Codice Penale art. 612 bis - Atti persecutori 1 2

Giovanna Verga

Atti persecutori 12

[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita3.

[II]. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici 4.

[III]. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

[IV]. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio5.

 

competenza: Trib. monocratico

arresto: obbligatorio

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 2 bis, c.p.p.)

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: a querela; d'ufficio (quarto comma quinto periodo)

[1] Articolo inserito dall'art. 7 del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modif., in l. 23 aprile 2009, n. 38. La pena prevista dal presente articolo, ai sensi dell'art. 8 del d.l. n. 11 del 2009, cit., è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi dello stesso articolo 8. Lo stesso art. 8, prevede che si procede d'ufficio per il delitto previsto dall'articolo 612-bis quando il fatto è commesso da soggetto ammonito.

[2]  L’art. 85, comma 2-ter d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come da ultimo modificato dall’art. 5-bis d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199, dispone che: «Per i delitti previsti dagli articoli 609-bis, 612-bis e 612-ter del codice penale, commessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto, si continua a procedere d'ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto».

[3] Le parole «da un anno a sei anni e sei mesi» sono state sostituite alle parole «da sei mesi a cinque anni» dall'art. 9, comma 3, l. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019. Precedentemente l'art. 1-bis d.l. 1° luglio 2013 n. 78, conv. con modif., dalla l. 9 agosto 2013, n. 94, aveva sostituito le parole  «a cinque anni» alle parole  «a quattro anni».

[4] Comma sostituito dall'art. 1 d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modif., in l. 15 ottobre 2013, n. 119. Il testo del comma era il seguente: «La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa».

[5] L'art. 1 d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv, con, modif., in l. 15 ottobre 2013, n. 119, ha inserito, in sede di conversione, le parole: «La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma».

Inquadramento

L'art. 612-bis è stato introdotto dal d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, recante «misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori» convertito, con modificazioni, nella l. 23 aprile 2009, n. 38, con la finalità dichiarata di contrastare il fenomeno dello stalking, negli ultimi anni in preoccupante aumento e sempre più spesso all'attenzione delle cronache giornalistiche e dei mass-media (Cadoppi, 19, 49; Bricchetti-Pistorelli, Entra nel codice la molestia reiterata, 62).

La l. 19 luglio 2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere), in vigore dal 9 agosto 2019, ha aggravato il trattamento sanzionatorio. In caso di stalking  si rischia ora una pena detentiva da un anno a sei anni e sei mesi anziché da sei mesi a cinque anni.

Con particolare riferimento all'inasprimento sanzionatorio la Corte di Cassazione ha chiarito che, trattandosi di modifica in peius, sopravvenuta alla realizzazione del reato, essa non incide sul computo dei termini di durata della custodia cautelare in carcere (Cass. V, n. 7053/2020).

La parola stalking deriva dal lessico venatorio inglese dove lo stalker è colui che, a caccia di una preda, si apposta o la segue ossessivamente, estrapolato dal linguaggio tecnico della caccia il termine si può tradurre con la locuzione fare la posta o braccare, tanto che negli ultimi anni ha assunto il significato di assillare molestare disturbare perseguitare. Si parla di stalking con riferimento alle condotte del fan innamorato della star del cinema o dell'ex fidanzato che non riesce a dimenticare la ex ragazza e che sono spinti dalla loro ossessione a perseguitare quello che per loro è un oggetto del desiderio: lo seguono, si insinuano nella sua vita privata con telefonate o altri mezzi (sms, e-mail) fino a minacciarlo e a violarne il domicilio (Aramini, 495 ss.). A volte poi si realizza una vera e propria escalation persecutoria e lo stalker può diventare violento o pericoloso per la vittima.

La fattispecie è posta a tutela della tranquillità individuale e, in relazione all'evento del costringimento della vittima a mutare le proprie abitudini di vita, anche della libera autodeterminazione in quest'ottica si giustifica la collocazione sistematica della nuova norma nella sezione dei beni contro la libertà morale e a ridosso della norma sulla minaccia (art. 612) il cui bene giuridico è ravvisato proprio nella tranquillità psichica della vittima. Si profila così un rapporto di gravità a scalare rispetto al medesimo bene giuridico tra la contravvenzione di molestie (art. 660), il delitto di minaccia (art. 612) e il delitto di atti persecutori; rapporto di gravità scalare che si riflette sulle diverse sanzioni predisposte per ognuna di queste tre fattispecie.

Dal punto di vista criminologico si ritiene che lo stalker sia per lo più persona sofferente dal punto di vista psicologico e psichico; si tratta cioè di un individuo ossessionato dall'oggetto del suo desiderio e che in genere non vuole fare del male, almeno inizialmente, al bersaglio delle sue molestie. Proprio per questo la normativa in argomento, oltre ad aver introdotto questa nuova figura di reato, ha previsto l'ammonimento, una sorta di rimprovero rivolto al molestatore affinché desista dal tenere una siffatta condotta fastidiosa: in sostanza il legislatore ha inteso predisporre una serie di misure graduali che accompagnano l'aggravarsi delle condotte dello stalker, cercando di spezzare l'escalation senza dover fare ricorso allo strumento penale, quando ancora le molestie sono ad uno stadio non troppo avanzato

Soggetto attivo

Il reato di cui all'art. 612-bis può essere commesso da chiunque: si tratta, pertanto, di un reato comune.

Il comma 2 prevede una circostanza aggravante, ad efficacia comune. In particolare, il testo originario della norma prevedeva l'aumento della pena (fino a 1/3) qualora il fatto fosse commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da un soggetto che in passato era stato legato alla persona offesa da una relazione affettiva. Il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, nel testo modificato dalla legge di conversione l. 15 ottobre 2013, n. 119, ha esteso l'applicazione della circostanza aggravante sia ai fatti commessi dal coniuge separato soltanto di fatto sia ai fatti commessi in costanza del rapporto di coniugio o affettivo

Soggetto passivo

Soggetto passivo del delitto può essere chiunque: dunque, si tratta di reato a vittima (apparentemente) fungibile, sebbene spesso si tratti di un soggetto scelto dall'autore del reato per pregresse relazioni.

Il comma 3 prevede però che la pena sia aumentata fino alla metà qualora il fatto sia commesso ai danni di un minore, di una donna in stato di gravidanza, o di una persona con disabilità di cui all'art. 3, l. 5 febbraio 1992, n. 104.

