Codice Penale art. 595 - Diffamazione.

Maria Teresa Trapasso
aggiornato da Angelo Salerno

Diffamazione.

[I]. Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro 1.

[II]. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro 2.

[III]. Se l'offesa è recata col mezzo della stampa [57-58-bis, 596-bis] o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità [615-bis], ovvero in atto pubblico [2699 c.c.], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro 3 45.

[IV]. Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio [342], le pene sono aumentate [64, 596-599] 6(2).

 

competenza: Trib. monocratico (terzo e quarto comma e in caso di aggravanti ex art. 4 3 d.lg. n. 274 del 2000); Giudice di pace (primo e secondo comma)

arresto: non consentito

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita

altre misure cautelari personali: non consentite

procedibilità: a querela di parte

[1] V. art. 4 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, in tema di competenza penale del giudice di pace. V. inoltre la norma transitoria di cui all'art. 64 d.lg. n. 274, cit. Per le ipotesi di reato attribuite alla competenza del giudice di pace si applica la sanzione della multa da 258 euro a 2.582 euro o quella della permanenza domiciliare da 6 a 30 giorni o del lavoro di pubblica utilità da 10 giorni a 3 mesi.

[2] V. art. 4 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, in tema di competenza penale del giudice di pace. V. inoltre la norma transitoria di cui all'art. 64 d.lg. n. 274, cit. Per le ipotesi di reato attribuite alla competenza del giudice di pace si applica la sanzione della multa da 258 euro a 2.582 euro o quella della permanenza domiciliare da 6 a 30 giorni o del lavoro di pubblica utilità da 10 giorni a 3 mesi.

[3] V., per il caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, art. 13 l. 8 febbraio 1948, n. 47. V. pure art. 30 4 l. 6 agosto 1990, n. 223.

[4] Per un'ulteriore ipotesi di aumento di pena, v. art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104.

[5] Corte cost. 12 luglio 2021, n. 150, ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale  del presente comma sollevate, in riferimento agli artt. 3, 21 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), dal Tribunale ordinario di Salerno, sezione seconda penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

[6] V., per il caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, art. 13 l. 8 febbraio 1948, n. 47. V. pure art. 30 4 l. 6 agosto 1990, n. 223.

Inquadramento

La previsione di cui all'art. 595 è posta a tutela della reputazione del soggetto passivo.

La nozione di “reputazione” è stata variamente definita in sede interpretativa. Secondo un primo orientamento per essa deve intendersi l'“onore in senso oggettivo”, cioè la valutazione dei consociati rispetto alla personalità morale e sociale dell'individuo (Dolcini-Gatta, 52, c.d. concezione fattuale: ad essa aderisce la prevalente dottrina, Antolisei, PS, 213; la giurisprudenza, a tenore della quale per reputazione deve intendersi la stima di cui gode l'individuo nella collettività di appartenenza, Cass. V, 43184/2012). Altro orientamento sostiene invece una concezione normativa dell'onore, che fonda la sua ratio nella tutela della personalità, presidiata dalle previsioni costituzionali di cui agli artt. 2 e 3 Cost. (Dolcini-Gatta, 52; in tal senso, non vi sarebbe distinzione tra il contenuto dell'ingiuria e quello della diffamazione, se non per l'elemento della presenza dell'offeso).

Soggetti

È un reato comune, che può essere commesso da chiunque.

Quanto ai soggetti passivi, in sede interpretativa si è affermato come la previsione tuteli anche i minori, gli incapaci di intendere e di volere (Antolisei, PS, 206); la particolarità delle condizioni del soggetto — sordo, dormiente, in stato comatoso — non esclude l'integrazione della fattispecie (Mantovani, 207; esclusa invece nel caso di defunti, perché non più “persone”, Mantovani, 217). 

Nel caso di soggetti che abbiano una reputazione già compromessa, la giurisprudenza afferma l'ammissibilità dell'applicazione della fattispecie (Cass. V, n. 35032/2008).

Anche le persone giuridiche e gli enti collettivi possono essere soggetti passivi del delitto di diffamazione (in tal senso concorde la prevalente dottrina e la giurisprudenza, affermando la titolarità a proporre querela in capo ai soci, sulla base del riconoscimento dell'esistenza di un onore sociale, da intendersi, anche come buon nome commerciale Cass. V, n. 27383/2011). Anche i partiti politici rientrano nel novero dei possibili soggetti passivi, Cass. V, n. 901/1996).

Il soggetto destinatario dell'offesa deve essere determinato, o comunque chiaramente individuabile; non è necessaria l'indicazione nominativa (Cass. V, n. 2784/2014; Cass.VI, n. 2598/2022).

L'individuazione del destinatario dell'offesa deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa  prospettazione  dell'offesa, sulla base di un criterio oggettivo; non è consentito il ricorso ad intuizioni o a congetture soggettive di persone che ritengano di poter essere destinatarie dell'offesa (Cass. V, n. 39763/ 2017; si v. pure Cass. V, n. 8208/2022, che indica quali criteri: la natura e portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, così da potersi individuare, con ragionevole certezza, l'offeso e desumere la piena e immediata consapevolezza, da parte di chiunque abbia letto l'articolo, dell'identità del destinatario della diffamazione ).

Materialità

Elemento oggettivo

Perché il reato si configuri sono richiesti i seguenti elementi:

a ) Assenza dell'offeso. Richiamato come elemento differenziatore rispetto al delitto di ingiuria (art. 595), consiste nell'impossibilità per il soggetto passivo di percepire la condotta diffamatoria: in ciò viene fatta consistere la maggiore gravità della fattispecie rispetto alla previsione che la precede, in quanto il soggetto non può difendersi dall'addebito (Antolisei, PS, 213).

b ) Comunicazione con più persone. L'addebito deve essere comunicato ad almeno due persone — in grado di percepirne il contenuto — anche se non contemporaneamente (per tale ipotesi, la consumazione avviene con la comunicazione al secondo soggetto, Fiandaca-Musco, 108; Cass.V, n. 323/2022), ed anche se la comunicazione ai soggetti diversi dal primo destinatario sia avvenuto da parte di questi su richiesta del soggetto attivo (Cass. V, n. 13550/ 2008). Integrano il reato, sia la comunicazione a voce alta al cospetto di più persone (Cass. V, n. 10263/1981), sia quella in via confidenziale (Antolisei, PS, 214). L'invio di una "e-mail" dal contenuto offensivo ad una pluralità di destinatari integra il reato di diffamazione anche nell'eventualità che tra questi vi sia l'offeso, stante la non contestualità del recepimento del messaggio nelle caselle di posta elettronica di destinazione (Cass.V, n. 13252 /2021).

c ) Offesa all'altrui reputazione. La condotta — qualificata da prevalente dottrina quale reato di pericolo (Antolisei, PS, 204; nel senso di reato di danno, i sostenitori della concezione normativa dell'onore, si v. Dolcini-Gatta, 58) — può essere realizzata secondo varie modalità: scritti, opere letterarie, mass media (Mantovani, 217). E' necessario che le parole utilizzate siano attributive di qualità sfavorevoli alla persona offesa, ovvero che gettino, comunque, una luce negativa su quest'ultima, con la conseguenza che è priva di rilevanza penale l'espressione di un auspicio la cui verificazione dipenda dalla volontà e dalle inclinazioni di terzi (la S.C. ha escluso la valenza diffamatoria dell'augurio rivolto, in un canale su Internet, all'autore di un'intervista critica sulla omosessualità che "le figlie diventassero lesbiche e sposassero dei gay", Cass. V, n. 17944/2020).

