Codice Penale art. 589 - Omicidio colposo 1 2 .

Maria Teresa Trapasso
aggiornato da Angelo Salerno

Omicidio colposo 1 2.

[I]. Chiunque cagiona per colpa [43] la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni [586] 3.

[II]. Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni 456

[III].Se il fatto è commesso nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni7.

 

[IV]. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone [590], si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici 8.

 

competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.)

arresto: facoltativo

fermo: non consentito (primo comma); consentito (secondo e terzo comma)

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

[1] Articolo sostituito dall'art. 1, l. 11 maggio 1966, n. 296.

[2] Per un caso di esclusione della punibilità, in materia di responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, vedi l'art. 3, comma 1, del d.l.  1 aprile 2021, n. 44, conv. con modif. in  l. 28 maggio 2021, n. 76V. anche art. 3-bis d.l. n. 44 cit.

[3] Per una riduzione delle pene in determinate ipotesi v. art. 81 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

[4] Le parole «sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle» sono state soppresse dall'art. 1, comma 3, lett. c) l. 23 marzo 2016, n. 41, con effetto a decorrere dal 25 marzo 2016, ai sensi dell'art. 1, comma 8, l. n. 41, cit.

[5] Comma modificato, con l'aumento della pena da uno a due anni nel minimo, dall'art. 2 della legge 21 febbraio 2006, n. 102, e poi ulteriormente modificato con l'aumento della pena nel massimo da cinque a sette anni, dall'art. 1 d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv., con modif., dalla l. 24 luglio 2008, n. 125.

[6] Seguiva un comma dapprima inserito dall'art. 1 d.l. n. 92, cit., conv., con modif., dalla legge n. 125, cit. e successivamente abrogato art. 1, comma 3 lett. d), l. 23 marzo 2016, n. 41, con effetto a decorrere dal 25 marzo 2016, ai sensi dell'art. 1, comma 8,  l. n. 41, cit. Il testo del terzo comma era il seguente: «[III]. Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da: 1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni; 2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope».

[8] Comma modificato, con l'aumento della pena da dodici a quindici anni nel massimo dall'art. 1 d.l. n. 92, cit., conv., con modif., dalla legge n. 125. cit.

Inquadramento

Il delitto è posto a tutela della vita umana. La fattispecie corrisponde sul piano oggettivo alla descrizione del fatto tipico di omicidio di cui all'art. 575, differenziandosi da esso nel senso che il delitto colposo viene tipizzato attraverso la combinazione della norma penale con le regole di diligenza pertinenti all'attività svolta (Pulitanò, Omicidio, 67).

Soggetti

Soggetto attivo. Si tratta di un reato comune. Ordinariamente, tuttavia, i soggetti responsabili del delitto in commento rivestono il ruolo di “garanti”, ex art. 40 cpv., della vita e dell'incolumità personale del soggetto passivo (es., genitori, esercenti professioni sanitarie: titolari della c.d. posizione di protezione; esercenti attività rischiose, datori di lavoro: titolari della c.d. posizione di controllo, Pulitanò, 67).

Soggetto passivo è l'uomo (per la relativa nozione si v. sub art. 575). Nel concetto di “uomo” rientra anche il feto una volta che si sua distaccato dall'utero (in dottrina, Dolcini-Gatta, 3088), così da risultare integrato il delitto di cui all'art. 589 nel caso in cui ne venga cagionata la morte durante il parto (Cass. IV, n. 7967/2013, che ha individuato nell'inizio del travaglio il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo; così anche Cass. IV, n. 35027/2009).

Materialità

La condotta consiste nella causazione per colpa della morte di un uomo (sull'accertamento del nesso eziologico tra la condotta e l'evento, si v. sub art. 575).

La distanza temporale della condotta colposa rispetto all'evento da essa causato non impedisce di riconoscere la responsabilità penale dell'agente. (la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità, a titolo di omicidio colposo, del costruttore di una macchina, il cui difetto di costruzione aveva cagionato, sei anni dopo la messa in commercio della macchina, il decesso di un lavoratore, Cass. IV, n. 5541/2020). 

Elemento psicologico

Campi di elezione dell'omicidio colposo sono: l'attività medico chirurgica; gli infortuni sul lavoro; la circolazione stradale.

Attività medico-chirurgica

L'imputazione dell'evento morte a cagione della condotta colposa del medico, impone che tra la condotta di questi e l'evento lesivo sussista un nesso di causalità. L'accertamento della ricorrenza di tale nesso eziologico, spesso nei termini della causalità omissiva (si imputa al medico di non aver adottato i presidi terapeutici indicati dalle leges artis, Dolcini-Gatta, 3112), segue alla previa individuazione dei soggetti titolari della posizione di garanzia, rilevante ex art. 40 cpv., nei confronti del paziente.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, titolari dell'obbligo giuridico d'impedimento dell'evento lesivo in capo al paziente, sono gli operatori della struttura sanitaria, medici ed infermieri (quanto a questi ultimi, la S.C. ha precisato come l'infermiere abbia un'autonoma posizione di garanzia nei confronti del paziente, che trova fondamento nell'autonoma professionalità dell'infermiere stesso, oggi considerato non più ausiliario del medico, ma professionista sanitario, Cass. IV, n. 2541/2015; con riguardo all'infermiere specializzato, Cass. IV, n. 2192/2014). L'assunzione della posizione di garanzia da parte del medico avviene con l'instaurazione della relazione terapeutica (Cass. IV, n. 1846/2016;  Cass. IV, n. 15178/2018): è sufficiente la presentazione presso la struttura medica per la richiesta dell'erogazione di una prestazione professionale (Cass. IV, n. 13547/2011). Un obbligo di garanzia particolarmente pregnante è assegnato al medico che rivesta funzioni apicali, tenuto a garantire la correttezza delle terapie praticate ai pazienti (Cass. IV, n. 1866/2008). L'obbligo di garanzia nei confronti paziente cessa in caso di delega di funzioni ad altro soggetto (affinché la delega abbia effetto liberatorio per il garante originario è necessario tuttavia che il delegato sia “capace e competente” nel settore, e che il delegante tenga conto della peculiarità del caso concreto in termini di urgenza e gravità dello stato di salute del paziente, Cass. IV, n. 39609/2007). Il medico in posizione apicale risponde dell'evento lesivo conseguente alla condotta colposa del medico di livello funzionale inferiore a cui abbia trasferito la cura del singolo paziente, ove non abbia correttamente svolto i propri compiti di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo, volti a prevenire ogni possibile danno ai pazienti. (Cass. IV, n. 10152/2021).

Nell'ipotesi in cui il medico in posizione apicale  abbia correttamente svolto i propri compiti di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo, egli non è chiamato a rispondere dell'evento lesivo conseguente alla condotta colposa del medico di livello funzionale inferiore a cui abbia trasferito la cura del singolo paziente (Cass. IV, n. 18334/2017 altrimenti configurandosi una responsabilità di posizione, in contrasto col principio costituzionale di personalità della responsabilità penale).

Quanto al contenuto dell'obbligo di garanzia del medico-psichiatra (in dottrina Cupelli, 10 ss.), in sede di legittimità si è affermato come la sua posizione di garanzia sussista nei confronti del paziente anche se questi non sia sottoposto a ricovero coatto, e quindi, che egli abbia l'obbligo —quando sussista il concreto pericolo di condotte auto lesive, anche suicidiarie — di apprestare specifiche cautele (Cass. IV, n. 48292/2008, con cui la S.C. ha confermato la responsabilità del primario e dei medici del reparto di psichiatra di un ospedale pubblico, per l'omicidio colposo di un paziente che, ricoveratosi volontariamente con divieto di uscita senza autorizzazione, si era allontanato dal reparto, dichiarando all'infermiera di voler andare a prendere un caffè al distributore automatico posto al piano superiore, e, ivi giunto, si era gettato dalla finestra).

È stata altresì riconosciuta la responsabilità per omicidio colposo di uno psichiatra che, errando nella somministrazione dei farmaci e nella mancata adozione del Tso, non abbia impedito che il paziente — in evidente stato di scompenso psichiatrico con manifestazioni eteroaggressive — in preda a raptus, commettesse omicidio, evento prevedibile ed evitabile (App. Bologna, 4 aprile 2007). Sempre con riguardo al profilo della prevedibilità dell'evento lesivo, si è fondata l'affermazione di responsabilità per omicidio colposo in capo al medico psichiatra (direttore della casa di cura dove la paziente era ricoverata), per il suicidio di una paziente affetta da sindrome depressiva, cui era stato permesso di uscire accompagnata da persona non adeguatamente informata sulle condizione di essa (che più volte aveva tentato gesti di autosoppressione, Cass. IV, n. 10430/2003).

