Codice Penale art. 495 - Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri 1 .

Francesca Romana Fulvi

Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri 1.

[I]. Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale [357] l'identità, lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni2.

[II]. La reclusione non è inferiore a due anni:

1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile;

2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa all'autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome.

 

competenza: Trib. monocratico

arresto: facoltativo

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

[1] Articolo sostituito dall'art. 1 del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv., con modif., dalla legge 24 luglio 2008, n. 125. Il testo precedente recitava: «[I]. Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, l'identità o lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona è punito con la reclusione fino a tre anni. [II]. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto in una dichiarazione destinata a essere riprodotta in un atto pubblico. [III]. La reclusione non è inferiore ad un anno: 1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile; 2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da un imputato all'Autorità giudiziaria o da una persona sottoposta ad indagini alla stessa autorità o alla polizia giudiziaria delegata alle indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto un falso nome. [IV]. La pena è diminuita se chi ha dichiarato il falso intendeva ottenere, per sé o per altri, il rilascio di certificati o di autorizzazioni amministrative sotto falso nome, o con altre indicazioni mendaci».

[2]  La Corte costituzionale, con sentenza 5 giugno 2023, n. 111 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma  nella parte in cui non esclude la punibilità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato che, richiesti di fornire le informazioni indicate nell’art. 21 norme att. cod. proc. pen. senza che siano stati loro previamente formulati gli avvertimenti di cui all’art. 64, comma 3, cod. proc. pen., abbiano reso false dichiarazioni.

Inquadramento

Il delitto punito all'art. 495 è stato oggetto di alcune modifiche normative. In particolar modo con l'ultima (l. 24 luglio 2008, n. 125) il legislatore ha voluto fornire una risposta più efficace al fenomeno dell'immigrazione clandestina. Il potenziamento degli strumenti di identificazione dei soggetti presenti sul territorio costituisce, infatti, il presupposto imprescindibile per l'applicazione di eventuali misure di prevenzione e per il corretto funzionamento delle procedure di espulsione. La novella, inoltre, eliminando la necessità che la dichiarazione o l'attestazione mendace sia riversata in atto pubblico, o sia destinata ad essere ivi riprodotta, ha mutato l'ambito applicativo della norma e, di conseguenza, anche i rapporti con il reato di cui all'art. 496.

Recentemente l'art. 495, comma 1, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l'art. 24 Cost., nella parte in cui non esclude la punibilità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato che, richiesti di fornire le informazioni indicate nell'art. 21 disp. att. c.p.p. senza che siano stati loro previamente formulati gli avvertimenti di cui all'art. 64, comma 3, c.p.p., abbiano reso false dichiarazioni. La Consulta, con la sent. 111/2023, ha ritenuto, infatti, che l'attuale assetto del diritto vivente non assicuri sufficiente tutela al diritto al silenzio (corollario del diritto di difesa riconosciuto dall'art. 24 Cost, dall'art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo), che si estende anche alle domande di carattere personale elencate al succitato art. 21. Tale diritto, infatti, viene in rilevo quando l'autorità procedente pone alla persona sottoposta a indagini o imputata domande su circostanze che, pur non attenendo direttamente al fatto di reato, possono essere successivamente utilizzate contro di lei nell'ambito del procedimento o del processo penale e sono comunque suscettibili di avere un impatto sulla condanna o sulla sanzione che le potrebbe essere inflitta. Una situazione di questo tipo si configura proprio rispetto ai contenuti delle domande indicate nel predetto art. 21, la cui conoscenza da parte dell'autorità può generare conseguenze pregiudizievoli per il sospettato o per l'imputato nel corso del procedimento penale ovvero ai fini della condanna e della commisurazione della pena proprio perché concernono le sue condizioni personali (soprannome, disponibilità di beni patrimoniali, ecc.). La piena attuazione del diritto al silenzio, dunque, esclude che possa ravvisarsi un dovere della persona indagata o imputata di fornire le succitate informazioni all'autorità che procede e che si possa ritenere configurato in capo alla persona medesima un obbligo di collaborare nelle indagini e nel processo a proprio carico.

