Codice Penale art. 483 - Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico.

Francesca Romana Fulvi

Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico.

[I]. Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale [357], in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni.

[II]. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile [449 c.c.], la reclusione non può essere inferiore a tre mesi.

competenza: Trib. monocratico

arresto: non consentito

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita

altre misure cautelari personali: non consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Il delitto di cui all’art. 483 costituisce un'ipotesi peculiare in cui la formazione dell'atto è demandata sia al privato che al pubblico ufficiale: il primo attesta i fatti di cui l'atto è destinato a provare la verità mentre il secondo, che interviene nell'esercizio di una pubblica funzione di certificazione, attribuisce a tale atto la destinazione probatoria rivestendo della necessaria “forma legale” la dichiarazione del privato. Poiché il pubblico ufficiale può attestare con fede privilegiata solo che gli è stata resa un certo tipo di dichiarazione in un dato momento e da un determinato soggetto, e non che i fatti narrati dal privato sono veritieri, quanto narrato dal privato fa fede solo fino a prova contraria e non fino a querela di falso (Guidi, 455). La fattispecie costituisce un'ipotesi di falso ideologico del privato che può avere ad oggetto esclusivamente atti pubblici, registri e notificazioni (artt. 483 e 484), mentre non è configurabile in relazione alle scritture private. Perciò, quando il documento privato è genuino, cioè proviene da chi è titolare dello ius scribendi, non sussiste alcuna falsità documentale anche se la scrittura non è veritiera nel suo contenuto ideale (Guidi, 456).

Bene giuridico

Cfr. sub art. 476.

L'orientamento maggioritario ritiene che il delitto di cui all'art. 483 tutela la pubblica fede documentale, con particolare riguardo al dovere del privato di attestare al pubblico ufficiale la verità in ordine a fatti rilevanti dal punto di vista giuridico e destinati ad essere documentati a fini probatori nell'atto pubblico (Catelani, 1989, 290).

Soggetti

Soggetto attivo

Si tratta di un reato comune, che può essere commesso da “chiunque” ovvero da qualsiasi persona diversa dal pubblico ufficiale che riceve l'attestazione.

Colui che, invece, riceve l'attestazione deve essere necessariamente un pubblico ufficiale. Non è, infatti, punibile la falsa attestazione resa ad un incaricato di un pubblico servizio, poiché l'art. 493 estende a questa tipologia di soggetto qualificato soltanto le norme sulle falsità commesse da un pubblico ufficiale, e non da un privato (De Marsico, 1967, 589).

Soggetto passivo

Cfr. sub art. 476.

Elemento oggettivo

Oggetto materiale

Oggetto materiale del reato è l'atto pubblico. Per la nozione di atto pubblico cfr. sub art. 476, per quella di documento informatico pubblico cfr. sub art. 491 bis. L'atto pubblico al quale si riferisce l'art. 483 ha una “struttura complessa”, che si articola in una duplice attestazione: l'una del privato, l'altra del pubblico ufficiale. L'extraneus attesta al pubblico agente fatti di cui l'atto è destinato a provare la verità. L'intraneus che riceve l'attestazione del privato svolge un'attività di “registrazione”. Redigendo l'atto di cui all'art. 483 il pubblico ufficiale esplica la funzione tipica di certificazione attestando, con efficacia fidefacente, che una determinata dichiarazione è stata a lui resa, ma la fede privilegiata non si estende anche alla verità dei fatti narrati dal privato. La differenza sul piano dell'efficacia probatoria discende dal fatto che l'attestazione dei fatti di cui l'atto è destinato a provare la verità proviene esclusivamente dal privato e ricade sotto la sua responsabilità: il pubblico ufficiale non è chiamato a svolgere su di essa alcun accertamento e, di conseguenza, in relazione alla veridicità o meno dei fatti narrati non può esplicarsi alcuna “forza privilegiata” di documentazione fidefacente.

