Codice Penale art. 572 - Maltrattamenti contro familiari e conviventi 1 .

Maria Teresa Trapasso
aggiornato da Aldo Aceto

Maltrattamenti contro familiari e conviventi 1.

[I]. Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni23.

[II]. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi4.

[III]. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

[IV]. Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato5.

 

competenza: Trib. monocratico (udienza prelim. primo comma e prima parte del terzo comma); Trib. collegiale (secondo comma e ipotesi di lesione gravissima di cui alla seconda parte terzo comma); Corte d'Assise (ipotesi di morte)

arresto: obbligatorio

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 2-bis, c.p.p.)

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

[1] Articolo sostituito dall'art. 4, l. 1° ottobre 2012, n. 172. Il testo precedente recitava: «Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli. - Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. - Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni».

[2] Le parole «da tre a sette anni» sono state sostituite alle parole «da due a sei anni» dall'art. 9, comma 2, lett. a) l. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019.

[3] Seguiva un secondo comma abrogato, in sede di conversione, dall'art. 1, comma 1-bis, d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv., con modif., in l. l. 15 ottobre 2013, n. 119.  Il testo del comma, risultante dalla modifica operata dalla l. n. 172 del 2012, cit., era il seguente: «La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di minore degli anni quattordici». Precedentemente alla conversione in legge, l'art. 1 d.l. n. 93 del 2013, cit. prevedeva la sostituzione nel predetto secondo comma delle parole «di persona minore degli anni quattordici» con le parole «o in presenza di minore degli anni diciotto».

[4] Comma inserito dall'art. 9, comma 2, lett. b) l. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019.

[5] Comma aggiunto dall'art. 9, comma 2, lett. c) l. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019.

Inquadramento

L'individuazione del bene giuridico tutelato è controversa. L'orientamento prevalente è nel senso di individuare la direzione lesiva nell'offesa alla personalità, intesa come offesa alla dignità della persona attraverso la realizzazione di condotte di lesione o messa in pericolo dell'incolumità fisica o psicologica, nell'ambito di rapporti interpersonali che dovrebbero favorire e non danneggiare la personalità (del Tufo, 456; in sede di legittimità si è precisato come, nel caso di maltrattamenti posti in essere nei confronti di più familiari, sia configurabile una pluralità di reati, Cass. VI, n. 2625/2016).

La previsione è stata modificata dalla l. n. 69/2019 ( c.d. Codice rosso) prevedendo per essa al primo comma di pene più severe -“da tre a sette anni” – rispetto a quelle precedentemente previste (“da due a sei anni”). Si è altresì prevista l'introduzione (dopo il primo comma) della previsione secondo la quale la pena è aumentata sino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di una persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell'art. 3 l. n. 104/1992 ovvero se il fatto sia commesso con armi. Il contenuto riproduce parzialmente l'aggravante di cui all'art. 61 n. 11-quinquies disp att. c.p.p., nel quale il riferimento all'art. 572, prima espresso nel testo, è stato ora espunto.

Alla norma in commento si è aggiunto l'ulteriore comma secondo in cui viene qualificata “persona offesa dal reato” il minore degli anni diciotto che assista ai maltrattamenti.

Soggetti

Si tratta di un “reato proprio” (Fiandaca-Musco, 389) che può essere commesso nell'ambito dei seguenti rapporti intersoggettivi: 

- rapporti di famiglia. Il reato può essere commesso da qualsiasi membro della famiglia in danno di un altro, a prescindere dal ruolo ricoperto (Dolcini-Gatta, 2760).

L'introduzione dell'art. 574-ter, con cui l'ordinamento ha esteso il termine “matrimonio” anche alla costituzione di un'unione civile tra persone dello stesso sesso, consente di riconoscere la qualità di “coniuge” anche ai soggetti parte di questa unione (d.lgs. n. 6/2017, art. 1, comma 1, lett. b).Dal 2012 si è estesa la tutela predisposta dal delitto in esame anche ai conviventi (Fiandaca-Musco, 388; l'assenza di un vincolo giuridico comporterà la necessità della prova del rapporto di convivenza, Gambardella, 483). 

In sede di legittimità si è tuttavia precisato come la “convivenza” non rappresenti un presupposto della fattispecie (potendo configurarsi il reato anche in danno di persona non convivente con l'agente, quando questi e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione, Cass. II, n. 39331/2016).  In presenza di figli minori, la cessazione della convivenza con riguardo ad una coppia di fatto, non esclude la configurabilità dell'art. 572 relativamente a condotte poste in essere successivamente alla separazione (Cass VI, n. 25498/2017; "a condizione che l'agente conservi con la vittima una stabilità di relazione dipendente dai doveri connessi con la filiazione", Cass. VI, n. 25498/2017). Il delitto non richiede la mera esistenza di un rapporto parentale tra l'autore della condotta e la persona offesa, occorrendo l'effettiva convivenza o, quanto meno, rapporti di reciproca assistenza morale ed affettiva, sicché il reato non è configurabile ove risulti la definitiva disgregazione dell'originario nucleo familiare (si è esclusa la sussistenza del reato sul presupposto che l'imputato, figlio e fratello delle persone offese, aveva interrotto con queste qualsivoglia rapporto familiare, non potendo neppure integrare il requisito della convivenza la mera condivisione di parti comuni dell'edificio all'interno del quale ciascuno disponeva di un autonomo appartamento, Cass. VI, n. 8145/2020).

Si ritiene (dal 2012) configurabile il reato anche nei confronti di soggetti separati (“nei casi di separazione e di sopravvenuta interruzione della convivenza”, Cass. VI, n. 7369/2012), non invece dal momento in cui sopraggiunga la sentenza di divorzio.

Il delitto è configurabile anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danni dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra genitori – c.d. violenza assistita – sempre che sia stata accertata l'abitualità delle condotte e le loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi (Cass. VI, n. 18833/2018; si v. pure Cass. V, n. 32368/2018).

- rapporto di autorità con soggetto passivo. In sede dottrinale da taluni si ritengono ricompresi non solo i rapporti giuridici, ma anche quelli di “mero fatto” (per un quadro, Dolcini-Gatta, 2761; in senso contrario Coppi, 1979, 224, per il quale il concetto di autorità richiama necessariamente l'esistenza di un rapporto giuridico lecito).

- affidamento per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per esercizio di una professione o di un'arte. L' “affidamento” può trovare fondamento in rapporti di diritto pubblico o privato (es. datore di lavoro, Cass. VI, n. 27469/2008; operatori di istituti di assistenza Cass. VI, n. 8592/2009; nello stesso senso, Cass. V, n. 26919/2024 secondo cui Il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi, di cui all'art. 572, è applicabile anche quando le condotte siano realizzate nell'ambito di una situazione di parafamiliarità, intesa come sottoposizione di una persona all'autorità di un'altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie delle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all'azione di chi ha la posizione di supremazia. La Corte ha ravvisato la predetta condizione nella situazione di affidamento degli anziani ospiti ai gestori di una struttura residenziale, in un contesto di prossimità permanente).

