Codice Penale art. 438 - Epidemia.

Marco dell'Utri
Sergio Beltrani

Epidemia.

[I]. Chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l'ergastolo [448, 452].

[II]. Se dal fatto deriva la morte di più persone, si applica la pena [di morte] (1).

(1) Per i delitti previsti nel codice penale e in altre leggi diverse da quelle militari di guerra, la pena di morte è stata soppressa e sostituita con l'ergastolo: d.lg.lt. 10 agosto 1944, n. 224 e d.lg. 22 gennaio 1948, n. 21. Per i delitti previsti dalle leggi militari di guerra, la pena di morte è stata abolita e sostituita con quella «massima prevista dal codice penale» (l. 13 ottobre 1994, n. 589). V. ora anche art. 27 4 Cost., come modificato dall'art. 1, l. cost. 2 ottobre 2007, n. 1. V. inoltre la l. 15 ottobre 2008 n. 179, di ratifica del Protocollo n. 13 del 3 maggio 2002 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali, relativo all'abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza.

competenza: Corte d'Assise

arresto: obbligatorio

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Il reato in esame punisce la condotta del soggetto che, mediante la diffusione di germi patogeni, causa un'epidemia, in tal modo determinando un pericolo per la sicurezza della vita, dell'integrità fisica o della salute di un numero indeterminato di persone.

Nel caso in cui dal fatto derivi la morte di più persone è applicata la pena dell'ergastolo, in luogo della pena capitale prevista dal testo originario del codice penale.

Soggetti

Soggetto attivo

Il delitto di epidemia può essere commesso da chiunque.

Bene giuridico

Il reato in esame (sconosciuto al codice Zanardelli e introdotto dal legislatore del '30 in relazione alle incrementate possibilità, in forza degli sviluppi della ricerca scientifica, di procurarsi colture di germi patogeni e di diffonderli: Fiandaca e Musco, 537) tutela (quale bene giuridico) la salute pubblica (Ardizzone, 253), atteso che l'epidemia, ancorché danneggi i soli soggetti colpiti, deve ritenersi fonte di minaccia di possibili danni ulteriori, tali da coinvolgere un numero indeterminato di persone non ancora aggredite: proprio tale particolare diffusività e incontrollabilità del fenomeno epidemico giustifica la gravità reato e il rigore del trattamento sanzionatorio (Fiandaca e Musco, 537).

Con specifico riguardo all'epidemia, dunque, la tutela della salute pubblica esprime l'esigenza che il contagio di malattie infettive, che abbia già interessato un certo numero di individui, non ne colpisca altri in modo da incrinare la sicurezza delle condizioni di salute della collettività (Ardizzone, 253).

La nozione di salute pubblica (bene di rilevanza costituzionale: art. 32 Cost.) ha ricevuto diverse interpretazioni. Taluni autori (in coerenza alle indicazioni della scienza medica) attribuiscono al termine salute un significato particolarmente ampio, che s'identifica con un completo stato di benessere e di equilibrio psico-fisico-ambientale, ossia di armonico equilibrio delle funzioni fisiche e mentali. Si tratta di una definizione che, non risolvendosi nel mero rilievo dell'assenza di malattia, valorizza gli squilibri e le disarmonie organiche che non si traducono in veri e propri stati patologici nosograficamente classificabili (Rodriguez, Introna, 194; Zagnoni, 47; Sossi, 396; Azzali, 25; Amelio, 37). Secondo una diversa interpretazione, viceversa, la nozione di salute pubblica, declinata nella prospettiva del codice penale, atterrebbe esclusivamente ai fattori idonei a provocare un'infermità o una malattia, ovvero ogni morbo o trauma suscettibile di turbare in modo rilevante l'equilibrio anatomico-funzionale o psichico della persona umana (Piccinino (1), 36. V. anche Piccinino (2), 7).

Si discute se il delitto in esame integri una fattispecie di reato di danno concreto per la salute pubblica (Patalano, 194; Piccinino (1), 255), ovvero di pericolo concreto connesso all'idoneità diffusiva del male propria dell'epidemia (Ardizzone, 254; Nappi, 651).