Materialità

La condotta tipica consiste nella reiterazione di comportamenti minacciosi (art. 612) o molesti (art. 660) tali da determinare nella vittima “un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere applicata al delitto di cui all'art. 612-bis, proprio perché integrato dalla reiterazione della condotta tipica (Cass. V, n. 14845/2017).

Per quanto attiene alla condotta gli atti che costituiscono lo stalking sono perlopiù comportamenti solitamente accettati sul piano sociale e considerati normali ma che nel caso di specie si caratterizzano per insistenza ed invadenza nel tempo, causando effetti psicologici sulla vittima, oltre ad esporre quest'ultima al rischio di violenza. Così gli atti tipici dello stalker possono identificarsi: nell'invio ripetuto di regali, fiori, telefonate assillanti o solo squilli, posta assillante e disturbante (con ripetuti inviii di e-mail, Sms) negli appostamenti, nei frequenti incontri (apparentemente causali mai in realtà voluti e ricercati) sul luogo di lavoro della vittima e nelle vicinanze di esso o nei pressi dell'abitazione, nell'osservazione della vittima ecc. E se è vero che nella maggior parte dei casi lo stalking non è una persona violenta, può comunque accadere che il medesimo faccia ricorso alle minacce esplicite o ad atti di violenza a cose o persone (ad esempio il compimento di atti vandalici su beni di proprietà della vittima, quali l'automobile (Cass. V, n. 8832/2011).

Integra il delitto di atti persecutori la condotta di chi rivolga alla vittima ingiurie quando, per la loro consistenza, ripetitività e incidenza, siano tali da determinare, in sinergia con le altre forme di illecito di cui all'art. 612-bis cod. pen., uno degli eventi ivi alternativamente previsti. (Cass Sez. V n. 1172/2021)

La norma individua tre tipi alternativi di evento che devono essere determinati dal comportamento criminoso tenuto dall'agente e in mancanza dei quali non avremmo il diritto di atti persecutori ma soltanto plurimi reati di minaccia o molestia.

Il delitto è dunque costruito secondo lo schema del reato di evento (Cass. n. 9222/2015) che si caratterizza per la produzione di un evento di «danno» consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, alternativamente, di un evento di «pericolo», consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva..

Si tratta di reato a fattispecie alternative, ciascuna delle quali è idonea ad integrarlo (Cass. V, n. 34015/2010; Cass. V, n. 2987/2011; Cass. III, n. 23485/2014; Cass. III, n. 9222/2015).

Il perdurante e grave stato di ansia o di paura

Secondo i primi commentatori doveva essere inteso come un vero e proprio stato patologico, accertabile nel processo per mezzo di consulenze tecniche (; Bricchetti, Pistorelli, Entra nel codice la molestia reiterata, 58);.

La giurisprudenza di legittimità si è invece discostata da tale orientamento ritenendo integrato l'evento anche in assenza di prova della causazione di una patologia nella vittima Ha infatti affermato che la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (Cass. V, n. 8832/2011; Cass. V, n. 24135/2012; Cass. VI, n. 50746/2014; Cass. VI, n. 20038/2014).

La stessa Corte costituzionale (Corte cost. n. 172/2014), nel rigettare una questione di legittimità costituzionale per presunta indeterminatezza della fattispecie ha affermato che “quanto al «perdurante e grave stato di ansia e di paura» e al «fondato timore per l'incolumità», trattandosi di eventi che riguardano la sfera emotiva e psicologica, essi debbono essere accertati attraverso un'accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell'agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima. Ha altresì affermato, richiamando la giurisprudenza di legittimità, che la prova dello stato di ansia e di paura può e deve essere ancorata ad elementi sintomatici che rivelino un reale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente, nonché dalle condizioni soggettive della vittima, purché note all'agente, e come tali necessariamente rientranti nell'oggetto del dolo. L'aggettivazione, inoltre, in termini di «grave e perdurante» stato di ansia o di paura e di «fondato» timore per l'incolumità, vale a circoscrivere ulteriormente l'area dell'incriminazione, in modo che siano doverosamente ritenute irrilevanti ansie di scarso momento, sia in ordine alla loro durata sia in ordine alla loro incidenza sul soggetto passivo, nonché timori immaginari o del tutto fantasiosi della vittima".

Fondato timore per l'incolumità propria di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva

Non richiede l'accertamento di uno stato patologico ingenerato nella vittima dalla condotta dell'agente ben potendo il giudice fare ricorso alle massime di esperienza.

Alterazione delle abitudini di vita

La giurisprudenza (Cass. V n. 24021/2014) ha affermato che quanto al cambiamento delle abitudini di vita, ciò che rileva non è la valutazione quantitativa, ad esempio in termini orari, di tale variazione, ma il significato e le conseguenze emotive di una condotta alla quale la vittima sente di essere stata costretta, sottolineando che “il fatto poi che lo stalking sia reato di evento e non di pura condotta nulla ha a che vedere con il fatto che, nella maggior parte dei casi, la prova debba essere dedotta dalle parole della stessa vittima. Invero, è principio elementare quello in base al quale un fatto non va confuso con la sua prova. D'altra parte, non pochi sono i delitti con riferimento ai quali, in genere, l'unica prova consiste nelle dichiarazioni della persona offesa (si pensi, ad esempio, a tutti i reati a sfondo sessuale). Ciò che dunque rileva è la attendibilità della persona offesa e la credibilità del suo racconto”.

Consumazione e tentativo

Il reato si consuma nel momento in cui si verifica, quale effetto delle reiterate condotte minacciose o moleste, uno o più degli eventi tipici previsti dalla norma. L'illecito evoca pertanto la figura del reato abituale, pur discostandosi da tale modello per la previsione di un evento tipico. In dottrina e giurisprudenza si è giunti all'affermazione che affinché possa essere considerata integrata l'abitualità debbono realizzarsi quanto meno due episodi di minaccia o molestia nel corso del tempo (ex plurimis, Cass. V n. 20993/2012; Cass. V n. 24135/2012; Cass. V n. 46331/2013).