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Devono ritenersi ricompresi nell'ambito soggettivo della norma le parti delle unioni civili dello stesso sesso (riconosciute dall'ordinamento a seguito della l. n. 76/2016, c.d. legge Cirinnà; sul tema, Gatta, Unioni civili tra persone dello stesso sesso e convivenze di fatto: i profili penalistici della legge Cirinnà, in  penalecontemporaneo.it )

Secondo quanto stabilito dalla legge c.d. Codice rosso (art. 9, comma 2, lett. c, l. n. 69/2019), viene qualificata “persona offesa dal reato” il minore degli anni diciotto che assista ai maltrattamenti.

Il reato non esclude affatto la possibilità del concorso altrui nella sua consumazione mediante omissione.

È stato al riguardo affermato che è configurabile il concorso per omissione nei delitti di maltrattamenti e lesioni nel caso in cui il genitore di figli minori, nella consapevolezza delle reiterate condotte violente perpetrate dal convivente nei confronti dei ragazzi, pur avendone la possibilità, ometta di intervenire per impedirle (Cass. V, n. 18832/2024).

Secondo Cass VI, n. 10763/2018, integra il concorso per omissione nel delitto di maltrattamenti in famiglia la condotta della referente del Comune presso un asilo nido che ometta di intervenire pur avendo conoscenza dei maltrattamenti consumati nella struttura; nello stesso senso Cass. VI, n. 3965/1994 secondo cui il delitto di maltrattamenti risulta caratterizzato dalla presenza di quell'evento che più volte la giurisprudenza ha individuato nella produzione di durevoli sofferenze fisiche e morali nei confronti di una persona di famiglia o di una persona minore degli anni quattordici o di una persona sottoposta alla autorità dell'agente, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l'esercizio di una professione o di un'arte. E poiché un simile evento può ritenersi realizzato anche quando ne siano vittima persone affidate ad una pubblica struttura di assistenza, ne consegue che coloro cui sono attribuiti oneri di protezione possono rispondere del delitto di cui all'art. 572 quando tollerino che quel risultato abbia a realizzarsi, purché, ovviamente, o non si siano attivati in alcun modo o si siano attivati in modo del tutto inefficiente pur essendo in condizione di impedire l'evento. Cosicché il loro contegno omissivo, non impedendo quell'evento che avrebbero l'obbligo giuridico di impedire, viene equiparato dalla legge, sotto il profilo eziologico, a causa della sua realizzazione. Anche Cass. VI, n. 394/1990 aveva spiegato che il delitto di maltrattamenti previsto dall'art. 572 può esser realizzato anche mediante condotte omissive, individuabili pure nel deliberato astenersi da parte dei responsabili di una pubblica struttura di assistenza e cura - in presenza del contrario dovere incombente su di loro - dall'impedire condotte illegittime realizzanti la materialità del reato, sussistendo le altre condizioni previste dalla fattispecie legale; infatti non impedire il verificarsi di un evento che si ha il dovere giuridico di impedire equivale a cagionarlo (nel caso di specie si contestava a taluno dei responsabili di una pubblica struttura di assistenza e cura di non aver impedito ad estranei di maltrattare anziani colà ricoverati).

Più in generale, il fondamento della responsabilità penale per fatto altrui postula la sussistenza di una posizione di garanzia (che, di regola, deve trovare la propria fonte nella legge o nel contratto) che trova la sua fonte legale nellart. 40, comma 2, c.p.

Il reato omissivo per mancato impedimento, quindi, non è un reato comune (realizzabile da chiunque), ma si configura come un reato proprio di specifiche categorie di soggetti. In ossequio al principio della responsabilità penale personale, sono ulteriori requisiti: a) l'esistenza di poteri giuridici impeditivi, sottostanti all'obbligo di garanzia. Invero l'obbligo di garanzia e, quindi, l'affidamento della tutela dei beni al garante sussistono nei limiti della compresenza di doveri e di speculari poteri giuridici impeditivi, quali certamente quelli conferiti in via generale ai genitori di affidamento dei beni personali e patrimoniali dei figli minori; b) la preesistenza del potere-dovere impeditivo rispetto alla situazione di pericolo, perché solo così il garante può esercitare i poteri-doveri di vigilanza ed intervento e, quindi, di tutela anche preventiva del bene affidatogli (condizione pacificamente sussistente a carico del genitori sul figlio minore); c) la possibilità materiale del garante di compiere l'azione impeditiva idonea. L'obbligo di garanzia può essere definito come l'obbligo giuridico, che grava su specifiche categorie predeterminate di soggetti previamente forniti degli adeguati poteri giuridici, di impedire eventi offensivi di beni altrui, affidati alla loro tutela per l'incapacità dei titolari di adeguatamente proteggerli. E la conseguenza è che solo l'obbligo impeditivo, ricostruito nei suddetti termini, legittima: a) l'equiparazione del non impedire al causare: della causalità omissiva alla causalità attiva; b) e, quindi, la imputabilità dell'evento non impedito (così, in motivazione, Cass. V, n. 18832/2024)

Materialità

Pluralità di atti

La condotta di maltrattamento prevede una pluralità di atti, di natura fisica o psicologica, sia nella forma attiva che in quella omissiva (da taluni tuttavia esclusa in ragione dell'inapplicabilità dell'art. 40, comma 2, ai reati abituali; si v., per i rinvii, Dolcini-Gatta, 2763).

Si tratta di un reato abituale (Cass. VI, n. 51212/2014; Cass. VI, n. 15146/2014), che può essere integrato anche mediante il compimento di atti che, di per se, non costituiscono reato (Cass. VI, n. 13422/2016). 

E ' richiesto il compimento di atti che non siano sporadici e manifestazione di un atteggiamento di contingente aggressività, occorrendo una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della vittima (Cass.VI, n. 6126/2019).

Allorché la serie di fatti costituenti maltrattamenti si esaurisca e dopo un notevole intervallo temporale ne inizi un'altra contro lo steso soggetto passivo, si è in presenza di due autonomi reati di maltrattamenti, eventualmente uniti dal vincolo della continuazione, in presenza di un medesimo disegno criminoso (Cass. VI, n. 56961/ 2017).

Il reato è configurabile anche nel caso in cui le condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri (la S.C. ha precisato che il reato di cui all'art. 572 c.p. non prevede il ricorso a forme di sostanziale autotutela, mediante un regime di "compensazione" fra condotte penalmente rilevanti e reciprocamente poste in essere, Cass. VI, n. 12026/2020; si v. però Cass. VI, n. 4935/2019, che esclude il reato in caso di offese e violenza reciproche, di pari intensità). Più recentemente il principio è stato ribadito da Cass. I, n. 19769/2024 secondo cui il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche nel caso in cui le condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri, poiché l'art. 572, non prevedendo spazi di impunità in relazione ad improprie forme di autotutela, non consente alcuna "compensazione" fra condotte penalmente rilevanti poste in essere vicendevolmente.

L'abitualità del reato, da intendersi quale reiterazione nel tempo di comportamenti antigiuridici, è posta a fondamento da parte di una recente sentenza della Corte di legittimità (Cass. VI, n. 13562/2020), dell'esclusione della compatibilità del delitto in commento  con l'attenuante della provocazione (invocata, nel caso deciso, solo con riferimento all'ultimo episodio di lesioni personali, che si inseriva in una condotta di maltrattamenti protrattasi per anni, Nello stesso senso, si v. pure Cass. VI, n. 10006/1991).