Con la l. n. 189/2012 (c.d. legge Balduzzi) l'ordinamento ha limitato la responsabilità dell'esercente la professione sanitaria ai soli casi di colpa non lieve, laddove, nello svolgimento della sua attività, lo stesso si sia attenuto a “linee guida” e “buone pratiche” accreditate dalla comunità scientifica (art. 3 l. n. 189/2012; le linee guida per le pratiche terapeutiche costituiscono un sapere scientifico e tecnologico codificato, che funge da guida per orientare facilmente le decisioni terapeutiche, per uniformare le valutazioni e minimizzate le decisioni soggettive del medico curante, Cass. IV, n. 4468/2015; in dottrina Risicato, 692).

L'introduzione di tale modifica legislativa configura un'ipotesi di abolitio criminis parziale in relazione ai fatti commessi prima della riforma (Dolcini-Gatta, 3129).

In ordine alla portata applicativa della norma, la corte di legittimità ha precisato come il rispetto delle linee guida non esoneri il medico da responsabilità laddove il quadro clinico imponga una condotta diversa (Cass. IV, n. 8254/2010), e tale necessità di discostarsi da essa sia immediatamente riconoscibile (Cass. IV, n. 16237/2013). Quanto all'individuazione del grado della colpa e della qualificabilità di essa come “lieve” o come “grave”, la S.C., ha richiamato sia il criterio (oggettivo) della misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi sulla base della norma cautelare cui ci si doveva attenere; sia a dati (soggettivi) attinenti alle specifiche condizioni dell'agente, l'esigibilità dell'osservanza delle regole cautelari, la motivazione della condotta, la consapevolezza della pericolosità della condotta tenuta e, dunque, la previsione dell'evento (in presenza di tali presupposti, laddove il medico non si sia discostato dalle prassi accreditate, pur in presenza di fattori riconoscibili di rischio per la condizione in cui versava il paziente, tali da imporre un intervento difforme, la sua condotta potrà qualificarsi nei termini di colpa grave, Cass. IV, n. 16237/2013).

Relativamente all'individuazione dell'ambito applicativo della previsione in commento, la giurisprudenza ritiene che esso corrisponde alla “imperizia”, in ragione del richiamo operato dall'art. 3, l. n. 189/2012 alle “linee guida”, le quali contengono regole di perizia (Cass. IV, n. 7346/ 2014; così da risultare inestensibile ad errori dettati da negligenza o imprudenza, con riguardo, in particolare, ad errori diagnostici, Cass. IV, n. 11493/2013, Cass. IV, n. 7951/2013).

La l. n. 24/2017 (“ Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”) ha modificato l'assetto normativo stabilito dalla c.d. Legge Balduzzi prevedendo l'introduzione nel codice penale di un'autonoma fattispecie, l'art. 590-sexies, (“Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”) e stabilendo l'abrogazione della previsione della limitazione della responsabilità dei sanitari ai soli casi di colpa grave, stabilita dall'art. 3, comma 1, c.d. legge Balduzzi. L'art. 590-sexies, comma 2, prevede una causa di non punibilità - nel caso in cui i fatti descritti dall'art. 589 (e 590) vengano commessi nell'esercizio della professione sanitaria - la cui applicazione è subordinata alla ricorrenza dei seguenti requisiti: l'evento si è verificato a causa di imperizia; sono state rispettate le linee-guida (ovvero, le c.d. buone pratiche, in mancanza delle prime); le linee-guida erano adeguate alla specificità del caso concreto. L'art. 3, comma 1, c.d. legge Balduzzi, concernente la limitazione della responsabilità dei sanitari ai soli casi di colpa grave, benché abrogata, continuerà a trovare applicazione per i fatti commessi antecedentemente alla l. n. 24/2017, in quanto norma più favorevole.

La Corte di legittimità ha precisato come, in tema responsabilità medica, le linee guida definite e pubblicate ai sensi dell'art. 5 legge 8 marzo 2017, n. 24, siano raccomandazioni di ordine generale, che contengono "regole" cautelari di massima, flessibili e adattabili, prive di carattere precettivo, rispetto alle quali è fatta salva la libertà di scelta professionale del sanitario nel rapportarsi alla specificità del caso concreto, nelle sue molteplici varianti e peculiarità e nel rispetto della "relazione terapeutica" con il paziente (Cass. IV, n. 7848/2022).

Quanto all'attività medica d'équipe, e all'operatività del c.d. principio d'affidamento (da intendersi nei termini dei limiti dell'obbligo di prevedere le imprudenze altrui: il criterio è che non sussiste un obbligo di rappresentarsi le altrui violazioni di doveri, fino a che la situazione concreta non dia occasione per sospettare il contrario, in dottrina Pulitanò, Diritto, 384), si è sostenuto in sede di legittimità come in caso di decesso del paziente, ne risponda ogni medico che non osservi le regole di diligenza e perizia connesse alle specifiche ed oggettive mansioni svolte, e che venga meno al dovere di conoscere e valutare le attività degli altri medici, così da porre rimedio ad eventuali errori posti in essere da altri e che siano evidenti per un professionista medio (Cass. IV, n. 4058/2013; in sede di merito si è chiarito come il comportamento altrui imprevedibile escluda la responsabilità degli altri partecipanti all'attività medica d'équipe, e sia imprevedibile quando non risultino elementi tali, nel caso concreto, da far venir meno il principio dell'affidamento, e cioè quando nel caso concreto non si dimostrino circostanze tali da rendere prevedibile la negligenza altrui, quale un'attività colposa già in atto oppure un errore commesso in fase preparatoria, oppure le cattive condizioni fisiche del collega; esclusa la ricorrenze delle circostanze esemplificate, la divisione delle responsabilità è dovuta alla necessità di consentire che ciascuno si concentri sul proprio lavoro, facendo affidamento sulla professionalità dell'altro; in tal senso si è precisato come l'onere di vigilanza non possa trasformarsi in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui, Cass. IV, n. 27314/ 2017). Si è tuttavia precisato come nel caso in cui alla cura del paziente concorrano più sanitari, l'accertamento del nesso causale rispetto all'evento deve essere compiuto con riguardo alla condotta ed al ruolo di ciascuno, non potendosi configurare una responsabilità di gruppo in base ad un ragionamento aprioristico (Cass. IV, n. 7346/2014; Cass. IV, n. 19775/2009; si è così esclusa — in capo ai medici che si siano limitati ad assistere all'intervento chirurgico, condotto ed effettuato personalmente dal primario — una responsabilità colposa per l'eventuale errore commesso da quest'ultimo, Uff. ind. prel. Milano, 18 aprile 2007; in sede di legittimità si è altresì affermato come il medico componente l'équipe, in posizione di secondo operatore, che non condivida le scelte del primario adottate nel corso dell'intervento operatorio, ha l'obbligo, per esimersi da responsabilità, di manifestare espressamente il proprio dissenso, senza peraltro che siano necessarie particolari esternazioni dello stesso, Cass. IV, n. 43828/2015).

Nel caso di c.d. successione di garanti, in sede di legittimità si è affermato come non possa invocare il principio di affidamento colui che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti la condotta colposa altrui: in base al principio dell'equivalenza di cause, entrambe le condotte varranno quali antecedenti causali dell'evento (salvo che le seconda condotta si ponga quale causa sopravvenute, rilevante ex art. 41, comma 2, in quanto fattore eccezionale in grado di interrompere il nesso causale, Cass. IV, n. 692/2013; Cass. IV, n. 6215/2009). Quando l'obbligo di impedire l'evento connesso ad una situazione di pericolo grava su più persone obbligate ad intervenire in tempi diversi, l'accertamento del nesso causale rispetto all'evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta e al ruolo di ciascun titolare della posizione di garanzia, stabilendo cosa sarebbe accaduto nel caso in cui la condotta dovuta da ciascuno dei garanti fosse stata tenuta, anche verificando se la situazione di pericolo non si fosse modificata per effetto del tempo trascorso o di un comportamento dei successivi garanti (Cass. IV, n. 1350/2020).

Il nesso di causalità tra l'evento letale e la condotta omissiva o commissiva di uno dei soggetti titolari di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento di un altro garante, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell'art. 41, comma primo, cod. pen. (Cass. IV, n. 17887/2022). La posizione di garanzia del medico di pronto soccorso comporta l'obbligo di questi di rapido inquadramento diagnostico e di determinazione degli eventuali accertamenti indispensabili a confermare la diagnosi, ai fini della predisposizione del pronto intervento per la risoluzione della patologia, senza che lo stesso possa fare affidamento – nella indicazione di priorità degli interventi e degli accertamenti diagnostici – sull'ordine degli interventi dei medici del pronto soccorso attribuito dalla procedura del "triage", di competenza infermieristica (Cass. IV, n.12144/2021).