In tal senso Cass. V n. 20065/2014 e Cass. n. 48391/2014 che hanno affermato che il delitto di atti persecutori, in quanto reato necessariamente abituale, non è configurabile in presenza di un'unica, per quanto grave, condotta di molestie e minaccia e presenta l'ulteriore caratteristica della necessità, ai fini della configurabilità stessa del reato, della reiterazione delle condotte. Tale elemento rileva anche ai fini della procedibilità, pertanto nell'ipotesi in cui il presupposto della reiterazione venga integrato da condotte poste in essere oltre i sei mesi previsti dalla norma, rispetto alla prima o alle precedenti condotte, occorrerà necessariamente fare riferimento anche a tali pregresse condotte, indipendentemente dal decorso del termine di sei mesi per la proposizione della querela, ai sensi del quarto comma dell'art. 612-bis.

In tal senso anche Cass. V, n. 41431/2016. È stato però affermato (Cass. V, n. 12509/2016) che il reato di atti persecutori, configurando un'ipotesi di reato abituale, si caratterizza per il compimento di più atti realizzati in momenti successivi, rappresentando ciascuna delle singole azioni un elemento della serie, al realizzarsi della quale sorge la condotta tipica rilevante anche ai fini della procedibilità. (Fattispecie in cui la Corte ha individuato il dies a quo per la proposizione della querela nella richiesta di ammonimento del Questore, avanzata dalla persona offesa a seguito di una serie di atti delittuosi, ritenendo, conseguentemente, tardiva la querela presentata oltre sei mesi dopo, ancorchè in epoca successiva ad un ulteriore episodio che, in quanto intervenuto a notevole distanza di tempo dalla precedente serie integrante il reato, doveva considerarsi come un nuovo fatto isolato privo di rilevanza penale).

È stato altresì affermato (Cass. V n. 51718/2014) che, data la natura abituale, l'evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell'ennesimo atto persecutorio, in quanto dalla reiterazione degli atti deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, solo alla fine della sequenza, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme previste dalla norma incriminatrice.

La reiterazione è dunque elemento costitutivo della fattispecie con la conseguenza che i suddetti singoli atti, se posti in essere in un'unica occasione, non integrano il delitto di atti persecutori, bensì altre fattispecie già conosciuta dall'ordinamento (es. minaccia, molestie, violenza privata) eventualmente unite dal vincolo della continuazione.

Nel caso in cui l'evento non si verifichi nonostante la reiterazione di minacce o molestie idonee e dirette in modo non equivoco alla realizzazione di uno degli eventi è configurabile il tentativo. In tal senso Cass. sez. V n. 1943/2021 che ha affermato che “è configurabile il tentativo del delitto di atti persecutori, trattandosi di reato abituale di evento in cui alla condotta unitaria, costituita dalle diverse azioni causalmente orientate, può non seguire la realizzazione di uno degli eventi tipici di danno o di pericolo previsti dall'art. 612-bis cod. pen.

Il  termine di prescrizione decorre dal compimento dell'ultimo atto antigiuridico, coincidendo il momento della consumazione delittuosa con la cessazione dell'abitualità (Cass. V, n. 9956/2018; Cass. V, n. 35588/2017).

Elemento soggettivo

Il delitto è punibile a titolo di dolo generico ed è integrato dalla volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice. Trattandosi di reato abituale di evento, il dolo è da ritenersi senz'altro unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica; ma ciò non significa affatto che l'agente debba rappresentarsi e volere fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi, ben potendo il dolo realizzarsi in modo graduale e avere ad oggetto la continuità nel complesso delle singole parti della condotta. (Cass. V, n. 18999/2014; Cass. V, n. 20993/2013).

Circostanze aggravanti

Il comma 2 dell'art. 612 bis introduce una circostanza aggravante, ad efficacia comune. In particolare, il testo originario della norma prevedeva l'aumento della pena (fino a 1/3) qualora il fatto fosse commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da un soggetto che in passato è stato legato alla persona offesa da una relazione affettiva. Il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, nel testo modificato dalla legge di conversione 15 ottobre 2013, n. 119, ha esteso l'applicazione della circostanza aggravante sia ai fatti commessi dal coniuge separato soltanto di fatto sia ai fatti commessi in costanza del rapporto di coniugio o affettivo. Detto decreto ha anche introdotto una nuova previsione aggravatrice al comma 2 della norma, che considera il fatto commesso attraverso strumenti informatici o telematici (come nel frequente caso in cui il delitto sia commesso attraverso l'invio di sms, e-mail, diffusione di video o immagini attraverso internet).

Il comma 3 prevede che la pena sia aumentata fino alla metà (si tratta, pertanto, di circostanza ad effetto speciale) qualora il fatto sia commesso ai danni di un minore, di una donna in stato di gravidanza, o di una persona con disabilità di cui all'art. 3, l. 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con l'uso di armi o da persona travisata.

Infine in base al disposto dell'art. 8 d.l. n. 11/2009 la pena è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito.

L'ammonimento del questore

L'art. 8 d.l. n. 11/2009 convertito nella l. n. 38/2009 prevede che “ fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all'art. 612-bis, introdotto dall'art. 7, la persona offesa può esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore.

Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l'ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore valuta l'eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.

La pena per il delitto di cui all'art. 612-bis è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi del presente articolo.

Si procede d'ufficio per il delitto previsto dall'art. 612-bis quando il fatto è commesso da soggetto ammonito ai sensi del presente articolo.

Il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito in l. 15 ottobre 2013, n. 119, ha ora reso obbligatoria l'adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni (art. 1, comma 4, 14 agosto 2013, n. 93).

Rapporti con altri reati

La norma contiene una clausola di sussidiarietà espressa (salvo che il fatto costituisca più grave reato).

Stante la diversità del bene giuridico tutelato deve essere ravvisato un concorso di reati tra la fattispecie in esame e i delitti di lesioni (gravi e gravissimi) e violenza sessuale. Non così nel caso dell'omicidio aggravato che assorbe (ex art. 84) il delitto di atti persecutori in quanto ai sensi del comma 5.1) dell'art. 576, il delitto in esame costituisce aggravante speciale dell'omicidio allorché commessi ai danni del medesimo soggetto passivo. 