Bene giuridico

Prima che intervenisse l'ultima modifica normativa, operata dalla l. n. 125/2008, parte della dottrina riteneva che la fattispecie di cui all'art. 495 costituisse un'ipotesi di falsità ideologica del privato in atto pubblico caratterizzata, rispetto a quella prevista dall'art. 483, dal fatto che l’atto avesse  ad oggetto un contrassegno personale del quale non era necessariamente destinato a provare la verità e da una consumazione anticipata al momento della dichiarazione (destinata ad essere riprodotta nell'atto pubblico) (Pagliaro, 649). Altra parte, invece, ne censurava l'inserimento nel titolo VII del libro II perché la correlazione con l'atto pubblico non era sufficiente ad inquadrare la fattispecie nell'ambito dei delitti contro la fede pubblica e reputava che tutelasse l'interesse della pubblica amministrazione al corretto accertamento dell'identità di tutte le persone presenti sul territorio nazionale (Antolisei, 2008, 159).

Anche la giurisprudenza ha criticato la collocazione tra i reati posti a tutela della fede pubblica perché il criterio di classificazione adottato è diverso rispetto a quello impiegato per gli altri delitti di falso (l'oggetto materiale) rilevando, invece, la specie di inganno ordito dal soggetto e lo scopo cui l'inganno stesso è diretto (Cass. V, n. 16772/2008).

A seguito della riformulazione delle norma con la l. n. 125/2008 è stato osservato che il delitto non garantirebbe più la fede pubblica perché è venuto meno il collegamento con l'atto pubblico, ma parrebbe proteggere l'interesse della pubblica amministrazione (o della giustizia nel caso in cui le false dichiarazioni sono rese all'autorità giudiziaria) al corretto accertamento dell'identità delle persone presenti sul territorio nazionale (Cadoppi, 582).

Soggetti

Soggetto attivo

Nell'ipotesi “semplice” può essere soggetto attivo del reato chiunque si trovi a dover rendere dichiarazioni al pubblico ufficiale, sull'identità, sullo stato o sulle altre qualità della propria o dell'altrui persona, mentre in quella aggravata prevista all'art. 495 comma 2 n. 2, l'imputato e la persona sottoposta alle indagini.

Soggetto passivo

V. sub art. 494.

Condotta

La condotta tipica consiste in una falsa dichiarazione o attestazione rilasciata al pubblico ufficiale sull'identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell'altrui persona (se fossero indirizzate ad una persona incaricata di un pubblico servizio si configurerebbe, invece, il delitto ex art. 496).

Secondo un orientamento dottrinario la dichiarazione si riferisce ai contrassegni personali propri mentre l'attestazione ai contrassegni personali altrui (Pagliaro, 1967, 649); secondo un'altra impostazione, invece, i due termini si equivalgono (Cristiani, 1965, 109; in questo senso in giurisprudenza v. Cass. V, n. 22603/2010 dove sembrerebbe affermato il concetto di dichiarazione attestante perché si attribuisce ai due termini il medesimo significato).

In ogni caso, attestazione e dichiarazione sono rilevanti in quanto rivolte ad un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni. Questo requisito, sebbene non espressamente previsto dall'art. 495, si deve ritenere tacitamente richiesto perché la ratio dell'incriminazione presuppone che il falso deve intervenire nello svolgimento di un'attività d'”ufficio”.

L'art. 495 considera, esclusivamente, i contrassegni della persona fisica e non anche quelli della persona giuridica. Secondo la giurisprudenza le false attestazioni relative a persone giuridiche devono essere ricomprese, ricorrendone i presupposti, nell'ambito di applicazione dell'art. 483 poiché si tratta di falsità ideologiche (Cass. V, n. 8909/1998).

Prima della riforma disposta con la l. n. 125/2008 il reato si realizzava quando le dichiarazioni erano rese al pubblico ufficiale in un atto pubblico, o erano destinate ad essere inserite in quest'ultimo. Pertanto commetteva il reato di cui all'art. 495 il soggetto che dichiarava un'identità falsa alla polizia giudiziaria mentre redigeva il verbale di identificazione, perché tali dichiarazioni diventano parte integrante del predetto verbale (Cass. I, n. 43718/2007) o durante una perquisizione (Cass. V, n. 36834/2016). In merito occorre ricordare che la giurisprudenza interpretava in senso ampio la nozione di atto pubblico rilevante ai sensi dell'art. 495, ricomprendendo anche le autorizzazioni amministrative e i certificati (Cass. V, n. 4420/2007).

Con la l. n. 125/2008 il riferimento all'atto pubblico è stato eliminato e ciò ha comportato un'estensione dell'ambito operativo della fattispecie: secondo l'attuale formulazione, infatti, realizza la condotta incriminata rendere false dichiarazioni al pubblico ufficiale in qualsiasi modo (Cass. V, n. 2676/2021).