Con riguardo all'accertamento del nesso causale tra la colpa e l'evento, la sua affermazione è condizionata alla verifica: dell'avvenuta violazione delle leges artis e dall'evitabilità dell'evento nel caso di c.d. comportamento alternativo lecito (cioè osservante delle leges artis ; pertanto non può essere ascritto per colpa un evento che, anche con valutazione “ex ante”, non avrebbe comunque potuto essere evitato, Cass. IV, n. 7783/ 2016). Sul tema, le Sezioni Unite hanno affermato come nel reato omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non si possa basare sul solo coefficiente di probabilità statistica, ma debba essere verificato alla stregua di un giudizio di probabilità logica. Esso è pertanto configurabile solo ove si accerti che, ipotizzando come avvenuta l'azione doverosa, ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale (da intendersi come riferita ad un grado di probabilità vicino al 100% ovvero alla certezza), non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (Cass. S.U., n. 30328/2002, prendendosi così le distanze dal precedente e prevalente orientamento giurisprudenziale, secondo il quale buone o serie ovvero apprezzabili probabilità di successo, potevano fondare la responsabilità del medico, Cass. IV, n. 1565/1990). 

L'accertamento del nesso causale tra la diagnosi intempestiva di una malattia tumorale e il decesso del paziente postula il ricorso ad un giudizio controfattuale ipotetico, sulla base del modello probabilistico e multifattoriale che richiede di valutare l'incidenza del comportamento alternativo lecito, ossia se la diagnosi tempestiva avrebbe impedito ovvero significativamente ritardato, con alto grado di probabilità logica ed in assenza di decorsi causali alternativi, l'esito infausto (Cass. IV, n. 9705/2022). Il giudizio controfattuale, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, ove eseguita, avrebbe potuto evitare l'evento, richiede il preliminare accertamento di ciò che è naturalisticamente accaduto (cd. giudizio esplicativo), al fine di verificare, sulla base di tale ricostruzione, se la condotta omessa può valutarsi come adeguatamente e causalmente decisiva in relazione all'evitabilità dell'evento, ovvero alla sua verificazione in epoca significativamente posteriore (Cass. IV, n. 416/2022) . Il nesso di causalità tra l'omessa diagnosi e il decesso di un paziente deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica fondato, oltre che su un ragionamento deduttivo basato su leggi scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. (Cass. IV, n. 16843/2021)

Con riguardo all'interruzione del nesso causale, essa è stata riconosciuta nel caso in cui la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo e del tutto eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta (Cass. IV, n. 15493/ 2016).

L'accertamento del nesso causale, ed in particolare il giudizio controfattuale necessario per stabilire l'effetto salvifico delle cure omesse, deve essere effettuato secondo un giudizio di alta probabilità logica, tenendo conto non solo di affidabili informazioni scientifiche, ma anche delle contingenze significative del caso concreto, ed in particolare, della condizione specifica del paziente (Cass. IV, n. 10175/2020).

L'art. 3 del d.l.  1° aprile 2021, n. 44 (conv. in legge 28 maggio 2021, n. 76) stabilisce l'esclusione della punibilità per i fatti di cui agli articoli 589 590  del  codice  penale verificatisi a causa della somministrazione  di  un  vaccino  per  la prevenzione delle infezioni da  SARS-CoV  -2, quando l'uso  del  vaccino  e'  conforme  alle indicazioni   contenute   nel   provvedimento    di    autorizzazione all'immissione in commercio emesso dalle competenti autorita' e  alle circolari pubblicate  sul  sito  istituzionale  del  Ministero  della salute relative alle attivita' di vaccinazione.Si tratta di una disposizione speciale rispetto a quella di cui all'art. 590 sexies c.p., che esclude la responsabilità per i delitti di omicidio colposo e lesioni personali colpose commessi nel periodo emergenziale, allorché gli eventi siano riconducibile causalmente alla somministrazione del vaccino anti SARS-Cov-2.  Trattandosi di una disposizione in bonam partem, essa ex art. 2 c.p. potrà trovare applicazione anche per i fatti commessi prima della sua entrata in vigore. L'esclusione della responsabilità colposa è ancorata all'osservanza delle regole cautelari che vengono in rilievo specificamente rispetto all'attività di vaccinazione: le indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all'immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e le circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione.

L'art. 3 bis, contenuto nella legge n. 76/2021 (di conversione del d.l. n. 44/2021), ha stabilito la punibilità solo a titolo di colpa grave delle condotte di cui agli artt. 589  e 590 c.p. ove: commesse nell'esercizio di una professione sanitaria; durante lo stato di emergenza epidemiologica da COVID 19 dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 (e successive proroghe); riconducibili alla predetta situazione di emergenza. Tra i fattori che possono escludere la gravità della colpa, determinando pertanto la non punibilità della condotta: la limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del  fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle  terapie  appropriate; la  scarsita'  delle risorse  umane  e  materiali   concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da  trattare; il minor grado di esperienza e  conoscenze  tecniche  possedute  dal personale non specializzato impiegato per far fronte all'emergenza.

Infortuni sul lavoro e malattie professionali

Altro ambito in cui l'omicidio colposo registra una frequente applicazione, è quello degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. Il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Testo unico per la sicurezza sul lavoro), ha individuato la titolarità della posizione di garanzia rispetto all'incolumità fisica dei lavoratori, nei seguenti soggetti: datore di lavoro, dirigente, preposto (ex artt. 2, comma 1, lett. b, d, e). “Garante” viene pure qualificato colui che, “pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti” (art. 299 d.lgs. n. 81/2008, che descrive il c.d. principio di effettività, che tuttavia non vale a rendere efficace una delega priva dei requisiti di legge, Cass. IV, n. 22606/ 2017). 

Nelle strutture aziendali complesse occorre far  riferimento  al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio:  è generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto  l'infortunio  occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa; al dirigente, il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa; al datore di lavoro l'incidente derivante da scelte decisionali di fondo  (Cass IV, n. 22606/2017).

In sede di legittimità si è precisato come nell'accertamento degli obblighi gravanti sul soggetto garante e  dei limiti di gestione  dei rischi, il giudice  sia  chiamato a valutare la natura  giuridica del rapporto di lavoro e la situazione fattuale sottostante (Cass. IV,  n. 27305/2017 ). 

Invero, di recente, la Corte di Cassazione ha ravvisato l'ipotesi aggravata di omicidio colposo per violazione delle norme antinfortunistiche anche nel caso in cui l'attività sia prestata dal lavoratore a titolo di amicizia, riconoscenza o comunque in una situazione diversa dal rapporto di subordinazione, posto che la normativa a tutela della sicurezza sul lavoro deve essere rispettata ogni qualvolta la prestazione avvenga in ambiente suscettibile di essere definito di "lavoro" (Cass. IV, n. 7192/2024).

In ogni caso la casistica preponderante riguarda rapporti lavorativi professionali, spesso nell'ambito di strutture complesse, in relazione alle quali è possibile individuare  più titolari della posizione di garanzia ; in tal caso ,  ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (Cass. IV, n. 6507/2018).

Il d.lgs. n. 81/2008 ha altresì provveduto a disciplinare l'istituto della delega di funzioni  (artt. 16 e 17), prevedendone limiti e condizioni (essa, ex art. 16, deve risultare da atto scritto, recante data certa; deve essere accettata, sempre per iscritto, dal delegato; è richiesta una professionalità ed esperienza specifica per il delegato; e l'attribuzione ad esso dei poteri —organizzazione, gestione, controllo — necessari per svolgimento funzioni delegate, oltre che del potere di spesa). Vi sono tuttavia degli obblighi indelegabili, che concernono: la valutazione dei rischi e l'elaborazione del relativo documento; la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (art. 17). Il rispetto di tali condizioni rende possibile il trasferimento della posizione di garanzia in capo al delegato (Cass. IV, n. 39158/2013; in sede di legittimità si è tuttavia precisato come la delega debba intendersi revocata, dunque il delegante “responsabile”, nel caso di mutamenti della situazione di fatto, che rendano impossibile l'esercizio della delega: es. trasferimento del delegato, Cass. IV, n. 15234/2008).

In sede di legittimità si è precisato come gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possano essere oggetto di delega di funzioni con conseguente subentro del preposto nella posizione di garanzia, a condizione che il relativo atto riguardi un ambito ben definito, effettivo ed espresso in maniera esplicita, e non l'intera gestione aziendale (Cass. IV, n. 33630/2016).

La mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (quale soggetto svolgente il ruolo di consulente, privo di poteri decisionali)  non costituisce una delega di funzioni ;  essa pertanto non solleva il datore di lavoro e i dirigenti dalle rispettive  responsabilità in tema di violazione degli obblighi antinfortunistici ( Cass. IV, n. 24958/2017). Il rilascio di deleghe in materia di prevenzione e sicurezza dei lavoratori all'interno di una struttura aziendale complessa, con conferimento del correlato potere di spesa, ai direttori di stabilimento non esonera gli amministratori dalla responsabilità per la condotta commissiva di impiego nelle lavorazioni dell'amianto, quali datori di lavoro ai quali sono da imputarsi le scelte "politico-imprenditoriali" (Cass. IV, n. 44943/2021).