Cause di giustificazione: esercizio del diritto di cronaca e di critica

L'esercizio del diritto di cronaca e di critica, quali espressione della libertà di manifestazione del pensiero — diritto costituzionalmente garantito ex art. 21 Cost. (Corte cost. n. 86/1974) — rientrano nell'ambito della causa di giustificazione di cui all'art. 51.

La prassi giurisprudenziale ha individuato i criteri di bilanciamento tra il diritto di cronaca e le esigenze di tutela dell'onore (Mantovani, p. 228), enucleando (con riguardo al diritto di cronaca) i seguenti limiti: la verità del fatto; la pertinenza; la continenza

Considerata concordemente quale requisito di applicabilità della scriminante di cui all'art. 51 (Cass. V, n. 21840/ 2014), si ritiene che la verità del fatto. vada determinata con riguardo al nucleo centrale ed essenziale (errori ed imprecisioni marginali non escludono l'operatività della scriminate, Cass. V, n. 28258/2009; in dottrina La Rosa, 360), benché sull'esatta definizione del suo contenuto in sede giurisprudenziale si registrino orientamenti diversi. Mentre, a tenore di un'interpretazione estensiva della libertà di stampa, sarebbe scriminata anche la verosimiglianza, ricorrente nei casi in cui il giornalista abbia riportato quanto appreso da fonte da lui ritenuta attendibile (La Rosa, 361, anche in assenza di verifiche sulla fondatezza della notizia). Altro indirizzo più rigoroso qualifica il requisito della verità nei termini di corrispondenza tra fatti accaduti e fatti narrati (Cass. V, n. 12859/2005, con conseguente obbligo di verifica di attendibilità delle fonti, Cass. S.U ., n. 8959/1984).

Quanto ai casi di verità putativa, ad essa viene riconosciuta natura esimente dalla prevalente giurisprudenza nei casi in cui il giornalista abbia effettuato tutte le verifiche ed i controlli di attendibilità (nel caso in cui la verifica sia impossibile, per il giornalista che accetta il rischio che essa non corrisponda a verità, si configura il reato a titolo di dolo eventuale , Cass. V, n. 19046/2010), ma, nonostante ciò, erri sulla veridicità del fatto narrato (contraria parte della dottrina, Mantovani, 230). Nel caso invece in cui ricorra la colpa, l'operatività dell'art. 59, comma 4, dovrebbe valere ad escludere la punibilità del giornalista, in ragione della imputazione solo dolosa del reato di diffamazione. In tali ipotesi la giurisprudenza ritiene tuttavia comunque integrato il reato di cui all'art. 595 (Dolcini-Gatta, 68; in senso contrario recente giurisprudenza, Cass. V, n. 23282/ 2007, Cass. V, n. 15643/2015). Il cronista che raccoglie notizie in via confidenziale dalle forze dell'ordine che hanno condotto un'operazione di polizia giudiziaria può invocare, qualora la notizia non risulti veritiera, la scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca a condizione che abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare l'informazione, offrendo la prova della cura posta negli accertamenti svolti per stabilire la veridicità dei fatti (Cass. V, n. 14013/2020).La S.C. ha escluso potesse suffragare l'esimente putativa la circostanza che la medesima notizia falsa, di contenuto diffamatorio, fosse stata riportata anche da altri giornali (Cass. V, n. 7008/2020)

In tema di cronaca giudiziaria, non integra un'ipotesi di diffamazione a mezzo della stampa la divulgazione di una notizia d'agenzia riportante l'erronea affermazione che taluno sia stato raggiunto da richiesta di rinvio a giudizio anziché da avviso di conclusione delle indagini preliminari, dal momento che, in tal caso, la divergenza tra quanto propalato e l'effettivo stato del procedimento costituisce una mera inesattezza su un elemento secondario del fatto storico, che non intacca la verità della notizia principale, secondo cui il procedimento, nella prospettiva della pubblica accusa, è approdato ad una cristallizzazione delle risultanze d'indagine funzionale alla sua progressione (Cass. V, n.15093/2020).

Qualora sia pubblicato il contenuto di una denuncia-querela, è configurabile l'esimente del diritto di cronaca giudiziaria nel caso in cui il giornalista, nel rispetto della verità e della continenza, si limiti a riferire, sia pure nel loro "minimum" storico, senza arbitrarie aggiunte o indebite insinuazioni, i fatti di cui alla denunzia, ponendosi, rispetto ad essi, quale semplice testimone, animato da "dolus bonus" e da "ius narrandi" (Cass. V, n.15086/2020).  Il giornalista che riporti una notizia tratta da un procedimento penale, in particolare se risalente nel tempo, è tenuto a verificarne gli esiti giudiziali, onde accertare se la stessa si sia poi rivelata priva di fondamento, tanto da comportare l'assoluzione dell'accusato (Cass. V, n. 21703/2021).