In tal senso Sezioni Unite la sentenza Cass S.U. n. 38402/2021, con la quale le Sezioni Unite, chiamate a stabilire «se, in caso di omicidio commesso dopo l’esecuzione di condotte persecutorie poste in essere dall'agente nei confronti della medesima persona offesa, i reati di atti persecutori e di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576, comma 1, n. 5.1, c.p.., concorrano tra loro o sia invece ravvisabile un reato complesso, ai sensi dell'art. 84, comma 1, c.p.»,  hanno affermato il seguente principio di diritto:

"La fattispecie del delitto di omicidio, realizzata a seguito di quella di atti persecutori da parte dell'agente nei confronti della medesima vittima, contestata e ritenuta nella forma del delitto aggravato ai sensi degli artt. 575 e 576, primo comma, n. 5.1 cod. pen. — punito con la pena edittale dell'ergastolo — integra un reato complesso, ai sensi dell'art. 84, primo comma, cod. pen., in ragione della unitarietà del fatto".

È stato affermato che l'aggravante di cui all'art. 576, comma 1, n. 5.1) - e cioè l'aver commesso il fatto da parte di chi sia l'autore del delitto di cui all'art. 612-bis nei confronti della stessa persona offesa - è configurabile nel caso di improcedibilità del reato di atti persecutori per mancanza di querela ed anche in assenza di una precedente condanna dell'imputato per detto reato (Cass. I, n. 4133/2016).

Il delitto di minaccia deve considerarsi assorbito nel reato di atti persecutori secondo lo schema del reato complesso; egualmente va escluso in concorso con il reato di molestie per il rapporto di specialità reciproca intercorrente tra le due fattispecie criminose. Non assorbe invece il delitto di ingiuria, perché, mentre gli atti intimidatori rientrano tra gli elementi qualificanti della fattispecie, le ingiurie sono a questa estranee ed incidono su un bene della vita diverso da quello tutelato dall'art. 612-bis (Cass. V n. 41182/2014).

Quanto al rapporto con la violenza privata secondo la dottrina (Orfino, 143) il delitto di atti persecutori si presenta come un'ipotesi speciale del reato di cui all'art. 610 dal momento che la fattispecie incriminatrice in esame prevede la necessaria verificazione di un evento specifico, ossia l'alterazione delle abitudini di vita, lo stato di ansia e paura, il fondato timore per la incolumità propria di un prossimo congiunto.

La giurisprudenza ammette invece il concorso in ragione della diversa oggettività giuridica (Cass. V, n. 2283/2015 che ha affermato che mentre l'art. 610, protegge il processo di formazione e di attuazione della volontà personale, l'art. 612-bis, è volto — al pari dell'art. 612 — alla tutela della tranquillità psichica, ritenuta, con pieno fondamento, condizione essenziale per la libera formazione ed estrinsecazione della volontà suddetta. Pertanto, l'oggetto giuridico di categoria (la libertà morale) esige, per la sua salvaguardia, la protezione di entrambe le sottospecie di beni sopra rassegnati, potendo essere aggredito nell'una o nell'altra manifestazione, oppure in entrambe. Quando quest'ultima situazione si verifica, non vi sono ragioni, quindi, per escludere il concorso di norme, siccome rivolte a tutelare aspetti diversi dello stesso bene.

Il delitto di atti persecutori, avendo oggetto giuridico diverso, può concorrere con quello di diffamazione anche quando la condotta diffamatoria costituisce una delle molestie costitutive del reato previsto dall'art. 612 bis (Cass V n. 51718/2014).

È’ stato affermato (Cass. V, n. 20696/2016 che il delitto di atti persecutori, avendo oggetto giuridico diverso, può concorrere con quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in cui restano assorbiti solo quei fatti che, pur costituendo astrattamente di per sè reato, rappresentino elementi costitutivi o circostanze aggravanti di esso e non anche quelli che eccedano tali limiti, dando vita a responsabilità autonoma e concorrente.

Più complessi sono i rapporti con i maltrattamenti in famiglia.

Prima della modifica dell'art. 612-bis, comma 2, introdotta dall'art. 1, comma 3, lett. a), d.l. n. 93/2013, conv. dalla l. n. 119/20131, il legislatore aveva ritenuto di restringere l'ipotesi circostanziata del comma 2 dell'art. 612-bis di cui al testo originario previsto dall'art. 7, d.l. n. 11/2009, conv. dalla l. n. 38/2009, poi sostituito dalla novella del 2013, alle condotte moleste realizzate al di fuori del contesto familiare cioè dopo il divorzio, la separazione legale o la cessazione della relazione affettiva, ossia da chi in passato era unito da legami giuridici o anche solo di fatto con la persona offesa, e precisamente dal coniuge divorziato o separato legalmente o da colui che sia stato legato alla persona offesa da una “ relazione affettiva. L'ipotesi prevista dal comma 2 — in danno dell'ex coniuge o dell'ex partner (in questa forma il reato di atti persecutori acquista natura di reato proprio) − recuperava ambiti legati alla comunità della famiglia che ne costituivano, in certo senso, “postume proiezioni temporali”(Cass. VI n. 24575/2011: “In tema di rapporti fra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori (art. 612-bis), salvo il rispetto della clausola di sussidiarietà prevista dall'art. 612-bis comma 1 — che rende applicabile il più grave reato di maltrattamenti quando la condotta valga ad integrare gli elementi tipici della relativa fattispecie — è invece configurabile l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori (prevista dall'art. 612-bis comma 2) in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito di una comunità familiare (o a questa assimilata), ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale” (in motivazione, la S.C. ha precisato che ciò può valere, in particolare, in caso di divorzio o di relazione affettiva definitivamente cessata con la persona offesa, ravvisandosi il reato di maltrattamenti in caso di condotta posta in essere in presenza di una separazione legale o di fatto)

Il testo precedente della norma conteneva un chiaro riferimento alla sola figura dell'“ex” («coniuge legalmente separato o divorziato» e «persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa»), sicché la cessazione del rapporto di coniugio, o della relazione affettiva, era un elemento costitutivo del delitto di atti persecutori aggravati ex art. 612-bis, comma 2 (Tigano, 350)

In sostanza, fra l'autore del reato e la vittima non doveva intercorrere al momento della condotta alcun rapporto affettivo; l'aggravante era limitata ai rapporti ormai conclusi: formalmente se si trattava di una relazione coniugale, informalmente nelle altre ipotesi (di qui anche la definizione di ”molestie a distanza”). Ipotesi, tutte, tipicamente ricorrenti quando l'ex coniuge o il coniuge separato o l'ex convivente non si rassegna alla fine della relazione decisa dalla vittima, e vuole punirla per la scelta che ha fatto, ovvero obbligarla a riprendere il rapporto interrotto (Tigano, 350; nonché Ramini, 523) la ratio della circostanza aggravante è rinvenibile nel maggior disvalore connesso alle condotte di stalking realizzate da chi, oltretutto, non rispetta una scelta che l'ex partner ha compiuto attraverso la separazione o il divorzio o la fine della relazione.