La dottrina ha chiarito che la destinazione dell'atto a provare la verità non attiene all'obbligo di veridicità gravante sul privato, bensì alla destinazione probatoria dell'atto. Il privato, infatti, è tenuto a dichiarare il vero ogni qualvolta una norma giuridica ricollega specifici effetti a determinati fatti, quando essi vengano attestati ad un pubblico ufficiale che deve documentarne l'attestazione (Catelani, 1989, 290). Secondo questa impostazione il requisito normativo della “destinazione probatoria” dell'atto deve essere interpretato in termini di rilevanza giuridica, ossia come attitudine a produrre effetti giuridici.

La Cassazione, aderendo a questa impostazione, ha chiarito che sussiste il delitto di cui all'art. 483 solo qualora l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati, e cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente (Cass. S.U., 17 febbraio 1999)

Successivamente ha ribadito che con la locuzione “fatto di cui l'atto è destinato a provare la verità'' l'art. 483 stabilisce un legame tra l'efficacia probatoria del documento e l'accadimento (fatto) attestato dal dichiarante e richiede che il giudizio di verità-falsità si incentri sulla rappresentazione (prova) che del fatto (non della sua esternazione) dovrà fornire il documento. Ai fini dell'integrazione della fattispecie è sempre necessaria la previa sussistenza di una specifica norma giuridica che attribuisca all'atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, così collegando l'efficacia probatoria dell'atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero (Cass. V, n. 18279/2014; Cass. S.U., n. 28/1999).

Condotta

La condotta tipica descritta dall'art. 483 si esplica nella falsa attestazione, da parte del privato, di fatti di cui l'atto pubblico è destinato a provare la verità.

L'attestazione deve avvenire in modo esplicito, attraverso una dichiarazione formale chiara ed inequivoca e deve consistere sempre in una dichiarazione di scienza, ossia in un enunciato a contenuto narrativo recante un'affermazione o negazione di verità, e non in una manifestazione di volontà o in altro enunciato esecutivo (come una promessa, un impegno, etc.) (De Marsico, 1967, 589). L'attestazione deve concernere fatti, cioè avvenimenti storici o situazioni giuridiche incontroverse (es.: qualità di acquirente, di venditore, ecc.), (Catelani, 1989, 290). In particolare, non rientra nell'ambito di applicazione della fattispecie un'eventuale dichiarazione volta ad occultare o mascherare una data situazione od operazione, come il contenuto di un contratto o la sua reale portata. Da ciò si fa discendere la non punibilità ai sensi dell'art. 483 della simulazione negoziale (ad esempio una finta vendita) dato che in essa si riscontra una falsa dichiarazione di volontà, e non una falsa dichiarazione di scienza.

La fattispecie ha due ambiti di applicazione molto frequenti: quello delle falsità nelle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e di atto notorio, disciplinate dagli artt. 46 e 47 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), e quello delle false denunce di smarrimento.

Per quanto attiene al primo sussiste una radicale contrapposizione tra giurisprudenza e dottrina. La prima è quasi unanime nel sussumere le ipotesi di falso in autocertificazione nell'alveo dell'art. 483.

Secondo la Cassazione, infatti, la dichiarazione sostitutiva si considera come resa ad un pubblico ufficiale e le affermazioni del privato in essa contenute hanno una rilevanza probatoria inerente alla natura e all'essenza dell'atto stesso e debbono, pertanto, corrispondere a verità (Cass. V, n. 6347/2018; Cass. V, n. 25469/2009; Cass. VI, n. 15485/2009; Cass. III, n. 9527/2003).

La dottrina è di avviso diverso e ha evidenziato che, alla luce del nuovo testo unico sulla documentazione amministrativa, è erroneo equiparare la “dichiarazione sostitutiva” ad un'“atto pubblico”. Inoltre la fattispecie penale, pur se polarizzata sull'attività del privato, richiede un intervento (quindi: la presenza) del pubblico ufficiale, la c.d. autocertificazione permette, invece, al privato di «atteggiarsi a notaio» e produce, in questo modo, un evidente distacco (anche fisico) tra il primo e la pubblica amministrazione che si affida alla correttezza e alla veridicità delle attestazioni certificate dal privato medesimo in piena autonomia (Guidi, 465).