La delega non esclude in capo al delegante l'obbligo di vigilanza, che tuttavia può dirsi assolto nel caso di adozione dei modelli di verifica e controllo, di cui all'art. 30, comma 4 (art. 16, comma 3, modificato dal d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106, art. 2, comma 1). L'assolvimento dell'obbligo di vigilanza è stato inteso dalla giurisprudenza nei termini del controllo della correttezza della “complessiva gestione del rischio” da parte del delegato (Cass. IV, n. 10702/2012).

La delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro si atteggia in termini particolari per quanto concerne la Pubblica Amministrazione; in tale ambito, “datore di lavoro” è il dirigente che abbia autonomi poteri decisionali in ambito di spesa (Cass. III, n. 19634/2003).

La materia relativa all'appalto di lavori, con particolare riguardo alla ripartizione di responsabilità tra i vari soggetti coinvolti (committente, responsabile dei lavori, coordinatori per progettazione ed esecuzione), è oggetto di disciplina del d.lgs. n. 81/2008 (artt. 88 ss.). In sede giurisprudenziale, con riguardo al committente, si è affermato come la posizione di garanzia in capo ad esso permanga anche dopo l'affidamento dei lavori ad un'impresa: in caso d'infortunio, la sua responsabilità non è esclusa da quella dell'appaltatore (Cass. IV, n. 42131/2008). Presupposto per l'affermazione della titolarità degli oneri gravanti sul committente, l'effettiva sussistenza del contratto di appalto (o di uno degli altri rapporti contrattuali descritti dall'art. 26, d.lgs. n. 81/2008, così Cass. IV, n. 27306/2017). L'esclusione della responsabilità sarà condizionata invece dalla nomina di un direttore dei lavori, cui dovrà conferirsi la delega concernente gli adempimenti richiesti per l'osservanza della norme antinfortunistiche (Cass. IV, n. 23090/2008).

Anche in capo al responsabile dei lavori edili, è stata riconosciuta in sede giurisprudenziale la sussistenza di una posizione di garanzia (Cass. IV, n. 17634/2009). Il coordinatore per l'esecuzione dei lavori edili, in virtù della titolarità di poteri impeditivi, è stato riconosciuto titolare di una posizione di garanzia avente od oggetto gli obblighi di cui all'art. 92 d.lgs. n. 81/2008, a garanzia dell'incolumità dei lavoratori (Cass. IV, n. 18651/2013; egli ha tuttavia una funzione di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo delle singole attività lavorative, che è demandato alle figure operative del datore di lavoro, del dirigente e del preposto, si v. Cass. IV, n. 2293/2021); così anche il coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei lavori (Cass. IV, n. 3809/2015). Il subappaltante è esonerato dagli obblighi di protezione solo nel caso in cui i lavori subappaltati rivestano una completa autonomia, sicché non possa verificarsi alcuna sua ingerenza rispetto ai compiti del subappaltatore (Cass. IV, n. 12440/2020). La previsione dell'art. 92 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, relativa agli obblighi del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, si applica anche in caso di infortunio avvenuto nel corso di lavori subacquei di rimozione di un relitto, trattandosi di operazioni non ricomprese nella clausola di esclusione di cui all'art. 88, lett. f), d.lgs. citato (Cass. IV, n. 32233/2022).

Per valutare la responsabilità del committente, in caso di infortunio, occorre verificare in concreto l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo (Cass. IV, n. 5946/2020).L'amministratore che stipuli un contratto di affidamento in appalto di lavori da eseguirsi nell'interesse del condominio può assumere, ove la delibera assembleare gli riconosca autonomia di azione e concreti poteri decisionali, la posizione di "committente", come tale tenuto all'osservanza degli obblighi di verifica della idoneità tecnico professionale della impresa appaltatrice, di informazione sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro e di cooperazione e coordinamento nella attuazione delle misure di prevenzione e protezione (Cass. IV, n. 10136/2021).

Anche nella materia degli infortuni sul lavoro, l'accertamento del nesso di causalità tra la condotta colposa dell'agente e l'evento letale, si svolge secondo i criteri dell'elevata probabilità razionale (confinante con la certezza) quanto alla produzione dell'evento lesivo; tuttavia in sede interpretativa (per i rinvii, Dolcini-Gatta, 3146) si è osservato come il modello di accertamento causale definito dalla sentenza Franzese, fondato sulla esclusione dei fattori causali alternativi, possa trovare applicazione rispetto a patologie riconducibili ad un solo fattore di rischio (l'amianto, rispetto all'asbestosi o al mesotelioma pleurico), mentre sia meno agevole per le patologie c. d. multifattoriali (es. tumore al polmone). Con particolare riguardo al tema delle patologie da esposizione ad amianto, si è posto il problema se la patologia debba considerarsi condizionata dalla durata e dalla intensità dell'esposizione — patologia c.d. dose-dipendente — ovvero attivato il processo patologico, le successive esposizioni non incidano più sul suo sviluppo (patologia c.d. dose-indipendente, Bartoli, 11).

Rispetto a tale questione, in sede di legittimità si è osservato come l'affermazione della sussistenza del nesso causale tra la morte del lavoratore e la sua esposizione all'amianto imponga la previa individuazione di una legge scientifica (per i criteri con cui il giudice è chiamato a verificare la fondatezza di tale parametro, Cass. IV, n. 43786/2014) in ordine “all'effetto acceleratore della protrazione dell'esposizione dopo l'iniziazione del processo carcinogenetico” e che tale effetto si sia determinato nel caso concreto (Cass. IV, n. 43786/2010; Cass. IV, n. 40924/2008).

 Si è in particolare precisato come,  in tema di affermazione del rapporto di causalità tra le violazioni delle norme antinfortunistiche e l'evento-morte dovuto a malattia professionale, il dato scientifico sulle proprietà oncogene di una sostanza non è sufficiente, dovendo il giudice di merito vagliare nel caso concreto la pertinenza di tale informazione nel passaggio dalla causalità generale a quella individuale, e dovendo esercitare un controllo critico sull'affidabilità delle basi scientifiche e sul grado di convergenza delle opinioni nella comunità scientifica (Cass. IV, n. 22022/2018, in tema di morte da esposizione ad amianto in cui la S.C. ha precisato che, ai fini dell'affermazione di responsabilità, il giudice è tenuto ad accertare se presso la comunità scientifica sia sufficientemente radicata, su solide e obiettive basi, una legge scientifica in ordine all'effetto acceleratore della protrazione dell'esposizione dopo l'iniziazione del processo carcinogenetico; in caso affermativo, se si sia in presenza di una legge universale o solo probabilistica in senso statistico; nel caso in cui la generalizzazione esplicativa sia solo probabilistica, se l'effetto acceleratore si sia determinato nel caso concreto, alla luce di definite e significative acquisizioni fattuali). 

In mancanza di una legge scientifica di copertura universale, la legge di copertura statistica in base alla quale taluni eventi possono essere ricondotti, con elevata probabilità, a determinati antecedenti causali, rappresenta un grave indizio a sostegno del nesso eziologico, la cui rilevanza è rapportata alla significatività dei dati e alla persuasività degli studi su cui si fonda e la cui ricorrenza va verificata dal giudice nel caso concreto, mediante l'esclusione, con alta probabilità logica, dell'esistenza di fattori causali alternativi. (Cass. III, n. 32860/2021, relativamente alla teoria dell'effetto acceleratore della cancerogenesi legata alla prolungata esposizione ad amianto).

Per affermare la responsabilità dell'imputato fondata sull'effetto acceleratore sul mesotelioma della esposizione ad amianto anche nella fase successiva a quella dell'insorgenza della malattia, il giudice, avendo la relativa legge scientifica di copertura natura probabilistica, deve verificare se l'abbreviazione della latenza della malattia si sia verificata effettivamente nei singoli casi al suo esame, essendo a tal fine necessarie informazioni cronologiche che consentano di affermare che il processo patogenetico si è sviluppato in un periodo significativamente più breve rispetto a quello richiesto nei casi in cui all'iniziazione non segua un'ulteriore esposizione e dovendo altresì essere noti e presenti nella concreta vicenda processuale i fattori che nell'esposizione protratta accelerano il processo. (Cass. IV, n. 16715/2017).

Il giudice, nell'individuare la legge scientifica di copertura da porre a base del ragionamento inferenziale, può discostarsi dalle conclusioni raggiunte da una "conferenza di consenso", che segna il grado di convergenza della comunità scientifica in un dato momento storico, solo mediante un'approfondita analisi degli studi e delle basi fattuali su cui si fonda la tesi antagonista, valutandone l'eventuale formulazione successiva al raggiungimento dell'accordo, l'indipendenza dei soggetti che hanno contribuito alla ricerca e l'eventuale diffusa condivisione scientifica susseguente alla sua enunciazione. (Cass. IV, n. 44943/2021; la Corte ha ritenuto insufficiente a smentire le conclusioni raggiunte da una conferenza di consenso, che ha validato la tesi della "dose correlata" quale causa di insorgenza del mesotelioma pleurico, la formulazione di una isolata opinione difforme, espressa all'interno del consesso da uno dei suoi partecipanti, che ricollegava l'innesco irreversibile della malattia alla inalazione in un determinato momento della "trigger dose", quantità non definibile di fibra di asbesto, ricollegando solo un effetto acceleratore alla successiva esposizione alle polveri nocive).

