Codice Penale art. 473 - Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (1).

Francesca Romana Fulvi

Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (1).

[I]. Chiunque, potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.500 a euro 25.000.

[II]. Soggiace alla pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 3.500 a euro 35.000 chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati.

[III]. I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.

(1) Articolo sostituito dall'art. 15, comma 1, della l. 23 luglio 2009, n. 99. Il testo precedente recitava: «Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti industriali - [I]. Chiunque contraffà o altera i marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere dell'ingegno o dei prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 2.065 euro. [II]. Alla stessa pena soggiace chi contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati. [III]. Le disposizioni precedenti si applicano sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale». In tema di destinazione di beni sequestrati o confiscati nel corso di operazioni di polizia giudiziaria per la repressione di reati di cui al presente articolo, v. il successivo art. 16 della citata legge, che così dispone: «?1. I beni mobili iscritti in pubblici registri, le navi, le imbarcazioni, i natanti e gli aeromobili sequestrati nel corso di operazioni di polizia giudiziaria per la repressione di reati di cui agli articoli 473, 474, 517-ter e 517-quater del codice penale sono affidati dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi di polizia che ne facciano richiesta per essere utilizzati in attività di polizia ovvero possono essere affidati ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici non economici, per finalità di giustizia, di protezione civile o di tutela ambientale. – 2. Gli oneri relativi alla gestione dei beni e all'assicurazione obbligatoria dei veicoli, dei natanti e degli aeromobili sono a carico dell'ufficio o comando usuario. – 3. Nel caso in cui non vi sia alcuna istanza di affidamento in custodia giudiziale ai sensi del comma 1, l'autorità giudiziaria competente dispone la distruzione dei beni sequestrati secondo le modalità indicate all'articolo 83 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. In caso di distruzione, la cancellazione dei veicoli dai pubblici registri è eseguita in esenzione da qualsiasi tributo o diritto. – 4. I beni mobili di cui al comma 1, acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca, sono assegnati, a richiesta, agli organi o enti che ne hanno avuto l'uso. Qualora tali enti od organi non presentino richiesta di assegnazione, i beni sono distrutti ai sensi del comma 3. – 5. Per quanto non disposto dai commi 1, 2, 3 e 4 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 301-bis del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 1973, n. 43?». In tema di responsabilità amministrativa degli enti, v. l'art. 25-bis d.ls. 8 giugno 2001, n. 231.

competenza: Trib. monocratico

arresto: non consentito (primo comma, salva l'ipotesi di cui all'art. 474 ter c.p.); facoltativo (secondo comma)

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita (salva l’ipotesi di cui all’art. 474 ter c.p.)

altre misure cautelari personali: non consentite (primo comma, salva l'ipotesi di cui all'art. 474 ter c.p.); consentite (secondo comma)

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Il delitto in analisi è stato oggetto di riformulazione ad opera dell'art. 15 comma 1 lett. a) l. 23 luglio 2009, n. 99 recante “Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”. Le condotte di contraffazione, alterazione e uso, punite al primo e secondo comma sono rimaste invariate, ma è stato eliminato il riferimento alle opere dell'ingegno, che sono tutelate dagli artt. 171 e 171-ter l. 22 aprile 1941, n. 633. In apertura della norma contenuta nel comma 1, inoltre, è stato inserito l’inciso ai sensi del quale è richiesto che l’autore del fatto possa conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale. In merito al profilo sanzionatorio la pena della fattispecie contemplata al comma 1 (reclusione da sei mesi a tre anni e multa da euro 2.500 a euro 25.000) è stata distinta da quella irrogata al comma due (reclusione da uno a quattro anni e multa da euro 3.500 a euro 35.000) ed entrambe sono state aumentate rispetto alla precedente previsione. È stata, infine, inserita, al comma 3 della norma, la disposizione — già presente con una diversa formulazione nel previgente art. 473 comma 3 — che subordina la punibilità dei delitti in esame alla condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale. Il delitto consiste nel fatto di chi potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, o di chi, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, o, ancora, di chi contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati. Il delitto de quo, inoltre, è incluso nel catalogo dei reati dalla cui commissione può scaturire in capo agli enti l’applicazione di sanzioni pecuniarie, nonché della sanzione interdittiva per una durata non superiore ad un anno, in forza dell'art. 25-bis comma 1 e 2 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (in particolare, l'art. 25-bis comma 1 lett. f-bis) prevede proprio per il delitto di cui all'art. 473 la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote).