Secondo un primo orientamento, la lesione della salute pubblica deve concretizzarsi in un effettivo danno consistente nella diffusione di determinate malattie, trattandosi di un reato di danno concreto per la salute pubblica (Riondato, 1097; Patalano, 194; Piccinino, 255). Parte della dottrina ritiene, tuttavia, che si tratti di reato di pericolo concreto, in quanto il pericolo connesso alla diffusività del male caratterizza l'epidemia (oltre ai già citati Ardizzone, 254, e Nappi, v. anche D'alessandro, 179, secondo cui non è possibile parlare di epidemia in assenza di una minaccia concreta per una collettività indeterminata di persone). A ciò si obietta che oltre al pericolo, e prima di esso, è il danno che caratterizzala fattispecie in esame, mentre il pericolo per la salute pubblica costituisce, da un lato, una fase intermedia necessaria nella progressiva realizzazione del reato, configurandosi come pericolo concreto – rilevante ai fini dell'integrazione del tentativo – e, dall'altro lato, un effetto eventuale del delitto in relazione all'ulteriore capacità espansiva e diffusiva dell'epidemia (Riondato, 1097). La diffusività della malattia induce peraltro qualche autore ad individuare una presunzione assoluta di pericolo, in considerazione anche della collocazione della norma tra i delitti di comune pericolo (Erra, 47; contraNappi, 651, il quale osserva che se l'epidemia richiede la diffusività della malattia, senza pericolo non vi è epidemia: non di presunzione si tratta, quindi, ma di implicazione logica di un concetto nell'altro).

Materialità

Modalità della condotta

La condotta che integra il reato in commento consiste diffondere germi patogeni in modo da causare un'epidemia.

La diffusione dei germi patogeni può avvenire in qualunque modo, ossia attraverso lo spargimento in terra, in acqua o in aria, in sostanze alimentari, in luoghi chiusi o aperti, liberazione di animali infetti, messa in circolazione di portatori di germi o di cose provenienti da malati, inoculazione di germi a determinati individui, scarico di rifiuti in acqua, ecc. (Battaglini, Bruno, 558; Dinacci, 222; Piccinino (1), 121).

Per germi patogeni s'intendono i microrganismi di qualsiasi specie, idonei a cagionare o trasmettere un morbo capace di diffondersi (virus, bacilli, protozoi, ecc.).

Si definisce epidemia, non una qualunque malattia infettiva contagiosa, ma soltanto quella suscettibile di diffondersi nella popolazione in misura tale da aggredire, in uno stesso contesto di tempo, un numero rilevante di persone con carattere di straordinarietà (ad es. peste, colera, vaiolo, ecc.), non essendo peraltro sufficiente l'ammalarsi contemporaneo di più persone, essendo necessario anche il pericolo di un'ulteriore diffusione del male (Fiandaca e Musco, 538; Erra, 47). In questa prospettiva si è escluso che possa integrare il delitto in esame la causazione di un focolaio epidemico, ove la malattia si manifesti in ambiente ristretto e rimanga localizzata (Battaglini, Bruno, 559; Piccinino (1), 258).

In termini meno restrittivi, si parla di epidemia con riferimento alle malattie infettive che, sviluppatesi in maniera più o meno brusca, colpiscono gruppi rilevanti della popolazione, per poi attenuarsi più o meno rapidamente dopo aver compiuto il proprio corso (Piccinino (1), 124; Battaglini, Bruno, 559).

Dall'epidemia dev'essere tenuta distinta l'endemia, in quanto la prima deriva da una causa accidentale e la seconda da una causa abituale, costante o periodica per la quale la malattia si ripete costantemente in un determinato territorio con poche diffusioni di variazioni da un ciclo all'altro (Riondato, 1098).