Il requisito della verità si atteggia in termini particolari nel caso di intervista giornalistica. Le Sezioni unite (Cass. S.U., n. 37140/2001) intervenute sul punto hanno escluso che riportare fedelmente le dichiarazioni dell'intervistato determini l'applicazione dell'esimente, salvo nei casi in cui l'intervista sia di pubblico interesse in ragione della posizione di rilievo pubblico dell'intervistato (diversamente, in tali ipotesi la verifica della fondatezza delle affermazioni si tradurrebbe in una forma di censura). In ogni caso è richiesto al giornalista un comportamento di imparzialità e distacco rispetto ai contenuti diffamatori. Il giornalista che effettua un'intervista può beneficiare dell'esimente del diritto di cronaca con riferimento al contenuto delle dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie a lui rilasciate, se riportate fedelmente ed in modo imparziale, senza commenti e chiose capziose a margine - tali da renderlo dissimulato coautore - e sempre che l'intervista presenti profili di interesse pubblico all'informazione, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, al suo oggetto e al contesto delle dichiarazioni rilasciate (Cass. V, n.16959/2020; Cass. V, n. 41013/2021).  Con recente sentenza, la Corte di legittimità ha affermato come l'esimente del diritto di cronaca possa essere riconosciuta al giornalista che riporti fedelmente le dichiarazioni -  oggettivamente lesive dell'altrui reputazione - rilasciate da un personaggio pubblico nel corso di un'intervista, indipendentemente dalla veridicità e continenza delle espressioni riportate, per il prevalente interesse pubblico a conoscere il pensiero dell'intervistato in relazione alla sua notorietà, che non deve essere intesa necessariamente come sinonimo di autorevolezza "a priori", da cui desumere l'affidabilità delle dichiarazioni, ma valutata anche in ragione della notorietà della persona offesa e delle vicende oggetto di propalazione (Cass. II, n. 19889/2021).  In sede di legittimità è stata esclusa l'applicabilità l'esimente del diritto di cronaca (o di critica), nel caso riguardante la pubblicazione, in uno scritto autobiografico di un personaggio di rilievo pubblico, di notizie diffamatorie sulla vita privata di un suo familiare (la ex moglie), non mediaticamente esposto, in quanto tali notizie non rivesitivano utilità o interesse sociale (Cass.V, n. 32917/2021) .

LaCorte EDU, con decisione del 16 gennaio 2020 (sez. I, n. 59347/2011, caso Magosso e Brindani c. Italia), relativamente alla condanna di due giornalisti per un' intervista (resa da un ufficiale dei carabinieri sull'omicidio del giornalista Tobagi), ha riconosciuto la violazione dell'art. 10 CEDU, ritenendo la condanna per diffamazione un'interferenza sproporzionata nella loro libertà di espressione, in quanto “non necessaria in una società democratica” (art. 10 CEDU).In tale sede si è precisato come sia necessario distinguere tra l'intervista, in cui si riportano affermazioni rese da terzi, e l'attività di cronaca del giornalista. Rispetto alla prima il giornalista non è chiamato a rispondere delle verità dei fatti dichiarati, ma si tratterà di verificare se abbia ragionevolmente confidato sulla loro attendibilità, sulla scorta dei consueti doveri di controllo gravanti sui giornalisti.

Nel caso di intervista televisiva, l'obbligo di controllo è esigibile solo per l'intervista “in differita” (e non, naturalmente, per quella “in diretta”; per tale ultima ipotesi tuttavia, il giornalista è chiamato ad osservare la diligenza in eligendo, nel senso che nella scelta del soggetto da intervistare deve adottare la cautela preordinata ad evitare di dare la parola a soggetti che prevedibilmente ne approfittino per commettere reati, fermo restando l'obbligo di intervenire nel corso dell'intervista ove si renda conto che il dichiarante ecceda i limiti della continenza o sconfini in settori privi di rilevanza sociale, Cass. V, n. 3597/2007).

Per pertinenza si intende l'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti (la cui divulgazione è essenziale alla formazione della pubblica opinione, Cass. V, n. 10151/1986Cass. VI, n. 5637/1979; in dottrina Mantovani, 228). L'interesse pubblico è stato distinto in sede interpretativa tra interesse “immediato”, che connota fatti di intrinseca rilevanza pubblica e “mediato”, quando i fatti, benché concernenti la vita personale dei soggetti narrati, presentino attinenza con un interesse pubblico (abitudini private di uomini politici, La Rosa, 361; Cass. V, n. 1473/1997). Esulano da una qualificazione in termini di pertinenza le vicende private la cui divulgazione mira a suscitare pettegolezzi (Fiandaca-Musco, 120; Cass. VI, n. 474/1971; per essi, l'integrazione del reato di diffamazione impone comunque la verifica della lesività della reputazione per il soggetto passivo dell'addebito).

La continenza, quale limite di liceità dell'esercizio del diritto di cronaca (Cass. V, n. 17051/2013), allude alla correttezza formale nell'esposizione delle notizie (Gullo, 183; essa viene esclusa in presenza del ricorso ad espressioni pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine della cronaca del fatto, Cass. V, n. 19381/2005). Esula dalla continenza il ricorso al “sottinteso sapiente”, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato o sdegnato, all'insinuazione (Cass. civ. I, n. 5259/1984; Dolcini-Gatta, 73).

La critica, da intendersi quale espressione di un giudizio, come presa di posizione motivata su fatti e accadimenti dei diversi settori della vita sociale (Fiandaca-Musco, PS, 120), soggiace anch'essa ai limiti descritti a proposito del diritto di cronaca (Mantovani, p. 227), da interpretare tuttavia in maniera più elastica in ragione alla sua diversa natura, soprattutto quanto ai requisiti della continenza e della pertinenza.

In particolare, quanto al diritto di critica politica, si è osservato come il rispetto della verità del fatto assuma un rilievo più limitato ed affievolito rispetto al diritto di cronaca ( Cass. V, n. 4359/2018) .

In sede di legittimità, in tema di configurabilità dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica (il cui fondamento viene ravvisato nell'interesse all'informazione dell'opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici o pubblici amministratori), si è affermata la necessità che l'elaborazione critica non sia avulsa da un nucleo di verità e non trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui ( Cass. V, n. 31263/2020, in tale sede la Corte ha ritenuto corretta l'esclusione dell'esimente, sia pure nell'ampia visione convenzionale del diritto alla libertà di espressione in contesti di critica politica, nel caso di un articolo di stampa che attribuiva ad un sindaco, senza alcun appiglio oggettivo e mediante travisamento o manipolazione dei fatti storici, il sospetto di mafiosità, per la gestione familiaristica e clientelare dell'amministrazione comunale).

In sede di legittimità si è precisato come nell'esercizio del diritto di critica si debba concedere maggior spazio al diritto di critica giudiziaria, in virtù dell'importanza che l'organo giudiziario ricopre nell'ordinamento (Cass. V, n. 37226/ 2017).  La scriminante del diritto di critica giudiziaria non si configura quando un magistrato venga tacciato di parzialità per ragioni politiche senza che vi sia prova della verità storica del fatto, per la intrinseca offensività della affermazione, che involge gli imprescindibili caratteri di indipendenza ed autonomia nell'esercizio della funzione giudiziaria, risolvendosi in una critica alla persona, piuttosto che alle capacità professionali del magistrato (Cass.V, n. 45249/2021).