Parte della giurisprudenza sembrerebbe continuare a richiedere, invece, che le false dichiarazioni siano destinate ad essere riprodotte in un atto fidefacente idoneo a documentarle (Cass. V, n. 5622/2014, secondo cui integra il reato la condotta di chi fornisce false generalità alla polizia ferroviaria all'atto della redazione di un verbale di identificazione, in quanto tali dichiarazioni diventano parte integrante del predetto verbale che costituisce atto pubblico; Cass. IV, n. 19963/2009; Cass. V, n. 35447/2009).

In merito alle modalità di realizzazione, la falsa dichiarazione o attestazione può essere scritta o orale, spontanea o provocata dal pubblico ufficiale (Manzini, 1986, 989). Non integra, invece, la condotta tipica un contegno meramente passivo come il silenzio o la reticenza, perché non equivalgono ad una dichiarazione, e, soprattutto, perché non comportano una immutatio veritatis, dovendosi la falsità manifestarsi in modo espresso (Fiandaca, Musco, 2012). In questa ipotesi si configurerebbe o la contravvenzione dell'art. 651 o il delitto dell'art. 366 cpv. (Cristiani, 1965, 110).

Anche secondo la giurisprudenza la fattispecie di cui all'art. 495 comma 1 richiede che il soggetto attivo si attribuisca espressamente, in una dichiarazione rilasciata al pubblico ufficiale, una qualità di cui non è in possesso (Cass. V, n. 4426/1998). Per integrare l'elemento oggettivo di tale delitto occorre che l'agente affermi un fatto non vero o neghi un fatto vero. Il mero silenzio mantenuto sopra una circostanza inerente un avvenimento regolarmente attestato, integra una reticenza non punibile quando produce una dichiarazione incompleta, come tale non incidente sull'essenza del documento e non lesiva della funzione probatoria dell'atto in relazione allo specifico contenuto per cui esso è stato formato. Il reato, invece, sussiste quando l'occultamento di elementi essenziali per descrivere il fatto oggetto della dichiarazione determina una rappresentazione non veridica, e, quindi, oggettivamente falsa della realtà che si dichiara (Cass. VI, n. 4453/2004). La fattispecie, inoltre, si realizza anche nel caso in cui l'agente si limiti ad esibire o presentare il documento falso all'autorità preposta al controllo, poiché ciò equivale a declinare le proprie generalità (Cass. V, n. 20507/2019).

La falsa dichiarazione o attestazione deve avere ad oggetto l' “identità”, “lo stato” o altre “qualità” della propria o dell'altrui persona:

1) per identità personale s'intendono le generalità della persona (Manzini, 991), per cui il delitto si consuma quando un soggetto rende dichiarazioni diverse in merito alle proprie generalità;

2) per stato vedi sub art. 494;

3) per qualità tutti gli elementi che concorrono a definire l'individualità di un soggetto quali, ad esempio, la professione, la dignità, il grado accademico e l'ufficio pubblico ricoperto (Cass. V., n. 19695/2019). Secondo parte della dottrina e la giurisprudenza, infatti, la falsa dichiarazione può avere ad oggetto qualsiasi qualità da cui deriva un effetto giuridico, quali presupposti o condizioni di legittimazione nei rapporti intersoggettivi (Cass. V, n. 22969/2022). Proprio perché idonei a produrre effetti giuridici anche i precedenti penali sono stati ritenuti qualità personali rilevanti. Un'altra impostazione dottrinaria, invece, ha osservato che l'art. 495 non richiede testualmente, a differenza dell'art. 494, che si tratti di qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici e, di conseguenza, l'obbligo di verità graverebbe anche in riferimento a dichiarazioni aventi ad oggetto qualità prive di rilevanza per il delitto di sostituzione di persona (Manzini, 992). Per un altro indirizzo ancora gli effetti giuridici possono essere anche solo potenziali, perché non occorre che dipendano immediatamente dall'attribuzione della qualità nell'atto pubblico in questione (Pagliaro, 649).

La giurisprudenza, invece, ha asserito genericamente che le qualità non possono che riferirsi ad attributi della persona che hanno per l'ordinamento giuridico un'efficacia ulteriormente individualizzante (Cass. V., n. 1199/ 2001).

Elemento psicologico

Il dolo

Il dolo è generico e consiste nella coscienza e volontà di rendere false dichiarazioni sull'identità, lo stato o le altre qualità della propria o dell'altrui persona ad un pubblico ufficiale. Non è necessario, infatti, che la condotta sia posta in essere al fine di trarre in inganno il destinatario della dichiarazione o altri soggetti (Cristiani, 1991, 110; Pagliaro, 1967, 649; Cass. V, n. 18476/2016; Cass. V, n. 41166/2008, Cass. I, 24 marzo 1980). Un orientamento minoritario ha osservato che è irrilevante la consapevolezza dell'agente di violare il dovere di veridicità, essendo tale dovere imposto inderogabilmente dalla legge penale. Di conseguenza l'errore o l'ignoranza che lo investisse si risolverebbe in un errore sul precetto penale (Manzini, 1986, 993; Cass. V, n. 24699/2004).