Le malattie infettive causate dalla diffusione di germi patogeni sono dunque le malattie in diretto rapporto eziologico con la trasmissione di batteri, virus o determinati protozoi (Piccinino (1), 118), non rilevando la distinzione tra microrganismi patogeni e carica batterica, mentre il reato deve escludersi nel caso di malattia parassitaria (Piccinino (1), 118; v. altresì Battaglini, Bruno, 558, che nella locuzione germi patogeni include tutti i microorganismi capaci di produrre malattie infettive; Ardizzone, 252, che annovera nella categoria dei germi patogeni i protozoi per la leishmaniosi o la malaria, miceti per le fungosi, batteri, cocchi, virus, ecc. Sulla possibilità di ravvisare, a determinate condizioni, l'epidemia in relazione a condotte di diffusione del virus Hiv che produce la malattia denominata Aids, v. Ardizzone, 252; sulla possibile configurazione del delitto di epidemia, a fronte di un numero rilevante di soggetti contagiati, in relazione alla vendita per la commercializzazione sul mercato e il successivo consumo di carni infettate dal morbo di Creutzfeldt — Jacobs, v. Stolfi, 3946).

La norma in esame reprime solamente la procurata diffusione di malattie umane: ove si tratti di malattie epidemiche ai danni degli animali o delle piante, può subentrare l'applicazione dell'art. 500 (“diffusione di una malattia delle piante o degli animali”) (Mazza, Riondato, 49. Secondo Ardizzone, 252, se la diffusione delle malattie alle piante o agli animali per la propagazione dei germi patogeni colpisce anche le persone, determinandosi così un pericolo per la salute di un indeterminato numero di individui, troverà applicazione l'art. 438).

Forma della condotta

Il reato in esame è un reato a forma vincolata, nel senso che vale a integrarlo la causazione di un'epidemia mediante la sola attività diffusione di agenti patogeni (Ardizzone, 251). Secondo una diversa lettura, il reato sarebbe a forma libera, attiva od omissiva, essendo vincolato solo il mezzo della diffusione dalle specifiche caratteristiche dell'evento morboso (Riondato, 1097).

La diffusione può avvenire tramite spargimento in terra, acqua, aria, ambienti e luoghi di ogni tipo, di germi patogeni idonei; liberazione di animali infetti; messa in circolazione di portatori di germi o di cose provenienti da malati; inoculazione di germi a determinati individui; scarico di rifiuti in acqua ecc. (Battaglini, Bruno, 558; Dinacci, 222; Piccinino, 121).

Natura della condotta

Le condotte dirette a integrare la fattispecie criminosa di epidemia possono essere tanto attive, quanto omissive: in tal ultimo caso, ai sensi dell'art. 40, comma 2, il reo risponde del delitto di epidemia là dove, avendone l'obbligo giuridico, abbia consapevolmente e volontariamente omesso di impedire la verificazione della diffusione degli agenti patogeni con la conseguente epidemia.

La giurisprudenza prevalente, tuttavia, ritiene che, in tema di delitto di epidemia colposa, non sia configurabile la responsabilità a titolo di omissione in quanto l'art. 438 c.p., con la locuzione "mediante la diffusione di germi patogeni", richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell'art. 40, comma 2, c.p., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera (Cass., IV, n. 1933/2017).

Evento

Il reato di epidemia è un reato di evento, consistente, secondo la giurisprudenza, nell’insorgere di una malattia contagiosa che, per la sua spiccata diffusività, si presenta in grado di infettare, nel medesimo tempo e nello stesso luogo, una moltitudine di destinatari, recando con sé, in ragione della capacità di ulteriore espansione e di agevole propagazione, il pericolo di contaminare una porzione ancor più vasta di popolazione; ne consegue che le forme di contagio per contatto fisico tra agente e vittima, sebbene di per sé non estranee alla nozione di «diffusione di agenti patogeni» di cui all'art. 438, non costituiscono, di regola, antecedenti causali di detto fenomeno (Cass. I, n. 48014/2019: in applicazione del principio, la S.C. ha escluso che integrasse gli estremi del delitto in parola la condotta dell'imputato che aveva consapevolmente trasmesso il virus dell'HIV, da cui era affetto, ad una trentina di donne con le quali avuto rapporti sessuali non protetti nel corso di un periodo di nove anni, rilevando come il numero cospicuo, ma non ingente, delle stesse e l'ampiezza dell'arco temporale in cui si era verificato il contagio, unitamente al numero altrettanto cospicuo di donne che, pur congiuntesi senza protezione con l'imputato, non era rimasto infettato, deponesse per il difetto della connotazione fondamentale del fenomeno epidemico della facile trasmissibilità della malattia ad un numero potenzialmente sempre più elevato di persone).