Bene giuridico

Gli artt. 473 e 474 sono stati inseriti tra i delitti contro la fede pubblica a seguito del riconoscimento della tradizionale funzione del marchio quale fattore identificativo della fonte di provenienza del prodotto. Di conseguenza l'interesse tutelato s'individua nel bene di categoria fede pubblica (cfr. sub art. 453 e sub art. 467) ovvero nella fiducia del pubblico dei consumatori nella genuinità dei segni distintivi delle opere dell'ingegno e dei prodotti industriali (Marinucci, 1962, 66 ss. e 113 ss.). Secondo questo orientamento il profilo offensivo rilevante è quello pubblicistico, riferibile al pregiudizio per l'affidamento che il pubblico ripone nella funzione distintiva del marchio (Manzini, VI, 656; Cass. II, n. 6418/1998).

Recentemente la Cassazione ha affermato che l'interesse giuridico tutelato dall'art. 473 e dall'art. 474 c.p. è la “pubblica fede” in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell'ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non l'affidamento del singolo (Cass. V, n. 18289/2016).

Soggetti

Soggetto attivo

L’art. 473 prevede due reati comuni, che possono essere commessi da “chiunque”. Può essere autore dei delitti anche il pubblico ufficiale che agisce nell’esercizio delle sue funzioni (ad es. l’appartenente all’Ufficio centrale brevetti cui sia attribuibile tale qualifica che formi un brevetto falso ovvero ne alteri uno vero).

Soggetto passivo

Cfr. sub art. 453.

Elemento oggettivo

L'art. 473 costituisce una disposizione a più norme, perché prevede due diversi reati: il primo relativo alla falsificazione di marchi o segni distintivi dei prodotti industriali (comma 1), il secondo relativo alla falsificazione di brevetti, disegni o modelli industriali (comma 2). L'elencazione è da considerarsi tassativa (Manzini, VI, 657).

Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi. Oggetto materiale

L'oggetto materiale della condotta sono i marchi e i segni distintivi, nazionali o esteri, dei prodotti industriali che vengono registrati e non gli strumenti (punzone, stampo, cliché, ecc.) necessari per riprodurre il segno. A seguito dell'intervento di riforma operato con la l. n. 99/2009 l'oggetto materiale è stato ridimensionato perché non ricomprende più i segni distintivi delle opere dell'ingegno (Alessandri, 451).

Il marchio è quel segno suscettibile di essere rappresentato graficamente e idoneo a consentire al pubblico di distinguere prodotti o servizi di un'impresa da ogni altro prodotto della medesima specie, come le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre o le figure, i suoni, la forma del prodotto o della confezione, le combinazioni o le tonalità cromatiche (secondo la definizione contenuta negli artt. 7 ss. d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30). I c.d. marchi di forma o marchi tridimensionali, costituiti dalla forma di un contenitore, dalla forma conferita ad un prodotto naturalmente amorfo, dal disegno con cui il prodotto è realizzato, rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 473 solo a condizione che la forma o la confezione del prodotto svolga essenzialmente o prevalentemente una funzione distintiva (ad es. le bottiglie della Coca Cola o i tessuti Vuitton, Gucci, Burberrys). Ne sono, invece, esclusi quando sono strettamente interconnessi alle caratteristiche e alle forme usuali del prodotto e, perciò, privi di carattere distintivo (Antonini, 346; Cass. II, n. 13396/2011).

La nozione di segni distintivi è, invece, controversa. Secondo un'impostazione minoritaria ricomprende l'intero genus dei segni distintivi, sia segni tipici come marchi collettivi, denominazioni di origine, ditta, ragione o denominazione sociale, insegna, emblema sia atipici, come lo slogan. In particolare si ritiene che l'espressione indichi tutti i contrassegni dei prodotti industriali diversi dai marchi.

Secondo l'indirizzo dottrinario prevalente, invece, il riferimento ai segni distintivi è inutile in quanto oggetto di tutela dell'art. 473 è solo il marchio registrato (Marinucci, 1967, 656), perché è l'unico a presentare entrambe le caratteristiche della capacità distintiva e della dipendenza dell'efficacia costitutiva del diritto di uso esclusivo dalla procedura di registrazione. Per rientrare nella sfera di tutela della fattispecie incriminatrice questa tipologia di contrassegni deve riferirsi a prodotti industriali, cioè a tutti i risultati dell'attività imprenditoriale destinata ad essere messa a disposizione dei consumatori (Alessandri, 439).

Non rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 473:

a) i marchi collettivi e le denominazioni di origine e di provenienza, poiché si ritiene che si tratti di figure non aggredibili con la contraffazione o alterazione, cioè con il falso materiale, che ha ad oggetto i segni che distinguono, e non quelli che attestano una qualità comune (Alessandri, 439). Tale orientamento è stato confermato dalla l. n. 99/2009 che ha previsto una specifica tutela penale per la denominazione collettiva d'origine protetta (d.o.p.), la cui contraffazione e alterazione è ora sanzionata dall'art. 517-quater (mentre l'indicazione geografica protetta - i.g.p. - è regolamentate dagli artt. 29 ss. d.lgs. n. 30/2005).

b) la ditta, la ragione o la denominazione sociale, l'insegna e l'emblema, perché l'acquisto del diritto di utilizzo non dipende dal rispetto di quella procedura di registrazione cui è subordinata la protezione penalistica ex art. 473 (Alessandri, 439).