La giurisprudenza e parte della dottrina ritengono che il soggetto deve essere consapevole di rendere dichiarazioni false su qualità personali che sono giuridicamente rilevanti.

Consumazione e tentativo

Consumazione

Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui la dichiarazione o l'attestazione perviene al pubblico ufficiale (Cass. V, n. 2430/2015; Cass. V, n. 21863/2010, secondo la quale il delitto si realizza indipendentemente dalla riproduzione della dichiarazione in un atto pubblico).

Parte della dottrina ha asserito che il delitto può ritenersi consumato solo all'esito della procedura di identificazione e non anche durante lo svolgimento della stessa, perché il soggetto, desistendo dall'originario proposito, potrebbe rettificare le originarie dichiarazioni e consentire, quindi, la sua corretta identificazione (Manzini, 1962, 1006).

Secondo un indirizzo giurisprudenziale ai fini della sua configurabilità non rileva che il pubblico ufficiale abbia avuto la possibilità di accertare al momento della esecuzione della condotta le qualità personale del dichiarante, o che a seguito successivi controlli non le inserisca nell'atto o le includa con la menzione delle opportune verifiche (Cass. VI, n. 7515/1998): la lesione del bene della fede pubblica, infatti, si concretizza per il solo fatto di aver dichiarato il falso e indipendentemente dalla circostanza che il pubblico ufficiale sia consapevole o meno della falsità delle dichiarazioni e che sia stato o meno concretamente ingannato. Non ricorre, pertanto, un'ipotesi di reato impossibile per un'inidoneità originaria dell'azione (Cass. V, n. 49788/2013).

Nell'ipotesi in cui un soggetto rende molteplici dichiarazioni, tutte fra loro diverse, in merito alle proprie generalità, sussistono orientamenti discordanti in giurisprudenza.

Per il primo il reato non può considerarsi integrato se non viene prima accertata quale tra le dichiarazioni rese è realmente mendace, perché non può ritenersi che l'imputato abbia reso false generalità anche nell'occasione dalla quale muove l'addebito (Cass. IV, n. 41774/2014). Dopo aver verificato la falsità delle generalità indicate almeno in una delle circostanze oggetto di contestazione, l'incertezza sul tempus commissi delicti rileva solo ai fini della prescrizione del reato (Cass. IV, n. 36487/2014; Cass. V, n. 10938/2011).

Secondo un altro indirizzo, invece, il delitto si consuma perché non rileva il fatto che non sia stato possibile accertare le vere generalità del dichiarante e che questi, in una sola delle molteplici occasioni, possa, eventualmente, avere detto il vero (Cass. V, n. 57755/2017; Cass. V, n. 7712/2014; Cass. V, n. 34894/2010). In tale ipotesi il reato non può ritenersi insussistente perché, benché sia incerta la data della sua commissione, è ragionevole presumere che almeno in un'occasione il soggetto ha dichiarato il falso ed è, pertanto, sicura ed indiscussa la perpetrazione.

Tentativo

La dottrina ritiene configurabile il tentativo solo nelle ipotesi in cui l'iter della dichiarazione o attestazione risulti interrotto prima di giungere al termine (Pagliaro, 650).

Circostanze

L'art. 495 prevede tre circostanze aggravanti speciali che comportano il medesimo aumento di pena. La dottrina ha evidenziato che le aggravanti di cui al secondo comma fissano soltanto un minimo più elevato (due anni invece di uno) e non rendono, pertanto, la pena indipendente da quella stabilita per il delitto base, perché il massimo edittale (sei anni) rimane inalterato. Quindi, in caso di concorso con altre circostanze di effetto analogo, troverebbero applicazione le regole degli artt. 63 (prima parte e primo cpv) e 69 (prima parte e primo e secondo cpv) (Manzini, 1962, 994.).

