Codice Penale art. 608 - Abuso di autorità contro arrestati o detenuti.

Giovanna Verga

Abuso di autorità contro arrestati o detenuti.

[I]. Il pubblico ufficiale [357], che sottopone a misure di rigore non consentite dalla legge una persona arrestata o detenuta di cui egli abbia la custodia, anche temporanea, o che sia a lui affidata in esecuzione di un provvedimento dell'Autorità competente [277, 285 2, 656 5 c.p.p.], è punito con la reclusione fino a trenta mesi.

[II]. La stessa pena si applica se il fatto è commesso da un altro pubblico ufficiale [357], rivestito, per ragione del suo ufficio, di una qualsiasi autorità sulla persona custodita (1).

(1) Per un'ipotesi di aumento della pena, v. art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104.

competenza: Trib. monocratico

arresto: non consentito

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita

altre misure cautelari personali: non consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

La norma configura un'ipotesi speciale di sequestro di persona: il bene giuridico offeso è — al pari delle altre norme del titolo — la libertà personale, qui intesa come libertà di movimento di un soggetto già detenuto che subisce limitazioni ulteriori spetto a quelle precedentemente decise a suo carico dall'Autorità giudiziaria cui si trova legittimamente sottoposto.

Il reato si concreta nell'abuso dei poteri del soggetto attivo e determina la restrizione della libertà della vittima insieme alla lesione di un interesse pubblicistico della pubblica amministrazione legato all'esigenza di garantire la legalità dell'operato dei pubblici poteri: il reato deve pertanto considerarsi plurioffensivo (Antolisei, 160; Mantovani, 374; Manzini, 745). Alcuni autori ritengono però che il corretto funzionamento della pubblica amministrazione rimane sullo sfondo della fattispecie, la quale tutelerebbe soltanto la libertà personale della persona in vincoli. Tale oggettività giuridica ha il proprio referente costituzionale dell'articolo 13 comma 3, Cost. che vieta qualsiasi violenza fisica o morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà; ciò ha indotto una parte della dottrina a ritenere che, a discapito della collocazione sistematica della norma in esame, essa tutelerebbe la libertà morale, piuttosto che quella personale (Fiandaca Musco op.cit.170).

Soggetto attivo

Il soggetto attivo è il pubblico ufficiale avente autorità sulla persona arrestata o detenuta: trattasi quindi di un reato proprio. Anche il privato che procede ad un arresto in flagranza, ai sensi dell'articolo 383 codice di procedura penale, assume tale qualità

Materialità

Il presupposto fattuale dell'incriminazione è lo stato di legittima restrizione della libertà in cui versa il soggetto passivo; sul quale va ad innestarsi l'intervento illegittimo del soggetto attivo. (Manzini, 747).

Nello specifico:

1) lo stato di arresto, detenzione o custodia, anche temporanea da parte dell'agente;

2) l'affidamento in esecuzione di un provvedimento dell'autorità competente;

3) lo stato di custodia o sottoposizione ad una qualsiasi autorità dell'agente.

Il legislatore articola la norma in due commi, con ciò intendendo coprire tutte le ipotesi in cui un pubblico ufficiale si trovi affidatario o custode di un soggetto arrestato o detenuto, pur non traducendosi in una pluralità di ipotesi criminose, come invece per il precedente reato di indebita limitazione di libertà personale, individuando semplicemente due distinti casi di realizzazione della stessa.

Per misure di rigore si intendono quelle misure che comportano una modificazione in pejus nella condizione della vittima, determinando una ulteriore limitazione della libertà personale, già compromessa dallo stato di arresto, detenzione ecc.. in cui essa si trova, ricorrendo altrimenti altre figure di reato ad esempio violenza, minaccia, lesioni.

Tali misure inoltre non devono essere consentite dalla legge. Per poter correttamente ricostruire l'elemento materiale del reato, e quindi individuare quali sanzioni disciplinari sono legittimamente applicabili al detenuto e quali invece non sono consentite, sarà necessario avere riguardo alla disciplina dettata dalla legge sull'ordinamento penitenziario (l. n. 354/1975) e al suo regolamento di esecuzione (d.P.R. n. 431/1976).

Nel caso non sussista una precedente legittima restrizione della libertà a carico del soggetto passivo, non si tratta di abuso di autorità contro arrestati e detenuti, ma di indebita limitazione di libertà personale.

