Codice Penale art. 422 - Strage.Strage. [I]. Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 285, al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità è punito, se dal fatto deriva la morte di più persone, con [la morte] (1). [II]. Se è cagionata la morte di una sola persona, si applica l'ergastolo. In ogni altro caso si applica la reclusione non inferiore a quindici anni [275 3, 5, 299 2 c.p.p.] (2). (1) V. sub art. 9. (2) In tema di durata delle indagini preliminari per i reati di cui al presente articolo e all'art. 285, v. art. 9 d.l. 24 novembre 2000, n. 341, conv., con modif., in l. 19 gennaio 2001, n. 4, come modificato dall'art. 13 d.l. 25 ottobre 2002, n. 236, conv., con modif., in l. 27 dicembre 2002, n. 284. competenza: Corte d'Assise arresto: obbligatorio fermo: consentito custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoIl delitto di strage consiste nel fatto di chi, al fine di uccidere, compie atti idonei a mettere in pericolo la pubblica incolumità, intesa come il bene della sicurezza della vita e dell'integrità fisica, e quindi riferita non già ad una o più persone specificamente individuate od individuabili, bensì alla collettività nel suo insieme, come bene di tutti e di ciascuno (Fiandaca e Musco, 2012, per i quali la struttura del delitto di strage è stata condizionata dalle preoccupazione del legislatore del '30 «di predisporre una più efficace difesa contro gli attentati terroristici»). SoggettiSoggetto attivo La strage è un reato comune, che può essere commesso da «chiunque» MaterialitàCondotta L'elemento materiale che caratterizza la strage consiste nel compimento di atti aventi obiettivamente l'idoneità a determinare pericolo per la vita e l'integrità fisica della collettività mediante violenza (evento di pericolo), con la possibilità che dal fatto derivi la morte di una o più persone (evento di danno). La strage è un reato: a) a forma libera: la rilevanza della condotta è determinata esclusivamente dalla sua effettiva idoneità a porre in pericolo il bene tutelato; essa può, pertanto, estrinsecarsi nelle modalità più varie (Cass. I, n. 11394/1991); b) che può essere integrato da condotte attive, od anche meramente omissive, ex art. 40, comma 2, nel caso in cui l'agente sia gravato dall'obbligo di impedire che si verifichi l'evento di pericolo per la pubblica incolumità (Gargani, 193). c) di pericolo concreto, non presunto dalla legge, ma che va accertato dal giudice caso per caso (Cass. I, n. 4017/1986): il «pericolo per la pubblica incolumità» costituisce evento del delitto (ed in quanto tale deve essere previsto dall'agente come conseguenza della condotta), non condizione obiettiva di punibilità (Cass. I, n. 11394/1991). Assume, pertanto, rilievo «l'idoneità accertabile ex ante dell'azione a minacciare la vita o l'integrità di un numero indeterminato di persone (ad es., lancio di una bomba al tritolo): tale idoneità è in genere connessa all'uso di mezzi che presentino carattere di particolare diffusività del danno alle persone» (Fiandaca e Musco, 496). Si è ritenuto che integra il delitto di strage la condotta dell'imputato che non si esaurisca in un’azione unitaria, bensì si articoli in plurimi fatti, consistiti nell'esplodere singoli colpi di pistola nei confronti di vittime incontrate casualmente in un ambito spazio-temporale privo di significativa soluzione di continuità, poiché in tal maniera viene posta in pericolo l'incolumità pubblica e non solo la vita delle singole persone offese: in applicazione del principio, la Cassazione ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica ai sensi dell'art. 422 della condotta di un soggetto che, seguendo uno specifico programma criminoso dettato da motivi di odio razziale, aveva percorso le strade di una città, esplodendo plurimi colpi di pistola contro persone accomunate esclusivamente dall'essere di colore (Cass. I, n. 16470/2021). Un più recente orientamento (Cass. VI, n. 25770/2023) ha chiarito che si configura il delitto di strage allorché siano compiuti atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità e non limitati ad offendere la vita di