False dichiarazioni in atti dello stato civile

In questa ipotesi le false dichiarazioni devono concernere le qualità della propria o dell'altrui persona, perché le altre falsità in atti dello stato civile sono oggetto di espressa previsione agli artt. 483,566 e 567 (Antolisei, 2008, 158). Pertanto si consumerà la fattispecie aggravata di cui all'art. 495, c. 2, n. 1), se il privato attesta falsamente al pubblico ufficiale l'identità del coniuge nell'atto di matrimonio, vertendo tale attestazione sull'accertamento delle qualità personali del dichiarante (ovvero l'identità della sposa) (Cass. V, n. 4054/2019).In merito alla falsità operata al momento della formazione dell'atto di nascita Cfr. subart. 567 e Cass. VI, n. 13751/2021).

False dichiarazioni sulla propria identità/stato/qualità personali rese all'autorità giudiziaria

La circostanza attiene alle dichiarazioni rese dall'imputato o dalla persona sottoposta ad indagini all'Autorità giudiziaria. L'aggravante inizialmente era stata estesa, con la modifica apportata dalla l. 31 luglio 2005, n. 155, anche alle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, riferimento che è stato poi espunto dal successivo intervento normativo del 2008. Secondo parte della dottrina per Autorità giudiziaria si devono intendere il giudice e il pubblico ministero e non la polizia giudiziaria (Pagliaro, 650). Il problema, però, si pone nel caso in cui quest'ultima operi nello svolgimento di tutti gli atti delegati

Soggetto attivo può essere l'imputato (art. 60 c.p.p.) o l'indagato (art. 61 c.p.p.) La giurisprudenza ha affermato che il diritto al silenzio o la facoltà di mentire non possono essere utilmente invocate quando l'imputato, in sede d'interrogatorio o di dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria, sia chiamato a fornire le proprie generalità ai fini dell'identificazione (Cass. V,  n. 4264/2021; Cass. V, 3 luglio 1986), ovvero sia richiesto di indicare eventuali precedenti penali a suo carico.

Falsa dichiarazione che determina l'iscrizione sotto falso nome di una decisione penale nel casellario giudiziale

In questa ipotesi la falsa dichiarazione per effetto della quale un provvedimento penale viene iscritto nel casellario giudiziale sotto falso nome non può che cadere sull'identità personale. Per decisione penale s'intende qualsiasi provvedimento giurisdizionale emesso dal giudice penale ai sensi del d.P.R. 14 novembre 2002 n. 313.

In merito all'individuazione del soggetto attivo si dibatte se può essere chiunque (cioè il testimone o qualsiasi altra persona che renda dichiarazioni dalle quali derivi la falsa iscrizione nel casellario: Nappi, 1989, 3) o esclusivamente l'imputato o l'indagato.

A sostegno del primo indirizzo è proposto un argomento di carattere sistematico: le due ipotesi contemplate all'art. 495 comma secondo costituiscono due modalità alternative di realizzazione della medesima circostanza, per cui nel caso in cui soggetto attivo sia l'imputato è sufficiente che egli menta sul proprio nome all'autorità giudiziaria e non rileva che la predetta falsa dichiarazione determini anche, all'esito del processo, l'iscrizione della decisione nel casellario giudiziale sotto falso nome (Manzini, 1962, 998).

Altra impostazione, invece, ha osservato che l'espressione “se per effetto della falsa dichiarazione”' deve ritenersi riferita alla falsa dichiarazione menzionata nella prima parte comma 2 n. 2 dell'art. 495 (ovvero quella sulla propria identità, stato o altre qualità personali) per cui il falso deve essere posto in essere dalla stessa persona che rende la dichiarazione, ossia l'imputato o l'indagato, e si configura solo in riferimento alle dichiarazioni rese prima di assumere tale qualità o rivolte a pubblici ufficiali che non sono l'autorità giudiziaria. Nel caso, invece, in cui la falsa iscrizione sia dovuta a false dichiarazioni sull'identità altrui, l'agente dovrebbe rispondere a sensi dell'art. 495 comma 1.

Concorso di persone

Posto che in tema di concorso di persone valgono i principi generali, nel caso in cui il pubblico ufficiale riporti dolosamente le false dichiarazioni del privato risponderà del reato di cui all'art. 495 aggravato ai sensi dell'art. 61 n. 9 e non di falsità ideologica in atto pubblico (art. 479) o in certificati e autorizzazioni amministrative (art. 480) (Cristiani, 144).

Unità o pluralità di reati

Il reato rimane unico nel caso in cui l'agente attesti o dichiari falsamente più elementi di identificazione tra quelli previsti dall'art. 495. Si applica, inoltre, un solo aggravamento di pena se concorrono tra loro più situazioni contemplate all'art. 495 n. 2.