Il legislatore del 2013, recependo le osservazioni critiche da più parti avanzate, e riconoscendo una anomalia nel testo vigente che legava l'aumento di pena alla specifica posizione di ex coniuge o di ex partner, ha esteso l'aggravante agli atti persecutori commessi dal coniuge in costanza di matrimonio (eliminando la condizione che vi sia stata separazione legale o divorzio), o dal coniuge separato solo di fatto (eliminando il carattere “legale” della separazione), o da persona legata “attualmente” da relazione affettiva alla persona offesa (eliminando la condizione che il rapporto affettivo sia cessato).

Tale scelta ha sicuramente un forte impatto sui rapporti tra il delitto di maltrattamenti e il reato di atti persecutori, che resta un nodo ancora da sciogliere.

La fattispecie aggravata del reato di atti persecutori, nella parte in cui contempla fatti di minaccia e molestia realizzati in presenza del legame (lato sensu) familiare, cioè ancora in atto al momento della consumazione del reato, si sovrappone alla norma sui maltrattamenti, nella parte in cui punisce chi «maltratta una persona della famiglia, o comunque convivente»

La disciplina dell'art. 612-bis , comma 2, previgente alla modifica rendeva più agevole la differenza tra la fattispecie di maltrattamenti e la fattispecie di stalking. La clausola di sussidiarietà espressa prevista in apertura dell'art. 612-bis, che punisce il reato di stalking «salvo che il fatto costituisca più grave reato», comportava infatti l'assorbimento degli atti persecutori posti in essere “in ambito familiare” ‒ cioè dal coniuge o dal partner di una relazione affettiva ancora in atto ‒ nel delitto di maltrattamenti, in quanto reato più grave. Sicché gli atti persecutori consumati in ambiente domestico, ossia ai danni del coniuge o del convivente, rientravano nella sola (e allora certamente più grave) fattispecie di maltrattamenti in famiglia (sempre che la condotta valesse ad integrarne gli elementi tipici). Il problema si poneva, eventualmente, in relazione all'ipotesi delle molestie poste in essere nei confronti del coniuge legalmente separato, che poteva dar luogo, parimenti, a un concorso apparente di norme fra gli artt. 572 e 612-bis, comma 2, in quanto la giurisprudenza riteneva (e ritiene tuttora) che l'assenza di convivenza non preclude la configurabilità del delitto di maltrattamenti del quale anche il coniuge separato può essere soggetto passivo. Anche qui il conflitto normativo veniva risolto facendo ricorso alla clausola di riserva contenuta nell'art. 612-bis, in forza della quale il delitto di maltrattamenti, sanzionato più severamente, assorbiva quello di atti persecutori(Cass. VI, n. 16658/2009, Cass. VI, n. 24575/2012).

Sotto la vecchia disciplina, dunque, il conflitto tra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di stalking, sia se realizzato dal coniuge in costanza di matrimonio o dal partner nel contesto di un rapporto affettivo, sia se realizzato ‒ nella forma aggravata del comma 2 dell'art. 612-bis ‒ dall'ex coniuge o dall'ex partner, era agevolmente risolvibile.

Alle condotte assillanti e persecutorie poste in essere all'interno di un contesto familiare (anche nei confronti del coniuge separato) o assimilato (cioè in un contesto di convivenza more uxorio, purché nell'ambito di una relazione di fatto connotata quantomeno da un legame di assistenza e/o protezione) si applicava la fattispecie di maltrattamenti, in cui restava assorbito il reato di stalking commesso in danno del coniuge o del convivente; le forme di vessazione poste in essere dopo la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare (divorzio) o della relazione affettiva, cioè realizzate dall'ex coniuge o dall'ex partner, quindi non sussumibili nella fattispecie di maltrattamenti, erano inquadrate nella fattispecie aggravata prevista dall'art. 612-bis, comma 2.

Dopo la riforma del 2013 il tema dei rapporti fra il delitto di maltrattamenti e quello di stalking, nell'ipotesi in cui il fatto sia commesso dal coniuge o dal convivente, cioè in una delle forme aggravate previste dal comma 2 dell'art. 612-bis, appare più complesso, e problematica la distinzione fra le due fattispecie.

Nessun dubbio che i fatti realizzati dopo la cessazione del vincolo coniugale o affettivo esulano dal contesto propriamente familiare e quindi dal reato di maltrattamenti, e per essi trova applicazione la fattispecie di atti persecutori.

Gli interrogativi restano, invece, aperti quando il delitto di atti persecutori si consuma (oggi in forma aggravata ex art. 612-bis, comma 2) in danno di una persona della famiglia: coniuge (anche se separato, legalmente o di fatto) o persona che sia legata da relazione affettiva all'autore. In tal caso può apparire difficile tracciare una linea di confine che lo separi dal delitto di maltrattamenti (art. 572), essendo quel confine suscettibile di variazioni. Ed invero manifestazioni di aggressività o atti assillanti e prevaricatori consumati in seno alla comunità familiare (o assimilata) potrebbero realizzare, al tempo stesso, gli estremi del reato aggravato di atti persecutori previsto dal secondo comma dell'art. 612-bis e gli elementi strutturali tipici dell'ipotesi criminosa di cui all'art. 572.

A riprova dell'affinità tra le due fattispecie è la circostanza che la giurisprudenza di legittimità, secondo un orientamento affermatosi in tema di maltrattamenti in famiglia prima dell'introduzione del delitto di atti persecutori (art. 612-bis), ha spesso ricondotto al reato di cui all'art. 572 atti qualificabili come stalking (anche se realizzati dopo la cessazione della convivenza tra coniugi, cioè dal coniuge separato, legalmente o di fatto)(Cass. V, n. n. 30601/ 2010; Cass. VI, n. 16658/2009; Cass. VI, n. 26571/2008; Cass VI, n. 16658/2009)

La stessa giurisprudenza ha però precisato che “l'oggettività giuridica delle due fattispecie di cui agli artt. 572 e 612-bis è diversa e diversi sono i soggetti attivi e passivi delle due condotte illecite, ancorché le condotte materiali dei reati appaiono omologabili per modalità esecutive e per tipologia lesiva ”.  Quello di maltrattamenti formalmente è un reato contro la famiglia, più specificamente contro l'assistenza familiare; mentre quello di atti persecutori è un reato contro la persona e, più in particolare, contro la libertà morale. Anche se la dottrina è unanime nel ritenere che la connotazione pubblicistica del bene protetto dal delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi non appare più corrispondente ai mutamenti intervenuti nel costume e nella sensibilità sociale, segnalando come più adeguata la collocazione della norma di cui all'art. 572 tra i reati contro la persona (cfr., ad esempio, Coppi, 230).