L'individuazione del contenuto della nozione di maltrattamenti non è agevole in ragione della sua indeterminatezza. Il maltrattare si può concretizzare tanto nel sottoporre il soggetto passivo a fatti che configurano di per se un reato, come nel caso delle percosse o minacce, quanto nel tenere comportamenti atipici, ma che determinano, nella ripetizione, sofferenze fisiche o morali (del Tufo, 458).

La giurisprudenza vi fa rientrare le condotte di seguito indicate.

Il mobbing

La dottrina prevalente (Spena, 354; Beltrani, 1286) riconduce il mobbing al delitto di cui all'art. 572, sia in ragione dell'espresso richiamo al contesto lavorativo, sia alla possibilità che le condotte di maltrattamento (umiliazioni ed angherie) commesse al suo interno, integrino la direzione lesiva tutelata dalla fattispecie (in tal senso sono state respinte le osservazioni di coloro che escludono l'applicabilità della fattispecie alle imprese di grandi dimensioni; si è infatti rilevato come la condotta di maltrattamento vada individuata avuto esclusivo riguardo al rapporto che intercorre tra chi esercita l'autorità e chi ad essa è sottoposto, Dolcini-Gatta, 2762). In sede di legittimità si è osservato come la pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione possono integrare il delitto di cui all'art. 572 esclusivamente se il rapporto tra datore di lavoro e dipendente assume natura parafamiliare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di un parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia (Cass. VI, n. 28603/2013; richiamano il requisito della parafamiliarità anche Cass. VI, n. 24057/2014 e Cass., n. 39338/2017; si v. anche Cass. VI, n. 14754/ 2017, che ha escluso la configurabilità del reato in relazione alle condotte poste in essere dai superiori di grado nei confronti di un appuntato dei carabinieri).  

La condotta vessatoria integrante mobbing, non è esclusa dalla formale legittimità delle iniziative disciplinari assunte nei confronti dei dipendenti mobizzati (Cass. VI, n. 28553/2009).

Reato culturalmente motivato

L'appartenenza a culture che autorizzano comportamenti integranti maltrattamenti non vale a scriminare le condotte; in tal senso la giurisprudenza ha osservato come il disvalore delle condotte di maltrattamenti non venga meno in ragione delle diverse tradizioni culturali che regolano i rapporti familiari (Cass. VI, n. 32824/2009, Cass. VI, ord., n. 3398/1999, da ultimo,Cass. VI, n. 8986/2020; ne descrive i profili problematici, del Tufo, 459).

Elemento psicologico

Il delitto è doloso, il dolo, generico (Gambardella, 496), consiste nella coscienza e volontà di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze instaurando un sistema di sopraffazioni e vessazioni che ne avviliscono la personalità e costituiscono fonte di disagio continuo e incompatibile con normali condizioni di vita (del Tufo, 458).

In giurisprudenza si è richiamato il dolo nei termini di “dolo unitario”, che si concretizza nella volontà e consapevolezza di porre in essere un comportamento oppressivo e prevaricatorio (Cass. VI, n. 30432/2015); le finalità perseguite dall'autore degli atti vessatori non hanno alcun rilievo (App. Trento, n. 147/2015), né è richiesta la previa programmazione di una serie continua di prevaricazioni (Cass. VI, n. 31121/2014). Si è precisato come lo stato di nervosismo o di risentimento non escluda l’elemento psicologico del reato, costituendo, al contrario, uno dei possibili moventi dell’ipotesi delittuosa (Cass. III, n. 14742/ 2016, a proposito del risentimento dell’imputato determinato dal rifiuto del coniuge di congiungersi carnalmente).

La S.C. in una recente pronuncia ha confermato come il dolo del delitto di maltrattamenti non implichi l'intenzione di sottoporre il convivente, in modo continuo ed abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività vessatoria (Cass. III, n. 41631/2017).

Consumazione e tentativo

Consumazione

La natura del reato è controversa. Taluni ritengono che la condotta di maltrattamenti integri un “reato permanente” (Cass. VI, n. 755/1980).

Dottrina risalente ne affermava la natura di “reato complesso”, in quanto composto da una pluralità di azioni difformi tra loro, ciascuna costituente reato: tale conclusione non è però condivisa dalla prevalente dottrina (Antolisei, 513 e giurisprudenza Cass. VI, n. 1857/1989), che ritiene che la condotta possa abbracciare anche atti non costituenti reato, e che propende, attualmente, per una qualificazione del reato come “abituale” (Antolisei, 513; Fiandaca-Musco, 389), la cui consumazione coincide pertanto con il compimento di “una pluralità di atti — costituenti o meno autonomi reati — legati tra loro dal vincolo dell'abitualità (cioè dalla continuità e ripetitività nel tempo, Cass. VI, n. 37019/2003, Cass. VI, n. 2042/1992).

Il delitto pertanto si consuma quando viene compiuto l'ultimo atto di maltrattamento (cioè nel momento in cui la gravità tipica del fatto raggiunge il suo apice, Spena, 376; Cass. VI, n. 43221/2013). Con recente sentenza (Cass. VI, n. 28218/2023), la Corte di legittimità si è soffermata sulla questione del tempus commissi delicti nei reati abituali, con particolare riferimento all’ipotesi di successione modificativa sfavorevole che intervenga quando la condotta sia ancora in corso. I giudici richiamano un primo orientamento, prevalente, alla stregua del quale, per l’individuazione della legge applicabile si deve fare riferimento al momento in cui la condotta si esaurisce, cioè l’ultimo atto che protrae la situazione antigiuridica. L’unitarietà del reato abituale, rispetto alla quale la legge sopravvenuta più severa sarebbe la legge del tempo, determinerebbe pertanto l’applicazione della disposizione vigente alla data della consumazione, con conseguente estraneità della materia alla disciplina dell’art. 2 cp (ispirata da questa soluzione interpretativa, Cass.VI, n. 19832/2022 a proposito dell’applicazione dell’aggravante speciale della ‘violenza assistita’ di cui al comma secondo dell’art. 572 cp realizzata dopo la legge n. 69 del 2019). Il descritto orientamento dominante viene fatto oggetto di riserve dalla decisione in commento, che osserva criticamente come una tale soluzione interpretativa autorizzerebbe l’applicazione della legge sopravvenuta sfavorevole anche nell’ipotesi in cui sotto la sua vigenza sia compiuto un solo fatto maltrattante, anche se non penalmente illecito, così da sottoporre il soggetto agente alla nuova legge penale nonostante sotto la sua vigenza egli non abbia commesso nessun atto di per sé penalmente rilevante. A supporto di tale diverso avviso, la Corte richiama la decisione delle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 40986/2018, in tema di individuazione nei reati di durata del tempus commissi delicti per confermare, diversamente dal descritto orientamento dominante, la riconducibilità della questione al fenomeno della successione di leggi nel tempo, affermando la necessità di richiamare la ‘condotta’ come punto di riferimento essenziale per garantire la ‘calcolabilità’ delle conseguenze penali. Paventando il rischio per i reati c.d. di durata di una retroattività occulta per tutti i casi in cui “lo ius novum rimuova o smentisca in senso peggiorativo l’effetto giuridico stabile prodottosi nella situazione preesistente alla modifica”, la Corte ritiene di dover precisare come, ove l’effetto per il reo sia già sorto, vi sarebbe divieto di rivalutazione in peius. Sottolinea sul punto criticamente la Corte come, laddove sotto la vigenza della nuova legge si realizzi un segmento insignificante di abitualità, eventualmente penalmente neutro, la concezione unitaria del reato abituale comporterebbe l’applicazione del trattamento più severo all’intera condotta abituale compiuta in precedenza, rispetto alla quale essendosi il reato già perfezionato, sarebbe invece già sorto il diritto ad essere giudicato applicando la norma pregressa più favorevole. Ad avviso della Corte, pertanto, nel caso in oggetto, la realizzazione di un solo atto maltrattante, anche se penalmente irrilevante, rischierebbe di determinare l’applicazione della norma sfavorevole sopravvenuta ad una condotta già pienamente sussumibile alla norma penale più favorevole. In ciò la Corte dimostra di conformarsi alle esigenze di garanzia manifestate dalla giurisprudenza di Strasburgo sul tema del divieto di irretroattività sfavorevole nel caso di nuova incriminazione nei ‘reati di durata’; in tale sede, la Corte EDU, per accertare l’eventuale violazione dell’art. 7 Cedu, indica la necessità di compiere una duplice verifica, consistente: nell’accertamento della punibilità della condotta prima dell’entrata in vigore della norma incriminatrice; nel verificare se l’applicazione della norma abbia determinato in concreto un trattamento sanzionatorio più gravoso, rispetto a quello che sarebbe stato applicabile sanzionando ciascuna porzione di condotta sulla base della disciplina vigente al momento in cui essa sia stata realizzata (Corte EDU, Grande Camera, 27/01/2015, Rholena c. Repubblica Ceca).