Il falso grossolano ed innocuo

Cfr. sub art. 479.

Elemento psicologico

Il dolo

Il reato è punito a titolo di dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di attestare falsamente al pubblico ufficiale fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, nonché nella consapevolezza da parte del soggetto agente di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero (Cass. V, n. 2496/2019; Cass. V, 26 novembre1987).

La coscienza dell'antidoverosità della condotta deve essere intesa nel senso che il privato deve essere consapevole del fatto che alla propria attestazione, in quanto “documentata” in atto pubblico, l'ordinamento ricollega determinate conseguenze giuridiche (in molti casi a lui favorevoli) e non nel senso che il soggetto agente deve avere una conoscenza specifica delle singole disposizioni di legge che attribuiscono all'atto, esplicitamente o implicitamente, una funzione probatoria (in dottrina Guidi, 459). Il semplice dato obiettivo che nell'atto pubblico siano registrate attestazioni non veritiere, comunque, non basta di per sé ad integrare gli estremi dell'art. 483. Qualora la falsità sia il risultato di una leggerezza o di negligenza, infatti, l'attestazione falsa non risulterà punibile non essendo prevista la figura del falso documentale colposo. Il dolo va pertanto escluso quando la falsità sia dovuta a negligenza o a una leggerezza nella condotta dell'agente (Cass. V, n. 33218/2012) ) o nel caso di mera inosservanza del dovere di migliore informazione giuridica sui precedenti penali (Cass. V, n. 1284/2018).

Cfr. sub art. 479.

Consumazione e tentativo

Consumazione

Il delitto si consuma non nel momento in cui il privato rende la dichiarazione infedele, ma in quello della relativa percezione da parte del pubblico ufficiale che la trasfonde nell'atto pubblico (Cass. VI, n. 12298/2012; Cass. V, n. 10046/2008). Di conseguenza, non integra il reato la condotta di colui che, in sede di procedura di selezione per l'assegnazione di un responsabile amministrativo, attesti falsamente di non avere precedenti penali a suo carico, rettificando il giorno immediatamente successivo tale dichiarazione (Cass. V, n. 19325/2012).

Tentativo

Cfr. sub art. 479.

Un orientamento esclude l'ammissibilità, mentre un altro ritiene configurabile il tentativo se il privato tenta di attestare, non completando per cause indipendenti dalla sua volontà, una dichiarazione non rispondente al vero.

Forme di manifestazione

Circostanze speciali

Il secondo comma prevede una circostanza aggravante speciale ed oggettiva nel caso in cui si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile. Questa circostanza non determina una variazione frazionaria della pena stabilita per il reato-base, ma incide direttamente sul limite basso della cornice edittale fissando la pena minima in tre mesi di reclusione. Ne discende che, mentre nel caso di cui al primo comma dell'art. 483 la forbice edittale si estende da quindici giorni (in forza del disposto dell'art. 23) a due anni di reclusione, nell'ipotesi aggravata di cui al capoverso dello stesso articolo tale forbice va da tre mesi a due anni. Negli atti dello stato civile sono riportate le vicende relative alla vita, alla morte, alla modificazione di status della persona fisica nonché quelle che attengono, in generale, al mutamento delle qualità personali. Tali atti sono disciplinati negli artt. 449-455 del codice civile (titolo XIV del libro I) e nel d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 («regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'art. 2 comma 12 l. 15 maggio 1997, n. 127») e sono registrati e conservati (con modalità e strumenti informatici) nei c.d. “registri dello stato civile”.

