Codice Penale art. 578 - Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale (1).Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale (1). [I]. La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni (2). [II]. A coloro che concorrono [110] nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia, se essi hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a due terzi (2). [III]. Non si applicano le aggravanti stabilite dall'articolo 61 del codice penale. (1) Articolo così sostituito dall'art. 2 l. 5 agosto 1981, n. 442. (2) Per un'ipotesi di aumento di pena, v. art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104. competenza: Trib. collegiale; Corte d'Assise (prima parte del secondo comma) arresto: facoltativo (primo comma); obbligatorio (secondo comma) fermo: consentito custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoL'articolo previgente all'attuale formulazione (introdotta dall'art. 2, l. n. 442/1981) prevedeva l'“Infanticidio per causa d'onore”. La norma, che tutela la vita del feto o del neonato, prevede un trattamento sanzionatorio attenuato rispetto a quello stabilito per l'omicidio in considerazione della minore colpevolezza della madre a cagione della particolare situazione in cui ha commesso il fatto. La fattispecie è oggi oggetto di controversa considerazione. Si osserva infatti in senso critico come sia difficilmente ipotizzabile una condizione materiale o morale di abbandono interpretata in senso oggettivo, mentre la considerazione in chiave soggettiva non giustifichi il trattamento favorevole (osservandosi come l'eventuale considerazione del reato come crimine della follia dovrebbe rilevare ricondursi esclusivamente alla disciplina dell'imputabilità, Pulitanò, 65) SoggettiÈ un reato proprio, soggetto attivo è la madre (eventuali concorrenti sono puniti con la pena prevista per l'omicidio volontario: laddove abbiano agito al solo scopo di aiutare la madre la pena è diminuita). Soggetto passivo è il neonato subito dopo il parto o il feto durante il parto. Perché il reato venga integrato, il feto deve essere vivo fino al realizzarsi della condotta che ne cagioni la morte, pur non richiedendosi che esso sia altresì vitale o immune da patologie potenzialmente idonee a causare la morte in tempi brevi, costituendo omicidio anche solo anticipare di un frazione minima di tempo l'evento letale (Cass. I, n. 46945/2004). MaterialitàCondotta Il reato è a forma libera e può essere realizzato sia con comportamenti attivi, che omissivi, diretti a cagionare la morte del feto o del neonato. Le condotte devono essere realizzate “durante il parto” o “immediatamente dopo il parto” (la S.C. ha escluso la ricorrenza dell'“immediatezza” in un caso nel quale l'uccisione era avvenuta a due giorni dal parto, Cass. I, n. 10434/1989). La condotta si realizza dal momento del distacco del feto dall'utero materno (prima del distacco, si configura la condotta di procurato aborto, art. 19 l. n. 194/1978): durante il parto, se si tratta del feto; immediatamente dopo il parto, se si tratta di un neonato (Cass. I, n. 46945/2004). La Corte di legittimità, richiamando le sentenze Corte cost. n. 229/2015 e Corte Edu, Perrillo c. Italia del 27 agosto 2015, ha precisato che deve ritenersi legittima l'inclusione dell'uccisione del feto nell'ambito dell'omicidio in considerazione dell'intervenuto ampliamento della tutela della persona e della nozione di soggetto meritevole di tutela, che dal nascituro e al concepito si è estesa fino all'embrione e che, altresì, tale inclusione non comporta una non consentita analogia in "malam partem" bensì una mera interpretazione estensiva, legittima anche in relazione alle norme penali incriminatrici (Cass. IV, n. 27539/2019, a proposito del criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo). Relativamente al soggetto passivo, è richiesto che sia vivo, ma non vitale (nel senso della capacità