Tentativo

La maggioranza della dottrina e la giurisprudenza esclude la configurabilità del tentativo (Antolisei, 514).

Circostanze

Il comma 2 dell'art. 572 (modificato nel senso dell'inasprimento sanzionatorio dalla l. n. 172/2012) prevede un aggravamento di pena se dal fatto derivi: una lesione personale grave (reclusione da quattro a nove anni); una lesione personale gravissima (reclusione da sette a quindici anni); la morte (reclusione da dodici a ventiquattro anni).

L'esigenza del rispetto del principio della colpevolezza impone, per le ipotesi indicate, l'accertamento della ricorrenza dei coefficienti di imputazione soggettiva ex art. 59 (l'eventuale qualificazione delle ipotesi in parola quali ipotesi di reato aggravato dall'evento non sottrarrebbero comunque l'imputazione degli eventi descritti — morte, lesioni gravi o gravissime — al riscontro della prevedibilità, Dolcini-Gatta, 2768; si osserva tuttavia come per la configurabilità dell'ipotesi di cui al secondo comma l'evento non dovrebbe neanche essere stato rappresentato dall'agente, potendo diversamente configurarsi, in tale ipotesi, una responsabilità per il reato di morte o lesioni a titolo di dolo eventuale, in concorso con il delitto di maltrattamenti, Fiandaca-Musco, 391).

L'espressione "derivare" di cui all'art. 572, comma terzo, c.p. deve essere interpretata in relazione ai principi posti dall'art. 41 c.p. e, pertanto, impone un rinvio alle regole con cui è regolamentata l'imputazione oggettiva degli eventi causati dall'autore di un reato (la S.C. ha ritenuto che la patologia da cui sarebbe stato affetto il minore deceduto non interrompeva il nesso di causalità tra i maltrattamenti e l'evento morte, potendo assurgere, al più, quale concausa dell'evento morte, non essendo idonea a rendere irrilevante il fatto violento del ricorrente,Cass. VI, n. 4221/2020).

In sede di legittimità si è stabilita la configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 572, comma 3, cp in capo al soggetto che compia condotte maltrattanti - nell'ambito delle quali si inscriva l'azione che provochi direttamente il decesso della persona offesa, anche se compiuta da un concorrente - quando i maltrattamenti, globalmente considerati, pure in considerazione dell'ultimo episodio di violenza, abbiano avuto idoneità concreta ad offendere il bene vita. (Fattispecie in cui la sentenza impugnata aveva attribuito la morte della vittima non solo all'autrice del colpo letale, ma anche al ricorrente, per avere lo stesso reiteratamente posto in essere, in concorso con quest'ultima, durature e selvagge vessazioni, le quali avevano costituito l'antecedente causale delle percosse che materialmente avevano portato alla morte; Cass. VI, n. 41744/2021).

Quanto alle lesioni comuni, si v. ultra.

Nel caso di suicidio del soggetto passivo, la dottrina prevalente ritiene di applicare l'aggravante di cui all'art. 572 cpv nel caso in cui “la volontà del soggetto passivo sia stata totalmente annullata e questi abbia agito soltanto sotto la spinta dei maltrattamenti” (Gambardella, 509): si richiede pertanto che la morte della vittima fosse prevedibile in concreto come conseguenza della condotta criminosa di base (Cass. VI, n. 44492/2009).

La l. n. 119/2013 ha introdotto la circostanza di cui all'art. 61 n. 11-quinquies disp. att., che stabilisce un aggravamento di pena nel caso in cui il delitto di maltrattamenti sia avvenuto in presenza o in danno di un minore degli anni diciotto ovvero in danno di una persona in stato di gravidanza (essa è stata ritenuta dalla S.C. compatibile con l'aggravante della c.d. minorata difesa, 'art. 61, n. 5, ancorché quest'ultima riguardi in tutto o in parte lo stato di gravidanza della vittima, Cass. VII, n. 350/2015). Ai fini della configurabilità dell'aggravante non è necessario che il minore, esposto alla percezione della condotta illecita, abbia la maturità psico-fisica necessaria per comprendere la portata offensiva o lesiva degli atti commessi in sua presenza (Cass. VI, n. 55833/2017, fattispecie relativa alla presenza di un minore di pochi mesi di vita).

La l. n. 69/2019 ha previsto l'introduzione della previsione secondo la quale la pena è aumentata sino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di una persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell'art. 3 l. n. 104/1992 ovvero se il fatto sia commesso con armi. Il contenuto riproduce parzialmente l'aggravante di cui all'art. 61 n. 11-quinquies , nel quale il riferimento all'art. 572, prima espresso nel testo, è stato ora espunto.      