Ai sensi del comma 3 dell'art. 473 la tutela penale dei marchi è circoscritta a quelli per i quali sono state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale, o, a seguito della modifica introdotta dalla l. n. 99/2009, dei regolamenti comunitari. Il significato della clausola è interpretato come rinvio alle norme che disciplinano il procedimento di registrazione dei marchi, per cui la registrazione viene considerata un presupposto della condotta.

La giurisprudenza ha precisato, inoltre, che il richiamo all'osservanza delle leggi interne o delle convenzioni internazionali operato dall'art. 473 comma 3 si riferisce esclusivamente alla disciplina della proprietà intellettuale e industriale, mentre non hanno alcun rilievo le diverse normative che eventualmente intervengano sulla fabbricazione del prodotto o sui segni che possono essere imposti sullo stesso per attestarne o regolarne i trasferimenti.

Secondo l’impostazione prevalente la tutela di cui all’art. 473 va circoscritta ai soli marchi di cui il titolare abbia già acquisito il diritto di uso esclusivo. A tale indirizzo se ne contrappone un altro secondo il quale il procedimento amministrativo di registrazione è un elemento sostanzialmente neutro perché non è in grado di incidere sulla fiducia che i consumatori ripongono nei segni distintivi (Cingari, 2008, 74). Di conseguenza ricadono nell’ambito di applicazione dell’art. 473 anche i casi in cui sia stata presentata domanda di registrazione senza che si sia ancora perfezionato il relativo iter.

La l. n. 99/2009, però, ha introdotto nel corpo del testo dell'art. 473 il requisito della conoscibilità del diritto di privativa industriale.

Tale inserimento comporta che il reato si configura solo a seguito della effettiva registrazione del marchio perché il diritto di esclusiva si acquisisce all'esito della relativa procedura (Cass. V, n. 2932/2021; Cass. V, n. 18289/2016; Cass. V, n. 41891/2013; Cass. V, n. 9340/2012). Un orientamento giurisprudenziale post-riforma, però, continua ad individuare nella presentazione della domanda il dies a quo di decorrenza degli effetti civilistici erga omnes dell'esclusiva e il momento iniziale di tutela penalistica (Cass. n. 55426/2017; Cass. II, n. 4217/2009).

Recentemente la Cassazione ha nuovamente precisato che costituisce presupposto della condotta criminosa la validità del modello o del marchio della cui contraffazione o alterazione si discute per cui il giudice, da un lato dovrà prendere in considerazione eventuali pronunce di inefficacia parziale nonchè decisioni su eventuali domande di nullità dei modelli che, secondo quanto previsto dell' art. 17, paragrafo 1, e 69, paragrafo 3 lettere p), q), r) del Reg. CE n. 2245/2002, devono essere apposte sul relativo certificato di registrazione, dall'altro lato, dovrà verificare l'attuale validità del modello, considerando anche il termine quinquennale previsto dall’art. 37 d.lgs. n. 30/2005, prorogabile per uno o più periodi di cinque anni fino ad un massimo di venticinque anni dalla data di presentazione della domanda di registrazione (Cass. n. 43374/2019).  

Per quanto attiene al profilo probatorio poiché la  l registrazione del marchio è ritenuta un elemento essenziale (un presupposto) per l'integrazione del reato (Alessandri, 439; Manzini, 658; Cass. II, n. 6418/1998) la prova della sua avvenuta registrazione non può essere ritenuta superflua né si può addossare la prova negativa all'imputato (Alessandri, 441; Cass. II, n. 22693/2008).  Al riguardo la Cassazione ha precisato che quando si tratta di un marchio di larghissimo uso e di incontestata utilizzazione da parte delle relative società produttrici, non è richiesta la prova della sua registrazione. In tale ipotesi l'onere di provare la insussistenza dei presupposti per la sua protezione grava su chi ha dedotto tale insussistenza (Cass. n. 55426/2017).

La tutela penale opera solo entro i confini di efficacia del marchio: il marchio, nazionale, comunitario od estero, deve essere riconosciuto dall’ordinamento italiano, che equipara a quelli registrati in Italia esclusivamente i marchi esteri registrati presso l’Ufficio internazionale per la proprietà industriale (Cass. V, n. 7467/1995).

Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi. Condotta

La prima fattispecie punisce:

a) la contraffazione di marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali;

b) l'alterazione di marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali;

c) l'uso di marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali contraffatti, al di fuori dei casi di concorso nella contraffazione o nella alterazione.

La contraffazione consiste in una abusiva riproduzione o imitazione del segno.