persone determinate, ed ha, conseguentemente, annullato con rinvio la decisione di merito che aveva qualificato come strage la condotta dell'imputato, il quale aveva intenzionalmente lanciato la propria automobile in corsa in direzione di una tavolata cui partecipavano i propri vicini, allestita all'interno di un vicolo cieco e senza uscita, provocando la morte di uno di essi e il ferimento di altri tre. Evento La strage è caratterizzata da un evento necessario di pericolo (consistente nel compimento di atti idonei a mettere in pericolo la pubblica incolumità mediante violenza), e da uno eventuale di danno, se dal fatto derivi la morte di una o più persone: in tale ultimo caso, essa è un delitto aggravato dall'evento. Il pericolo per la pubblica incolumità, evento necessario, è elemento essenziale del reato ed, in quanto tale, deve essere previsto e voluto dall'agente, come conseguenza della condotta (commissivi od anche meramente omissiva) posta in essere dall'agente; esso non costituisce, pertanto, mera condizione obiettiva di punibilità (Cass. I, n. 11394/1991), che, diversamente, consistono in un fatto esterno al reato, il cui verificarsi non dipende dalla volontà dell'agente, ma ne condiziona esclusivamente la punibilità. Rapporto di causalità Ricorre il rapporto di causalità tra la condotta dell'agente e l'evento (di pericolo o di danno) previsto dall'art. 422, anche quando gli atti che pongano in pericolo la pubblica incolumità provengano dalla vittima o da terzi estranei, se tali atti discendano causalmente, in un rapporto di stretta consequenzialità, dalla condotta del soggetto attivo del reato (Cass. I, n. 965/1986). Elemento psicologicoIl dolo Il dolo specifico del delitto di strage consiste nella coscienza e volontà di porre in essere di atti idonei a mettere in pericolo la vità e l'incolumità fisica della collettività mediante violenza (evento di pericolo), con la possibilità che dal fatto derivi la morte di una o più persone (evento di danno), nella consapevolezza di tale pericolo, ed al fine di cagionare la morte di una o più persone indeterminate; esso va desunto dalla natura del mezzo usato e da tutte le modalità dell'azione (Cass. I, n. 42990/2008; Cass. I, n. 43681/2015: fattispecie nella quale la S.C. ha confermato una sentenza di condanna per il delitto di strage, valorizzando il fatto che era stato utilizzato un fucile a pompa calibro 12 caricato a pallettoni, con esplosione in sequenza di 5 colpi, in uno spazio non particolarmente ampio e visibilmente affollato da un numero consistente di altri individui, nove dei quali erano stati colpiti e, tra questi, uno mortalmente). Il «fine di uccidere» che integra il dolo specifico non può mai essere surrogato da forme meno intense, come il dolo eventuale (Cass. I, n. 5914/1990, per la quale la morte di una o più persone deve sempre rappresentare lo scopo specificamente perseguito dall'agente, e non un evento che il soggetto — che ne voglia uno meno grave — si sia rappresentato come probabile o possibile conseguenza della propria determinazione, agendo anche a costo di provocarlo). Data la genericità dell'espressione «al fine di uccidere», il necessario dolo specifico è configurabile anche in relazione alla condotta di chi, pur nella consapevolezza di porre in pericolo un numero indeterminato di persone, abbia agito per ucciderne una sola (Cass. I, n. 3334/1988). La prova del dolo La prova del dolo di strage va desunta dalla natura del mezzo usato e da tutte le modalità della condotta, ed in particolare dalla straordinaria potenzialità del mezzo usato, di per sé sintomatica dell'evidente intenzione di cagionare la morte di un numero indeterminato di persone (Cass. II, n. 1695/1994). La colpa La strage non è punibile a titolo di colpa, poiché l'art. 422 non è richiamato dall'art. 449; peraltro, la fattispecie colposa risulterebbe incompatibile con il dolo specifico che caratterizza la fattispecie dolosa (Cass. IV, n. 4675/2007). Consumazione e tentativoConsumazione Il delitto di strage si consuma nel momento e nel luogo in cui sono compiuti gli atti dotati dell'idoneità a cagionare la