Secondo un orientamento dottrinario in caso di reiterazione del falso se la dichiarazione attiene alla medesima procedura identificativa, anche se è stata ripetuta più volte ed in tempi diversi (ad es. prima alla polizia giudiziaria e poi al giudice) non si ha pluralità di reati perché non si realizza una pluralità di offese agli interessi tutelati. Quando, invece, si verificano degli episodi del tutto autonomi e distinti si ha una pluralità di reati (Pagliaro, 651).

Rapporti con altri reati

Indebita percezione di erogazioni a danno dello stato

Il reato di cui all'art. 495 resta assorbito nell'ipotesi delittuosa di indebita percezione di erogazioni pubbliche in danno dello Stato quando esso integra un elemento essenziale per la configurazione di quest'ultima e ne costituisca la modalità tipica di consumazione (Cass. VI, n. 34563/2013; Cass. VI, n. 44230/2012; Cass. V, n. 40688/2012).

Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale e falsità ideologica commessa dal privato

Secondo la giurisprudenza le tre fattispecie di cui agli artt. 479, 483 e 495 si differenziano tra di loro per aspetti che attengono, essenzialmente, alla provenienza della falsa attestazione. La falsità ideologica di cui all'art. 479 è un reato proprio e si configura soltanto in relazione a ciò che attesta nel documento, per propria scienza, il pubblico ufficiale che ne è l'autore. Di conseguenza si potrà ritenere consumato nel caso in cui il privato — in qualità di concorrente dell'intraneus ai sensi dell'art. 117 oppure inducendolo in errore ai sensi dell'art. 48 — fornisca false dichiarazioni, che risultino integrate da un'attestazione del pubblico ufficiale sulla loro intrinseca rispondenza al vero (Cass. S.U., n. 35488/2007;  Cass. VI, n. 8996/1994).

I reati di cui agli artt. 483 e 495, invece, sarebbero ipotizzabili solamente con riferimento alle false dichiarazioni dei soggetti privati, asseverate nell'atto redatto dal pubblico ufficiale. Di conseguenza si consumerebbe il delitto di cui all'art. 483 quando la falsa dichiarazione — attinente a fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, o a qualità personali — rimane autonoma rispetto all'attività di documentazione del pubblico ufficiale che ne è destinatario, mentre quello di cui all'art. 495 quando la falsa dichiarazione provochi una falsa riproduzione da parte del pubblico ufficiale nell'atto pubblico, per la quale è responsabile l'agente ingannatore. (Cass. V, n. 4420/2007; Cass. V, n. 89/2001).

È configurabile il concorso tra il delitto sanzionato dall'art. 495 e di falso ideologico per induzione del pubblico ufficiale al rilascio di un certificato amministrativo (artt. 48 e 480) quando la dichiarazione non veridica del privato concerna i medesimi fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità (Cass. V, n. 23681/2021).

Sostituzione di persona

Nel caso in cui un soggetto induca in errore un altro, al fine di trarne vantaggio o di arrecare un danno, attribuendo un falso nome in una dichiarazione resa ad un pubblico ufficiale si realizza il delitto di cui all'art. 495 perché quello descritto dall'art. 494, essendo un reato sussidiario, resta assorbito Cass. V, n. 45527/2016.

False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri

Cfr. sub art. 496 e il paragrafo "False attestazioni di generalità".

Alterazione di stato

Cfr. sub art. 567, comma 2.

Concorso di reati

Calunnia

In merito ai rapporti fra la fattispecie di cui all'art. 495 comma 2 n. 2 e la calunnia, in giurisprudenza si registra un duplice indirizzo. Secondo un orientamento, quando l'agente in un procedimento penale a suo carico rilascia all'autorità giudiziaria delle false generalità corrispondenti a quelle di una persona realmente esistente si configura la fattispecie di falso (Cass. VI, n. 24572/2005); mentre per un altro indirizzo i due reati concorrono qualora la falsa dichiarazione abbia determinato il pericolo di apertura di indagini nei confronti della persona di cui sono state falsamente dichiarate le generalità (Cass. VI, n. 12847/2007).

Esercizio abusivo della professione

Si ha concorso di reati quando all'esercizio abusivo della professione legale si affianchi la spendita della qualità indebitamente assunta davanti al Giudice o ad altro pubblico ufficiale (Cass. V, n. 646/2013; Cass. II, n. 18898/2004).