Casistica

Integra il delitto la condotta dell'ufficiale di polizia giudiziaria che nel corso dell'arresto e della perquisizione nei confronti dell'indagato, lo sottoponga a misure di rigore non consentite dalla legge di guisa che la sfera di libertà personale del soggetto passivo subisca un'ulteriore restrizione, oltre quella legale, che è insita nella detenzione stessa (Cass. V, n. 29004/2012: nella specie, militari della Guardia di Finanza avevano ammanettato l'arrestato ad una ringhiera in misura temporale ben lontana da quella necessaria alle incombenze dell'ufficio, puntandogli una pistola, ancorché scarica, alla tempia)

Secondo il Trib. di Padova 15 luglio 1983 relativa al fatto commesso ai danni di appartenente alle Brigate Rosse, arrestato in occasione della liberazione del generale americano Dozier) rispondono del reato di abuso di autorità contro arrestati, di cui a reato in esame , e non di sequestro di persona, gli appartenenti al Nocs (Nucleo operativo centrale sicurezza) i quali, avendo il potere-dovere di custodia di imputati arrestati in flagranza all'atto della liberazione di persona sequestrata per finalità di eversione, abbiano trasportato uno degli imputati fuori dei locali dell'ispettorato di zona del secondo reparto celere, dove era legalmente custodito, già bendato e ammanettato, caricandolo nel bagagliaio di un'auto e trasportandolo in località sconosciuta, dove veniva sottoposto a percosse e minacce; indi lo abbiano trasportato in un sotterraneo, e sottoposto ad altre percosse e violenze, prima di riportarlo nei locali di legittima detenzione (nella specie: si è ritenuto che costituisce <misura di rigore>, ai sensi dell'art. 608, qualsiasi attività restrittiva della residua libertà di detenuti e, dunque, anche un trasporto del detenuto fuori del luogo di custodia, indipendentemente dalle modalità, in quanto la sua finalità lo renda giuridicamente illegittimo).

 Secondo Cass . V, n. 26022/2018ai fini della configurabilità del reato di abuso di autorità contro arrestati o detenuti (art. 608), tra le "misure di rigore" non consentite dalla legge cui è sottoposta una persona arrestata o detenuta di cui il pubblico ufficiale abbia la custodia, rientrano le lesioni gravi (nella specie, frattura della terza vertebra lombare e della quarta vertebra sacrale, condizionanti la capacità di deambulazione dell'arrestato) che, pur potendo costituire evento di una violenza fine a se stessa, tuttavia potenzialmente concretizzano un'attività illecita posta in essere dal pubblico ufficiale finalizzata a contenere l'arrestato con modalità tali da imporgli una ulteriore restrizione attraverso l'impiego, appunto, di "misure di rigore" che si rivelano talmente brutali da produrre tali gravissime conseguenze.

Rapporti con altri reati

Se la condotta posta in essere dal pubblico ufficiale integra anche altre fattispecie di reato, egli risponderà dei vari reati in concorso (ad esempio il pubblico ufficiale che infligge ai detenuti pene corporali, risponderà di lesioni oltre che del reato in esame)

Il delitto può concorrere con quello di violenza privata (articolo 610) come avviene nel caso in cui vengono applicate all'imputato misure di rigore al fine di ottenerne la confessione.

È stato ritenuto che integra il delitto di maltrattamenti — e non solo quello di «abuso di autorità contro arrestati o detenuti», reato istantaneo che può concorrere con quello di maltrattamenti — la reiterata e sistematica condotta violenta, vessatoria, umiliante e denigrante da parte degli agenti della polizia penitenziaria nei confronti di detenuti in ambiente carcerario e per tal motivo sottoposti alla loro autorità o, in ogni caso, a loro affidati per ragioni di vigilanza e custodia (Cass. VI, n. 30780/2012: fattispecie in cui è stata accertata la protrazione di condotta vessatoria violenta per un periodo di tempo significativo in danno di due detenuti).

Cass. V, n. 37088/2013 ha ritenuto configurabile il concorso formale tra il delitto di abuso di autorità contro arrestati o detenuti e quello di abuso d'atti d'ufficio, in quanto le due fattispecie sono in rapporto di specialità reciproca tra loro.

Consumazione

Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui la persona offesa viene sottoposta alle misure di rigore non consentite. Seconda parte della dottrina (Mantovani op. cit. 374) l'illecito deve qualificarsi come reato permanente e pertanto, ai fini della consumazione sarà necessario che l'ulteriore limitazione della libertà personale della vittima si protragga per un tempo apprezzabile.

Elemento soggettivo

Quanto all'elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, rappresentato dalla coscienza e dalla volontà di sottoporre la vittima a misure di rigore non consentite, accompagnata dalla consapevolezza dello stato in cui si trova tale persona. Parte della dottrina ritiene necessario altresì la consapevolezza della illeicità della misura (Antolisei, 163; Mantovani, 303, Manzini, 755; contra Chiariotti, 178).

Profili processuali

L’arresto e il fermo non sono consentiti, così come le misure cautelari personali.

La procedibilità è d'ufficio e la competenza è del Tribunale monocratico.

Bibliografia

Chiarotti, Abuso d'autorità contro arrestati o detenuti, in Enc. dir., I, Milano, 1958; Manzini, Trattato di diritto penale italiano, VIII, Torino, 1985, 745

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