Codice Penale art. 415 - Istigazione a disobbedire alle leggi 1 .Istigazione a disobbedire alle leggi 1. [I]. Chiunque pubblicamente [266 4] istiga alla disobbedienza delle leggi [266 1-2] di ordine pubblico, ovvero all'odio fra le classi sociali, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni 2. [II]. La pena è aumentata se il fatto è commesso all'interno di un istituto penitenziario ovvero a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute.3
competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.) arresto: facoltativo fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio [1] La Corte cost., con sentenza 23 aprile 1974, n. 108, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo «nella parte in cui non specifica che l'istigazione all'odio fra le classi sociali deve essere attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità». [2] Per la particolare ipotesi di istigazione di contribuenti a ritardare, sospendere o non effettuare il pagamento di imposte in esazione v. art. 1 2-3 d.lg. C.p.S. 7 novembre 1947, n. 1559, in tema di reati in materia fiscale. [3] Comma aggiunto dall'art. 26, comma 1, lett.a), d.l. 11 aprile 2025, n. 48, in corso di conversione in legge. InquadramentoLa norma in esame individua due distinte fattispecie incriminatrici rappresentate dall'istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico e dall'istigazione all'odio fra le classi sociali: condotte entrambe punite là dove ritenute concretamente idonee a porre in pericolo l'ordine pubblico, inteso come buon assetto o regolare andamento del vivere civile, a cui corrispondono nella collettività l'opinione e il senso della tranquillità e della sicurezza, obiettivamente pregiudicati dalla pubblica sollecitazione (determinata dall'istigazione) a disobbedire alle leggi di ordine pubblico o all'odio tra le classi sociali. Il reato di istigazione consiste nell'incitare pubblicamente taluno a disobbedire alle norme che tendono a garantire la pubblica tranquillità e la sicurezza pubblica in modo da creare pericolo per l'ordine pubblico. La condotta di istigazione all'odio tra le classi sociali si realizza mediante il pubblico incitamento all'odio fra le classi sociali con modalità tali da porre in pericolo l'ordine pubblico. SoggettiSoggetto attivo Il reato di istigazione a disobbedire alle leggi è un reato comune, che può essere commesso da “chiunque”. Bene giuridicoIl reato in esame tutela (quale bene giuridico) l'ordine pubblico. Tale espressione — da taluno intesa in senso ideale-normativo, ossia quale complesso di principi e istituzioni fondamentali, dalla cui continuità e immutabilità dipenderebbe la sopravvivenza dell'ordinamento (sul punto v. Fiandaca e Musco, 474) — deve viceversa intendersi (secondo l'interpretazione invalsa nelle prevalenti giurisprudenza e dottrina) nel significato, d'indole materiale, di buon assetto o regolare andamento del vivere civile, a cui corrispondono nella collettività l'opinione e il senso della tranquillità (Corso, 1061) e della sicurezza (Fiore, 1085; Violante, 1001), obiettivamente pregiudicati dalla pubblica sollecitazione (determinata dall'istigazione) a disobbedire alle leggi di ordine pubblico o all'odio tra le classi sociali. MaterialitàCondotta L'elemento materiale che caratterizza il delitto di istigazione a disobbedire alle leggi può essere realizzato in conformità a due distinte modalità tipiche: l'istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico e l'istigazione all'odio fra le classi sociali. L'istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico La condotta di istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico si realizza attraverso il compimento, in forma pubblica, di atti diretti a indurre taluno — attraverso l'incitamento, la sollecitazione o l'eccitazione — a disobbedire alle leggi di ordine pubblico. La condotta in esame è strutturata nella medesima forma dell'omologa condotta di cui all'art. 414 (v., al riguardo, sub art. 414). Costituisce elemento specializzante, rispetto al reato di istigazione a delinquere, l'oggetto dell'istigazione, nella specie consistente (non già nella commissione di reati, bensì) nella disobbedienza alle leggi di ordine pubblico. La nozione di disobbedienza equivale a quelle di “rifiuto” o “ribellione” ingiustificata a osservare i precetti legali; condotte come tali differenti dalla propaganda o dalla critica lecitamente diretta