Le ricerche epidemiologiche sul tempo di latenza della malattia asbesto-correlata non sono idonee all'accertamento del nesso di causalità individuale nei confronti dei lavoratori già esposti in passato a sostanze nocive in ambito lavorativo e non lavorativo, in quanto costituiscono mere descrizioni e proiezioni probabilistiche, non universali, del dato relativo all'incremento di incidenza della malattia nella popolazione osservata ed all'abbreviazione della latenza media, senza alcuna implicazione sul ruolo causale del protrarsi dell'esposizione nel caso concreto (Cass. IV, n. 44943/2021).

Quanto alle ipotesi di patologie c.d. multifattoriali (in un caso di morte per adenocarcinoma del lavoratore, fumatore, esposto ad amianto nel corso della sua esperienza lavorativa), riconducibile cioè ad una pluralità di possibili fattori causali, l'affermazione della causalità della condotta omissiva del datore di lavoro nell'insorgenza del tumore polmonare del lavoratore, richiederà la dimostrazione che esso “non abbia avuto esclusiva origine dal prolungato ed intenso fumo delle sigarette” e che l'esposizione all'amianto sia stata un “condizione necessaria per l'insorgenza o per la significativa accelerazione della patologia” (Cass. IV, n. 11197/2011; Cass. IV, n. 16715/ 2017).

Con riguardo al ruolo della condotta colposa del lavoratore rispetto all'interruzione del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'infortunio occorso, ne è stata riconosciuta l'incidenza come serie causale autonoma solo ove qualificabile come imprevedibile ed abnorme; si è tuttavia precisato in sede di legittimità, come il comportamento avventato del lavoratore posto in essere mentre è dedito al lavoro (e pertanto non esorbitante), possa essere invocato come imprevedibile o abnorme, solo se il datore di lavoro ha adempiuto a tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro, consistenti nel dovere di prevenzione tecnica ed organizzativa; doveri di prevenzione informativa; doveri di vigilanza e controllo. Tutti obblighi, questi, miranti ad evitare l'abnorme e l'imprevedibile (cioè che il lavoratore per eseguire il proprio lavoro si avvalga di accorgimenti diversi da quelli imposti dalla legge; Cass. IV, n. 12115/1999). La condotta abnorme del lavoratore, idonea ad esonerare da responsabilità il produttore, può verificarsi solo in caso di uso improprio e del tutto anomalo della macchina, e non in quello di uso collegato alla sua funzione, neppure se ad opera di un terzo estraneo all'organizzazione aziendale (Cass. IV, n. 42110/2021; Cass. IV, n. 35858/2021).

Il principio enucleabile è pertanto quello secondo il quale l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non esime il datore di lavoro che si sia reso responsabile di specifiche violazioni in materia antinfortunistica, posto che rientra tra gli obiettivi di tale normativa anche quello di prevenire gli effetti della condotta colposa dei lavoratori, per la cui tutela è adottata (Cass. IV, n. 3580/1999). Il datore di lavoro deve vigilare per impedire l'instaurazione di prassi "contra legem" foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche (Cass. IV, n. 10123/2020; Cass. IV, n. 20092/2021).

Si è altresì precisato come, qualora l'evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non possa considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro (Cass. IV, n. 15174/ 2017).

In tal prospettiva, anche l'ambito operativo del principio di affidamento è assai ristretto. Il principio, infatti, che governa la materia è quello secondo il quale il datore di lavoro, quale garante dell'incolumità personale dei suoi dipendenti, è tenuto a valutare e prevenire i rischi, non potendo invocare a sua discolpa, in difetto della necessaria diligenza prudenza e perizia, eventuali responsabilità altrui (Cass. IV, n. 22622/2008). Ciò vale anche con riguardo alla relazione con il preposto, qualora questi consenta a prassi contra legem, rischiose per i lavoratori: in caso di infortunio del dipendente, il datore di lavoro risponde a titolo di colpa ove sia venuto meno ai doveri di formazione del lavoratore ed abbia omesso ogni forma di sorveglianza sulla pericolosa prassi operativa instauratasi (Cass. IV, n. 18638/2004).

In sede di legittimità si è tuttavia di recente precisato come il sistema della normativa antinfortunistica si sia evoluto, passando da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello “collaborativo”, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori (Cass. IV, n. 24139/2016).

Costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale possa ascriversi in capo al datore di lavoro una responsabilità a titolo di colpa generica — anche laddove non vi siano profili di rimproverabilità quanto al rispetto di specifiche prescrizioni in materia antinfortunistica — sulla scorta del criterio della prevedibilità, intesa non come specifica rappresentazione ex ante dell'evento dannoso, ma come potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno (Cass. IV, n. 4675/2006; Cass. IV, n. 21513/2009 ; in senso critico rispetto alla prassi giurisprudenziale di contestazione della “colpa generica” come equivalente di “colpa generale” integrabile da qualsiasi inosservanza di norme cautelari collegabile astrattamente all'evento, Castronuovo, Fenomenologie della colpa in ambito lavorativo, in penalecontemporaneo.it ,  20 s.). Il giudizio di prevedibilità rispetto ai rischi dell'attività svolta è legato all'obbligo, positivamente stabilito dall'art. 2087 c.c. a carico dell'imprenditore, di adozione delle prescrizioni cautelari indicate dalla “migliore tecnologia”, sulla base delle acquisizioni scientifiche in grado di escludere o minimizzare il rischio per l'incolumità del lavoratore, di cui l'imprenditore è garante (Cass. IV, n. 7402/2000, Cass. IV, n. 20176/2001).

L'accertamento della causalità della colpa impone la verifica che l'evento concretizzi il rischio che la norma cautelare — antinfortunistica — intendeva prevenire, oltre il riscontro che il rispetto della regole cautelari (c.d. comportamento alternativo lecito), avrebbe impedito la produzione dell'infortunio. Quanto al primo profilo, con particolare riguardo alle malattie professionali, in sede di legittimità si è affermata la necessità di accertare che l'evento concreto, quale conseguenza dell'agire, rientrasse tra gli eventi che la regola cautelare inosservata mirava a prevenire (Cass. IV, n. 4675/2006). Quanto al secondo profilo, la S.C. ha affermato la necessità ai fini dell'ascrizione dell'evento a titolo di colpa, dell'accertamento della sua evitabilità, cioè della verifica che il comportamento alternativo corretto sarebbe stato in concreto idoneo ad evitare l'evento (Cass. IV, n. 10170/1994, Cass. IV, n. 36857/2009). In sede di legittimità, la Corte ha precisato come, ai fini della integrazione della circostanza aggravante di cui all' art. 589, secondo comma (e 590, terzo comma) cod. pen., debbano ricorrere i seguenti presupposti: la violazione di una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione di rischio e pertanto assimilabili ai lavoratori; che l'evento sia concretizzazione di tale rischio che la regola cautelare violata era volta ad eliminare, non essendo all'uopo sufficiente che l'evento si verifichi in occasione dello svolgimento di un'attività lavorativa (Cass. IV, n. 32899 /2021; in applicazione di tale principio la Corte ha escluso la configurabilità della circostanza aggravante in questione in relazione ai reati di omicidio colposo ascritti, quali datori di lavoro, ad esponenti di Trenitalia s.p.a. e di Ferrovie dello Stato s.p.a., per le morti di soggetti estranei all'organizzazione di impresa, causate dall'incendio derivato dal deragliamento e successivo ribaltamento di un treno merci trasportante GPL, durante l'attraversamento della stazione di Viareggio, determinato dal cedimento di un assile dovuto al suo stato di corrosione, ritenendo le vittime non esposte al rischio “lavorativo” bensì a quello attinente alla sicurezza della circolazione ferroviaria). Non è configurabile la responsabilità del datore di lavoro nel caso in cui l'incidente sia avvenuto sì "in occasione dello svolgimento di un'attività lavorativa" ma non con "violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro", ponendosi il rischio fuori della sfera di gestione del datore di lavoro (Cass. IV, n. 31478/2022).

Più di recente, i giudici di legittimità hanno ribadito la necessità che sia stata violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio, derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione rischiosa dei predetti e che l'evento sia concretizzazione di tale rischio lavorativo, escludendo la configurabilità dell'aggravante e della violazione dell'art. 2087 cod. civ., contestate con riferimento al delitto di omicidio colposo, sul rilievo che non ricorreva alcuna situazione di pericolo dalla quale proteggere i lavoratori (Cass. IV, n. 30616/2024).