 In sede di legittimità, in materia di diritto di critica degli avvocati nei confronti dell'attività di un magistrato, si è affermata la compatibilità con l'art. 10 CEDU, che garantisce la libertà di espressione, dell'irrogazione della sanzione detentiva (benché sospesa), per il reato di diffamazione connesso ai mezzi di comunicazione (anche se non commesso nell'ambito di attività giornalistica), soltanto in casi eccezionali, qualora cioè siano stati lesi gravemente altri diritti fondamentali, come nei casi di discorsi d'odio o di istigazione alla violenza. Si aderisce pertanto al principio espresso in più occasioni dalla Corte EDU in tale materia, estendendolo tuttavia anche alle condotte estranee all'ambito dell'attività giornalistica. La Corte ritiene infatti che la limitazione della compatibilità delle sanzioni detentive ai soli casi di discorsi d'odio, ove affermata solo per l'esercizio dell'attività giornalistica rischierebbe di compromettere sia il principio di uguaglianza (art. 3, comma 1, Cost.),  che quello di ragionevolezza (art. 3, comma 2, Cost.), in quanto determinerebbe l'applicazione di un trattamento sanzionatorio sfavorevole – la pena detentiva – per fatti di solito connotati da minor gravità e diffusività rispetto  a quelli commessi nell'esercizio dell'attività giornalistica  (Cass.V, n. 13393/2021).

Quanto al requisito della verità, un giudizio in tali termini non può formularsi rispetto alle componenti valutative che caratterizzano il giudizio critico; diversamente rispetto ad elementi oggetto di valutazioni critiche che attengono alla realtà (Manna, 3621).

La giurisprudenza ha precisato la necessità della verità rispetto al fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica (Cass. V, n. 7715/2014; Cass. I, n. 40930/2013; Cass. V,  n. 20800/2018).

Le diverse manifestazione del diritto di critica vedono la giurisprudenza valutare diversamente i limiti di liceità, quali quelle della continenza: come precisato in sede giurisprudenziale, se il rispetto di tale canone esige che le modalità espressive dispiegate siano proporzionate e funzionali alla comunicazione dell'informazione, senza trasmodare in un'aggressione verbale del soggetto criticato (Cass. V, n. 18170/2015). Pertanto i toni utilizzati dall'agente, pur se aspri, forti e sferzanti, non devono essere gratuiti, ma pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato ed al concetto da esprimere (Cass. V, n. 32027/2018, si v. pure Cass. V, n.17243/2020). Nel caso di critica formulata con le modalità proprie della satira, il giudice sarà chiamato a tener conto del linguaggio essenzialmente simbolico e paradossale dello scritto satirico, rispetto al quale non si può applicare il metro consueto di correttezza dell'espressione (superati quando la persona pubblica, oltre che al ludibrio della sua immagine, sia esposta anche al disprezzo, Cass. V, n. 37706/2013; Cass. V, n. 13563/1998).

Vengono ritenute sempre punibili le espressioni c.d. gratuite, nel senso di non necessarie all'esercizio del diritto, in quanto inutilmente volgari o umilianti o dileggianti (Cass. V, n. 36695/ 2017; Cass. V, n. 320/2022).

Con riferimento al requisito della continenza, in sede di legittimità è stato affermato come integri il reato di diffamazione la pubblicazione su una pagina "facebook" di un'accusa, del tutto immotivata, ad un professore di operare manipolazioni psicologiche degli studenti e così praticare metodi contrari agli scopi formativi ed educativi dell'insegnamento, trattandosi di espressioni che, in sé e per il contesto fattuale di riferimento, travalicano i limiti della continenza espositiva ( Cass. V, n. 13979/2021) .

Per alcune categorie di soggetti — membri del Parlamento; consiglieri regionali, giudici della Corte costituzionale, membri del Csm — l'ordinamento prevede che essi non possano essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.

Quanto ai parlamentari, la disciplina è fissata dall'art. 68 Cost. (l'immunità di cui all'art. 68, comma 1, Cost., rappresenta una garanzia per l'esercizio delle funzioni parlamentari, espressione di sovranità, da svolgere senza vincoli che possano condizionare la libertà del parlamentare, Corte cost. n. 417 /1999), e dall'art. 3, l. 20 giugno 2003, n. 140, secondo la quale l'immunità può trovare applicazione non solo per l'attività parlamentare strettamente intesa (es. presentazione di disegni di legge, interpellanze, interventi nelle Assemblee) ma anche per ogni altra attività “espletata anche fuori del Parlamento”, connessa alla funzione di parlamentare.

Come sottolineato già in precedenza dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 1150/1988, Corte cost. n. 10/2000 e Corte cost. n. 11/2000), l'insindacabilità non riguarda solo le attività svolte all'interno degli organi parlamentari, ma può estendersi fino a coprire anche gli atti compiuti fuori da tali sedi, a patto che vi sia un nesso funzionale tra l'attività parlamentare e le dichiarazioni offensive pronunciate extra moenia (ricorrente, secondo la S.C., solo quando queste presentino una sostanziale coincidenza di contenuto con quelle rese in sede parlamentare e siano cronologicamente successive alle dichiarazioni c.d. interne, Cass. V, n. 21320/2014; si aggiunge inoltre che, affinché siano identificabili come espressione dell'esercizio funzionale in parola, non è sufficiente né la comunanza di argomenti, né il mero contesto politico cui possano riferirsi, Cass. V, n. 22716/2010).

L'immunità di cui all'art. 68, comma 1, Cost., è una causa soggettiva di esclusione della responsabilità, quindi non si estende ai concorrenti (Cass. V, n. 13198/2010, in cui la S.C. ha precisato come essa non trovi applicazione per il direttore del giornale che non abbia impedito la pubblicazione della notizia diffamatoria coperta da tale immunità).

Elemento psicologico

Il dolo del reato è generico (Cass. V, n. 8419/2013). Esso consiste nella consapevolezza di pronunciare o di scrivere una frase lesiva dell'altrui reputazione, ma anche nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone (pertanto è necessario che l'autore della diffamazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona, ma con tali modalità, che detta notizia sicuramente venga a conoscenza di altri ed egli si rappresenti e voglia tale evento, Cass. V, n. 36602/2010).

Non è necessario la sussistenza dell'animus diffamandi (nel senso dell'irrilevanza delle finalità, Cass. V, n. 4364/2012; Cass. V, n. 7597/1999), ma è sufficiente da parte del soggetto attivo la rappresentazione e la volontà della comunicazione con più persone dell'addebito offensivo (in dottrina Fiandaca-Musco, PS, 108; Antolisei, PS, 215).

Anche il dolo eventuale è compatibile con il delitto di cui all'art. 595, nei termini dell'accettazione del rischio di offesa (in dottrina Mantovani, 253; in tal senso la giurisprudenza di legittimità, Cass. V, n. 8419/ 2013, Cass. V, n. 4364/2012).

L'errore esclude il dolo nel caso in cui l'addebito non sia considerato offensivo nella comunità di appartenenza del soggetto attivo ovvero nei casi in cui l'offensore non sia padrone della lingua (Mantovani, 245). La punibilità è altresì esclusa nei casi in cui il soggetto ritiene erroneamente che l'addebito offensivo non possa essere percepito (Mantovani, 254).