Art. 1 l. 19 aprile 1925 n. 475

Si ha concorso tra i reati previsti all'art. 1 l. 19 aprile 1925 n. 475 e quello di cui all'art. 495 se un soggetto presenta un elaborato come proprio in un concorso per l'assunzione in una amministrazione dello Stato, attraverso una falsa dichiarazione sull'identità della propria persona ad un pubblico ufficiale. In tal caso, infatti, non è applicabile il principio di specialità, perché il concorso apparente di norme presuppone un medesimo fatto che costituisce imprescindibile termine di paragone delle norme confliggenti. Nel caso di specie, invece, sarebbero diversi i fatti costitutivi delle due ipotesi delittuose; il collegamento strumentale che le unisce non legittima l'assorbimento dell'una nell'altra, imponendo, peraltro, l'aggravamento della pena ai sensi dell'art. 61 n. 2 c.p.(Cass. V, 15 aprile 1986).

Casistica

False attestazioni di generalità

In tema di false attestazioni di generalità integrano gli estremi del delitto sanzionato dall'art. 495 le condotte del soggetto che: a) presenta il passaporto all'autorità preposta al controllo, perché tale comportamento equivale a declinare le proprie generalità in conformità alle indicazioni contenute nei predetti documenti di identificazione (Cass. V, n. 22585/2012); b) declina delle generalità diverse da quelle riportate nel passaporto nel corso della redazione del c.d. fotosegnalamento (Cass. V, n. 4414/2009); c) fornisce false generalità alla polizia o ai carabinieri all'atto della redazione di un verbale di identificazione, poiché ha l'obbligo di fornirle secondo verità (Cass. V, n. 15654/2014; Cass. V, n. 7286/2014; Cass. V, n. 5622/2014; Cass. V, n. 3042/2010);   d) fornisce generalità diverse da quelle, da ritenersi come ufficialmente accertate, fornite agli uffici di polizia all'atto della richiesta di asilo politico, avanzata contestualmente all'ingresso nel territorio nazionale (nel caso in cui si tratti di straniero Cass. V, n. 36904/2017). e) esibisce o presenta il documento falso (la patente di guida) all’autorità preposta al controllo, poiché ciò equivale a declinare le proprie generalità in conformità alle indicazioni contenute nei predetti documenti di identificazione e non rispondenti al vero (Cass. V, n. 20507/2019).

Il reato, invece, non sussiste nel caso in cui le generalità dell'agente rimangono ignote ed egli ha reso una sola dichiarazione perché non è possibile presumerne la falsità ( Cass. V, n. 12195 /2000 ). Differente è l'ipotesi in cui l'agente ha dichiarato in due o più occasioni generalità differenti perché è ragionevole presumere che almeno in un'occasione ha asserito il falso ( Cass. V, n. 4565/2003 ).

Sussiste, infine, un contrasto giurisprudenziale sulla configurabilità, o meno, del reato di cui all'art. 495 nell'ipotesi in  cui il soggetto declina generalità false al "controllore" di un'azienda di trasporto urbano: secondo un indirizzo, infatti, la condotta de quo realizza tale fattispecie in quanto le sue dichiarazioni sono destinate ad incidere direttamente sulla formazione dell'atto pubblico costituito dal verbale di accertamento dell'infrazione e in quanto il "controllore" riveste la qualità di pubblico ufficiale in ragione dell'attribuzione di poteri autoritativi e certificativi individuati nelle funzioni di accertamento dell'infrazione, di identificazione personale dell'autore della violazione e di redazione del relativo verbale di accertamento, attribuiti dalle norme di legge, regionale e nazionale (Cass. V, n. 25649/2018). Per un diverso orientamento si consuma la fattispecie di cui all'art. 496 perché il summenzionato "controllore" deve considerarsi un incaricato di pubblico servizio: tale qualifica, infatti, scaturisce da un lato dalla circostanza che l'azienda di trasporto a cui appartiene svolge una funzione pubblica e dall'altro dalla considerazione che le funzioni esercitate dal predetto dipendente non sono meramente esecutive in quanto, dovendo egli accertare le infrazioni al contratto di trasporto, pone in essere un'attività di carattere intellettivo (Cass. V., n. 45524/2016, Cass. V, n. 31391/2008).

La nozione di qualità personale

La definizione del concetto di qualità personale non è stata sempre univoca nella giurisprudenza. In diverse pronunce (v. Cass. V, n. 4426/1998) si è affermato che nella nozione di qualità personali rientrano quegli attributi e modi di essere che servono ad integrare l'individualità di un soggetto e si è distinti tra qualità primarie (l'identità e lo stato civile) ed altre qualità, che pure concorrono a stabilire le condizioni della persona, ad individuarla ed identificarla, quali la residenza e il domicilio (Cass. V, n. 1789/2011; Cass. V, n. 11885/1998), la professione, la dignità, il grado accademico, l'ufficio pubblico ricoperto, lo stato di convivente (Cass. V, n. 22969/2022; Cass. V, n. 10123/2002).

Non rientrano, invece, nell'ambito di applicazione della norma le dichiarazioni e le attestazioni false inerenti qualità personali relative a richieste dell'Autorità su qualità squisitamente personali e non giustificate da esigenze di identificazione, ma rivolte ad altri fini (Cass. V, n. 30809/2003; Cass. V, n. 10342/1996; Cass. V, 4639/1993 ad esempio non possono integrare il reato ex art. 495 le richieste finalizzate ad acquisire elementi a carico dell'indagato), quali, ad es., la falsa affermazione di essere proprietario di un immobile (Cass. IV, n. 30192/2012).

Secondo parte della dottrina e della giurisprudenza i precedenti penali, essendo idonei a produrre effetti giuridici sono stati ritenuti qualità personali rilevanti; (v. Cass. V, 21 marzo 1984; Cass. V, n. 4420/2007), secondo altra parte non contribuiscono all'identificazione del soggetto, di conseguenza la falsità che investe detti elementi non sarebbe sufficiente ad integrare il reato ex art. 495.

In materia di dichiarazioni rese in sede di autocertificazione la Cassazione ha affermato che integra il reato di cui all'art. 495 la presentazione della dichiarazione sostitutiva di certificazione antimafia ai sensi dell'art. 46 d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Cass. V, n. 22603/2010), mentre non consuma il delitto l'attestazione da parte di un soggetto gravato da una pluralità di condanne, nessuna delle quali superiore a tre anni, in sede di autocertificazione, preordinata all'ammissione agli esami per il conseguimento della patente nautica, di essere in possesso dei requisiti morali previsti dall'art. 6 del regolamento sulle patenti nautiche (Cass. V, n. 10153/2011). Diversamente il reato è integrato qualora la predetta attestazione sia stata prodotta da un individuo gravato da una condanna a pena detentiva superiore a tre anni (Cass. V, n. 18680/2021).

In materia di dichiarazioni rese in sede di autocertificazione la Cassazione ha affermato che integra il reato di cui all'art. 495 la presentazione della dichiarazione sostitutiva di certificazione antimafia ai sensi dell'art. 46 d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Cass. V, n. 22603/2010), mentre non consuma il delitto l'attestazione, in sede di autocertificazione, preordinata all'ammissione agli esami per il conseguimento della patente nautica, di essere in possesso dei requisiti morali previsti dall'art. 6 del regolamento sulle patenti nautiche (Cass. V, n. 10153/2011).

Per giurisprudenza consolidata, infine, il rilascio della patente di guida, concretandosi in una mera autorizzazione amministrativa, cioè in un rapporto tra il soggetto e la pubblica amministrazione, non incide sull'identità intesa in senso lato e non attribuisce al soggetto stesso una qualità personale rilevante ai sensi dell'art. 495. Di conseguenza non integra il delitto il conducente di un veicolo che, sorpreso a guidare senza patente, dichiari falsamente agli agenti di essere munito della abilitazione alla guida, pur non avendola con se (Cass. V, n. 4243/2013).

Dolo

In relazione ai precedenti penali, il dolo consiste nella volontà di alterare una qualità della propria persona, quale, ad esempio, lo stato di incensuratezza (Cass. VI, 10 gennaio 1990). In merito, però, non si è ravvisato il dolo nella dichiarazione di incensuratezza resa dall'indagato in sede di interrogatorio, pur essendo stato questi raggiunto da un decreto penale di condanna, attesa la particolare disciplina di tale provvedimento giurisdizionale.

Profili processuali

Gli istituti

Si tratta di reato procedibile d'ufficio, e di competenza del tribunale in composizione monocratica.

Per la falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri: a) non è consentita la citazione diretta ai sensi dell'art. 550 c.p.p.; b) non è consentito il fermo e l'arresto in flagranza è facoltativo (art. 381, comma 2, lett. m ter c.p.p.); c) sono consentite l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

La falsità di un atto o di un documento accertata con sentenza di condanna deve essere dichiarata nel dispositivo o con lo stesso deve esserne ordinata la cancellazione totale o parziale (art. 537 c.p.p.). Ove ciò non sia avvenuto provvede il giudice dell'esecuzione (art. 675 c.p.p.).

Bibliografia

Lei, Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, Reati contro la fede pubblica, a cura di Ramacci, X, Milano, 2013. V. anche sub art. 494.

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