a conseguire l'abolizione di una legge (Fiandaca e Musco, 482). La nozione di leggi di ordine pubblico deve viceversa intendersi riferita — non già alla più larga interpretazione, comprendente tutte le norme giuridiche (civili, finanziarie, penali o di polizia etc.) rispetto alle quali non è riconosciuta alla volontà dei singoli alcuna potestà dispositiva o derogatoria (su cui v. Cass., III, n. 11181/1985; Cass., I, n. 3388/1980), ovvero alle disposizioni normative che, nel quadro costituzionale, sono poste a tutela dell'ordine democratico e della sicurezza della convivenza tra i consociati (Contieri, 47), — bensì alle sole previsioni normative che tendono a garantire la pubblica tranquillità e la sicurezza pubblica (Cass., I, n. 26843/2010; Cass., I, n. 16022/1989), ovvero quelle essenziali al mantenimento degli equilibri economici e sociali del paese e della pace sociale i cui precetti siano privi di sanzione penale (diversamente incorrendosi nell'ipotesi di cui all'art. 414) (così in dottrina Nuvolone, Il diritto penale della stampa, Padova, 1971, 208). In tal senso si è ritenuto non integrare gli estremi del reato in commento il pubblico incitamento all'autoriduzione delle fatture per il consumo dell'energia elettrica e dell'acqua (emesse dall'Enel e dall'Acea) (Cass., n. 5927/1991), nonché l'attività di colui il quale istighi pubblicamente a non pagare le imposte o a ritardarne o a sospenderne il pagamento (Cass., I, n. 16022/1989; contra Cass., III, n. 11181/1985). Più discutibile (e da leggere necessariamente in prospettiva storica, segnatamente sotto il profilo del riconoscimento della legittimità costituzionale della propaganda astensionista) Cass., I, n. 1515/1967, ha ritenuto contrastante con i principi costituzionali di libertà di pensiero e di associazione in partiti politici (non escluso quello anarchico) lo svolgimento, ad opera di sostenitori dell'anarchismo, di attività propagandistiche in favore dei propri principi, con la pubblica esortazione all'astensione dall'esercizio del voto, con la conseguente punibilità del fatto ai sensi dell'art. 415. L'istigazione all'odio fra le classi sociali La condotta di istigazione all'odio fra le classi sociali si realizza attraverso il compimento, in forma pubblica, di atti diretti a indurre taluno — attraverso l'incitamento, la sollecitazione o l'eccitazione — al sentimento di odio tra le classi sociali. La condotta in esame è strutturata nella medesima forma dell'omologa condotta di cui all'art. 414 (v., al riguardo, sub art. 414), con l'elemento specializzante dell'oggetto dell'istigazione individuato nell'odio fra le classi sociali. Mentre la nozione di classe sociale si determina in relazione all'identificazione di una specifica categoria di persone accomunate (in un contesto sociale generale) dalla condivisione di inclinazioni culturali, gusti o stili di vita tra loro affini e dall'esigenza di tutela di prerogative e interessi omogenei, il concetto di odio allude al sentimento di profonda avversione, preludio di sopraffazione (Cass., I, n. 46/1972), nutrito sul piano delle relazioni sociali. Dalla condotta di istigazione all'odio fra le classi sociali dev'essere nettamente distinta l'attività di propaganda politica e le connesse manifestazioni di libertà di pensiero costituzionalmente tutelate. Da questo punto di vista, la giurisprudenza ha ritenuto di distinguere concettualmente, dalla legittima propaganda politica relativa alla lotta di classe, la degenerazione della stessa in istigazione all'odio di classe; istigazione che il legislatore ha ritenuto di perseguire penalmente, siccome idonea a determinare la formazione di pericolosi stati d'animo e a compromettere le condizioni necessarie per il mantenimento dell'ordine e per una sana evoluzione sociale (Cass. I, n. 10107/1974). Pubblicità Ai fini della legge penale, la nozione di pubblicità è fornita dall'art. 266 c.p., là dove si stabilisce che il reato si considera avvenuto pubblicamente quando il fatto è commesso a mezzo stampa o con altro mezzo di propaganda; in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone; in una riunione che, per il luogo in cui è tenuta o per il numero degli intervenuti o per lo scopo od oggetto di essa, abbia carattere di riunione non privata. L'istigazione a disobbedire alle leggi come reato di pericolo Ai fini della rilevanza penale delle condotte di istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico e all'odio fra le classi sociali appare estensibile il principio sancito dalla giurisprudenza costituzionale in relazione alla fattispecie generale di cui all'art. 414 (Corte cost., 4 maggio 1970, n. 65), secondo cui devono ritenersi punibili le sole attività che si rivelino concretamente idonee a provocare la disobbedienza delle leggi di ordine pubblico o il sentimento di odio fra le classi sociali. In particolare, con specifico riguardo alla condotta di istigazione all'odio tra le classi sociali, la Corte costituzionale ha ritenuto legittima la corrispondente incriminazione — pena la violazione dell'art. 21 Cost. — nei limiti in cui derivi un concreto pericolo per l'ordine pubblico (Corte cost., 23 aprile 1974, n. 108), con la conseguente individuazione di una clausola che dovrebbe valere ad isolare le manifestazioni propriamente criminose dalla legittima propaganda politica (in dottrina De Vero, 302). Il delitto de quo deve dunque ritenersi un reato di pericolo concreto, che va accertato in relazione alla concreta ed effettiva idoneità delle condotte di istigazione a determinare un pericolo effettivo e concreto per l'ordine pubblico. Secondo una lettura della giurisprudenza di legittimità, peraltro, la modificazione apportata dalla richiamata sentenza della Corte costituzionale (Corte cost., 23 aprile 1974, n. 108) dovrebbe limitarsi a prevedere il requisito del concreto pericolo per la pubblica tranquillità in relazione alla sola fattispecie di istigazione all'odio fra le classi sociali, e non già anche alla condotta di istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico (Cass., I, n. 3388/1980). In termini ancora più radicali, Cass., I, n. 4993/1974, ha ritenuto che, attribuendo alla richiamata sentenza della Corte costituzionale un effetto additivo e manipolativo, la fattispecie penale prevista dall'art 415 subirebbe (con l'introduzione del requisito del necessario pericolo per la pubblica tranquillità) un radicale mutamento della propria struttura, trasformandosi, da reato di pericolo presunto, in reato di pericolo concreto, con la conseguente violazione del principio di stretta legalità. Nel senso di un insanabile contrasto tra la fattispecie penale di istigazione all'odio tra le classi sociali e l'art. 21 Cost. v. De Vero, 303. Forma della condotta L'istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico e l'istigazione all'odio fra le classi sociali sono reati a forma libera, potendo esser commessi con qualunque mezzo espressivo (visivo, scritto, verbale, etc.). La condotta di reato è attiva; può ipotizzarsene la realizzazione anche in forma meramente omissiva, ex art. 40, comma 2, nei limiti in cui si ritenga che l'agente sia gravato dall'obbligo di impedire che si verifichi la condotta istigatoria. In tal senso, la costruzione della fattispecie tipica impone di qualificare l'evento di cui all'art. 40 in termini giuridici (c.d. evento giuridico), salvo non si condivida la configurazione del delitto come reato di evento (naturalistico) e non già di mera condotta (v. infra): in tal caso, l'evento si identifica con il fenomeno della ‘percezione' delle espressioni istigatorie da parte di (almeno) un soggetto diverso dall'autore: percezione che l'agente, essendo gravato del corrispondente obbligo giuridico (ex art. 40 c.p.), abbia omesso di impedire. Occorre non confondere tale ipotesi con quella di cui all'art. 57 (a proposito dei reati commessi col mezzo della stampa periodica) che punisce (a titolo di colpa) il direttore o il vice-direttore responsabile che omette di esercitare, sul contenuto del periodico da lui diretto, il controllo necessario a impedire che col mezzo della pubblicazione sia commesso il reato in esame. Evento Il reato di istigazione a disobbedire alle leggi può qualificarsi come reato di evento solo ove si ritenga di distinguere, dalla mera espressione dell'atto istigatorio in sé astrattamente idoneo a determinare taluno alla disobbedienza alle leggi di ordine pubblico o all'odio fra le classi sociali, l'evento naturalistico della ‘percezione' (uditiva, visiva, etc.) dell'atto istigatorio da (almeno) un soggetto diverso dall'agente (v. supra). Viceversa, là dove si ritenga la sufficienza, ai fini della rilevanza penale, della sola manifestazione in sé delle espressioni istigatorie, il delitto in esame deve ritenersi quale reato di mera condotta (nel senso che l'evento di