Consumazione e tentativo

Consumazione

Il reato è istantaneo e si consuma con la comunicazione dell'offesa a più persone (nel caso in cui la comunicazione avvenga in tempi diversi, la consumazione coincide con la comunicazione alla seconda persona, Antolisei, PS, 215).

Nel caso di diffamazione a mezzo stampa, il momento consumativo — luogo di prima diffusione — anche ai fini dell'individuazione della competenza per territorio, viene fatto coincidere con il luogo di stampa (Cass. I, n. 41038/2002).

La diffamazione commessa con il mezzo della trasmissione televisiva in diretta su tutto il territorio nazionale, si consuma nel momento della percezione del contenuto offensivo da parte di soggetti diversi dall'agente e dalla persona offesa; pertanto la competenza territoriale appartiene al giudice del territorio in cui si è verificata la percezione del messaggio offensivo (Cass. V, n. 33287/2016).

Deve darsi atto della specifica disciplina dettata dall'art. 30 della l.n. 223/1990, recante la “Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato”, il cui comma 4 prevede che “Nel caso di reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato, si applicano ai soggetti di cui al comma 1 le sanzioni previste dall'articolo 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47”. In relazione a siffatte ipotesi, ai sensi del comma 5 dell'art. 30 cit., “il foro competente é determinato dal luogo di residenza della persona offesa”. Deve tuttavia anticiparsi che, come si avrà modo di meglio evidenziare, l'art. 13 l. stampa è stato dichiarato incostituzionale (Corte cost., n. 150/2021), sicché si è posto il problema di stabilire se la norma relativa alla competenza territoriale ex art. 30, comma 5, cit. potesse continuare a trovare applicazione anche dopo l'eliminazione dell'aggravante dell'art. 13 l. stampa (che operava nel caso di attribuzione diffamatgoria di fatti determinati a mezzo stampa). Con un recente arresto, la Corte di Cassazione ha quindi chiarito, sul punto, che in caso di  diffamazione commessa attraverso trasmissioni radiotelevisive e consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, anche successivamente alla sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, la competenza territoriale deve essere stabilita, in applicazione dell'art. 30, comma 5, seconda parte, l.n. 223/1990, con riferimento al foro di residenza della persona offesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere del reato (Cass. V, n. 26919/2024).

Più di recente, la Corte ha altresì precisato che, qualora non sia possibile stabilire la competenza in forza del criterio sancito dall'art. 30, comma 5, cit., in quanto vi è una pluralità di persone offese, trova applicazione, in via residuale, l'art. 9 c.p.p., in forza del cui comma 1 è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione, individuato nel caso di specie nel luogo ove era stata effettuata la trasmissione televisiva lesiva della reputazione delle persone offese. In motivazione, la Corte ha evidenziato infatti che l'art. 30 cit. si pone in rapporto di specialità con il solo art. 8 c.p.p. e non già con la disciplina residuale ex art. 9 c.p.p., escludendo la possibilità di introdurre in via interpretativa criteri extra legem quali il luogo di residenza della prima persona offesa querelante.

Nel caso in cui le frasi o immagini lesive siano immesse sul web, la diffamazione si consuma nel momento in cui il collegamento si attivato, di modo che l'interessato abbia avuto notizia della immissione in internet del messaggio offensivo, o accedendo direttamente in rete o mediante altri soggetti che in tal modo ne siano venuti a conoscenza (Cass. V, n. 23624/2012).

Trattandosi di reato istantaneo di evento, nel caso in cui il delitto sia stato commesso tramite inserimento di un video nel canale "You Tube", la consumazione avviene nel momento in cui la frase o l'immagine lesiva diventano fruibili da parte di terzi mediante l'inserimento nel "web", con la conseguenza che da quel momento inizia a decorrere il termine di prescrizione del reato (Cass. V, n. 24585/2022).

 

Tentativo

La configurabilità del tentativo è condizionata dalla qualificazione del reato: ammissibile, se “reato di danno” (Fiandaca-Musco, PS, 108); se “reato di pericolo”, la configurabilità è legata alla frazionabilità della condotta (Dolcini-Gatta, 94).

Forme di manifestazione

Nel caso in cui l'offesa consista nell'attribuzione di un fatto determinato, l'ordinamento prevede un aggravamento di pena (art. 595, comma 2).

La ratio della previsione si spiega con la maggiore gravità dell'offesa, a causa della specificità dell'addebito (Fiandaca-Musco, PS, 109). La nozione di fatto determinato vede interpretazioni diverse; in sede dottrinale lo si è definito quale fatto che presenti una certa concretezza o che sia storicamente determinato (Antolisei, PS, 216; Mantovani, 220).

La giurisprudenza si divide tra coloro che richiedono che il fatto sia connotato dall'indicazione di circostanze che valgano a specificare l'addebito diffamatorio (Cass. V, n. 7713/1996) e coloro che invece ritengono sufficiente che il fatto venga delineato nei suoi contorni essenziali, senza la richiesta di particolari indicazioni di tempo o di luogo (Cass. V, n. 7599/1999; Cass. V, n. 26512/2021).

Un aggravamento di pena è altresì previsto nel caso in cui l'offesa sia arrecata con il mezzo della stampa (art. 595, comma 3), con qualsiasi altro mezzo di pubblicità ovvero in atto pubblico. La competenza a giudicare è del Tribunale.

La ratio della previsione è da ravvisarsi nella maggiore potenzialità offensiva della condotta in ragione della diffusività del mezzo adoperato (Antolisei, PS, 216), oltre che della permanenza dell'addebito (es. rilettura del giornale contenente l'affermazione diffamatoria, Mantovani, 225).

Con riguardo alla definizione di “stampa”, essa si ricava dall'art. 1 l. n. 47/1948, secondo il quale ne integrano la nozione “le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici”, che siano “destinate alla pubblicazione” (si ricomprende la stampa periodica — giornali, riviste — e non periodica — libri; l'aggravante trova applicazione anche per la stampa clandestina, La Rosa, 358).

Laddove la diffamazione commessa con il mezzo della stampa (o anche a mezzo di trasmissioni radiofoniche o televisive, ex art. 30, comma 4, l. n. 223/1990) consista nell'attribuzione di un fatto determinato, è previsto un incremento di pena (art. 13 l. n. 47/1948); si tratta di una circostanza complessa che stabilisce un aggravamento di pena nel caso di concorso delle circostanze di cui agli artt. 595, commi 2 e 3.

Gli altri mezzi di pubblicità ricomprendo mezzi la cui diffusività integra una più grave offesa alla reputazione del soggetto passivo.