situazione di concreto pericolo per il bene tutelato descritta dall'art. 422. Tentativo La strage è un reato a consumazione anticipata, il cui tentativo non è configurabile (Beltrani, 196). Invero, la fattispecie consumata del delitto di strage presenta la stessa struttura del delitto tentato, ma è punita come delitto consumato, in considerazione dell'importanza degli interessi che essa tende a tutelare: per la consumazione della strage, è, quindi, sufficiente che il colpevole compia atti dotati dell'idoneità a cagionare una situazione di concreto pericolo per il bene tutelato (Cass. I, n. 11394/1991). In accoglimento del principio, la giurisprudenza ha anche successivamente ritenuto che, in tema di strage, deve escludersi la configurabilità del tentativo, trattandosi di reato istantaneo per la cui consumazione è sufficiente che l'agente abbia esposto a concreto pericolo l'incolumità di più persone, a prescindere dalla verificazione di uno o più eventi letali (Cass. II, n. 7835/2019: nel caso di specie, la S.C. ha escluso che potesse qualificarsi come desistenza volontaria la condotta del ricorrente che, due ore dopo aver volontariamente determinato una fuoriuscita di gas nel proprio appartamento ed averne chiuso le finestre, aveva allertato un amico). Forme di manifestazioneCircostanze La morte di uno o più soggetti si configura come circostanza aggravante (Cass. I, n. 16801/2004; Cass. I, n. 1350/1968), ordinariamente “bilanciabile” ex art. 69, in caso di concorso di circostanze eterogenee: il delitto di cui all'art. 422 rientra, pertanto, tra i reati aggravati dall'evento. È ormai superato il risalente orientamento che, valorizzando il significato etimologico del termine «strage» (peraltro presente soltanto in rubrica, e quindi privo di rilievo a fini interpretativi), e la previsione (anch'essa venuta meno) della pena di morte per la strage con più vittime, considerava quest'ultima quale fattispecie tipica, e quella con una vittima o senza vittime quali fattispecie attenuate, ovvero autonome. Concorso di persone Per configurare il concorso nel delitto di strage, si ritiene sufficiente un contributo limitato alla sola fase preparatoria e di organizzazione logistica del reato materialmente commesso da altri concorrenti, non essendo necessario essere informati sull’identità di chi agirà, sulle modalità esecutive della condotta e sull’identità della vittima, purché vi sia la consapevolezza che la propria azione si iscriva in una più ampia progettazione delittuosa, finalizzata alla realizzazione di un omicidio di rilevante impatto sul territorio (così, da ultimo, Cass. V, n. 40274/2021: fattispecie riguardante la c.d. “strage di via D'Amelio”, in relazione alla quale è stata ritenuta la responsabilità dell'imputato in concorso per aver procurato, dopo specifica e mirata ricerca, una autovettura rubata e targhe false, nonché la strumentazione indispensabile per collegare i dispositivi destinati a provocare l'esplosione, nella consapevolezza di contribuire, sia pure nella fase preparatoria, ad un attentato dinamitardo nella pubblica via). In applicazione del principio, Cass. I, n. 25846/2016, relativa ad una strage mafiosa, ha ritenuto responsabilità a titolo di concorso l’imputato che aveva svolto il ruolo di autista del capocosca ― organizzatore della strage ―, accompagnandolo in due sopralluoghi sul posto del delitto, e gli aveva offerto ospitalità, nella consapevolezza che stava preparando un attentato eclatante. Secondo una giurisprudenza, la mera appartenenza all'organismo centrale di un'organizzazione criminale di tipo mafioso, investita del potere di deliberare in ordine alla commissione dei cosiddetti "omicidi eccellenti", pur costituendo un indizio rilevante, non ha, tuttavia, valenza dimostrativa univoca del contributo di ciascuno dei componenti alla realizzazione del reato-fine, essendo necessario che ciascuno di questi, informato in ordine alla delibera da assumere, presti il proprio consenso, anche tacito, alla pianificazione dello specifico reato (Cass. V, n. 40274/2021: applicazione riguardante "cosa nostra", ed in particolare la c.d. “strage di