di vivere a lungo). Condizioni di abbandono materiale e morale Le “condizioni di abbandono materiale o morale”, di cui è richiesta la presenza congiunta (Cass. V, n. 7756/1993), devono considerarsi “presupposti del reato” (Pulitanò, 2913) ed “elementi specializzanti” rispetto all'omicidio comune (Fiandaca-Musco, 33). Quanto alla loro nozione, per condizioni di abbandono materiale e morale, la giurisprudenza di legittimità le ha intese come condizioni di vita (non come fatto contingente legato al momento della gravidanza), che si sostanziano nell'isolamento materiale e morale della donna nel contesto familiare e sociale (così Cass. I, n. 41889/2009; Cass. I, n. 24903/2007). Quanto alla definizione della loro ricorrenza, secondo un approccio di tipo c.d. oggettivizzante, la situazione di abbandono è connessa a dati oggettivi; secondo altro approccio, c.d. soggettivizzante, si deve aver riguardo ai riflessi psicologici delle situazioni di oggettiva difficoltà (Fiandaca-Musco, 33). Autorevole dottrina osserva come sia da preferirsi un'interpretazione che tenga conto di entrambi i profili, vale a dire le difficoltà oggettive e i corrispondenti riflessi soggettivi sulla psiche della donna, nei termini di turbamento emotivo e alterazione dello stato mentale connesso al parto (Fiandaca-Musco, 34). Benché la giurisprudenza prevalente adotti una lettura c.d. oggettivizzante, secondo la quale l'abbandono materiale e morale deve essere inteso in senso oggettivo, un recente orientamento giurisprudenziale valorizza invece una interpretazione in senso soggettivo (che si fonda sulla percezione di abbandono della donna), a tenore del quale non si richiede che l'abbandono materiale e morale rivesta un carattere di oggettiva assolutezza, trattandosi di elemento oggettivo da leggere in chiave soggettiva, essendo sufficiente anche la percezione di totale abbandono avvertita dalla donna nell'ambito di una complessa esperienza emotiva e mentale quale quella che accompagna la gravidanza e il parto (Cass. I, n. 26663/2013, nello stesso senso, Cass. I, n. 40993/2010 e Cass. I, n. 28252/2021, nella quale la Corte di legittimità ha chiarito come per l’integrazione della fattispecie non si richieda che la situazione di abbandono materiale e morale rivesta un carattere di oggettiva assolutezza, trattandosi invece di un elemento oggettivo da leggere in chiave soggettiva, in quanto è sufficiente anche la percezione di totale abbandono avvertita dalla donna nell'ambito di una complessa esperienza emotiva e mentale, quale quella che accompagna la gravidanza e poi il parto). L'assenza della condizioni morali e materiali di abbandono determinano la configurabilità del delitto di cui all'art. 575 e 577 n. 1. In tal senso, viene equiparato il feto all'uomo ai fini dell'applicabilità della norma sull'omicidio (Cass. I, n. 8388/1981). Elemento psicologicoIl delitto è doloso; il dolo, generico, consiste nella coscienza e volontà di provocare la morte del feto o del neonato, con la rappresentazione della condizioni morali e materiali di abbandono connesse al parto (Fiandaca-Musco, 34). Rispetto all'evento-morte si ritiene sufficiente il dolo eventuale, ricorrente, previa concreta verifica, nel caso di modalità di abbandono del neonato che ne renda improbabile il salvataggio (es. bambino lasciato in un cestino dei rifiuti, Pulitanò, 64). Ai fini del dolo rileva la conoscenza della situazione di fatto (di abbandono), non la sua erronea qualificazione giuridica come “condizione di abbandono”, rilevante nei soli limiti dell'art. 5 (Pulitanò, 64). Nel caso di erronea valutazione di sussistenza della situazione di abbandono, trattandosi di errore sul elemento specializzante, degradante il titolo di reato, l'orientamento interpretativo prevalente richiama l'art. 47, comma 2 (il fatto di omicidio comune, commesso pertanto con dolo di infanticidio, determina l'applicazione del delitto di