Comunque può affermarsi che in relazione ai fatti commessi all'interno di un consorzio familiare (dal coniuge anche se separato legalmente o di fatto, o da persona legata da relazione affettiva alla persona offesa), molteplici aspetti avvicinano e sovrappongono le due fattispecie, sollevando delicati problemi di natura logico-sistematica. Invero, nel delitto di maltrattamenti, secondo un'interpretazione dottrinale e giurisprudenziale costante, la libertà morale e l'incolumità psico-fisica del soggetto passivo si aggiunge, come oggettività giuridica prevalente, ai beni o interessi della famiglia (lato sensu intesa) (Cass. III, n. 46196/2011, secondo cui l'oggetto giuridico del reato di maltrattamenti “è costituito dai congiunti interessi dello Stato alla tutela della famiglia da comportamenti vessatori e violenti e dall'interesse delle persone facenti parte della famiglia alla difesa della propria incolumità fisica e psichica; in dottrina Fiandaca-Musco, 388). Le due fattispecie sono imperniate su affinità strutturali: reiterazione di condotte offensive; carattere perdurante dell'effetto psicologico indotto nella persona; stesse modalità di realizzazione della condotta; elemento psicologico, essendo ambedue le condotte sorrette da un dolo “unitario”.

Ciò detto deve rilevarsi che nel senso della non applicabilità del delitto di atti persecutori alle condotte abituali di maltrattamento consumate in contesto familiare (contro il coniuge o il convivente) era orientata la giurisprudenza prima della riforma, la quale, come si è detto, in forza del principio di sussidiarietà, riconduceva le condotte moleste realizzate da chi è legato al soggetto passivo da un rapporto familiare, coniugale o di fatto, inquadrabili, secondo la disciplina previgente, nella fattispecie semplice prevista dal comma 1 dell'art. 612-bis, al delitto di maltrattamenti, nel quale rimanevano assorbite. Soluzione che potrebb'essere anche oggi condivisibile (con riferimento, dopo la riforma, alla fattispecie aggravata di stalking di cui al comma 2 dell'art. 612-bis) che non esclude però l'ipotesi che, talvolta, le condotte maturate nell'ambito della famiglia (lato sensu intesa) non siano in grado di configurare vere e proprie forme di maltrattamenti e quindi non siano sussumibili all'interno del reato disciplinato nell'art. 572, ed integrino, invece, verificandosi l'evento tipizzato (in forma alternativa) dalla norma, gli estremi della fattispecie di cui all'art. 612-bis, comma 2, potendo anche il coniuge o il partner di un rapporto di fatto, sia pure in casi meno frequenti, realizzare il (solo) delitto di stalking (nella forma semplice, e meno afflittiva, disciplinata nel comma 1 dell'art. 612-bis, secondo la normativa previgente, e oggi nella forma aggravata del comma 2).

È stato infatti sottolineato (Merli, 24) che l'assunto che quella di maltrattamenti è l'unica fattispecie applicabile al contesto familiare solleverebbe perplessità contro la scelta del legislatore del 2013 di includere il coniuge, e la persona ancora legata da rapporto affettivo alla persona offesa, nella sfera di applicazione dell'aggravante di cui al comma 2 dell'art. 612-bis. In particolare, se fosse vero che nelle molestie e/o minacce intrafamiliari (c.d. vessazioni domestiche) è sempre configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia che prevale sul reato di atti persecutori, si potrebbe fondatamente sostenere che sarebbe stato preferibile mantenere la formulazione restrittiva dell'aggravante contenuta nel previgente comma 2 dell'art. 612-bis, che si riferiva al fatto commesso dal «coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa» (ancorché sia corretto conferire al reato di stalking un disvalore maggiore anche nell'ipotesi in cui il fatto sia commesso da chi è tuttora legato alla vittima da un rapporto coniugale o affettivo, il che peraltro rende agevole ricostruire la tesi di fondo sulla quale l'innovazione è costruita). Infatti, la negazione dell'applicabilità del reato di atti persecutori al contesto familiare metterebbe in crisi la funzionalità del sistema, perché è di tutta evidenza che, in tal caso, il reato di stalking, nella forma aggravata degli atti persecutori intrafamiliari, sarebbe una fattispecie soverchiante, destinata fatalmente a una sorta di abrogazione di fatto.

In sintesi può pertanto affermarsi che se gli atti persecutori si consumano al di fuori del tipo di rapporti o dei soggetti coinvolti di cui all'art. 572, cioè in danno del coniuge divorziato o legato in passato da relazione affettiva all'autore, non c'è conflitto di norme e troverà applicazione il (solo) reato di stalking (nella forma aggravata già prevista dal comma 2 dell'art. 612-bis). Se, invece, le condotte moleste e aggressive si realizzano all'interno del nucleo familiare (contro il coniuge o il convivente) e assumono il carattere dei veri e propri maltrattamenti, si ha un'ipotesi di concorso apparente tra il delitto di maltrattamenti e la forma aggravata di stalking contemplata dal comma 2 dello stesso articolo. In tal caso, un orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità prima della modifica apportata dalla riforma del 2013, riteneva applicabile, in forza della clausola di sussidiarietà espressa prevista dall'art. 612-bis, il più grave (secondo la normativa allora vigente) delitto di cui all'art. 572, nel quale restava assorbita l'ipotesi di stalking (allora non aggravata) di cui al comma 1 dell'art. 612-bis, esaurendo il reato di maltrattamenti l'intero disvalore della condotta realizzata (Cass. V n. 19545/2013). Secondo tale indirizzo, peraltro, la norma sui maltrattamenti ex art. 572 era applicabile, come si è accennato, anche alle condotte persecutorie rivolte nei confronti del coniuge separato, legalmente o di fatto. Era, infatti, ed è tuttora (con conseguente ulteriore restringimento dell'area occupata dall'art. 612-bis, comma 2) approdo pacifico della giurisprudenza, che in caso di separazione dei coniugi al venir meno degli obblighi di convivenza e fedeltà non corrisponde il venir meno dei doveri di rispetto reciproco, morale e materiale, che traggono origine dal vincolo coniugale e perdurano anche in seguito (cfr. Cass. VI n. 22915/2013).