via D'Amelio”, in un caso nel quale la partecipazione morale all'attentato stragista dell'imputato, appartenente all'organismo di vertice dell'associazione criminale, era stata desunta dall'adesione silente prestata al momento deliberativo della strage da parte della "Commissione di fine anno"). Concorso c.d. “anomalo” È stata ritenuta la configurabilità del c.d. «concorso anomalo» (art. 116) in un caso concernente il concorso in una strage (realizzata provocando il deragliamento di un treno mediante cariche esplosive) contestato ad un soggetto che aveva genericamente concordato con i correi azioni dimostrative consistenti in attentati a mezzi di trasporto o ad elettrodotti (Cass. VI, n. 7388/2005: la S.C. ha osservato che la norma di cui all’art. 116 si applica anche quando l’agente, pur non avendo previsto la commissione del diverso illecito da parte dei concorrenti, avrebbe potuto rappresentarsene l’eventualità se, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, avesse fatto uso della dovuta diligenza; in applicazione del principio, è stata annullata la sentenza assolutoria fondata sulla carenza di prova che l’imputato avesse maturato una qualche “volizione, conoscenza, accettazione o ipotizzazione di una strage). Al contrario, non è configurabile alcun collegamento tra il delitto di rapina (art. 628) e quello di strage, poiché quest’ultimo costituisce non “logico sviluppo” del primo, bensì sviluppo del tutto eccezionale rispetto ad esso, come tale non logicamente prevedibile (Cass. I, 8350/1984). Rapporti con altri reatiLa strage è un reato sussidiario, essendo previsto e punito «fuori dei casi preveduti dall'art. 285». Strage “politica” La strage politica (art. 285) si differenzia da quella comune soltanto per essere caratterizzata, rispetto alla seconda, dall'ulteriore dolo c.d. “subspecifico” (o fine — motivo), consistente nell'essere la condotta finalizzata a recare offesa alla personalità dello Stato; quanto ai restanti elementi costitutivi (materialità ed elemento psicologico, consistente nel fine di uccidere) le due fattispecie sono identiche (Cass. I, n. 4932/1986). In concreto, la strage è reato comune (contro la pubblica incolumità) se l'agente non abbia avuto altro fine che quello di uccidere private persone; diventa reato speciale politico (contro la personalità dello Stato) se l'intento dell'agente sia stato quello di provocare un evento la cui estrema gravità si ripercuota sull'intera compagine statale, ledendo la personalità dello Stato. L'attentato compiuto contro la sede di un partito politico, non integra il delitto di strage politica, bensì quello di strage comune: nonostante il fatto che l'art. 49 Cost. considera i partiti politici come strumenti per realizzare il diritto dei cittadini di concorrere, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale, poiché i predetti organismi non possono identificarsi, istituzionalmente, con la personalità dello Stato, né con alcuna delle sue articolazioni, anche se l'art. 49 Cost. li prevede come strumenti per realizzare il diritto dei cittadini di concorrere, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale (Cass. I, n. 4932/1986, per la quale, inoltre, la riconosciuta natura eversiva di un'associazione — nel caso di specie si trattava di “Ordine nero” — non è di per sé sufficiente a trasformare una strage comune in strage politica ex art. 285). Violenza contro privati nemici Il reato di violenza di militari italiani contro privati nemici (art. 185 c.p. mil. g.) ha gli stessi elementi costitutivi della strage, dalla quale si differenzia solo per la presenza di taluni elementi specializzanti, ovvero quanto al soggetto attivo (che deve essere un militare) ed al compimento del fatto per cause non estranee alla guerra (Cass. I, n. 4060/2008: in applicazione del principio, si è ritenuto che, ai fini dell'acquisizione di deposizioni testimoniali all'estero a mezzo di rogatoria internazionale, nell'ambito di un procedimento per il reato di cui all'art. 185 c.p.m.g., è corretta l'effettuazione della rogatoria con le forme prescritte dalla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, ratificata