Non integra gli estremi dell'istigazione a delinquere il fatto di un agente di polizia giudiziaria che, incaricato di svolgere indagini in un negozio in cui era stato consumato il furto di parte della merce, aveva istigato due suoi colleghi a impossessarsi della merce residua non asportata, sia in considerazione del fatto che l'episodio si era verificato all'interno del negozio, fuori dell'orario di apertura e in occasione di indagini di polizia giudiziaria (e dunque non in luogo pubblico o aperto al pubblico), sia perché l'istigazione non era stata indirizzata nei riguardi di un numero indeterminato di persone (Cass. VI, n. 8850/1998).

Integra il delitto di istigazione a delinquere l'esaltazione di un fatto di reato, finalizzata a spronare altri all'imitazione, quando, per le sue modalità, sia concretamente idonea a provocare la commissione di delitti: in particolare, è stata ritenuta la sussistenza del reato nell'esposizione, in occasione di un incontro di calcio, di uno striscione con la scritta «sotto l'ombra del cappello non ti fa capire se tira fuori il suo coltello o ti chiede come stai» con in calce la sigla B.I.S.L., dal significato «basta infami solo lame» (Cass. I, n. 25833/2012).

Profili processuali

Gli istituti

Il reato di istigazione a delinquere è reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale monocratico.

Per tale reato:

a) l'arresto in flagranza è facoltativo;

b) il fermo non è consentito;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

Bibliografia

Bognetti, Apologia di delitto e principi costituzionali di libertà di espressione, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1960; Contieri, I delitti contro l'ordine pubblico, Milano, 1961; Corso, Ordine pubblico (dir. pubbl.), in Enc. Dir., XXX, Milano, 1980; De Vero, Istigazione a delinquere e a disobbedire alle leggi, in Dig. pen., VII, Torino, 1993; Dolce, Istigazione a delinquere, in Enc. Dir., XXII, Milano, 1972; Fiandaca e Musco, Diritto penale. Parte speciale, Bologna, 2012; Fiore, Ordine pubblico (dir. pen.), in Enc. Dir., XXX, Milano, 1980; Mormando, L'istigazione. I problemi generali della fattispecie e i rapporti con il tentativo, Padova, 1995; Oliviero, Apologia e istigazione, in Enc. Dir., II, Milano, 1958; Violante, Istigazione a disobbedire alle leggi, in Enc. Dir., XXII, Milano, 1972.

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