La dottrina ha sottolineato che dal punto di vista dell'efficacia probatoria non vi è alcuna differenza tra le due tipologie di private attestazioni contemplate nei due rispettivi commi dell'art. 483. In entrambi i casi, infatti, si tratta di un'efficacia che, pur non raggiungendo il livello della c.d. “fede privilegiata”, è senz'altro superiore a quella propria delle attestazioni contenute in scrittura privata e si sostanzia nel “far fede fino a prova contraria”. Ciò deriva dal fatto che tali attestazioni sono state comunque “registrate” in atto pubblico e dunque rivestite di forma solenne (Guidi, 450). Le falsità debbono riguardare il giorno, il luogo e l'ora della nascita o della morte di una persona, perché quelle relative all'identità o alle qualità della propria o dell'altrui persona rientrano nelle previsioni dell'art. 495 mentre alla soppressione e alterazione di stato provvedono gli artt. 566 e 567» (Antolisei, 116).

Rapporti con altri reati

Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato

La giurisprudenza ha affermato che il delitto di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato assorbe il disvalore espresso dai delitti di falso ideologico di cui all'art. 483 (Cass. S.U., n. 16568/2007). Posto, infatti,che il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato contiene tutti gli elementi costitutivi del reato di falsità ideologica, quest'ultimo è assorbito nel primo, e ciò anche quando la somma indebitamente percepita dal privato, non superando la soglia minima del valore economico dell'operazione, integri la mera violazione amministrativa (Cass. II, n. 17300/2013; Cass. II, n. 40299/2011).

Falsità ideologica in atti pubblici commessa dal pubblico ufficiale

La giurisprudenza ha elaborato diversi criteri per distinguere la fattispecie di cui all'art. 483 rispetto a quella descritta dall'art. 479: sussiste il reato di cui all'art. 483 quando il pubblico ufficiale si limita a trasfondere nell'atto la dichiarazione ricevuta, della cui verità risponde il dichiarante in forza di un preesistente obbligo giuridico di conformità (Cass. V, n. 11597/2010), mentre il reato di cui all'art. 479 è ravvisabile soltanto in relazione a ciò che il pubblico funzionario attesta — per sua iniziativa o per propria scienza — nel documento di cui è autore (Cass. V, 4 ottobre 1989). Si configura l'ipotesi criminosa prevista dal combinato disposto degli art. 48 e 479, qualora l'attestazione, di cui l'atto pubblico è destinato a provare la verità, provenga dal pubblico ufficiale, autore immediato, in seguito ad errore determinato dall'inganno del terzo, autore mediato; si realizza, invece, il delitto di cui all'art. 483 c. p., qualora l'attestazione del privato, della quale l'atto pubblico è destinato a provare la verità, concerna fatti che il p. u. si limita a riportare nell'atto pubblico come proveniente dal privato, sicché l'attestazione del p.u. è limitata soltanto all'esatta riproduzione nell'atto della dichiarazione del privato che è l'autore immediato della falsità (Cass. I, 26 maggio 1987).

Le Sezioni unite hanno chiarito che il delitto di falsa attestazione del privato può concorrere — quando la falsa dichiarazione del mentitore sia prevista di per sé come reato — con quello della falsità per induzione in errore del pubblico ufficiale nella redazione dell'atto al quale l'attestazione inerisca (di cui agli artt. 48 e 479), sempreché la dichiarazione non veridica del privato concerna fatti dei quali l'atto del pubblico ufficiale è destinato a provare la verità (Cass. S.U., n. 35488/2007).

Art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115

La Cassazione ha stabilito che integra il reato di cui all'art. 95, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, e non quello contenuto nell'art. 483, la condotta del soggetto che, nell'istanza di ammissione al gratuito patrocinio, attesti falsamente di non essere percettore di alcun reddito e di non essere intestatario di beni mobili registrati o immobili (Cass. V, n. 5532/2007; Cass. V, n. 15139/2007). L'art. 95 del d.P.R. n. 115/2002 è una norma speciale rispetto ai reati di falsità previsti dal codice penale, essendo preordinata a tutelare la corretta valutazione, da parte dell'autorità competente, dei presupposti per il riconoscimento del beneficio. Ne deriva che le false dichiarazioni contenute nell'istanza di ammissione, ove non riflettano elementi essenziali ai fini di tale valutazione, sono estranee all'offesa tipicizzata dal legislatore e costituiscono un'ipotesi di falso inutile, come tale non punibile. Il delitto di falso ideologico di cui all'art. 483, in caso di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà finalizzata all'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, si perfeziona nel momento e nel luogo in cui la dichiarazione sostitutiva viene presentata all'ufficio pubblico cui è destinata (Cass. I, n. 26698/2013).