L'omicidio colposo (oltre che le lesioni colpose gravi o gravissime) commesso con violazione delle norma antinfortunistiche costituisce un c.d. reato-presupposto ai fini della responsabilità degli enti (ex art. 25-septies, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231). L'inserimento di tale previsione (operata con l'art. 9, d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231) ha sollevato dapprincipio, in sede interpretativa, incertezze quanto alla compatibilità tra l'ascrizione a titolo di colpa del reato e il criterio di imputazione (del reato all'ente) consistente nell'“interesse o vantaggio”, di cui all'art. 5 d.lgs. n. 231/2001, apparendo non agevole individuare in capo all'ente un interesse o vantaggio per la morte del lavoratore. L'impasse è stata superata riferendo la valutazione dell'interesse o vantaggio non all'evento, ma alla condotta inosservante delle regole cautelari (Pulitanò, Omicidio, 68; come nel caso di risparmio sui costi della sicurezza): in tal senso anche le Sezioni Unite della corte di legittimità (Cass.  S.U., n. 38343/2014). Il criterio di imputazione oggettiva del vantaggio, rappresentato dalla ricezione di un compenso, dall'aumento di fatturato e dall'ampliamento dei settori di operatività, ricorre anche a fronte di una singola condotta illecita, ove il vantaggio sia oggettivamente apprezzabile e ad essa eziologicamente collegato, a condizione che tale condotta integri la realizzazione di una delle fattispecie di reato previste dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e sia riferibile a una persona che abbia agito per conto dell'ente a norma dell'art. 5 del medesimo d.lgs (Cass. III, n.20559/2022).

La circolazione stradale

La materia della circolazione stradale, e, in particolare, quella dei criteri ascrittivi relativi alle condotte di omicidio realizzate in violazione delle norme che ne disciplinano lo svolgimento, è stata interessata da una importante modifica, intervenuta con l. n. 41/2016, con cui il legislatore ha introdotto i reati di omicidio stradale e di lesioni stradali, rispettivamente, artt. 589-bis e 590-bis . L'omicidio commesso per colpa con violazione delle norma sulla circolazione stradale, è ora disciplinato dall'art. 589-bis, il quale peraltro prevede, per l'ipotesi-base non aggravata, la stessa pena stabilita dall'art. 589, comma 2.

Il richiamo, contenuto nella norma di cui all'art. 589-bis, a profili di colpa specifica — aver cagionato per colpa la morte di una persona con “violazione delle norma sulla circolazione stradale” — pone il problema della qualificazione delle condotte colpose cagionate per negligenza, imprudenza, imperizia (colpa generica). 

La giurisprudenza sviluppatasi prima dell'introduzione dell'autonoma fattispecie di omicidio stradale, riteneva ricomprese nell'ambito applicativo della previsione aggravatrice di cui al comma 2 dell'art. 589, anche le ipotesi di violazione di generiche regole di prudenza connesse alla circolazione stradale, ritenendo non necessaria la violazione di una specifica regola del codice della strada (Cass. IV, n. 476/ 1991; Cass. IV, n. 8589/1989). Lo scorporo dalla sede originaria (l'art. 589), della materia dell'omicidio colposo connesso alla circolazione stradale, rende plausibile l'estensione anche alla nuova fattispecie dell'elaborazione interpretativa sviluppata con riguardo alla prima (diversamente, nel caso in cui oltre a profili di colpa specifica, ne ricorressero taluni di colpa generica, dovrebbe procedersi alla contestazione di entrambe le fattispecie, configurandosi l'ipotesi di “concorso formale” di reati).

L'elaborazione giurisprudenziale in materia di circolazione stradale, ha riconosciuto al conducente del veicolo, la posizione di garante dell'incolumità dei passeggeri (stabilendo come esso sia tenuto a rifiutare il trasporto del passeggero che non tenga allacciata la cintura di sicurezza, Cass. IV, n. 9904/1996, diversamente, nel caso di infortunio, risponderà a titolo colpa). Chi consenta, a soggetto che non abbia conseguito la patente di guida, di condurre un veicolo nella propria disponibilità, risponde, in caso di morte cagionata dalla condotta di guida imprudente del conducente, di omicidio colposo, versando in colpa specifica per l'inosservanza della norma di cui all'art. 116, comma 14, cod. strada, volta ad evitare il rischio non solo della condotta imperita, ma anche di quella imprudente del conducente privo di abilitazione (Cass. IV, n. 9208/2020).

Con riguardo all'accertamento del nesso di causalità, ed in particolare, con riguardo all'efficacia interruttiva, ex art. 41, comma 2, di un eventuale fattore causale sopravvenuto (es. guida imprudente di un conducente dell'autoveicolo che costringe l'automobilista ad una manovra da cui derivi l'infortunio), la giurisprudenza, conformemente al suo consolidato orientamento, ne afferma l'operatività per i soli casi in cui il fattore causale si caratterizzi come eccezionale ed imprevedibile (Cass. I, n. 11024/1998, pertanto si esclude la qualificabilità di causa sopravvenute escludente il nesso di causalità a proposito del comportamento negligente di un soggetto che trovi origine e spiegazione nella condotta colposa altrui, Cass. IV, n. 18800/2016). Il mancato uso della cintura di sicurezza da parte della vittima non esclude il nesso di causalità tra la condotta del conducente, inosservante delle regole di prudenza e della specifica norma relativa al rispetto dei limiti di velocità, e l'evento morte cagionato, non potendosi il mancato uso delle cinture di sicurezza considerarsi condotta abnorme ed imprevedibile (Cass. n. 25560/2017).

Nei casi di malore improvviso o di colpo di sonno, l'operatività del “caso fortuito”, art. 45, quale causa di esclusione della responsabilità, trova applicazioni molto rare (legate all'imprevedibilità della perdita di coscienza): in tal senso la giurisprudenza è concorde nel ritenere che l'essersi posti alla guida in condizioni da rendere prevedibile il malore (Cass. IV, n. 11142/2015) o il sonno (Cass. IV, n. 41097/2001), non esclude la responsabilità in caso di sinistro. In particolare, l'improvviso malore esclude la colpa ove l'evento da cui derivano la perdita di conoscenza e la conseguente ingovernabilità della condotta sia imprevedibile (sicchè non è invocabile da colui che, consapevole di essere affetto da epilessia, patologia farmaco-resistente che comporta episodi di perdita di coscienza, si sia posto alla guida di un autoveicolo e, colto da una crisi, ne abbia perso il controllo (Cass.IV, n. 28435/2022).

Quanto alla qualificazione del coefficiente di imputazione di condotte caratterizzate da gravi violazioni del codice della strada, va segnalato come in talune decisioni la giurisprudenza, anche di legittimità, ha richiamato, anziché la colpa, il dolo eventuale (Cass. I, n. 10411/2011; Cass. I, n. 8561/2015; nei termini, consueti, della colpa, c.d. cosciente, Cass. IV, n. 28231/2009; Cass. IV, n. 39898/2012).

Anche nella materia della circolazione stradale l'operatività del principio di affidamento registra applicazioni molto limitate, affermandosi la necessità che l'utente della strada, non solo sia tenuto a conformare la propria condotta in modo che non costituisca pericolo per la sicurezza altrui, ma debba altresì agire tenendo conto anche della possibilità di comportamenti irregolari altrui, salvo che essi non siano assolutamente imprevedibili (Cass. IV, n. 26131/2008;  Cass. IV, n. 7664/2017 secondo la quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità; di qui l'obbligo di mantenere una velocità moderata agli incroci, anche laddove si abbia la precedenza, Cass. IV, n. 4092/1988, Cass. IV, n. 46818/2014; così anche, rispetto agli attraversamenti pedonali, Cass. IV, n. 13916/2012).  Si v. pureCass.IV, n. 24414/2021, in cui la Corte ha confermato l'affermazione della responsabilità per omicidio stradale del conducente di un'autovettura che, in autostrada, aveva investito un pedone che si trovava accanto alla propria autovettura, ferma per un precedente sinistro, dovendosi ritenere prevedibile l'eventualità di un incidente tale da comportare l'ostruzione totale o parziale della strada). L'imprevedibilità, nel caso di investimento del pedone, è stata ravvisata unicamente nei casi in cui fosse impossibile avvistarlo o osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso (Cass. IV, n. 26677/2009). Il conducente di un autoveicolo, nell'effettuare il sorpasso di velocipedi o ciclomotori, è tenuto a usare particolari cautele al fine di assicurare una distanza laterale di sicurezza che tenga conto della probabilità di oscillazioni e deviazioni da parte del guidatore del veicolo a due ruote (Cass. IV, n. 18738/2022).

Nel conflitto tra la manovra di sorpasso, anche illegittima, e quella di svolta a sinistra del veicolo da sorpassare, si verifica una situazione di priorità della prima rispetto alla seconda, che comporta l'obbligo del conducente che precede di astenersi dal completare la manovra di svolta, pur avendo segnalato il cambiamento di direzione, per lasciare passare il veicolo sopravveniente da tergo allorquando, per la posizione, distanza, e velocità di quest'ultimo, venga a determinarsi, altrimenti, il pericolo di collisione (Cass. IV, n. 15526/2020).