Sino all'entrata in vigore  della l. n. 69/2019 nel caso di maltrattamenti posti in essere in presenza di minore la tutela si è articolata nei termini che seguono: in caso di condotta maltrattante cui il minore presenziasse senza ricavare uno stato di sofferenza psicofisica trovava applicazione  l'aggravante di cui all'art. 61, comma1, n.11 quinquies c.p.; in caso di abituale condotta vessatoria nei confronti dell'altro genitore, cagionante al minore ripercussioni negative sul suo sviluppo psicofisico, si integrava l'ipotesi della c.d. violenza assistita, di cui all'art. 572 c.p. (nel primo caso, a differenza che nel secondo, il minore non poteva essere considerato persona offesaRelazione n. 62/2019, Ufficio Massimario, Corte Suprema di Cassazione, p. 16 ). All'esito dell'intervento di cui alla l. n. 69/2019, l'attuale art. 61 n. 11-quinquies prevede che il reato sia aggravato dall'avere il soggetto attivo commesso il fatto “in presenza o in danno di un minore di anni diciotto” ; il secondo comma dell'art. 572 c.p., riformato dalla legge del 2019 prevede che la pena del delitto è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso “in presenza o in danno di persona minore”, così richiamando l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale si configura il delitto di maltrattamenti anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all'interno delle mura domestiche (c.d. violenza assistita), sempre che sia stata accertata l'abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori soggetti passivi (Cass. VI, n. 16583/2019; su tali profili, Relazione n.62/2019, Ufficio Massimario, Corte Suprema di Cassazione, p.17).

Con riferimento al persone con disabilità (per la relativa definizione si v. art. 3 l. n. 104/1992) ci si è chiesti se sia necessario, per l'applicabilità dell'aggravante, un previo accertamento amministrativo della stessa. Si è osservato come la risposta affermativa varrebbe ad esonerare dal giudice da valutazione che non rientrano nella sua competenza (con rischio di esito contrastanti con eventuali accertamenti amministrativi), determinando tuttavia nel contempo una restrizione dell'ambito applicativo della fattispecie (per queste osservazioni, Relazione n.62/2019, Ufficio Massimario, Corte Suprema di Cassazione, p. 17).

Rapporti con altri reati

Abuso di mezzi di correzione o di disciplina. Il rapporto con l'art. 571 è regolato dalla stessa fattispecie di cui all'art. 572, secondo la quale essa trova applicazione “fuori dai casi dell'art. 571 c.p.”. L'elemento distintivo tra le fattispecie è attualmente individuato nella condotta (non più, come in passato, nell' “intenzione”, cioè il c.d. animus corrigendi del soggetto attivo), cioè nell'illiceità del mezzo correttivo o disciplinare utilizzato: ricorre il delitto di maltrattamenti se il potere disciplinare viene utilizzato al di fuori dei casi consentiti o con mezzi in se illeciti (Cass. VI, n. 48272/2009). 

L'  uso sistematico della violenza quale ordinario trattamento del minore,  anche ove sostenuto da animus corrigendi,  integra il delitto di maltrattamenti (Cass. VI, n. 31717/2017 a proposito della condotta di una maestra nei confronti di un 'alunna della classe prima).

Lesioni. Il reato di maltrattamenti non assorbe il delitto di lesioni, attesa la diversa obiettività giuridica (Cass. VI, n. 13898/2012; Cass. VI, n. 28367/2004). In sede di legittimità si è altresì precisato come nel caso di reato di lesione personale commesso in occasione del delitto di maltrattamenti, i due fatti non possano essere ritenuti automaticamente aggravati dalla circostanza del nesso teleologico, prevista dall'art. 61 n. 2, essendo necessario accertare, sul piano oggettivo, che le azioni costitutive dei due delitti siano distinte e, sul piano soggettivo, la volontà dell'agente di commettere il reato-mezzo in direzione della commissione del reato-scopo (Cass. VI, n. 3368/2016;   di recente, nello stesso senso, Cass.III, n. 42574/ 2017 ).

Le lesioni gravi o gravissime, integrano l'aggravante di cui al capoverso dell'art. 572. Quanto alle lesioni comuni (lievi o lievissime), concorrono con la fattispecie di cui all'art. 572, solo se volontarie. Se involontarie, vengono assorbite dal delitto di maltrattamenti.

Percosse. Il delitto di percosse è assorbito dalla fattispecie di cui all'art. 572 (Cass. II, n. 15571/2012, Cass. VI, n. 13898/2012).

Minacce e Ingiurie. Si ritiene che tali fattispecie, anche in ragione della lievità delle rispettive previsioni sanzionatorie, siano assorbite dal delitto di cui all'art. 572.

Omicidio. La morte costituisce oggetto della circostanza aggravante di cui al capoverso dell'art. 572, laddove, benché prevedibile non sia stata voluta; se voluta, anche nella forma del “dolo eventuale”, configura il delitto di omicidio doloso aggravato ex art. 576 n. 5 (modificato anch'esso dalla l. n. 172/2012; Cass. VI, n. 48272/2009, Cass. I, n. 16578/2003).

Violenza sessuale. È previsto il concorso con il delitto di violenza sessuale quando la condotta integrante il reato di cui all'art. 572, non si esaurisca negli episodi di violenza sessuale, ma s'inserisca in una serie di atti vessatori e percosse tipici della condotta di maltrattamenti (Cass. VI, n. 13349/2012; Cass. n. 46375/2008).

Violenza privata .  Il reato di violenza privata può concorrere materialmente con il reato in commento quando le violenze e le minacce del soggetto attivo siano adoperate, oltre che con la coscienza e volontà di sottoporre la vittima a sofferenze fisiche e morali in modo continuativo e abituale, anche con l'intento di costringerla ad attuare un comportamento che altrimenti non avrebbe volontariamente posto in essere (l'imputato, oltre a sottoporre la moglie a condotte integranti maltrattamenti, con ulteriori minacce l'aveva costretta ad omettere di presentare denuncia per quanto subito, così realizzando una condotta autonoma, anche sotto il profilo della volizione criminale, rispetto alla serialità delle vessazioni riconducibili al delitto di cui all'art. 572 c.p.Cass. VI, n. 19545/2020)

Riduzione in schiavitù. La giurisprudenza attualmente esclude il concorso di reati (affermato invece prima delle modifiche che hanno interessato l'art. 600, con la l. n. 228/2003). Si afferma la consunzione dei maltrattamenti nel delitto di riduzione in schiavitù (Cass. VI, n. 1090/2006; il delitto di maltrattamenti risulta configurabile laddove non ricorra una condizione di integrale asservimento ed esclusiva utilizzazione del minore a fini di sfruttamento economico, sempre che la condotta illecita sia continuativa e cagioni al minore sofferenze morali e materiali, Cass. V, n. 44017/2014).

Atti persecutori. La clausola di riserva a favore del reato più grave determina l'assorbimento del delitto di “atti persecutori” di cui all'art. 612-bis, nel delitto di maltrattamenti (Cass. VI, n. 7369/2012). La fattispecie di cui all'art. 572 trova applicazione nel caso in cui l'intervento della sentenza di divorzio impedisca l'applicazione del delitto di stalking (Cass. VI, n. 24575/2011).

Si configura la fattispecie di cui all'art. 612-bis, comma 2, in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito della comunità familiare (o a questa assimilata), esulino dalla fattispecie di maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare o affettivo o comunque, della sua attualità temporale (Cass. VI, n. 30704/ 2016).

In presenza di condotte che esulino dalla fattispecie di maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare e affettivo o della sua attualità temporale, si configura l'ipotesi aggravata del delitto di stalking, di cui all'art. 612-bis, comma 2 (Cass. VI, n. 35673/2017).