La diffamazione commessa con il mezzo della radio o della televisione è disciplinata dall'art. 30 l. n. 223/1990, la quale ha stabilito l'applicazione delle sanzioni previste per i reati a mezzo stampa (di cui all'art. 13 l. n. 47/1948), nel caso di diffamazione consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, al: concessionario privato, alla concessionaria pubblica, alla persona delegata al controllo della trasmissione. L'autore della diffamazione (non menzionato dall'art. 30 cit.) sarà punito ex art. 595, comma 3.

Nel caso di intervista in diretta televisiva, l'impossibilità di un controllo preventivo dell'addebito da parte del giornalista, impone tuttavia a costui di intervenire ove vengano valicati i limiti della continenza, Cass. V, n. 3597/2007; in dottrina Dolcini-Gatta, 99).

La diffamazione commessa tramite sito web rientra nei casi di diffamazione commessa con “altri mezzi di pubblicità” (art. 595, comma 3; Cass. V, n. 31392/2008); per essa non trova applicazione né l'aggravante della diffamazione a mezzo stampa (art. 595, comma 3), né la disciplina della “legge sulla stampa” (l. n. 47/1948). 

In sede di legittimità è stato affermato come integri il reato di diffamazione la pubblicazione su una pagina "facebook" di un'accusa, del tutto immotivata, ad un professore di operare manipolazioni psicologiche degli studenti e così praticare metodi contrari agli scopi formativi ed educativi dell'insegnamento, trattandosi di espressioni che, in sé e per il contesto fattuale di riferimento, travalicano i limiti della continenza espositiva (Cass. V, n. 13979/2021).

Si è precisato come l'amministratore di un sito internet non sia responsabile ai sensi dell' art. 57, in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook; così Cass. V, n. 16751/2018).

Quanto al momento consumativo, esso è stato individuato dalla giurisprudenza, nel momento di percezione del messaggio (Cass. II, n. 36721/2008); altra giurisprudenza ravvisa invece il momento consumativo nell'“immissione” nei mezzi di comunicazione, quale “diffusione” (in dottrina Dolcini-Gatta, 100; Cass. V, n. 25875/ 2006).

Le Corte di legittimità, a Sezioni Unite, chiamata a pronunciarsi circa l'ammissibilità del sequestro preventivo del sito online ospitante l'addebito diffamatorio (mediante oscuramento), sulla base dell'equiparazione tra la testata telematica e quella cartacea (per la quale non è ammesso il sequestro preventivo, salvo casi predeterminati), ha escluso l'ammissibilità del sequestro preventivo (Cass. S.U., n. 31022/2015). Tale equiparazione è stata confermata di recente in sede di legittimità, ove si è affermato come la testata giornalistica telematica rientri nella nozione di "stampa" di cui all'art. 1 l. n. 47/1948, in quanto funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo (la Corte ha ritenuto applicabile alle condotte diffamatorie riconducibili alla testata telematica le fattispecie di reato di cui agli artt. 595, comma 3 e 13, l. n. 47/1948, nonché quella di cui all'art. 57 per il direttore della stessa, Cass. V, n. 1275/2019).

Quando l'affermazione diffamatoria è contenuta in un blog, la giurisprudenza di merito ha fatto registrare opinioni contrastanti circa l'assimilabilità della posizione del gestore del forum o del creatore del sito a quella del direttore responsabile, con la conseguente responsabilità ex artt. 57 e 58-bis. Si è ritenuto come, in assenza di una esplicita previsione, non siano responsabili dei reati commessi in rete gli access providers, i serving providers, gli hosting providers, salvo che non siano al corrente del contenuto criminoso del messaggio, dovendo altrimenti rispondere a titolo di concorso (Cass. V, n. 35511/ 2010; in dottrina Dolcini-Gatta, 595). In sede di legittimità si è di recente affermato come l'amministratore di un sito internet non sia responsabile ai sensi dell'art. 57 c.p., in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche, e non anche ad altri mezzi informatici di manifestazione del pensiero, quali forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook (Cass. V, n. 16751/2018). 

Con recente decisione la Corte di legittimità ha affermato come il "blogger" risponda del delitto di diffamazione nella forma aggravata, ai sensi del comma 3 dell'art. 595sotto il profilo dell'offesa arrecata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità", per gli scritti di carattere denigratorio pubblicati sul proprio sito da terzi quando, venutone a conoscenza, non provveda tempestivamente alla loro rimozione, atteso che tale condotta equivale alla consapevole condivisione del contenuto lesivo dell'altrui reputazione e consente l'ulteriore diffusione dei commenti diffamatori (caso relativo ad un "blogger" che aveva mantenuto consapevolmente nel "blog" lo scritto offensivo di un terzo, a commento di una lettera pubblicata dalla persona offesa, fino all'oscuramento intimato dall'autorità giudiziaria ed eseguito dal "provider", Cass. V, n. 12546/2019, per un commento alla decisione, Pagella, La Cassazione sulla responsabilità del blogger per contenuti diffamatori (commenti) pubblicati da terzi, in penalecontemporaneo.it).

Quanto alle mail, l'invio a più persone di una e-mail a contenuto diffamatorio, integra il reato di diffamazione (Cass. V, n. 29221/2011; s i è precisato come integri il requisito della “comunicazione a più persone”, l'invio ad una persona di una mail con contenuto offensivo anche nei riguardi di un altro soggetto, con l'intenzione di favorirne  la comunicazione a quest'ultimo, che poi ne ha effettiva conoscenza, Cass. V, n. 30318/ 2016); così anche a proposito di un forum di discussione on line. Il postare un commento su facebook, configura il reato di diffamazione aggravata (Cass. I, n. 24431/2015;  Cass. V,  n. 40083/2018).

Rapporti con altri reati

La diffamazione si differenzia dall'ingiuria (depenalizzata con d.lgs. n. 7/2016, si v. sub art. 594), in ragione del requisito, richiesto solo per il primo, della presenza dell'offeso. L'elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell'ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all'offeso, mentre nella diffamazione l'offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l'offensore (Cass. V, n.10313/2019). Integra il delitto di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone (depenalizzato ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 7/2016), e non il delitto di diffamazione la condotta di chi pronunzi espressioni offensive mediante comunicazioni telematiche dirette alla persona offesa attraverso una video "chat", alla presenza di altre persone invitate nella "chat", in quanto l'elemento distintivo tra i due delitti è costituito dal fatto che nell'ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all'offeso, mentre nella diffamazione l'offeso resta estraneo alla comunicazione intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l'offensore (fattispecie in tema di "chat" vocale sulla piattaforma "Google Hangouts", Cass. V, n.10905/2020). Nel caso in cui l'offesa sia arrecata con una comunicazione indirizzata sia alla persona offesa sia ad altri destinatari, che ne vengono messi a conoscenza, si realizza il concorso fra reato di ingiuria, ex art. 594, comma 2, e quello di diffamazione ex art. 595 (Cass. V,  n. 34484/2018  con riguardo all'invio di una mail dal contenuto offensivo recapitata al destinatario e, per conoscenza, ad altri soggetti).