L'alterazione si concretizza nella modificazione parziale del marchio apposto dall'avente diritto, tale da indurre i consumatori a confondere la provenienza del prodotto (Manzini, VI, 666). Si realizza mediante l'eliminazione o l'aggiunta di elementi costitutivi marginali.

La giurisprudenza maggioritaria intende per contraffazione la riproduzione integrale del marchio in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa e per alterazione la modificazione del segno, ricomprendente anche l'imitazione fraudolenta, cioè la riproduzione parziale, ma tale da potersi confondere con il marchio originale o con il segno distintivo (Cass. V, n. 38068/2005). Entrambe le condotte producono una controfigura del marchio autentico: tra i marchi deve sussistere una somiglianza di grado assai elevato, che va dall’identità o pedissequa riproduzione (usurpazione del marchio) alla creazione di un marchio, che si realizza quando quest'ultimo pur presentando elementi autonomi, imita quello originale nel complesso dei suoi elementi essenziali.

La nozione penalistica di contraffazione presuppone, come quella civilistica, un giudizio di confondibilità tra il marchio contraffatto e quello genuino, con un possibile effetto di confusione tra il pubblico sulla provenienza di un determinato prodotto (Alessandri, 443).

Si ravvisano diversi orientamenti sul metro da adottare per valutare la confondibilità tra i segni nell’ambito dell'art. 473.

Secondo un’impostazione giurisprudenziale è necessario che la possibilità di confusione emerga in sede di osservazione diretta, comparativa e dettagliata di un astratto consumatore medio, di fronte a dei segni difficilmente distinguibili dall’originale a causa della loro forte somiglianza. Secondo questa interpretazione, condizionata dal riferimento al diverso scopo di tutela delle fattispecie, sarebbe riconducibile nell’ambito degli artt. 473 la riproduzione integrale degli elementi essenziali di un marchio in quanto capace di compromettere il bene della fede pubblica, mentre andrebbero inquadrate nell'art. 517, volto alla salvaguardia della correttezza e lealtà negli scambi commerciali, le imitazioni meno spiccate del segno In riferimento a quest’ultime, infatti, basterebbe un pericolo di confusione anche ad un esame superficiale e meno diligente quale è quello effettuato dal consumatore nelle operazioni commerciali quotidiane (Cass. V, n. 7720/1996).

Un diverso indirizzo dottrinario e, in parte, giurisprudenziale, ritiene che sia sufficiente l’utilizzo di un altro e comune metro di giudizio che tenga conto della specificità del caso in relazione al tipo di prodotto e al singolo genere di consumatore cui quel particolare prodotto è destinato (Cass. V, n. 46833/2004). Di conseguenza per aversi confondibilità e, pertanto, contraffazione, il marchio deve presentarsi identico o molto simile all'originale nei casi in cui l'acquirente è portato a prestare un livello di attenzione normalmente più elevato perché si tratta di prodotti costosi destinati a un nucleo ristretto di consumatori esperti.

Il marchio potrà, invece, essere meno simile al genuino nelle ipotesi di prodotti di largo consumo e di basso costo nei quali si presta di regola minore attenzione nell'acquisto (Marinucci, 1962, 85). In base a questo orientamento la condotta tipica non è necessariamente integrata quando il marchio non genuino riproduce totalmente quello originale, ma è sufficiente una contraffazione parziale, sempre che la fraudolenta riproduzione riguardi, come ad esempio nel caso di marchio costituito dalla combinazione di segni e parole, la parte dotata di maggiore capacità distintiva e in grado di captare l'affidamento degli acquirenti sulla provenienza del prodotto (Cingari, 2008, 66).

Il rischio di confusione richiede che il marchio contraffatto sia utilizzato per contrassegnare prodotti o servizi identici o affini a quelli del marchio registrato, cosicché il pubblico possa essere tratto in inganno non distinguendo beni provenienti da fonti diverse (Alessandri, 444; Marinucci, 1962, 118). La elaborazione civilistica individua la affinità tra prodotti quando in concreto sussistano le condizioni per cui il pubblico possa ritenere che il prodotto con il marchio imitato provenga dalla stessa impresa di quello registrato, con il superamento, dunque, di comparazioni strettamente merceologiche (Alessandri, 444).

Recentemente la Cassazione ha escluso che possa rinvenirsi confondibilità con l'originale del prodotto che si assume falsificato nelle ipotesi in cui il marchio sia utilizzato con palesi finalità ironiche e parodistiche, per la creazione di prodotti nuovi ed originali. Quest’ultimi devono essere caratterizzati da immagini funzionali ad effettuare una riproduzione ironica di marchi celebri che, pur facendo uso del marchio registrato, sono sicuramente inidonee a creare confusione con i beni tutelati, dato che è immediatamente evidente il messaggio parodistico che esclude ictu oculi ogni possibilità di confusione (Cass. V, n. 35166/2019).