In sede di legittimità si è affermato come nei casi di cessazione della convivenza more uxorio è configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia e non invece quello di atti persecutori, quando tra i soggetti permanga un vincolo assimilabile a quello familiare, in ragione della mantenuta consuetudine di vita comune o dell'esercizio condiviso della responsabilità genitoriale ex art. 337 ter c.c. (Cass. VI, n. 7259/2021).

Si segnala un contrasto giurisprudenziale relativo ai rapporti tra l'art. 572 c.p. e l'art. 612 bis, comma 2, c.p. La questione concerne il discrimine dei rispettivi ambiti applicativi nelle ipotesi di relazioni interpersonali non più qualificate da convivenza.La clausola di sussidiarietà che apre l'art. 612-bis c.p. dovrebbe risolvere i casi di riconducibilità della condotta ad entrambe le fattispecie a favore dell'art. 572 c.p., quale reato più grave; ma l'estensione, operata dalla novella del 2013, dell'applicazione dell'aggravante di cui al comma secondo dell'art. 612 bis anche per i casi di atti persecutori ai danni del coniuge non separato o divorziato, ha determinato la necessità di stabilire l'esatto confine tra le fattispecie nel caso di cessazione della convivenza.

Ad avviso di un primo consolidato orientamento (da ultimo la sentenza n. 7259/2021 citata), il reato di maltrattamenti assorbe quello di atti persecutori quando la relazione tra i due soggetti rimanga connotata da vincoli solidaristici, benché la convivenza sia cessata (Cass. VI, n. 37077/2020).  Troverebbe invece applicazione il delitto di cui all'art. 612-bis, comma 2, c.p. quando tale aspettativa di solidarietà sia assente, non risultando insorti vincoli affettivi e di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale. La riconducibilità al delitto di cui all'art. 572 c.p. viene fatta pertanto discendere dalla persistenza del legame familiare con la persona dell'ex convivente e dai vincoli giuridici discendenti soprattutto dalla filiazione comune, e dai doveri di solidarietà ed assistenza ad essa correlati, che si riflettono anche sui partner. La perdurante necessità di adempiere agli obblighi relativi all'esercizio congiunto della potestà genitoriale, implicherebbe il rispetto reciproco tra i genitori, anche se non conviventi(Cass. VI, n. 3087/2017).Tale interpretazione estensiva (anche dopo la cessazione della convivenza) si deve ad progressivo ampliamento del concetto di “famiglia”: intendendosi per essa qualunque consorzio di persone tra le quali, per relazioni intime o strette consuetudini di vita, siano sorti rapporti di solidarietà. In tale contesto si è affermato un indirizzo giurisprudenziale secondo il quale né la convivenza, né la coabitazione rappresentano un presupposto del reato di cui all'art. 572 c.p., configurabile pertanto anche in casi di coabitazione di breve durata, ovvero in assenza di questa, sempre che la relazione, comportando la frequentazione abituale delle rispettive abitazioni, abbia fatto sorgere sentimenti di umana solidarietà e doveri di assistenza (Cass. V, n. 24688/ 2010). L'art. 572 c.p. è stato ritenuto configurabile anche in caso di separazione legale e di fatto in ragione della persistenza dei doveri di reciproco rispetto, di assistenza morale e di collaborazione. Si riconosce pertanto il reato di maltrattamenti anche in relazione a situazioni di non convivenza, ma in quanto succedute a precedente convivenza, quindi di “cessata” convivenza (non di sua assenza; Cass. VI, n. 37628/2019). Quanto al rapporto con l'art. 612 bis, comma 2, ed alla successiva novella del 2013, si è ritenuto che questo dovesse trovare applicazione nei casi in cui non vengano in considerazione condotte maturate in ambito familiare ampliamente inteso (Cass. VI, n. 25498/2017).

A partire dal 2011 si è affermato un altro indirizzo giurisprudenziale, che esclude il reato di cui all'art. 572 cp nel caso di condotte vessatorie di una degli ex conviventi nei confronti dell'altro, ritenendo in tale ipotesi di ravvisare il reato di cui all'art. 612-bis, comma 2, c.p. (Cass. VI, n. 10626/ 2022). Nella sentenza che ha inaugurato questo orientamento, si afferma come il reato di cui all'art. 612-bis, comma 2, c.p. diviene idoneo a sanzionare comportamenti che, sorti in seno alla comunità familiare, esulerebbero dalla fattispecie di cui all'art. 572 c.p. per la sopravvenuta cessazione del vincolo o sodalizio familiare o affettivo (Cass. VI, n. 24757/ 2011).

Questo più rigoroso filone giurisprudenziale viene tuttavia accomunato a quello più estensivo nel principio di diritto secondo il quale il delitto di maltrattamenti in famiglia resta configurabile in danno della persona non convivente o non più convivente, quando questi e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione. La separazione sia legale che di fatto, si precisa, non farebbe venir meno i doveri di reciproco rispetto e di assistenza materiale e morale tra i coniugi.

I rapporti tra le due fattispecie, secondo questo più rigoroso orientamento giurisprudenziale, rimane comunque il seguente: applicazione dell'art. 572 c.p. in quanto fattispecie più grave alla stregua della clausola di sussidiarietà di cui all'art. 612 bis cp, quando la condotta ne integri gli estremi; configurabilità invece dell'art. 612-bis, comma 2, c.p. in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito della comunità familiare, esulino dalla fattispecie di maltrattamenti per cessazione del vincolo familiare o affettivo o comunque della sua attualità temporale. La linea di demarcazione temporale viene così individuata dalla Suprema Corte: nel caso di convivenza more uxorio, il delitto di maltrattamenti risulta configurabile solo per le condotte tenute fino a che la convenienza non sia cessata; mentre le azioni violente e persecutorie compiute in epoca successiva integrano il delitto di atti persecutori. La ratio garantista che ispira tale soluzione interpretativa risiederebbe nel divieto di analogia e nella considerazione dei diversi “modelli” di famiglia; si deve tener conto infatti della volontà dei conviventi di sottrarsi agli effetti giuridici tipici della famiglia matrimoniale e dell'unione civile; l'interpretazione estensiva invece estenderebbe in malam partem la disciplina omologa a quella del vincolo coniugale (Cass. VI, n. 39532/2021).

Su tema, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 98 del 2021, ha affidato all'interprete il compito di stabilire se relazioni affettive non tradizionali possano farsi rientrare nella nozione di “famiglia” e di “convivenza”; si afferma infatti che in difetto di tale dimostrazione, l'applicazione dell'art. 572 cp in luogo dell'art. 612 bis, comma 2, c.p., apparirebbe il frutto di un'interpretazione analogica a sfavore del reo. In tal senso, una recente sentenza della Corte di legittimità ha affermato la necessità di un'interpretazione restrittiva del concetto di “famiglia” e “convivenza” nell'applicazione dell'art. 572 c.p., sostenendo come essa debba fondarsi sul rapporto di coniugio o di parentela e comunque su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché non necessariamente continuativa (Cass. VI, n. 9663/2022).