Art. 20, comma 13, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380

Cfr. sub art. 481.

Concorso di reati

Calunnia

Il delitto di cui all'art. 483 può concorrere con quello di calunnia, quando il privato che dichiari falsamente lo smarrimento di un assegno bancario accusi, nel contempo, anche implicitamente, il portatore di essersi fraudolentemente procurato il titolo (Cass. VI, n. 10683/1996).

Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri

Cfr. sub art. 495.

Tentata frode comunitaria

Il delitto di tentata frode comunitaria (art. 2 l. 23 dicembre 1986, n. 898) e quello di falso ideologico commesso da soggetto privato in atto pubblico possono concorrere perché offendono beni giuridici diversi. Il primo mira a tutelare, infatti, il patrimonio dell'ente comunitario considerato dalla legge incriminatrice, mentre il secondo garantisce la veridicità dei documenti redatti dai pubblici agenti secondo le dichiarazioni loro effettuate da soggetti privati (Cass. III, n. 11774/1998).

Casistica

Integra il reato di cui all'art. 483:

a) la falsa denuncia, verbalizzata da un ufficiale di polizia giudiziaria, di smarrimento di un assegno bancario (Cass. V, n. 1076/1997) o del passaporto (Cass. VI, n. 9063/2013) o della carta di identità (Cass. V, n. 48884/2018) o della patente di guida (la falsa denuncia di smarrimento di quest'ultima, infatti, reca l'attestazione di ricezione da parte dell'organo di polizia: tale attestazione è dichiarativa dell'attività svolta dal pubblico ufficiale ed ha una indubbia efficacia probatoria, in quanto costituisce il presupposto necessario per attivare il procedimento amministrativo di rilascio del duplicato della patente, Cass. V, n. 18711/2021; Cass. V, n. 17381/2016; Cass. V, n. 7022/2010);

b) la falsa attestazione: dei requisiti morali richiesti, ex art. 5 comma 2 e 4 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, per l'esercizio di attività commerciali (Cass. V, n. 13556/2008;); dei requisiti richiesti per l'apertura di un esercizio di vendita di beni al dettaglio, al fine di consentire ad una cooperativa di ex detenuti l'esercizio di un'attività commerciale (Cass. V, n. 51107/2014); della data di ultimazione delle opere contenuta in una domanda di condono edilizio (Cass. III, n. 34901/2011); dei beni da ricomprendere nell'asse ereditario, nel caso di accettazione con beneficio di inventario (Cass. V, n. 28210/2008); di avere ottenuto, in sede di diploma scolastico, una votazione diversa da quella effettivamente conseguita nella domanda presentata ad un istituto professionale preordinata ad ottenere l'inserimento in graduatoria a fini lavorativi (Cass. V, n. 5100/2012);  di non avere procedimenti penali in corso, pur avendo in precedenza ricevuto l'avviso di richiesta di proroga delle indagini preliminari per altro reato (Cass. V, n. 27701/2018); l'annotazione dell’ "avvenuta missione" nei fogli di viaggio da parte del funzionario pubblico, trattandosi di dichiarazioni certificative destinate a provare la verità dei fatti attestati (Cass. V, n. 28316/2021)

Profili processuali

Gli istituti

 Si tratta di un reato procedibile d'ufficio e di competenza del tribunale in composizione collegiale.

Per la falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico:

a) l'azione penale deve essere esercitata nelle forme della citazione diretta ai sensi dell'art. 550 c.p.p.;

b) non sono consentiti il fermo e l'arresto in flagranza;

c) non è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

L'interesse ad impugnare

Cfr. sub art. 476.

Bibliografia

Guidi, Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, Reati contro la fede pubblica,  X, Milano, 2013. V. anche sub art. 476.

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