La condotta di uso del marchio da altri contraffatto o alterato costituisce una ipotesi residuale e ricorre in tutti i casi di impiego commerciale o industriale di marchi da altri falsificati (Marinucci, 1967, 660) quando non sussiste il concorso nella falsificazione. Si tratta di condotte prodromiche allo scambio o alla vendita del prodotto contraffatto perché non deve essere integrato l'art. 474.

Realizzano la condotta anche l'uso dei marchi nella pubblicità (Marinucci, 1962, 99) e la loro riproduzione sulle carte tipiche del commercio (certificati di garanzia, fatture, circolari, ecc.) (Marinucci, 1962, 100).

La giurisprudenza (Cass. II, n. 26263/2010) ha chiarito che la condotta di utilizzo si individua unicamente nello svolgimento di un’attività funzionale a determinare un collegamento tra il marchio contraffatto e un determinato prodotto. Di conseguenza l’uso del marchio contraffatto , precede l'immissione in circolazione dell'oggetto falsamente contrassegnato e, comunque, se ne distingue. In particolare l'uso non necessariamente si identifica con la cessione al consumatore potendosi realizzare in una fase anteriore alla collocazione sul mercato del prodotto recante il marchio contraffatto (Cass. V, n. 1195/2001), né può sostanziarsi nella mera attività di trasporto di uno zaino contenente i marchi incorporati negli accessori, attività obiettivamente neutra rispetto alla strumentalizzazione dei medesimi per contrassegnare falsamente dei prodotti non autentici (Cass. V, n. 25036/2020).

Contraffazione, alterazione o uso di brevetti, modelli e disegni. Oggetto materiale

Il comma 2 dell'art. 473 estende la tutela anticontraffazione ai brevetti, disegni e modelli industriali.

Oggetto materiale della condotta di cui al comma 2 dell'art. 473 sono:

a) i brevetti per invenzione industriale, che riguardano le invenzioni nuove che implicano un’attività inventiva e sono atte ad avere un’applicazione industriale (artt. 45 ss. d.lgs. n. 30/2005);

b) i brevetti per modelli di utilità, cioè le forme nuove del prodotto industriale, che gli conferiscono una particolare efficacia o comodità d'applicazione o d'impiego (artt. 82 ss. d.lgs. n. 30/2005);

c) le registrazioni per modelli e disegni ornamentali, cioè i nuovi aspetti dell'intero prodotto o di una sua parte nelle caratteristiche di linee, contorni, colori, forma della struttura superficiale, dei materiali o degli ornamenti (artt. 31 ss. d.lgs. n. 30/2005).

Contraffazione, alterazione o uso di brevetti, modelli e disegni. Condotta

a) La contraffazione del brevetto è la creazione ex novo ovvero la riproduzione di un documento falso (si tratta, perciò, di un documento che non proviene dall'autore apparente). Nel caso del modello ornamentale la contraffazione consiste nel dare al prodotto quella forma e quei colori particolari che possono indurre il pubblico a identificarlo come proveniente da una certa impresa, anche contro le indicazioni dei marchi con i quali venga, in ipotesi, contrassegnato. Ciò che rileva ai fini della contraffazione, infatti, è la funzione rappresentativa del modello, non il diritto di esclusiva del titolare del marchio (Cass. V, n. 37957/2017);

b) l'alterazione è integrata, invece, da ogni modificazione per aggiunta o soppressione del documento genuino (Manzini, VI, 664);

c) l'uso consiste in qualsiasi utilizzazione giuridica o di fatto del documento falsificato, che, per rilevare autonomamente, deve essere tenuta da un estraneo alla falsificazione, a conoscenza della falsità dell'atto utilizzato.

L'individuazione della nozione di “brevetto” è controversa perché il termine può riferirsi sia all'attestato del diritto di esclusiva (cioè l'atto amministrativo di concessione) sia al contenuto sostanziale del diritto di esclusiva (cioè il bene immateriale costituito dall'invenzione industriale che, in forza del brevetto, forma oggetto di esclusivo godimento e sfruttamento economico).

Nel primo significato, trattandosi di un documento con il quale lo Stato concede all'autore di una invenzione o scoperta industriale il diritto di esclusiva al suo sfruttamento, la falsificazione riguarderebbe un atto pubblico e corrisponderebbe, quindi, ad una ipotesi speciale di falsità documentale. Questa interpretazione è stata criticata perché accomuna sotto la stessa incriminazione condotte poco omogenee come falsità in contrassegno e documentali (Cingari, 2009, 625).