e resa esecutiva nel nostro Stato con l. 23 febbraio 1961, n. 215, risultando inoperante la clausola di esclusione stabilita dall'art. 1, comma 2, della predetta Convenzione con riferimento ai reati militari che non costituiscano anche reati di diritto comune). Concorso di reatiDevastazione Il delitto di devastazione (art. 419 c.p.) può concorrere con quello di strage, non sussistendo tra i due alcun rapporto di specialità (Cass. I, n. 9520/2020: la S.C. ha precisato che diversi sono i beni giuridici protetti dalle rispettive norme incriminatrici, le condotte di aggressione agli stessi e l'elemento soggettivo, in quanto, con riferimento alla devastazione, il bene giuridico si identifica con l'ordine pubblico, la condotta consiste in atti di violenza contro beni patrimoniali e l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, mentre, con riferimento alla strage, il bene giuridico si identifica con l'incolumità pubblica, la condotta consiste in atti di violenza contro la persona e l'elemento soggettivo è integrato dal dolo specifico di uccidere). Incendio Cfr. sub art. 423. Omicidio Cfr. sub art. 575. Successione di leggi nel tempo e prescrizioneLa giurisprudenza ha, di recente, osservato che l'art. 7, § 2, CEDU (secondo cui il principio di irretroattività della legge incriminatrice non opera per i crimini contro l'umanità che offendono interessi transnazionali), impone di ritenere non applicabile al delitto di strage la regola della adozione della norma più favorevole sulla prescrizione in caso di successione di norme nel tempo: ne consegue che, avuto riguardo all'attuale disciplina in tema di reati puniti con la pena astratta dell'ergastolo dall'art. 157, la regola della imprescrittibilità va applicata anche ai fatti di strage commessi anteriormente alla modifica intervenuta con la l. 5 dicembre 2005, n. 251 (Cass. II, n. 15107/2016). CasisticaLa responsabilità del capo dell'associazione mafiosa per la strage commessa dai sodali Il soggetto in posizione verticistica (nel caso di specie, “capo-famiglia”) nell'ambito di una associazione per delinquere di tipo mafioso, non è, per ciò solo, responsabile, a titolo di concorso, nel reato-fine «eccellente» di strage commesso da alcuni sodali, qualora, pur essendo al corrente dei progetti in corso e del coinvolgimento operativo di soggetti appartenenti al sodalizio, non abbia prestato fattiva e concreta collaborazione nell'organizzazione e gestione del reato, decisa dalla struttura di vertice del sodalizio criminale, poiché il non essersi attivato per impedire la realizzazione del reato (non essendovi tenuto ex art. 40, comma 2) non può essere considerato equivalente all'avere prestato il proprio consenso ad essa, né all'averla ordinata (Cass. VI, n. 8929/2015). Al contrario, sussiste la responsabilità del soggetto in posizione verticistica (nel caso di specie, “capo mandamento della provincia”), a titolo di concorso, nel reato-fine «eccellente» di strage commesso da alcuni sodali, pur in difetto della prova della sua partecipazione alle riunioni della “commissione” in cui si sia deliberato il delitto, qualora egli, nella indicata qualità, fosse membro della predetta «commissione», e personalmente legato ai soggetti che, all'epoca dei fatti, controllavano le decisioni di essa, ed il delitto sia stato eseguito nel territorio appartenente al mandamento di cui egli aveva il controllo (Cass. V, n. 7660/2007: la S.C. ha anche osservato che, in concreto, la consapevolezza del “capo mandamento” era anche desumibile dal fatto che egli era a conoscenza del luogo del delitto per averlo annotato su una cartina stradale, era risultato ivi presente immediatamente prima della sua commissione, e ne aveva avvertito il capo del mandamento vicino). Con riguardo a fattispecie analoga, ma in riferimento al subprocedimento cautelare, si è ritenuto che l'accertata esistenza di una regola interna al sodalizio (pur definita «indefettibile» ed «inderogabile»), in base alla quale sarebbe stato obbligatorio far conoscere ai «capi mandamento» in stato di detenzione gli argomenti sui quali avrebbe dovuto deliberare