pericolo del reato in commento è costituito dalla sola condotta istigatrice v. Cass., I, n. 3388/1980). Elemento soggettivoIl dolo Per la configurabilità del reato di istigazione a disobbedire alle leggi (in entrambe le forme dell'istigazione alla disobbedienza alle leggi di ordine pubblico o all'odio tra le classi sociali) è richiesto il dolo generico consistente nella coscienza e volontà di commettere il fatto in sé, con l'intenzione di istigare alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico o all'odio tra le classi sociali, essendo del tutto irrilevanti il fine particolare perseguito e i motivi dell'agire (Cass., I, n. 10107/1974). È necessaria la coscienza e volontà della pubblicità della condotta istigatoria unicamente ove si ritenga di configurare detta pubblicità come elemento essenziale del reato (così Cass., I, n. 10107/1974), e non già quale condizione obiettiva di punibilità. La colpa Il reato di istigazione a disobbedire alle leggi non è punibile a titolo di colpa. Come indicato in precedenza, costituisce un diverso reato (punito a titolo di colpa) quello previsto dall'art. 57, che ha ad oggetto la condotta del direttore o del vice-direttore responsabile che ometta di esercitare, sul contenuto del periodico da lui diretto, il controllo necessario a impedire che col mezzo della pubblicazione sia commesso il reato in esame. Consumazione e tentativoConsumazione Il reato di istigazione a disobbedire alle leggi si consuma nel momento e nel luogo in cui sia stato commesso, pubblicamente, un fatto di istigazione percepibile da un numero indeterminato di persone. La prova concreta dell'effettiva percezione della condotta istigatoria deve ammettersi solo ove si configuri il delitto come reato di evento e non già di mera condotta. Tentativo Il reato di istigazione a disobbedire alle leggi deve ritenersi non configurabile nella forma del tentativo (v., per l'analoga esclusione del tentativo nell'ipotesi dell'istigazione a delinquere, Cass., I, n. 24050/2012; Cass., I, n. 6004/1995). CasisticaLa ripetuta diffusione, mediante emittenti radiofoniche, di messaggi intesi a suggerire agli ascoltatori condotte contrarie a norme del codice stradale e gravemente pericolose per la pubblica incolumità (nella specie, a non indossare le cinture di sicurezza, a guidare ubriachi e a non rispettare i limiti di velocità), integra il reato di istigazione a disobbedire alle leggi, dovendosi identificare le leggi di ordine pubblico indicate nell'art. 415 particolarmente in quelle di natura cogente e inderogabile, intese alla tutela della sicurezza pubblica (Cass., I, n. 26843/2010). L'incitamento all'autoriduzione delle fatture per il consumo dell'energia elettrica e dell'acqua (emesse dall'Enel e dall'Acea) non integra il reato di istigazione alla disobbedienza di leggi di ordine pubblico (Cass., n. 5927/1991). L'istigazione a non effettuare (o a differire) il pagamento delle imposte dirette non integra il delitto di cui all'art. 415 c.p. (Cass., I, n. 16022/1989; contra Cass., III, n. 11181/1985), secondo cui l'agente che inciti il contribuente a differire il pagamento dell'Irpef (non importa se in tutto o in parte), dal momento dell'autoliquidazione e versamento diretto a quello successivo della iscrizione a ruolo, commette il delitto di cui all'art. 415. Profili processualiGli istituti Il reato di istigazione a disobbedire alle leggi è reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale monocratico. Per tale reato: a) l'arresto in flagranza è facoltativo; b) il fermo non è consentito; c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. BibliografiaContieri, I delitti contro l'ordine pubblico, Milano, 1961; Corso, Ordine pubblico (dir. pubbl.), in Enc. Dir., XXX, Milano, 1980; De Vero, Istigazione a delinquere e a disobbedire alle leggi, in Digesto pen., VII, Torino, 1993; Fiandaca e Musco, Diritto penale. Parte speciale, Bologna, 2012; Fiore, Ordine pubblico (dir. pen.), in Enc. Dir., XXX, Milano, 1980; Marini, Ordine pubblico (delitti contro l'), in NN.D.I., app., V, Torino, 1984; Mormando, L'istigazione. I problemi generali della fattispecie e i rapporti con il tentativo, Padova, 1995; Nuvolone, Il diritto penale della stampa, Padova, 1971; Pisa, Qualche appunto sull'istigazione a disobbedire alle leggi di ordine pubblico, in Cass., pen., 1982, 954; Violante, Istigazione a disobbedire alle leggi, in Enc. Dir., XXII, Milano, 1972. |