Nella seconda accezione la falsificazione consiste nella riproduzione abusiva dell'oggetto della privativa industriale (Cass. V, n. 8758/1999; Cass. V, 9 dicembre 1993). In questa ipotesi sussiste la contraffazione o l'alterazione quando siano realizzati oggetti riproducenti un disegno o un modello ornamentale brevettato (ad es.: capi di abbigliamento o gioielli) ed, in particolare, quando ne siano riprodotti gli elementi emblematici e di maggior risalto (ad es. forma, colori) tali da causare la confondibilità dell'oggetto contraffatto con il prodotto originario e/o idonei ad ingenerare una falsa rappresentazione della provenienza del prodotto (Cass.  V, n. 16709/2016; Cass. II, n. 10799/1996).

Anche questa esegesi è stata criticata perché non è apparsa del tutto coerente con la proiezione della fattispecie incriminatrice verso la salvaguardia della fede pubblica. È stato evidenziato che, mentre in una casistica del genere può esserci un problema di confondibilità in relazione alla forma estetica del prodotto con eventuale pregiudizio della fiducia del pubblico sulla sua origine, l'usurpazione di un modello di utilità (attinente all'efficacia e comodità di uso di beni o prodotti in sé già noti) e la violazione di un brevetto per invenzione industriale (il cui oggetto riguarda la creazione intellettuale capace di fornire la soluzione di un problema tecnico) hanno una incidenza soprattutto sugli interessi patrimoniali del titolare (Cingari, 2009, 625). Inoltre il termine brevetto non può che intendersi nel senso di documento, perché come monopolio scaturente dalla privativa non potrebbe essere oggetto di «uso».

Secondo l'orientamento maggioritario la contraffazione e l'alterazione devono essere collegate ad un documento o, almeno, ad un segno, e non ad una lesione dell'esclusiva. Tale impostazione evita una sovrapposizione tra l'art. 473 e l'art. 517-ter, perché ricadono nella prima le condotte di falsificazione del documento integrante la concessione, e nell'art. 517-ter quelle realizzate attraverso la mera violazione dell'esclusiva brevettuale.

La contraffazione e l'alterazione devono essere intese in tal senso anche con riferimento ai modelli e disegni, i quali sono da intendere come brevetti per modelli di utilità (artt. 82 ss. d.lgs. n. 30/2005) e registrazioni (analoghe a brevetti) per modelli e per disegni (art. 31 ss. d.lgs. n. 30/2005), cioè i documenti rilasciati dalla pubblica amministrazione al termine del relativo procedimento regolato ora dal d.lgs. n. 30/2005.

Il brevetto per invenzione (art. 45 ss. d.lgs. n. 30/2005), ovvero l'atto di concessione da parte della pubblica autorità del diritto esclusivo, per un determinato periodo di tempo, di attuare una invenzione industriale — cioè «la soluzione originale di un problema tecnico» — e di trarne profitto anche col commercio del prodotto, costituisce un atto pubblico in quanto si tratta di atto costitutivo di diritti.

Atto pubblico è anche il verbale di deposito della domanda di brevetto, la cui contraffazione, non prevista dall'art. 473, è sanzionata dalla previsione generale dell'art. 476 e, rispetto alle falsità commesse dal privato, dall'art. 482.

Le falsità ideologiche commesse dal pubblico ufficiale sia con riguardo ai verbali di deposito sia con riguardo all'atto di concessione del brevetto sono sanzionate dall'art. 479 (Manzini, VI, 660).

Recentemente la Cassazione ha utilizzato come parametro di riferimento per la valutazione dell’offensività della condotta la nozione di "utilizzatore informato", che corrisponde ad una figura intermedia tra la persona competente in materia, esperta e provvista di conoscenze tecniche approfondite, e quella di consumatore medio, che non è in grado di effettuare un confronto tra i marchi in conflitto. Si tratta di un soggetto in possesso di una buona conoscenza, non necessariamente professionale, nel settore merceologico di riferimento, cui è richiesta diligenza ed attenzione nel verificare la corrispondenza di un determinato bene a quello brevettato (Cass. V, n. 17951/2020).

La Cassazione, infine, ha chiarito quando ricorre un’ipotesi di contraffazione di componenti di un prodotto complesso protetti da brevetto sui quali sia stato abusivamente riprodotto il marchio dell’impresa produttrice. Ai sensi dell’art. 31 d.lgs. n. 30/2005, infatti, si definisce prodotto complesso quello formato da più componenti che possono essere sostituiti, consentendo lo smontaggio e un nuovo montaggio del prodotto. Un componente di un prodotto complesso può costituire oggetto di tutela – cioè di diritto di esclusiva come disegni e modelli - se, una volta incorporato nel prodotto complesso, rimane visibile durante la normale utilizzazione e, cioè, durante l’utilizzazione da parte del consumatore finale, esclusi gli interventi di manutenzione, assistenza e riparazione (art. 35, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 30/2005). Sulla base di tali succitati disposti normativi la Suprema Corte ha espresso il principio per cui la visibilità è un requisito essenziale per la tutela come disegno o modello del componente del prodotto complesso, ma tale visibilità deve permanere durante l’uso “ordinario” di quest’ultimo da parte del consumatore finale. Ha, poi, precisato che gli interventi di manutenzione/sostituzione da parte del consumatore finale non rientrano nel concetto di “normale utilizzazione” e, pertanto, se il componente si rende visibile solo in tali fasi, si applica la “clausola di riparazione” prevista dall’art. 241 del d.lgs. n. 30/2005 - che consente la fabbricazione e la messa in commercio, come modelli e disegni, di parti di ricambio di un prodotto complesso coperto da privativa - e il componente in questione non può, pertanto, ricevere la tutela come disegno o modello (Cass. V, n. 29965/2020).