In dottrina si è correlativamente affermato che deve escludersi che possa integrare il delitto in esame la causazione di un focolaio epidemico, ove la malattia si manifesti in ambiente ristretto e rimanga localizzata, come per esempio in una comunità familiare (Battaglini, Bruno, 559; Piccinino, 258).

Elemento soggettivo

Il dolo

Il delitto in esame richiede il dolo generico, ossia la coscienza e volontà di dar vita, mediante le modalità strumentali indicate dal legislatore, a un'epidemia: ne deriva la necessaria consapevolezza, da parte dell'agente, dell'efficacia patogenetica dei germi diffusi.

Accanto al dolo intenzionale e configurabile anche il dolo eventuale (Fiandaca e Musco, 538; contra Battaglini, Bruno, 48, sul presupposto che la norma richiede l'intenzione di cagionare l'epidemia, ovvero il fine di provocarla).

Non si rinvengono precedenti giurisprudenziali per il delitto di epidemia dolosa; le poche sentenze rese in relazione al delitto in commento riguardando il delitto di epidemia colposa.

La colpa

Per l'esame del reato in forma colposa v. art. 452.

Consumazione e tentativo

Consumazione

Il reato di epidemia si consuma nel momento in cui si verifica l'epidemia.

Tentativo

È ammissibile il tentativo di epidemia, che consiste nel compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco alla provocazione di un'epidemia mediante lo spargimento di germi patogeni.

In particolare, il tentativo è configurabile qualora si sia avuta diffusione di germi patogeni senza che sia derivata l'epidemia, o se il contagio si sia arrestato a pochi casi (Ardizzone, 254). L'idoneità degli atti compiuti deve essere valutata sia in relazione alla qualità dei germi diffusi sia alle modalità della diffusione (Battaglini, Bruno, 559; Erra, 48).

Forme di manifestazione

 

Circostanze

La verificazione della morte di più persone integra una circostanza aggravante (da ritenersi priva di rilevanza pratica a seguito dell’abolizione della pena di morte: Fiandaca e Musco, 538; Erra, 47). Peraltro, non determinando alcun concreto aggravamento della pena potrebbe ravvisarsi nel fatto l’evento relativo a una fattispecie autonoma di reato di danno (Zuccalà, 229).

Profili processuali

Gli istituti

Il reato di epidemia è reato procedibile d'ufficio e di competenza della Corte d'Assise.

Per tale reato:

a) l' arresto in flagranza è obbligatorio;

b) il fermo è consentito;

c) l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali è consentita.

Le misure di prevenzione

V. sub art. 423.

Emergenza COVID-19

L’art. 4, comma 6, d.l. n. 19 del 2020 dispone che, salvo che il fatto costituisca violazione dell'articolo 452  del codice penale o comunque più grave reato, la violazione della misura di cui all'articolo 1, comma  2,  lettera  e) (“divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus”),  è  punita  ai  sensi dell'articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934,  n.  1265,  Testo unico delle leggi sanitarie, come modificato dal comma 7, il cui trattamento sanzionatorio è stato inasprito dal successivo comma 7 (le parole «con  l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda da lire 40.000 a lire  800.000»  sono sostituite dalle seguenti: «con l'arresto da 3 mesi e  con l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000»). Ai sensi dell’art. 25 c.p., in difetto di una diversa specificazione, la misura massima della pena dell’arresto è pari ad anni tre.

La disposizione è stata convertita, senza modificazioni, dalla legge n. 35/2020.

Bibliografia

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