Consumazione

Il reato si consuma al verificarsi dell'evento-morte del soggetto passivo.

Forme di manifestazione

Circostanze aggravanti

L'art. 1, comma 3, lett. c), l. n. 41/2016, con cui si è introdotto il reato di “omicidio stradale”, art. 589-bis, ha modificato il testo dell'art. 589, comma 2, disciplinante originariamente l'aggravamento di pena anche per le ipotesi di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, eliminandone il richiamo. Nella formulazione attuale dell'art. 589 cpv., l'aggravamento di pena è stabilito solo per il fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (da intendersi, sia come quelle contenute nelle leggi specificamente dirette ad essa, sia quelle che, direttamente o indirettamente, perseguono il fine di prevenire malattie professionali e che, in genere, tendono a garantire i lavoratori in relazione ad agenti nocivi presenti nell'ambiente di lavoro, Cass. IV, n. 22022 /2018)La disposizione di cui all'art. 2043 c.c.non integra norma per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, perché priva di ogni indicazione cautelare e perché inidonea, per il carattere generale del dovere di non ledere l'altrui sfera giuridica previsto a carico di chiunque, a fondare un posizione di garanzia, la quale è invece caratterizzata dalla relazione intercorrente tra uno o più titolari di beni giuridici, non in grado di tutelarli, e categorie predeterminate di soggetti cui una fonte giuridica assegni poteri per l'impedimento degli eventi offensivi di tali beni (Cass. IV, n. 32899/2021; la Corte - in relazione agli omicidi colposi ascritti per le morti verificatesi nel disastro ferroviario di Viareggio ha escluso la configurabilità della circostanza aggravante del "fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" a carico del dipendente e del direttore generale dell'officina che aveva materialmente eseguito la revisione di tale assile senza rilevarne lo stato di corrosione nonché dell'amministratore delegato della società proprietaria di tale officina, diversa dalla società proprietaria e fornitrice del mezzo). La disposizione di cui all'art. 2050 cod. civ. non integra norma per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, perché non ha come presupposto lo specifico rischio lavorativo - cioè quello di nocumento del lavoratore in conseguenza dell'attività lavorativa espletata o del terzo che si trovi in analoga situazione di esposizione - ma il generico rischio connesso all'esercizio di attività pericolose, e ha quindi un più ampio spettro preventivo. (Cass. IV, n. 32899/2021, decisione relativa alla c.d. “strage di Viareggio”).L'art. 8 del d.lgs. 10 agosto 2007, n. 162, non integra una norma per la prevenzione degli infortuni sul lavoro in quanto attiene alla sola sicurezza della circolazione ferroviaria il cui rischio, gravante sull'imprenditore ferroviario, va tenuto distinto dal rischio lavorativo, e dalle connesse competenze e regole comportamentali, che può gravare su tale imprenditore quale datore di lavoro. (Cass. IV, n. 32899/2021, “strage di Viareggio”).

La l. n. 41/2016 (art. 1, comma 3, lett. d), ha abrogato il comma 3 dell'art. 589, con cui era previsto un notevole incremento sanzionatorio nel caso in cui la condotta fosse stata realizzata da soggetto in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope. L'ipotesi è ora disciplinata dall'art. 589-bis, comma 2, che descrive un'aggravante speciale ad effetto speciale, per la quale i limiti sanzionatori, più consistenti, prevedono la reclusione da otto a dodici anni. La previsione attuale, di cui all'art. 589-bis, comma 2, si differenzia tuttavia dall'originaria, in quanto menziona come soggetto attivo il solo conducente il veicolo a motore: per i conducenti gli altri veicoli, essendo stato abrogato il comma 3 dell'art. 589, potrà ora trovare applicazione l'ipotesi-base di cui all'art. 589-bis (dunque una pena corrispondente a quella di cui all'art. 589, senza alcun aggravamento di pena).

La l. n. 3/2018 (art. 12 , comma 2) ha introdotto nel testo dell'art. 589 il nuovo comma 3, secondo il quale il reato di omicidio colposo è punito con la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso nell'esercizio abusivo di una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria.

Concorso di reati

La previsione di cui all'ultimo comma descrive un concorso formale di reati nel caso di omicidio/lesioni personali plurime a carico di soggetti passivi diversi, stabilendo il limite massimo della pena di quindici anni (“diciotto anni” è il limite per l'omicidio stradale, art. 589-bis, comma 8). Come precisato in sede giurisprudenziale, non trattandosi di un reato unico, ma di un concorso (formale) di reati unificati solo quoad poenam, la prescrizione rispetto a ciascun evento troverà applicazione avuto riguardo al momento in cui ciascuno si è verificato (Cass. IV, n. 47380/2008).

Casistica

In sede di legittimità è stata confermata al condanna per omicidio colposo dell'amministratore delegato della società da cui dipendeva il lavoratore deceduto per infortunio sul lavoro (in applicazione del principio secondo il quale nelle società di capitali, gli obblighi inerenti la prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro, possono gravare indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo delega della posizione di garanzia, Cass. IV, n. 49402/2013).

È stato ritenuto responsabile di omicidio colposo il capo-cantiere per non aver impedito l'uso di un escavatore ribaltatosi per l'elevata pendenza dei luoghi (la S.C. ha assimilato la sua posizione a quella del preposto, Cass. IV, n. 9491/2013 ; da ultimo, Cass. IV, n. 4340/2015). 

È stata affermata la responsabilità per omicidio colposo in capo ad un ginecologo che, in presenza di una riferita infezione da varicella, con gravi difficoltà respiratorie aveva omesso di visitare la paziente e di disporne l'immediato ricovero in ospedale (Cass. IV, n. 40703/2016).

L'anestesista è tenuto a controllare, prima dell'inizio dell'intervento chirurgico, l'apparecchio di anestesia e le sue componenti, e a monitorare costantemente le funzioni vitali del paziente, mantenendo una continua e scrupolosa osservanza clinica dello stesso, della sua connessione al circuito di anestesia, e dell'erogazione dell'ossigeno al rotametro (Cass. IV, n. 10152/2021; la Corte ha confermato la responsabilità, per il reato di omicidio colposo, dell'anestesista che, avendo omesso di controllare l'apparecchiatura, prima dell'induzione dell'anestesia e durante la stessa, sottovalutando l'allarme del saturimetro e omettendo di sottoporre a continua osservazione il paziente, verificandone i parametri vitali, non si era avveduto del distacco del tubo erogatore dell'ossigeno dalla presa a muro cui era conseguito il decesso del paziente per difetto di ventilazione).La Corte di legittimità ha confermto l'affermazione di responsabilità per omicidio colposo del chirurgo endoscopista, per la morte della paziente, conseguente ad intervento di endoscopia intestinale, eseguito, su prescrizione del medico curante, su soggetto ultranovantenne con sintomatologia aspecifica di "dolore continuo all'emiaddome destro", senza valutare la possibilità di un alternativo approfondimento diagnostico con metodiche meno invasive, più proporzionate al caso specifico e prive di rischi, quali ecografia addominale, tomografia computerizzata, risonanza magnetica, colon-tomografia, ricerca del sangue occulto nelle feci (Cass. IV, n. 30051/2022).

Il medico, a cui il paziente sia inviato dal Pronto Soccorso a titolo di consulto, ove non riscontri alcuna patologia di rilevante gravità e si limiti a richiedere un'altra consulenza, la quale indichi gli esami idonei a diagnosticare la patologia in atto, non assume — per il solo fatto di avere richiesto l'ulteriore consulenza — la posizione di garanzia, che resta a carico dei medici del pronto soccorso (Cass. IV, n. 24068/2018).

L'infermiere è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, gravando sullo stesso un obbligo di assistenza effettiva e continuativa del soggetto ricoverato, atta a fornire tempestivamente al medico di guardia un quadro preciso delle condizioni cliniche ed orientarlo verso le più adeguate scelte terapeutiche (Cass. IV, n. 21449/2022)..È stata affermata la responsabilità per omicidio colposo di un infermiere professionale con funzioni di capo-sala, il quale aveva somministrato un anticoagulante benché dalla cartella clinica ne risultasse la chiara incompatibilità con l'allergia del paziente, della quale l'imputato era già a conoscenza per ragioni di servizio (Cass. IV, n. 2192/2014).

L'infermiere del pronto soccorso responsabile addetto al triage risponde di omicidio colposo del paziente deceduto per un ritardato intervento indotto da una sottovalutazione dell'urgenza del caso (Cass. IV, n. 11601/2014).

È stata esclusa la responsabilità dell'investitore per omicidio colposo del pedone, un anziano signore che attraversava la strada fuori dalle strisce pedonali, tra due veicoli fermi, l'autobus alla fermata ed un autoarticolato in sosta: uno spazio tale da non consentirne l'avvistamento (Uff. ind. prel. Napoli, n. 724/2014).