La calunnia (art. 368) è fattispecie speciale rispetto alla diffamazione, in quanto l'addebito consiste nell'incolpazione di un reato nei confronti di taluno che si sa innocente (Cass. VI, n. 26994/ 2003).

Circa i rapporti con il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341-bis), si osserva con riguardo a tale ultima fattispecie la presenza di elemento specializzanti concernenti: la qualifica di pubblico ufficiale del soggetto passivo, il compimento della condotta criminosa mentre questi compie un atto del proprio ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni (Gatta, 104).

Il delitto di atti persecutori, avendo oggetto giuridico diverso, può concorrere con quello di diffamazione anche quando la condotta diffamatoria costituisce una delle molestie costitutive del reato previsto dall'art. 612-bis (Cass. V, n. 51718/2014).

In tema di diffamazione commessa mediante pubblicazione di un articolo a firma anonima su un giornale “on line”, il direttore del periodico risponde di concorso ex art. 110 nel reato di diffamazione e non dal reato di omesso controllo, ex art. 57, quando vi sia prova del suo consenso e della sua adesione al contenuto dello scritto diffamatorio (Cass. V,  n. 52743/2017).

Casistica

Integra il reato di diffamazione aggravata (dall'aver recato l'offesa con altro mezzo di pubblicità diverso dalla stampa) la condotta di chi invii documenti dal contenuto diffamatorio via fax (Cass. V, n. 6081/2015).

Integra il reato di diffamazione la condivisione sulla rete internet di filmati riproducenti scene di atti sessuali descritti come riferiti alla persona offesa mediante il programma informatico di condivisione peer to peer, dotato di potenzialità diffusiva e idoneo a propagare i contenuti dei files video ad un numero indeterminato di destinatari, a partire dalla prima condivisione (Cass. V, n. 41276/2015).

In sede di legittimità è stata ritenuto legittima l'esclusione dell'esimente nei confronti del giornalista che, trattando di una persona imputata e poi assolta, aveva erroneamente riferito che avesse avanzato richiesta di patteggiamento, Cass. V, n.  7008/2020).

La comunicazione contenente i nominativi dei condomini morosi affissa al portone condominiale integra il reato di cui all'art. 595, non sussistendo alcun interesse da parte dei terzi alla conoscenza di tali fatti, ancorché veri (Cass. fer., n. 39986/2014).

Non costituiscono offesa alla reputazione le sconvenienze, l'infrazione alla suscettibilità o alla gelosa riservatezza ( Cass. V,  n. 21128/2018).

Integra il reato di diffamazione la diffusione con modalità caricaturali di una conversazione telefonica in cui emerge in maniera evidente il balbettante eloquio di uno dei conversanti, non potendosi escludere l'offensività della condotta per essere la balbuzie della vittima già nota in ampio ambito sociale (Cass. V, n. 47175/2013).

Non integra il delitto di diffamazione la condotta di chi invii un esposto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, contenente dubbi e perplessità sulla correttezza professionale di un legale, ricorrendo, in tal caso la causa di giustificazione di cui all'art. 51 , come esercizio del diritto di critica preordinato al controllo di eventuali violazioni di regole deontologiche (Cass. V, n. 42576/2016,  Cass. V,  n. 42587/2018). 

Integra il reato il riferirsi ad una persona con una espressione che, pur richiamando un handicap motorio effettivo, contenga una carica dispregiativa, tale da rappresentare un'aggressione alla reputazione della persona (Cass. V, n. 32789/2016).

Integra la fattispecie la comunicazione di immagini, quando queste presentino un significato intrinsecamente offensivo della reputazione del soggetto passivo (Cass. V,  n. 36076/2018 a proposito della pubblicazione su un sito internet accessibile a tutti di fotografie modificate dei volti di alcune professoresse).

La rappresentazione in una "fiction" giudiziaria di fatti storici non del tutto fedeli al dato investigativo e processuale, non è di per sé diffamatoria, attesa la natura creativa ed artistica dell'opera, salvo che vengano distorti, in senso denigratorio, gli accadimenti reali, deformando irrimediabilmente la verità processuale emersa, in modo da potenziare il sospetto nei confronti dei protagonisti della vicenda oltre quello derivante dagli elementi indiziari vagliati nel processo (Cass.V, n. 30724/2021).

Si è ritenuto che parlare, gratuitamente, di "giudice corrotto" offenda gravemente la reputazione del soggetto interessato, in quanto l'integrità morale rappresenta uno dei requisiti necessari all'esercizio della funzione giudiziaria e cifra del valore della persona ( Cass. V, n. 27930/2018).

È stata esclusa la configurabilità del reato relativamente alla denuncia dell'operato di un funzionario pubblico esercitata in forma contenuta e riferita a fatti ritenuti illegittimi in quanto esercizio del diritto di critica (Cass. fer.,  n. 43139/2017). La S.C. ha ritenuto non esorbitante dai limiti della critica legittima l'utilizzo, in una pagina Facebook, dell'epiteto "idiota" nei confronti di un poliziotto, non identificato nominativamente, che aveva sparato dei colpi di arma da fuoco in pieno centro cittadino per arrestare la fuga degli autori di un reato, in quanto l'imputato aveva inteso solo stigmatizzare l'uso eccessivo della forza, sproporzionato rispetto al reato e alle condizioni di tempo e di luogo in cui si era svolto il fatto (Cass. V, n. 15089/2020).

Ricorre il delitto di diffamazione con l'aggravante della finalità di discriminazione razziale nell'espressione "rassegni le dimissioni e se ne ritorni nella giungla dalla quale è uscita", pubblicamente rivolta ad un esponente politico di provenienza africana a commento di talune non condivise proposte di legge dal medesimo avanzate(Cass. V,  n. 7859/2017, che ha escluso la ricorrenza dell'esercizio del diritto di critica politica).

Sussiste la scriminante dell'esercizio del diritto di critica sindacale e politica nel caso in cui, in un articolo pubblicato su un "blog" locale di chiaro orientamento politico (nella specie "Brescia anticapitalista"), si stigmatizzi come "sottocultura da letamaio" la reazione del datore di lavoro alle rivendicazioni salariali, giudizialmente riconosciute, degli operai, in buona parte immigrati, in quanto funzionale alla disapprovazione della condotta di sfruttamento e delle idee "razziste" espresse sul profilo "facebook" dal datore di lavoro (Cass.V, n. 17784/2022).

Profili processuali

Il delitto è procedibile a querela di parte. La competenza è del Giudice di pace (per le ipotesi di cui ai commi 1 e 2), del Tribunale monocratico (per le ipotesi di cui ai commi 3 e 4 e nei casi in cui ricorrano le aggravanti di cui all'art. 4, comma 3, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274).