Elemento psicologico

Il dolo

Il reato è punito a titolo di dolo generico, consistente nella coscienza e volontà dell'immutatio veri. L'introduzione dell'inciso “potendo conoscere l'esistenza del diritto di privativa industriale” ad opera della l. n. 99/1999 indica che rientra nell'oggetto del dolo anche la semplice conoscibilità di tale elemento. Non è necessario, perciò, che sussista la consapevolezza da parte dell'agente che il marchio sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge. La ratio della modifica s'individua in ragioni di semplificazione probatoria: la registrazione del marchio basterà di regola a dimostrare la sussistenza del requisito soggettivo, considerato che il diritto di esclusiva si acquista con la registrazione e che la stessa è regolata da un regime di pubblicità finalizzato proprio alla conoscibilità del diritto di privativa industriale (Cingari, 2009, 624).

Anche la seconda fattispecie è punita a titolo di dolo generico, consistente nella coscienza e volontà dell'immutatio veri. È anche necessaria la consapevolezza che il brevetto è stato concesso con l'osservanza delle norme interne e convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale (Cass. V, 6 marzo 1980).

Consumazione e tentativo

Consumazione

Ai fini della consumazione l'art. 473 non richiede un effettivo contatto del segno con il pubblico, cioè che il prodotto sia effettivamente esitato o distribuito. È necessario che la contraffazione o l'alterazione abbiano superato la fase dell'ideazione o del progetto del marchio, non essendo sufficiente dunque un bozzetto o una prova di stampa (Alessandri, 451) e che il marchio imitato sia presente nell'ordinario svolgimento dei traffici commerciali, in tutte le possibili manifestazioni, ad es. quelle pubblicitarie (Alessandri, 451). In particolare si afferma che il reato si realizza solo quando il marchio assume, almeno potenzialmente, la sua funzione di segno distintivo: ad es., nell'ipotesi di apposizione del marchio contraffatto sul prodotto o sulla sua confezione, si ritiene necessario che risulti da circostanze oggettive la destinazione di tale prodotto ad essere successivamente posto in commercio (Marinucci, 1962, 95). In senso contrario vi è però chi identifica la contraffazione con la fabbricazione degli strumenti (il punzone, lo, stampo, il cliché, ecc.) necessari per riprodurre il marchio contraffatto (Azzali, 71).

In giurisprudenza si esclude la necessità, ai fini della consumazione del reato, della impressione del marchio sul prodotto, in particolare si afferma che integra il reato la riproduzione di marchi su adesivi e pezzi di stoffa (paches) che non siano applicati al prodotto da contrassegnare, poiché l'art. 473 tutela il marchio in sé, nella sua funzione identificativa della provenienza di un determinato prodotto registrato, ed è, quindi, sufficiente ai fini della tutela la sua riferibilità a un prodotto industriale già registrato (Cass. V, n. 36292/2004; Cass. V, n. 3674/1997).

Tentativo

È ammesso il tentativo, poiché la falsificazione del documento del brevetto può esplicarsi in una serie di atti, ad es. la cancellazione di un nominativo per sostituirlo con un altro. Non si ritiene configurabile, invece, in riferimento alla condotta di uso.

Forme di manifestazione

Circostanze speciali

Al delitto di cui all'art. 473 sono applicabili le nuove circostanze specialI previste agli artt. 474 ter e 474 quater. Cfr. sub artt. 474 ter e 474 quater.

Circostanze comuni

Cfr. sub art. 474. La circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità è esclusa nel caso in cui siano rinvenuti molteplici oggetti contraffatti e l'imputato sia trovato in possesso degli strumenti per replicare all'infinito la loro produzione (Cass. V, n. 27943/2018).

Rapporti con altri reati

Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi

Le fattispecie di cui agli artt. 473 e 474 sono differenti perché nella prima l'uso di marchi e segni distintivi precede l'immissione in circolazione dell'oggetto falsamente contrassegnato, poiché è volto a determinare un collegamento tra il marchio contraffatto e un certo prodotto. L'uso sanzionato dall'art. 474, invece, è direttamente connesso con l'immissione in circolazione del prodotto falsamente contrassegnato, in quanto presuppone già realizzato il collegamento tra contrassegno e prodotto o, più specificamente, già apposto il contrassegno su un determinato oggetto (Cass. II, n. 26263/2010).

Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

Cfr. sub art. 517.

Concorso di reati

Frode nell'esercizio del commercio

Cfr. sub art. 515.

Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale

Cfr. sub art. 517-ter(Cass. V, n. 23709/2021Cass. III, n. 14812/2016).

Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari

Cfr. sub art. 517-quater

Art. 9 comma 2 l. 10 aprile 1954, n. 125: tutela della denominazione di origine e tipiche dei formaggi

In giurisprudenza si afferma che l'art. 473 concorre con il reato previsto dall'art. 9 comma 2 l. 10 aprile 1954, n. 125, in quanto il primo sanziona la contraffazione o l'alterazione dei marchi dei prodotti industriali, mentre l'art. 9, riguardante la tutela delle denominazioni di origine e tipiche dei formaggi, punisce l'uso di tali marchi contraffatti. Conseguentemente, non può configurarsi l'assorbimento della seconda figura criminosa nella prima, qualificata inoltre dal dolo specifico, ma il concorso tra le stesse (Cass. V, n. 3999/1995).

Pena accessoria e confisca

Al delitto di cui all'art. 473 sono applicabili la pena accessoria prevista dall'art. 475 e la nuova ipotesi di confisca obbligatoria e per equivalente, disciplinata all'art. 474 bis. Cfr. sub artt. 475 e 474 bis.

Casistica

La giurisprudenza ha stabilito che integrano gli estremi delle fattispecie di cui all'art. 473:

a) l'uso di un marchio consistente nel nome notorio di una persona, anche se registrato in sede comunitaria, in quanto anche un marchio comunitario deve rispettare la normativa interna che prevede che i nomi di persona, se notori, possono essere registrati con marchio solo dall'avente diritto, o con il consenso di questi (Cass. V, n. 43515 /2010);

b) l'uso commerciale di marchi contraffatti, riprodotti in diverse migliaia di distintivi di squadre professionistiche di calcio, di serie A e B, nonché di squadre professionistiche di pallacanestro americane e di marche automobilistiche o motociclistiche, destinati ad essere applicati su determinati prodotti, in quanto riveste autonoma rilevanza penale l'uso del marchio in sé, prescindendo dalla sua applicazione al prodotto industriale (Cass. V, n. 36292/2004);

c) l'uso di gusci per telefoni cellulari, perché l'utilizzazione preponderante cui i gusci sono destinati è quella di carattere estetico e non di ripristino della funzionalità dell'apparecchio, di conseguenza i gusci sono proteggibili con brevetto per modello ornamentale (Cass. II, n. 21162/2003);

d) la contraffazione o l'alterazione dei c.d. modelli ornamentali disciplinati dall'art. 2593 c.c., che sono indicativi della provenienza del prodotto dall'impresa che l'ha brevettato. In tal caso la contraffazione consiste nel dare al prodotto quella forma e quei colori particolari che possono indurre il pubblico ad identificarlo come proveniente da una certa impresa, anche contro le eventuali indicazioni dei marchi con i quali venga contrassegnato (Cass. V, 22 giugno 1999).

Profili processuali

Gli istituti

Si tratta di reato procedibile d'ufficio e di competenza del tribunale in composizione monocratica.

Per la contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni:

a) l'azione penale deve essere esercitata nelle forme della citazione diretta ai sensi dell'art. 550 c.p.p.;

b) il fermo non è consentito e l'arresto in flagranza non è consentito in relazione all'ipotesi di cui al comma 1, salva l'ipotesi di cui all'art. 474-ter, mentre è facoltativo in riferimento a quella di cui al comma 2;

c) l'applicazione della custodia in carcere non è consentita, salva l'ipotesi di cui all'art. 474-ter, mentre quella delle altre misure cautelari personali non è consentita in relazione all'ipotesi di cui al primo comma, salva l'ipotesi di cui all'art. 474-ter, mentre è consentita in riferimento a quella di cui al comma 2.

L'interesse ad impugnare

Cfr. sub art. 453.

Bibliografia

Alessandri, Tutela penale dei segni distintivi, in Dig. d. pen., XIV, Torino, 1999, 436; Antonini, Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, Reati contro la fede pubblica, a cura di Ramacci, vol. X, Milano, 2013; Azzali, La tutela penale del marchio di impresa, Milano, 1955, 61; Cingari, La tutela penale dei marchi e dei segni distintivi, Milano, 2008; Cingari, Il contrasto alla contraffazione: evoluzione e limiti dell'intervento penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2011, 1064; Marinucci, Il diritto penale dei marchi, Milano, 1962, 80; Marinucci, Falsità in segni distintivi delle opere dell'ingegno e dei prodotti industriali, in Enc. dir., Milano, 1967, 665. V. anche sub art. 467.

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