A carico del titolare di un'autofficina (che si impegni ad esaminare un veicolo al mero fine di individuare le riparazioni necessarie e redigere un preventivo di spesa) è configurabile una posizione di garanzia di fonte contrattuale dalla quale deriva l'obbligo di informare il cliente, all'atto della consegna del preventivo e della contestuale restituzione del mezzo, sui rischi connessi alla circolazione derivanti dalle riparazioni da effettuare, conosciute o ignorate per colpa da parte dell'agente (Cass. IV, n.79/2022; la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di assoluzione dell'imputato, titolare di un'autofficina, che, pur avendo rilevato un malfunzionamento dell'impianto frenante di un'autovettura e redatto un preventivo di spesa per la sua riparazione, aveva riconsegnato il veicolo senza dare avviso al committente del pericolo derivante dal guasto rilevato, che aveva cagionato il sinistro stradale con decesso del conducente).

Integra la condotta di omicidio colposo la condotta del direttore di un albergo che non inibisca materialmente ai clienti l'accesso alla piscina negli orari in cui non è garantito il servizio di salvataggio, ma si limiti ad esporre il regolamento di utilizzo della medesima contenente un divieto in tal senso, qualora gli ospiti vi anneghino facendo il bagno nell'orario non consentito (Cass. IV, n. 45698/2008). Il soggetto responsabile del servizio di manutenzione delle strade non risponde degli eventi che costituiscano la concretizzazione di un rischio eliminabile soltanto con un continuo intervento di manutenzione ordinaria che eviti qualsiasi anomalia della strada, risentendo la posizione di garanzia dei limiti collegati alle disponibilità di spesa (Cass. IV, n. 6513/2021).

Risponde di omicidio colposo  del detenuto il dirigente preposto alla  direzione sanitaria dell'Istituto di pena,  che non abbia impartito specifiche direttive volte ad effettuare periodici controlli sanitari nei confronti del detenuto, che tenessero conto del regime di isolamento  cui era sottoposto (Cass. IV, n. 25576/2017).

Il bagnino addetto ad un impianto di piscina è titolare, ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p., di una posizione di garanzia in forza della quale egli è tenuto a sorvegliare gli utenti della stessa per garantirne l'incolumità fisica (Cass. IV, n. 13848/2020). Il gestore di una piscina è titolare di una posizione di garanzia, ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p., in forza della quale è tenuto a garantire l'incolumità fisica degli utenti mediante la presenza di un assistente bagnante a bordo piscina, che non può essere trasferita, in via convenzionale, sulle persone a protezione delle quali essa è prevista (Cass. IV, n. 4890/2020).

Non è ravvisabile la colpa specifica del responsabile del tiro a segno che consegni a soggetto sprovvisto del certificato medico richiesto dalla normativa di settore, l'arma con cui questi poi si suicidi, perché la norma cautelare che impone il rilascio e l'esibizione, in sede di iscrizione al poligono, del certificato medico propedeutico al maneggio delle armi, è tesa a prevenire il pericolo di commissione di atti pregiudizievoli verso terzi e non di comportamenti auto lesivi (Cass. IV, n. 3911/2021).

In caso di escursione subacquea di gruppo, di natura ricreativa, ai fini della configurabilità di una posizione di garanzia a carico dei componenti del gruppo con riferimento alle possibili situazioni di emergenza che si possono venire a determinare durante l'immersione, è necessaria l'esplicita o tacita assunzione del compito di provvedere alle operazioni di soccorso del compagno in condizioni di bisogno, da accertarsi alla luce di tutte le evidenze disponibili, quali le prassi correnti tra subacquei impegnati in immersioni amatoriali e le specifiche relazioni intercorrenti tra i componenti del gruppo (Cass. IV, n. 20378/2021).

Profili processuali

Il reato è procedibile d'ufficio; la competenza è del Tribunale monocratico.

L'arresto è facoltativo; il fermo è consentito solo per la previsione aggravata (comma 2); sono consentite sia la custodia cautelare che le altre misure cautelari. In sede di legittimità , con riguardo al tema dell'applicazione delle misure interdittive in tema di colpa professionale si è affermato come , ai fini cautelari , sia possibile l'applicazione di una misura cautelare per le esigenze di cui all'art. 274, lett. c), poiché anche in materia di colpa professionale è possibile una prognosi di reiterazione di comportamenti in relazione alle caratteristiche della struttura in cui il professionista opera e al comportamento da questi tenuto nel caso oggetto del giudizio ( e l'offesa temuta riguard a gli interessi collettivi già colpiti, Cass. IV, n. 27420/2018 a proposito della misura interdittiva della sospensione dall'esercizio della professione medica) .

Nel caso in cui si proceda per i reati di omicidio colposo e lesioni colpose commesse con violazione delle norme antinfortunistiche, l'Inail è legittimato a costituirsi parte civile ed ad esercitare nel procedimento penale l'azione di regresso nei confronti del datore di lavoro, se imputato (Cass. IV, n. 47374/2008). È altresì ammissibile, indipendentemente dall'iscrizione del lavoratore al sindacato, la costituzione di parte civile delle associazioni sindacali nei procedimenti per reati di omicidio o lesioni colpose, commessi con violazione della normativa antinfortunistica, quando l'inosservanza di tale normativa possa cagionare un danno autonomo e diretto, patrimoniale o non patrimoniale, alle associazioni sindacali, per la perdita di credibilità dell'azione di tutela delle condizioni di lavoro dalle stesse svolta con riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro e alla prevenzione delle malattie professionali (Cass.IV, n.46154/2021; Cass. IV, n. 22558/2010 ).

Sempre con riguardo alla costituzione di parte civile, i familiari del cittadino straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato hanno diritto ad agire costituendosi parte civile nel giudizio per il risarcimento dei danni subiti a seguito dell'omicidio colposo del loro congiunto, anche se residenti all'estero (Cass. IV, n. 5471/2009).

Ai fini dell'affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all'estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, che, seppur privo dei requisiti di idoneità e inequivocità richiesti per il tentativo, sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia e quella realizzata in territorio estero. (Cass.IV, n. 35510/2021; in tema di omicidio colposo, la Corte ha riconosciuto la giurisdizione italiana per essersi verificata, in Italia, la parte iniziale della condotta degli imputati che, pur essendovi legalmente tenuti, non avevano ottemperato alle norme di formazione ed informazione poste a tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro, così causando colposamente la morte di un lavoratore italiano che, per loro conto, prestava attività lavorativa su una nave battente bandiera straniera e in acque territoriali estere).

La presenza, all'esito delle indagini preliminari, di questioni di ardua soluzione contrassegnate da una contrapposizione di orientamenti in seno alla comunità scientifica internazionale impone il vaglio dibattimentale, potendosi in tale sede disporre una perizia che consenta di fornire una adeguata risposta a tali complesse problematiche (Cass. IV, n. 1886/2017, a proposito del c.d. “effetto acceleratore” della malattia derivante dalla protrazione dell'esposizione ad amianto dopo l'iniziazione del processo carcinogenetico).

Nell'ipotesi aggravata, ex art. 589, comma 2, è previsto un raddoppio dei termini di prescrizione (art. 157, comma 6; sul punto, Cass. IV, n. 6506/2018,secondo la quale è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 157, comma 6, nella parte in cui prevede il raddoppio dei termini di prescrizione per le ipotesi di omicidio colposo realizzato con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro). Il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme sulla circolazione stradale, commesso dopo l'entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 157 cod. pen. e dopo la modifica dell'art. 589, secondo comma, cod. pen. ad opera del d.l. n. 92/2008, conv., con modif., dalla l. n. 125/2008, è soggetto al termine ordinario di prescrizione di quattordici anni e al termine massimo di diciassette anni e sei mesi (Cass. IV, n. 32456/2022).

Alla vittima di un fatto illecito costituente reato può essere riconosciuto il risarcimento di un'unica voce di danno non patrimoniale, comprensiva del “danno morale” e di quello “biologico” eventualmente subiti, che pertanto non potranno essere liquidati in maniera autonoma dal giudice (Cass. IV, n. 21505/2009; Cass. civ. S.U., n. 26972/2008).

Nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice. (Cass. IV, n. 18390/2018, in tema di omicidio colposo stradale, la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per imperizia e mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse da quelle in contestazione). Non contrasta con il principio del "ne bis in idem" - non ricorrendo l'identità del fatto considerato in tutti i suoi elementi costitutivi - la condanna per il delitto di omicidio preterintenzionale nei confronti di un soggetto già condannato per lesioni personali con sentenza divenuta irrevocabile in relazione alla medesima condotta, ma il giudice del secondo procedimento, in ossequio al principio di detrazione, deve assicurare, mediante un meccanismo di compensazione, che le sanzioni complessivamente applicate siano proporzionate alla gravità dei reati considerati (Cass. V, n. 1363/2022).

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