l'organo di vertice costituito dalla cosiddetta «commissione provinciale», non esime dalla necessità di verificare, ai fini della configurabilità o meno, a carico dei suddetti “capi mandamento”, dei gravi indizi di colpevolezza (richiesti dall'art. 273, comma 1, c.p.p.), in ordine a singoli delitti decisi dalla medesima «commissione», se la detta regola sia stata, in concreto, osservata o no; in difetto, può, quindi, configurarsi un vizio di motivazione censurabile in sede di legittimità (Cass. I, n. 3584/1994: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato con rinvio la decisione del Tribunale del riesame che aveva confermato la valutazione di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di un soggetto, qualificato come «capo mandamento della mafia palermitana”, al quale, sulla sola base della »regola« anzidetta, era stato addebitato il concorso nella c.d. »strage di Capaci", in cui avevano trovato la morte i giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, e tre agenti di scorta). Altre applicazioni Integrano gli estremi del delitto di strage: a) l'invio di una bottiglia contenente liquido avvelenato, suscettibile di essere ingerito, oltre che dal destinatario, anche da altre persone (Cass. I, n. 1350/1968); b) l'esplosione di un'autovettura imbottita di tritolo, posteggiata nei pressi di un'abitazione (Cass. I, n. 33459/2001). Diritto penitenziarioLa concessione dei permessi premio al condannato per il delitto di strage, nel quale sia rimasto assorbito il delitto di omicidio volontario (art. 575), è subordinata alla condizione che sia espiata almeno metà della pena, poiché l'omicidio, anche se assorbito, rientra tra i reati indicati dall'art. 4-bis l. n. 354/1975 (ordinamento penitenziario), richiamati dall'art. 30-ter stessa legge ai fini delle restrizioni in tema di concedibilità del menzionato beneficio ai condannati maggiorenni (Cass. I, n. 8704/2012). Profili processualiGli istituti La strage è reato procedibile d'ufficio, e di competenza della Corte d'assise. Per la strage: a) è possibile disporre intercettazioni; b) sono consentiti arresto in flagranza e fermo; c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. L'interesse ad impugnare In passato è stata riconosciuta l'esistenza dell'interesse dell'imputato, assolto dal reato di strage per insufficienza di prove, ad impugnare la decisione assolutoria, tutte le volte in cui dalla modifica del provvedimento impugnato potesse derivare l'eliminazione di un qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che invoca il riesame della decisione, e quindi anche per evitare il consolidarsi di un pregiudizio di carattere esclusivamente morale, che ben potrebbe essere espresso dall'opinione pubblica o dalla coscienza sociale tutte le volte in cui l'assoluzione dall'accusa di partecipazione ad una strage (che esprime un rilevante contenuto di disvalore morale e sociale) consegua non già al positivo ed effettivo accertamento dell'estraneità dell'accusato, bensì a valutazioni che esprimono dubbi ed incertezze (Cass. V, n. 7961/1990). Deve, per completezza, ricordarsi che la giurisprudenza successiva (per tutte, Cass. V, n. 49580/2014) è ormai consolidata nel ritenere, in generale, che non sussiste l'interesse dell'imputato a proporre impugnazione avverso la sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, pronunciata ex art. 530, comma 2, c.p.p., in quanto tale formulazione non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria né segnala residue perplessità sull'innocenza dell'imputato, né spiega minore valenza con riferimento ai giudizi civili (come desumibile dal tenore letterale degli art. 652 e 654 c.p.p.); pertanto, essa non può in alcun modo essere equiparata all'assoluzione per insufficienza di prove prevista dal previgente codice di rito. BibliografiaBeltrani, Il delitto tentato. Parte generale e parte speciale, Padova, 2003; S. Ferrari, Sul delitto di strage, in Giur. it. 2005, 2380; A. Gargani, Reati contro l'incolumità pubblica, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, diretto da Grosso-Padovani-Pagliaro, IX, t. 1, 1, Milano, 2008. |