Occorre però aggiungere, sul tema specifico dei rapporti fra le due fattispecie, che, nel rispetto dei relativi ambiti, possono concorrere entrambi i reati realizzati in tempi diversi: la condotta di maltrattamenti, in presenza del rapporto coniugale; quella di stalking, dopo la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare o della relazione affettiva. È da escludere, infatti, che gli atti persecutori posti in essere dopo la cessazione definitiva della convivenza siano assorbiti nel delitto di maltrattamenti consumato dall'ex coniuge o dall'ex partner in presenza di matrimonio o di convivenza more uxorio (anche se, nella stragrande maggioranza dei casi, come comprovano gli studi criminologici, altro non sono che la continuazione della violenza domestica da parte dell'ex fidanzato, convivente, marito, che, nel momento in cui si separa dalla vittima, persiste nel perpetrare a suo danno reazioni sempre più vendicative). Poiché ciascuno dei due reati (maltrattamenti e atti persecutori) resta nell'alveo che gli compete, è possibile il concorso. È il caso di reiterate e offensive manifestazioni di aggressività e violenza realizzate all'interno di una comunità familiare o a questa assimilata (per esempio, poste in essere in presenza di matrimonio o di relazione affettiva mentre i rapporti tra i conviventi stavano deteriorandosi) e proseguite dopo la cessazione definitiva del vincolo coniugale (divorzio) ovvero del sodalizio (lato sensu) familiare (ad esempio per convincere l'ex moglie o l'ex compagna a riprendere la convivenza).

Nel senso del concorso tra i due reati, v. Trib. Napoli, 30 giugno 2009; Trib. Lucca, 10 luglio 2009. Altre sentenze dei giudici di merito escludono, invece, il concorso e ritengono l'assorbimento del reato di stalking realizzato dal coniuge dopo la cessazione della convivenza nel reato di maltrattamenti posto in essere in seno alla comunità familiare (o assimilata), sempre che la condotta persecutoria sia la “prosecuzione” di maltrattamenti iniziati in precedenza: così, ad es., Trib. Bari, 6 aprile 2009 (nel caso di specie si è ritenuto configurabile il concorso, in assenza di tale condizione, nel caso di atti persecutori realizzati dall'ex marito successivamente alla detenzione in carcere per maltrattamenti, dopo due anni e otto mesi dalla cessazione della convivenza (cfr., nello stesso senso, Trib. Caltanissetta, 4 gennaio 2010, in Foro it. 2010, II, 214; Trib. Termini Imerese Ufficio Gip, ord. 24 ottobre 2011, in Diritto Penale Contemporaneo, 23 aprile 2012). Ritiene il concorso di entrambi i reati (di maltrattamenti e di stalking) in caso di reiterazione degli atti persecutori dopo il divorzio o a relazione affettiva definitivamente cessata, Cass. VI, n. 24575/2012.

Da ultimo si veda Cass. VI, n.30704/2016 che ha affermato che “in tema di rapporti fra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori (art. 612-bis), salvo il rispetto della clausola di sussidiarietà prevista dall'art. 612-bis, comma 1 - che rende applicabile il più grave reato di maltrattamenti quando la condotta valga ad integrare gli elementi tipici della relativa fattispecie - è invece configurabile l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori (prevista dall'art. 612-bis, comma 2) in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito di una comunità familiare (o a questa assimilata), ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva configurato il concorso tra i due reati, sul presupposto della diversità dei beni giuridici tutelati, ritenendo integrato quello di maltrattamenti in famiglia fino alla data di interruzione del rapporto di convivenza e poi, dalla cessazione di tale rapporto, quello di atti persecutori).

Profili processuali

Il delitto è punito, di regola, a querela della persona offesa. Analogamente a quanto previsto dall'art. 609-septies per i reati di violenza sessuale, il termine per proporre querela è di sei mesi, in considerazione della difficoltà della vittima di tali reati ad agire nei confronti del soggetto attivo. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è, invece, irrevocabile nei casi di commissione del fatto mediante minacce reiterate nei modi di cui al comma 2 dell'art. 612-bis (previsione introdotta in sede di conversione in legge del d.l. 14 agosto 2013, n. 93, che aveva nel testo originario introdotto il principio dell'irrevocabilità della querela).

Il termine per proporre querela inizia a decorrere dalla consumazione del reato, che coincide alternativamente con «l'evento di danno» ovvero con «l'evento di pericolo» consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto (Cass. V, n. 17082/2015).

Secondo Cass. V, n. 12509/2016 il reato di atti persecutori, configurando un'ipotesi di reato abituale, si caratterizza per il compimento di più atti realizzati in momenti successivi, rappresentando ciascuna delle singole azioni un elemento della serie, al realizzarsi della quale sorge la condotta tipica rilevante anche ai fini della procedibilità. (Fattispecie in cui la Corte ha individuato il dies a quo per la proposizione della querela nella richiesta di ammonimento del Questore, avanzata dalla persona offesa a seguito di una serie di atti delittuosi, ritenendo, conseguentemente, tardiva la querela presentata oltre sei mesi dopo, ancorché in epoca successiva ad un ulteriore episodio che, in quanto intervenuto a notevole distanza di tempo dalla precedente serie integrante il reato, doveva considerarsi come un nuovo fatto isolato privo di rilevanza penale).

Il carattere del delitto di atti persecutori, quale reato abituale a reiterazione necessaria delle condotte, rileva anche ai fini della procedibilità, con la conseguenza che, nell'ipotesi in cui il presupposto della reiterazione venga integrato da condotte poste in essere oltre i sei mesi previsti dalla norma rispetto alla prima o alle precedenti condotte, la querela estende la sua efficacia anche a tali pregresse condotte, indipendentemente dal decorso del termine di sei mesi per la sua proposizione, previsto dal quarto comma dell'art. 612-bis (Cass. V, n. 20065/2015Cass. V, n. 41431/2016).