cui all'art. 578, Pulitanò, 64). Consumazione e tentativoConsumazione. Si tratta di un reato a forma libera, il cui momento consumativo si realizza con il prodursi dell'evento morte del feto o del neonato. Tentativo. Il tentativo è configurabile. Forme di manifestazioneConcorso si persone. La realizzazione concorsuale della fattispecie prevede un trattamento sanzionatorio differenziato per i concorrenti, cui si applica la pena prevista per l'omicidio comune (non inferiore agli anni 21), diminuita (da un terzo a due terzi), ove abbiano agito al solo scopo di favorire la madre. È stato osservato come la realizzazione del reato tramite una condotta omissiva, ne determini l'imputazione esclusiva a carico della madre quale sola titolare dell'obbligo giuridico di impedimento dell'evento, ex art 40, capoverso. Si è tuttavia ravvisato un obbligo giuridico di impedimento dell'evento, ex art. 40 comma 2, nel caso di genitori di figli minori, quanto alla prole di questi ultimi (salva l'impossibilità di impedire l'evento, Cass. I, n. 9901/1992). Circostanze. Non trovano applicazione le aggravanti di cui all'art. 61, né alla madre né agli eventuali concorrenti (art. 578, comma 3); né trovano applicazione le aggravanti speciali dell'omicidio. Rapporti con altri reatiLa differenza con il reato di procurato aborto e di omicidio è segnato dal momento in cui avviene la condotta: prima del distacco del feto dall'utero, ricorre il reato di cui all'art. 19, l. n. 194/1978; dopo il distacco — durante o immediatamente dopo il parto — si configura il delitto di cui all'art. 578, ricorrendone i presupposti delle condizioni materiali o morali di abbandono, in assenza delle quali si configura il delitto di omicidio volontario, di cui agli artt. 575 e 577 n. 1 (Cass. I, n. 46945/2004). CasisticaNon ricorre il delitto di infanticidio, ma quello di omicidio volontario nel caso in cui lo stato di abbandono sia stato artatamente e volontariamente creato e mantenuto con il fine precipuo di farne derivare la morte (Cass. I, n. 10413/1988). È stato ritenuto integrato il delitto nel caso in cui la madre si venga a trovare isolata all'interno della propria famiglia e privata dell'affetto e delle cure dell'uomo con il quale abbia concepito il neonato, trattandosi di condizioni di abbandono che non possono essere ovviate dal ricorso da parte dell'agente, al momento del parto, all'aiuto di presidi sanitari e di altre strutture (Cass. I, n. 3326/1987). Le condizioni di abbandono materiale e morale devono essere “connesse” al parto; quindi non è sufficiente la loro oggettiva preesistenza all'evento naturale della nascita, ma occorre che questa si verifichi mentre la madre si trovi immersa nelle predette condizioni, sì da esserne psicologicamente ed eziologicamente condizionata al punto da essere indotta all'uccisione del proprio neonato (Cass. I, n. 1007/1986). Profili processualiIl reato è procedibile d'ufficio. La competenza è del Tribunale collegiale; la Corte d'Assise invece per la previsione di cui alla prima parte del secondo comma. L'arresto è facoltativo per la previsione di cui al primo comma; obbligatorio, per la previsione di cui al secondo comma. È consentito il fermo, la custodia cautelare in carcere, la altre misure cautelari. BibliografiaAmbrosetti, L'infanticidio e la legge penale, Torino, 1992; D'Andria, Art. 578, in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, a cura di Lattanzi, Lupo, Milano, 2010; Fiore, voce Infanticidio, in Enc. dir., Milano, XXI, 391; Dolcini-Gatta, Art. 578, in Codice penale commentato, a cura di Dolcini, Gatta, II, Milano, 2015; Mantovani, Diritto penale, p.s., Delitti contro la persona, Torino, 2013; Merzagora, voce Infanticidio, in Dig. disc. pen., 1992, VI, 392; Pulitanò, L'omicidio, in Pulitanò, Diritto penale, Parte speciale, I, Tutela penale della persona, Torino, 2014, 63; Ramacci, I delitti di omicidio, Torino, 1997. |