Non sono consentiti né l'arresto, né il fermo, né la custodia cautelare in carcere, né altre misure cautelari personali.

Nel caso di "offesa alla memoria del defunto", i prossimi congiunti e gli altri soggetti indicati dall'art. 597, comma 3, cod. pen. sono legittimati "iure proprio" ad esercitare il diritto di querela, quali soggetti passivi dell'offesa. (Cass.V. n. 31530/2021 la Corte ha precisato che, in tale ipotesi, non occorre che i querelanti manifestino espressamente la volontà di tutelare la memoria del loro congiunto, essendo sufficiente che espongano l'accadimento storico ritenuto lesivo).

La Corte di Strasburgo ha affermato come l'inflizione di una pena detentiva (benché commutata in pecuniaria) ad un giornalista colpevole di diffamazione, costituisca una violazione dell'art. 10 Cedu, che sancisce il diritto alla libertà di espressione. La pena detentiva può essere ritenuta compatibile con la libertà di espressione solo in circostanze eccezionali, laddove altri diritti fondamentali siano stati seriamente lesi (come nei casi di discorsi di odio o di incitamento alla violenza), con esclusione delle ipotesi di diffamazione o di omesso controllo su fatti di diffamazione (Corte EDU, 7 marzo 2019, caso relativo al giornalista Sallusti, il quale, ritenuto dal giudice italiano responsabile di diffamazione aggravata, era stato  condannato dal giudice italiano alla pena di 14 mesi di reclusione congiunta ad euro 5.000 di multa. Per un commento alla decisione, Turchetti, Diffamazione, pena detentiva, caso Sallusti: ancora una condanna all'Italia da parte della Corte EDU, nota a CEDU I, sent. 7 marzo 2019, ric. 22350/13, in penalecontemporaneo.it)Spetta al giudice di merito accertare la ricorrenza dell'eccezionale gravità della condotta diffamatoria attributiva di un fatto determinato, che, secondo un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, sola giustifica l'applicazione della pena detentiva (Cass. V, n. 26509/2020; in motivazione la Corte ha precisato che assumono connotati di eccezionale gravità, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, le condotte di diffamazione che implicano una istigazione alla violenza ovvero convogliano messaggi d'odio; Cass.V, n. 28340/2021).

La Corte costituzionale (Corte cost. n. 150/ 2021) ha dichiarato incostituzionali le norme che obbligano il giudice a punire con il carcere il reato di diffamazione a mezzo stampa o della radiotelevisione, aggravata dall'attribuzione di un fatto determinato, in quanto contrastanti con la libertà di manifestazione del pensiero riconosciuta dalla Costituzione e dalla Corte EDU. Si è infatti osservato come la minaccia dell'obbligatoria applicazione del carcere possa produrre, in capo ai giornalisti, effetti dissuasivi rispetto alla loro “cruciale” funzione di controllo dell'operato dei pubblici poteri. La Corte ha tuttavia affermato la possibile compatibilità dell'applicazione della pena del carcere per chi si sia reso responsabile di “campagne di disinformazione condotte attraverso la stampa, internet o i social media, caratterizzate dalla diffusione di addebiti gravemente lesivi della reputazione della vittima, e compiute nella consapevolezza da parte dei loro autori della – oggettiva e dimostrabile – falsità degli addebiti stessi”. Tali condotte infatti, più che funzionali alla ricerca di verità “scomode” (in assolvimento del compito di “cane da guardia” della democrazia assegnato all'attività giornalistica), determinerebbero un pericolo per la democrazia, anche per i possibili effetti distorsivi sulle libere competizioni elettorali da esse potenzialmente discendenti.

In tema di diffamazione a mezzo stampa, le espressioni denigratorie dirette nei confronti di un'entità collettiva possono ledere anche l'onorabilità delle persone che la compongono, alle quali deve quindi essere riconosciuta la legittimazione alla presentazione della querela (Cass. V, n. 34395/ 2015; Cass.V, n. 1059/2022).

L'accertamento in concreto dell'esistenza del dolo e dell'attitudine offensiva dell'addebito costituisce un apprezzamento di fatto che si sottrae al sindacato della Corte di legittimità (Cass. V., n. 14475/1977).

Nel caso di diffamazione via internet, ove sia impossibile stabilire il luogo di consumazione del reato e sia stato invece individuato quello in cui il contenuto diffamatorio è stato caricato come dato informatico, per poi essere immesso in rete, la competenza territoriale va determinata in relazione al luogo predetto, in cui è avvenuta una parte dell'azione, ex art. 9, comma 1, c.p.p. (Cass. V, n. 31677/ 2015).

Il giudice ordinario, secondo quanto stabilito dalla l. n. 140/2003, qualora non ritenga applicabile l'art. 68, comma 1, Cost., è tenuto a trasmettere copia degli atti del processo alla Camera di appartenenza del parlamentare ed è vincolato alla eventuale pronuncia d'insindacabilità, salvo proporre davanti alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione (ex art. 134 Cost.).

Nell'ipotesi di diffamazione commessa a mezzo stampa mediante la pubblicazione di un'intervista, la remissione di querela effettuata nei confronti del giornalista estende i suoi effetti anche alla posizione dell'intervistato, in ragione della identità del reato derivante dalla necessaria cooperazione fra i due soggetti (Cass.V., n. 319/2022, che precisa come non rilevi la mancata contestazione formale del concorso di persone), e quindi dell'applicabilità della norma posta dall'art. 155, comma 2 (non si estende invece al direttore del giornale, autonomamente responsabile, ex art. 57,Cass. V, n. 42918/2014).

Bibliografia

Di Ciommo, Responsabilità dell’internet hosting provider, diffamazione a mezzo Facebook e principio di tassatività della norma penale: troppa polvere sotto il tappeto, in Foro it., II, 257; Gullo, I delitti contro l'onore, in Pieragllini-Viganò, (a cura di), Reati contro la persona e contro il patrimonio, Torino, 2011; La Rosa, Tutela penale dell'onore, in Pulitanò, Diritto penale, Parte speciale, I, Tutela penale della persona, Torino, 2014, 364; Dolcini-Gatta, Art. 595, in Codice penale commentato, a cura di Dolcini-Gatta, II, Milano, 2015; Manna, Beni della personalità e limiti della protezione penale, Padova, 1989; Musco, Bene giuridico e tutela dell'onore, Milano, 1974; Polvani, La diffamazione a mezzo stampa, Padova, 1998; Spasari, voce Diffamazione e ingiuria (dir.pen.), in Enc. dir., XII, 1964; Rubino, Langè, Diffamazione su facebook, La rilevanza dell’indirizzo IP nella prova del reato, in ilpenalista.it; Salviani, I limiti della scriminante del diritto di critica, in Cass. pen, 2018, 862.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario