Codice Penale art. 606 - Arresto illegale.

Giovanna Verga

Arresto illegale.

[I]. Il pubblico ufficiale [357] che procede ad un arresto [379-382, 385 c.p.p.], abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, è punito con la reclusione fino a tre anni (1).

(1) Per un'ipotesi di aumento della pena, v. art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104.

competenza: Trib. monocratico

arresto: non consentito

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita

altre misure cautelari personali: non consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Il delitto, come le successive fattispecie di cui agli artt. 607609, ha natura plurioffensiva, essendo posto a tutela sia del bene individuale della libertà personale sia dell'interesse pubblicistico alla legalità dell'azione dei pubblici ufficiali (Antolisei, PS, I, 160; Fiandaca, Musco, PS, II-1, 193; Mantovani, PS, I, 306). La norma tutela l' interesse dello Stato a garantire la libertà individuale e la libertà personale specificamente contro l'arresto illegale compiuto da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti le sue funzioni: il delitto, infatti, viola oltre che l'interesse del singolo privato cittadino anche l'interesse più ampio della pubblica amministrazione.

Nella norma è individuata preminentemente la fattispecie della legalità dell'azione amministrativa nelle forme incidenti sulla libertà personale senza tipizzare alcuna finalità per descrivere il fatto; si tratta, nella sostanza, di un fatto di abuso d'ufficio incriminato specificamente. In effetti, il modello criminoso delineato da quest'ultima norma è generico rispetto all' arresto illegale, in quanto è realizzato da qualsiasi condotta di abuso d'ufficio, ed è speciale rispetto ad esso nel suo richiedere un fine specifico (Marini, 263). Si tratta di fattispecie in rapporto di specialità reciproca, con prevalenza, giusta clausola di riserva contenuta nell'articolo 323, dell'arresto illegale perché reato più grave

Soggetto attivo

Il soggetto attivo è il pubblico ufficiale: trattasi quindi di reato proprio.

Ci si è chiesti se anche il privato che esegue l'arresto in flagranza ai sensi dell'art. 383 c.p.p. posso commettere il reato, ovvero se ad esso, in quanto mancante della qualifica soggettiva richiesta dalla norma, deve invece applicarsi, a parità di condotta, l'art. 605, relativo al sequestro di persona. Alla teoria sicuramente minoritaria (Marini, 910) che restringe il campo di operatività dell'articolo in esame si contrappone l'orientamento maggioritario (Mantovani, PS, I, 306; Fiandaca, Musco, PS, II-1, 193; Antolisei, PS, I, 161; Brasiello, 855) che, facendo leva sulla Relazione Preliminare al codice penale, nonché su ragioni di opportunità (non potendosi punire il privato che esegue l'arresto ex art. 383 pur in assenza dei presupposti e con modalità diverse da quelle previste dalla legge con la pena dell'art. 605 ben più severa di quella indicata dall'art. 606) ritiene equiparabile al pubblico ufficiale, ai fini che qui interessano, il privato che procede all'arresto ai sensi dell'articolo 383.

L'arresto illegale sussiste solamente nel caso in cui il pubblico ufficiale abbia commesso il fatto per un fine non privato, con l'intenzione di mettere o tenere l'arrestato a disposizione dell'autorità competente.

La legge offre in tal modo una generica garanzia avverso gli abusi della pubblica autorità, in adempimento del precetto contenuto nell'art. 13 Cost., che sancisce l'inviolabilità della libertà personale e consente la sua restrizione soltanto in virtù di un atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

Materialità

La condotta consiste nel procedere ad un arresto, abusando dei poteri inerenti alle funzioni di pubblico ufficiale. La privazione della libertà deve essere reale ed effettiva; non è, pertanto, sufficiente ad integrare la fattispecie né la minaccia di arresto, né l'invito a recarsi in questura (Brasiello, 855).

Nella nozione di arresto sono ricondotte le situazioni, contemplate nel Titolo VI del Libro V del codice di procedura penale, di arresto obbligatorio in flagranza (art. 380 c.p.p.), di arresto facoltativo in flagranza (art. 381 c.p.p.) e di fermo di indiziato di delitto (art. 384 c.p.p.) (Antolisei, PS, I, 161; Marini, 910; Gallinelli, 3; contra Fiandaca, Musco, PS, II-1, 193, che sembrano escludere l'applicazione della norma in caso di fermo illegale). Alcuni Autori riconducono nell'ambito di applicazione della norma ogni misura privativa della libertà personale attuata per uno scopo di diritto processuale penale (ad esempio, la custodia cautelare in carcere) (Mantovani, PS, I, 307).

Ulteriore elemento costitutivo è l'abuso da parte del pubblico ufficiale dei poteri inerenti alle sue funzioni: l'abuso deve essere condizione e mezzo del reato, non semplice circostanza concomitante. L’abuso si verifica allorchè il Pubblico Ufficiale compia o ordini un arresto –nel senso ampio sopra indicato – in assenza dei presupposti di legge  o delle prescritte formalità . Secondo la Suprema Corte (Cass. n. 6773/2005) è proprio il requisito dell’abuso che differenzia il delitto di sequestro di persona consumato da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni e quello di arresto illegale. Mentre nella prima ipotesi l'abuso generico dei poteri connessi alle funzioni è un elemento solo circostanziale e quindi occasionale della condotta criminosa, nella seconda ipotesi viene punito proprio l'abuso specifico delle condizioni tassative (commissione di un delitto; stato di flagranza o quasi flagranza) alle quali la legge subordina il potere di arresto

Il delitto ha carattere materiale ed è necessariamente permanente perché lo stato antigiuridico creato dal colpevole dura sino a che sia mantenuta la privazione della libertà personale ad opera di chi ha eseguito l'arresto: la permanenza termina con la liberazione del soggetto passivo, ovvero con la messa dell'arrestato a disposizione dell'autorità competente per modo che non sia più possibile al colpevole far cessare lo stato di detenzione per atto della propria volontà (Marini, 264); la liberazione dell'arrestato da parte del colpevole non esclude il delitto essendo essa un atto di resipiscenza che può produrre, ove ne ricorrano le condizioni, l'effetto attenuante di cui all'art. 62, n. 6.

Elemento psicologico

Il delitto di arresto illegale è punibile esclusivamente a titolo di dolo e il fatto colposo non può dar luogo a rilevanza penale ma soltanto a sanzioni disciplinari e civili.

Per la sussistenza del dolo è necessaria, quale ipotesi di reato a illiceità o antigiuridicità speciale, la coscienza e volontà dell'abuso delle funzioni da parte dell'agente (Cass. VI, n. 3413/1996). La volontà dev'essere diretta ad un arresto o un fermo e quindi il colpevole deve avere intenzione di privare il soggetto passivo della sua libertà con l'arresto o il fermo, con piena consapevolezza dell'arbitrarietà e dell'abuso.

L'errore sull'illegalità dell'arresto e, dunque, sui presupposti e i limiti dei poteri attribuiti al pubblico ufficiale esclude il dolo del delitto, trattandosi di errore di fatto (Fiandaca, Musco, PS, II-1, 193; Mantovani, PS, I, 308).

Casistica

La giurisprudenza di legittimità ha in particolare affrontato il problema del rapporto tra il reato di arresto illegale e quello di sequestro di persona aggravato (art. 605, comma 2, n. 2).

Alcune sentenze hanno affermato che il delitto di sequestro di persona posto in essere da un pubblico ufficiale con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni e quello di arresto illegale hanno in comune l'elemento materiale, consistente nella privazione della libertà di un soggetto, ma si differenziano per l'elemento soggettivo che nel primo caso richiede la volontà dell'agente di tenere la vittima nella sfera del suo dominio, mentre nell'altro caso l'elemento soggettivo è diretto comunque a mettere la persona offesa a disposizione dell'autorità competente, seppure privandola della libertà in maniera illegale (Cass. V, n. 6773/2005; Cass. n. 38247/2002). In particolare Cass. VI, n. 23423/2010 ha ritenuto che la Corte d'appello avesse fatto una attenta applicazione dei criteri differenziali dei due reati e ha riconosciuto la sussistenza del sequestro di persona ex art. 605 in quanto l'imputato aveva operato un indebito trattenimento della parte offesa per alcune ore nel suo ufficio, privandolo della libertà solo perché si era sentito offeso dal suo comportamento, senza neppure prendere in considerazione la possibilità di metterlo a disposizione dell'autorità giudiziaria ed evitando di redigere e trasmettere un'eventuale denuncia.

La Cass. V n. 30971/2015 ha invece ritenuto  che il delitto di arresto illegale si differenzia dal sequestro di persona commesso da un pubblico ufficiale con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni (art. 605, secondo 2, n. 2) sia quanto all'elemento oggettivo, poiché, nel primo caso, l'abuso deve riguardare specificamente l'esercizio di un potere di coercizione riconosciuto e disciplinato dalla legge, sia quanto all'elemento soggettivo, poiché, per abusare del potere di arresto, è necessario che la volontà dell'agente sia diretta sin dall'inizio a mettere il soggetto illegalmente ristretto a disposizione dell'autorità giudiziaria.

Altre pronunce hanno ritenuto che il delitto di sequestro di persona consumato da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni si distingue da quello di arresto illegale perché, mentre nella prima ipotesi, l'abuso generico dei poteri connessi alle funzioni è un elemento solo circostanziale e quindi occasionale della condotta criminosa, nella seconda ipotesi viene punito proprio l'abuso specifico delle condizioni tassative (commissione di un delitto; stato di flagranza o quasi flagranza) alle quali la legge subordina il potere di arresto. (Cass. V, n. 11071/2015 fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva ricondotto all'art. 605, comma 2, n. 2, la condotta di alcuni poliziotti i quali, in occasione di gravi incidenti avvenuti nel corso di una manifestazione di protesta, avevano trasportato, trattenuto per ore in caserma e sottoposto a vessazioni coloro che nel corso di quella giornata si erano rivolti ai servizi di Pronto Soccorso, al di fuori di qualunque prospettiva di procedere ad arresto degli stessi).

È stato così affermato che l'esercizio di poteri da parte delle forze di polizia, sia di natura preventiva che preprocessuale, invasivi della libertà personale al di fuori dell'ambito di «eccezionali» fattispecie procedimentali — i cui parametri di eccezionalità ed urgenza, che ne giustificano la compatibilità con l'art. 13 Cost., ne impongono una ristretta e rigorosa applicazione — è astrattamente inquadrabile nel reato di sequestro di persona e non in diverse norme incriminatrici quali quelle racchiuse negli artt. 606 o 609 che postulano l'esistenza di un legittimo intervento degli organi di polizia attuato, però, con modalità abusive e non conformi alle disposizioni che li prevedono (Cass. VI, n. 3421/2003). Sicché, in tutti quei casi in cui il Pubblico Ufficiale sia impegnato ad espletare la propria attività di prevenzione al di fuori delle ipotesi dell'arresto o del fermo disciplinati dal codice di procedura penale, e richieda, per l'effetto, l'esibizione dei documenti di identità all'individuo fermato, egli sarà legittimato ad accompagnarlo presso gli Uffici di appartenenza nel rispetto dei presupposti di cui all'art. 11, l. n. 191/1978. Tuttavia, laddove tali presupposti non vengano osservati ed emergano prove tangibili di siffatte inosservanze, si verrebbero a configurare gli estremi del delitto di cui all'art. 605, comma 2, n. 2. Vale la pena precisare, però, che secondo la Giurisprudenza la prova dell'inosservanza delle prescrizioni da parte del Pubblico Ufficiale deve essere particolarmente rigorosa, dovendosi accertare senza ombra di dubbio se il Pubblico Ufficiale abbia — o meno — agito correttamente, con un'altrettanta attenta e penetrante indagine della sua reale volontà (Cass. V, n. 26258/2011).

Profili processuali

 

Il trattamento sanzionatorio previsto per tale delitto è significativamente più mite nel massimo edittale di quello fissato all'art. 605. Tale eccessiva disparità è criticata in dottrina e ritenuta espressione del regime autoritario dell'epoca di emanazione del codice (Fiandaca, Musco, PS, II-1, 192; Mantovani, PS, I, 306).

Bibliografia

Brasiello, Libertà personale (delitti contro la), in Nss.D.I., IX, Torino, 1963; Marini, Libertà personale (delitti contro la), in Nss.D.I., app., IV, Torino, 1983, 910; Marini, Libertà personale (delitti contro la), in Nss.D.I., app., IV, Torino, 1983, 910; Gallinelli, Libertà (Abusive limitazioni della libertà personale), in Enc. giur., XIX, Roma, 1990, 3.

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