In sede di legittimità si è precisato come la condanna per il reato di atti persecutori passata in giudicato precluda la celebrazione del giudizio per il medesimo fatto storico, anche se diversamente qualificato quale “maltrattamenti in famiglia”, in quanto le due fattispecie sono l'una sussumibile nell'altra (Cass. VI, n. 16846/2018).

Abbandono di incapaci. Si è osservato come la reiterata e grave carenza di cure ed assistenza di persone anziane non autosufficienti, pur potendo configurare il reato di maltrattamenti, non integra di per se il diverso reato di abbandono di incapaci, per la cui configurabilità è necessario l'accertamento di una condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere di cura da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del oggetto passivo (Cass. VI,  n. 12866/2018).

Casistica

Integra il delitto di maltrattamenti, quale inflizione di sofferenze morali, l'imposizione alla moglie della presenza della concubina nel domicilio coniugale (Cass. VI, n. 8396/1996; Cass. VI, n. 1857/1989).

La condotta di chi pratichi l'accattonaggio per alcune ore del giorno facendosi aiutare dal figlio minore, qualora sia continuativa e cagioni al minore sofferenze morali e materiali (Cass. V, n. 44516/2008).

Integra la fattispecie aggravata di cui all'art. 572, cpv (lesione grave), la ritardata crescita del minore che, per via dei maltrattamenti, si sia trovato in condizioni di denutrizione e malnutrizione, tali da cagionare la predetta malattia (Cass. VI, n. 12004/2014).

Il reato può essere commesso da qualsiasi membro della famiglia in danno di un altro, anche non convivente, purché la relazione tra i due sia di intensità e caratteristiche tali, da generare un rapporto stabile di affidamento e solidarietà reciproche (così la S.C. a proposito di maltrattamenti commessi dal suocero in danno della nuora, Cass. II, n. 30934/2015).

Integra il concorso per omissione nel delitto di maltrattamenti la condotta del referente del Comune presso un asilo nido che ometta di intervenire pur avendo conoscenza dei maltrattamenti consumati nella struttura (Cass.VI, n. 10763/ 2018).

È stato ritenuto integrato il reato in relazione alle condotte vessatorie poste in essere dal titolare di un'impresa agricola nei confronti di alcuni dipendenti di nazionalità rumena ospitati nella struttura, e ridotti in una situazione di estremo disagio quanto al vitto, all'alloggio ed alle condizioni igieniche (Cass. VI, n. 24057/2014).

Profili processuali

Il delitto è procedibile d'ufficio; la competenza è del Tribunale monocratico; nell'ipotesi di lesione gravissima, del Tribunale collegiale; in caso di morte, della Corte d'Assise.

Ai sensi dell'art. 132-bis, lett. a-bis, c.p.p., alla trattazione dei processi relativi al reato di maltrattamenti in famiglia è assicurata la priorità assoluta.

L'arresto è obbligatorio; il fermo è consentito solo per la previsione di cui al secondo comma.

È consentita sia la custodia cautelare in carcere che le altre misure cautelari personali, tra cui, quella dell'allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis). Il giudice che, con provvedimento specificamente motivato e nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, disponga, anche cumulativamente, le misure cautelari del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa e/o di mantenimento della distanza dai medesimi, deve indicarli specificamente, mentre, nel caso in cui reputi necessaria e sufficiente la sola misura dell'obbligo di mantenersi a distanza dalla persona offesa, non è tenuto ad indicare i relativi luoghi, potendo limitarsi a determinare la stessa (Cass. S.U ., n. 39005/2021 ).

E'legittimo il provvedimento cautelare che disponga il divieto di avvicinamento dell'indagato al figlio minore vittima di violenza domestica, anche solo assistita, nonostante il diritto di visita riconosciuto dal giudice civile della separazione, dovendo ritenersi prevalenti, in funzione del "best interest of the child", le ragioni di tutela del minore da ogni pregiudizio su quelle del soggetto maltrattante ad esercitare le prerogative genitoriali (Cass. VI, n. 20004/2024).

L'articolo 2, comma 15, Legge 27 settembre 2021, n. 134 (c.d. Riforma Cartabia), è intervenuto sull'art. 380 c.p.p., relativo ai delitti per i quali è obbligatorio procedere all'arresto in flagranza di reato, introducendo nel catalogo di tali delitti la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa di cui all'art. 387-bis c.p. Viene così integrata la lettera l-ter) del comma 2 dell'art. 380 c.p., che già consente l'arresto obbligatorio in flagranza dei delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.) e di atti persecutori (art. 612-bis c.p.).

L'art 10, l. n. 168/2023, ha introdotto nel codice di procedura penale l'art. 382-bisc.p.p. (arresto in flagranza differita) per effetto del quale «si considera comunque in stato di flagranza colui il quale, sulla base di documentazione videofotografica o di altra documentazione legittimamente ottenuta da dispositivi di comunicazione informatica o telematica, dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l'arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto»

L'art. 7, l. n. 168/2023, ha aggiunto, nel codice di procedura penale, l'art. 362-bisc.p.p. che impone al pubblico ministero di valutare entro trenta giorni dalla iscrizione del nominativo della persona nel registro delle notizie di reato la sussistenza dei presupposti di applicazione delle misure cautelari quando si proceda per il delitto (tra gli altri) di maltrattamenti in famiglia.

La stessa legge ha modificato l'art. 384-bis c.p.p. aggiungendo il comma 2-bis che attribuisce al pubblico ministero il potere di disporre con decreto motivato, l'allontanamento urgente dalla casa familiare, con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti della persona gravemente indiziata del delitto di maltrattamenti in famiglia quando sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave e attuale pericolo la vita o l'integrità fisica della persona offesa e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice.

Sono previste altresì misure civilistiche di protezione della famiglia (artt. 342-bis e 342-ter).

Il comma 3 dell'art. 83 ( “Nuove misure urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare”), del d.l. n. 18/2020, ha escluso i procedimenti per l'adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari, dalle previsioni di rinvio di ufficio di tutte le udienze (comma 1) e dalla sospensione di tutti i termini (comma 2) dal 9 marzo al 15 aprile 2020.

La l. n. 132/2018 (di conversione d.l. n. 113/2018 “Decreto-sicurezza”) ha esteso anche al delitto di maltrattamenti il controllo, anche attraverso di dispositivi elettronici (c.d. braccialetto elettronico), dell'ottemperanza al provvedimento di allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis, comma 6, c.p.p.).

La prescrizione decorre dal momento della cessazione della condotta.

Con riguardo alla notificazione del decreto di citazione a giudizio, in caso di assenza del destinatario è fatto divieto di consegnare la copia alla persona offesa, pur se convivente (Cass. V, n. 8075/1992).

Spetta al giudice ordinario la competenza a conoscere del delitto di maltrattamenti in famiglia, allorché la condotta criminosa, iniziata quando l'imputato era minorenne, sia terminata in epoca successiva al raggiungimento della maggiore età, trattandosi di una fattispecie di reato unica, non suscettibile di frazionamenti (Cass. VI, n. 8886/2016).

Al reato di maltrattamenti commessi in epoca anteriore alle modifiche apportate dalla l. n. 251/2005, non si applica il raddoppio dei termini di prescrizione di cui all'art. 157, comma 6, per la natura sostanziale di tale istituto, che non ne consente un'applicazione retroattiva (Cass. VI, n. 31877/2017).

La disposizione dell'art. 408, comma 3-bis, c.p.p. che stabilisce l'obbligo di dare avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa dai delitti commessi con violenza sulle persone, trova applicazione anche per l'art. 572 (Cass. S.U., n. 10959/2016).

Attraverso la modifica dell'art. 347, comma 3, c.p.p.relativo all'obbligo di riferire al PM le notizie di reato acquisite, viene esteso all'art. 572 c.p. il regime speciale di cui all'art. 407, comma 2, a), nn. 1-6, c.p.p. che impone alla polizia giudiziaria di comunicare al PM le notizie di reato immediatamente, anche in forma orale (si v. art. 1, l. n. 69/2019). La ratio della previsione è quella di impedire, attraverso la presunzione assoluta di urgenza, che il decorso del tempo determini un aggravamento delle conseguenze dannose o pericolose del reato.

La modifica dell'art. 362 c.p.p. stabilisce per il PM, con riguardo al reato di cui all'art. 572 c.p., l'obbligo di procedere all'assunzione delle sommarie informazioni dalla vittima del reato entro tre giorni dalla iscrizione del procedimento (si v. art. 2, l. n. 69/2019).

Per il reato in commento, con l'integrazione della previsione di cui all'art. 370 c.p.p., si impone alla polizia giudiziaria di procedere senza ritardo al compimento degli atti delegati dal PM. Pari tempestività viene richiesta per la documentazione e per la messa a disposizione dell'autorità giudiziaria dei risultati compiuti (si v. art. 3, legge n. 69/2019 c.d. Codice rosso).

La sospensione condizionale della pena è subordinata, per il delitto in commento, alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannai per i medesimi reati (si v. art. 165 c.p., modificato dall'art. 6, l. n. 69/2019 c.d. Codice rosso, ulteriormente modificato dall’art. 15, l. n. 168/2023).

Per il delitto di cui all'art. 572 c.p., l'art. 64-bis c.p.p. stabilisce che, ai fini della decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi o delle cause relative ai figli minori di età o all'esercizio della potestà genitoriale, una copia delle ordinanze che applicano misure cautelari personali o ne dispongano la sostituzione o la revoca, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, del provvedimento con il quale è disposta l'archiviazione e della sentenza emessa nei confronti di una delle due parti per il reato in parola, sia trasmessa senza ritardo al giudice civile procedente (previsione inserita dall'art. 14, l. n. 69/2019 c.d. Codice rosso).

In sede di legittimità si è affermato come la pena accessoria della sospensione dalla responsabilità genitoriale (art. 34, comma 2, c.p.) trovi applicazione anche quando le condotte di cui all'art. 572 c.p., benché commesse in danno dell'altro genitore, siano indirettamente rivolte anche in danno dei figli minori, costretti ad assistere (art. 61, comma 1, n. 11-quinquies c.p.) ad atti di violenza e sopraffazione destinati ad avere inevitabili conseguenze sulla loro crescita ed evoluzione psico-fisica (Cass. V, n. 34504/2020).

Anche per il reato di cui all'art. 572 è prevista per la persona offesa l'effettuazione delle comunicazioni di cui all'art. 90-ter c.p.p. “Comunicazione dell'evasione e della scarcerazione”. Nel caso in cui venga disposta la scarcerazione del condannato il PM che cura l'esecuzione ne dà immediata comunicazione, a mezzo della polizia giudiziaria, alla persona offesa e, se nominato, al suo difensore (comma 1-bis, art. 659 c.p.p., introdotto dall'art. 15, comma 5, l. n. 69/2019).

La possibilità di sottoporsi al trattamento psicologico con finalità di recupero e di sostegno (di cui all'art. 13-bis l. n. 354/1975) viene estesa anche alle persone condannate per il delitto in commento. Per essi è prevista altresì la possibilità di seguire percorsi di reinserimento nella società e di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati, organizzati previo accordo tra i suddetti enti o associazioni e gli istituti penitenziari (art. 1-bis, introdotto dall'art. 17, comma 1, lett. b, l. n. 69/2019). Con riferimento alla possibilità della sospensione dell'ordine di esecuzione della pena, che l'art. 656, comma 9, c.p.p. esclude per l'art. 572, comma 2, va precisato come l'abrogazione della circostanza in essa prevista (“l'essere stato il fatto commesso in danno di un minore degli anni 14”) da parte della l. n. 119/2013 e la contestuale introduzione dell'art. 61, n. 11-quinquies c.p. avesse privato di efficacia il rinvio di cui all'art. 656 c.p.p. La reintroduzione dell'ipotesi aggravata di cui all'art. 572, comma 2, c.p. restituisce efficacia al rinvio di cui all'art. 656, comma 9, c.p.determinando la preclusione all'emissione di un ordine di sospensione dell'esecuzione. Relativamente ai profili successione di leggi nel tempo, si è affermato come, stante il principio di irretroattività delle norme più sfavorevoli, il rinvio debba trovare applicazione solo per i reati commessi dopo l'entrata in vigore della nuova norma (si v. Relazione n. 62/2019, Ufficio Massimario, Corte Suprema di Cassazione, p. 17 s; si v. pureCass. III, n. 12653/2019, secondo la quale non esiste continuità normativa tra il delitto di maltrattamenti in famiglia aggravato ex art. 61 n. 11-quinquies c.p. e l'ipotesi aggravata di maltrattamenti in famiglia in danno di minore di anni quattordici di cui al previgente art. 572, comma 2, c.p.). 

sospensione dell'ordine di esecuzione della pena, che l'art. 656, comma 9, c.p.p. esclude per l'art. 572, comma 2, va precisato come l'abrogazione della circostanza in essa prevista (“l'essere stato il fatto commesso in danno di un minore degli anni 14”) da parte della l. n. 119/2013 e la contestuale introduzione dell'art. 61, n.11-quinquies c.p. avesse privato di efficacia il rinvio di cui all'art. 656 c.p.p. La reintroduzione dell'ipotesi agg ravata di cui all'art. 572, comma 2, c.p. restituisce efficacia al rinvio di cui all'art. 656, comma 9, c.p. determinando la preclusione all'emissione di un ordine di sospensione dell'esecuzione. Relativamente ai profili successione di leggi nel tempo, si è affermato come, stante il principio di irretroattività delle norme più sfavorevoli, il rinvio debba trovare applicazione solo per i reati commessi dopo l'entrata in vigore della nuova norma (si v. Relazione n.62/2019, Ufficio Massimario, Corte Suprema di Cassazione, p. 17 s; si v. pure Cass. III, n. 12653/2019, secondo la quale non esiste continuità normativa tra il delitto di maltrattamenti in famiglia aggravato ex art. 61 n. 11-quinquies c.p. e l'ipotesi aggravata di maltrattamenti in famiglia in danno di minore di anni quattordici di cui al previgente art. 572, comma 2, c.p.)

Bibliografia

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