Secondo Cass. V, n. 18477/2016: in tema di delitto di atti persecutori, è idonea ad estinguere il reato non solo la remissione di querela ricevuta dall'autorità giudiziaria ma anche quella effettuata davanti ad un ufficiale di polizia giudiziaria, atteso che l'art. 612-bis, comma 4, facendo riferimento alla remissione "processuale", evoca la disciplina risultante dal combinato disposto dagli art. 152 e art. 340 c.p.p., che prevede la possibilità effettuare la remissione anche con tali modalità. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, dichiarando l'estinzione del reato per remissione di querela, effettuata, in pendenza del ricorso per cassazione, davanti alla polizia giudiziaria, con accettazione dell'imputato).

Si procede d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'art. 3, l. 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.

Secondo Cass. V,  n. 11409 /2016 è procedibile d'ufficio ai sensi dell'art. 612-bis, ultimo comma, il reato di atti persecutori connesso con il delitto di lesioni, anche nel caso in cui la procedibilità d'ufficio di quest'ultimo sia determinata dall'aggravante di cui all'art. 576, comma 1, n. 5.1, per essere stato commesso il fatto da parte dell'autore del reato di atti persecutori nei confronti della medesima persona offesa.

L'ipotesi di connessione si verifica non solo quando vi è connessione ex art. 12 c.p.p., ma anche quando v'è connessione in senso materiale, cioè ogni qualvolta l'indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l'accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l'uno in occasione dell'altro, oppure l'uno per occultare l'altro oppure ancora in uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell'art. 371 c.p.p. e purché le indagini in ordine al reato perseguibile di ufficio siano state effettivamente avviate (Cass. I, n. 32787/2014; Cass. V, n. 14692/2013).

La disciplina transitoria prevista dall'art. 85 comma 2-ter del d.lgs. n. 150/2022 stabilisce che “per i delitti di cui agli articoli 609-bis, 612-bis e 612-ter del codice penale, commessi prima dell' entrata in vigore del decreto citato, continua a procedersi d'ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto. Considerato che la legge prevede, per i richiamati delitti di violenza sessuale, stalking e revenge porn che si proceda d'ufficio in caso di connessione con altro delitto procedibile d'ufficio il legislatore si è preoccupato di escludere possibili effetti indiretti, conseguenti al mutato regime di procedibilità di reati che possono essere connessi con detti delitti. Deve però aggiungersi che, per espressa previsione normativa, ciò è vero solo in relazione ai fatti commessi prima del 30 dicembre.

Non opera per il delitto in esame la nuova limitazione prevista dal comma 2- bis  dell'art. 275, in forza del quale la quale la custodia cautelare non si applica se il giudice ritiene che all'esito del giudizio la pena detentiva di carta non sarà superiore a tre anni (art. 275 comma 2-bis come modificato in sede di conversione del d.l. n. 92/2014 nella l. n. 117/2014).

L'intervento legislativo del 2009 ha inciso anche sulle misure cautelari, prevedendo la nuova misura personale del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Con detto articolo è stata introdotta una nuova misura coercitiva personale, che può essere disposta nel corso del procedimento penale, consistente nel divieto di avvicinamento dell'imputato ai luoghi frequentati dalla persona offesa ovvero nell'obbligo di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa. In presenza di ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone. Peraltro, quando la frequentazione dei luoghi precedentemente individuati sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.

Il giudice può anche vietare all'imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone sopra indicate.

Per rendere effettivi ed efficaci i provvedimenti di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p., l'art. 9, comma 1, lett. a), d.l. cit., ha introdotto l'art. 282- quater c.p.p., che prevede taluni obblighi di comunicazione. Più precisamente, si è previsto che i provvedimenti di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p. sono comunicati all'autorità di pubblica sicurezza competente, ai fini dell'eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni. Essi sono altresì comunicati alla parte offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio. Quando l'imputato si sottopone positivamente ad un programma di prevenzione della violenza organizzato dai servizi socio-assistenziali del territorio, il responsabile del servizio ne dà comunicazione al pubblico ministero e al giudice ai fini della valutazione dell'attenuazione delle esigenze cautelari ex art. 299, comma 2 (previsione introdotta dal d.l. n. 93/2013).

Il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito in l. 15 ottobre 2013, n. 119, ha introdotto all'art. 299 c.p.p. la previsione dell'obbligo di notificare alla persona offesa o al suo difensore la richiesta di revoca o sostituzione delle misure di cui agli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286 c.p.p. e di comunicare alle stesse ogni provvedimento di modifica, revoca o sostituzione di tali misure.

Per il delitto di atti persecutori sono stati ampliati i casi di ricorso all'incidente probatorio, estendendo ai procedimenti, nonché alla testimonianza del minore ultrasedicenne e della persona offesa maggiorenne il disposto del comma 1-bis dell'art. 392 c.p.p., ovvero la possibilità di ricorrere all'assunzione anticipata della testimonianza anche in assenza dei requisiti di ammissibilità di cui al comma 1, lett. a) e b).

È stata estesa anche alle indagini per il delitto di atti persecutori la possibilità per il giudice di stabilire luogo, tempo e modalità particolari attraverso le quali procedere all'incidente probatorio, qualora fra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minorenni (anche ultrasedicenni) e le esigenze di tutela delle persone (e non più del solo minore) lo rendano opportuno (art. 9, d.l. 23 febbraio 2009, n. 11).

In dibattimento, anche per l'esame del minorenne o del maggiorenne infermo di mente, vittime del reato di cui all'art. 612-bis, sarà possibile avvalersi delle particolari modalità di cui all'art. 498, comma 4-ter, c.p.p. (uso di un vetro specchio e di un impianto citofonico), qualora gli stessi, o il loro difensore, ne facciano richiesta.

È possibile disporre intercettazioni telefoniche e ambientali (art. 266, comma 1, lett. f-quater, c.p.p introdotto dal d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito nella l. 15 ottobre 2013, n. 119).

La l. n. 69/2019 (nota come Codice Rosso) al fine di rafforzare la tutela penale delle vittime di violenza domestica e di genere ha introdotto , a decorrere dal 9 agosto 2019,  ulteriori modifiche alla disciplina processuale del delitto di atti persecutori. 

Ha previsto una nuova formulazione del comma 3 dell'art. 347, stabilendo che anche per il reato in argomento la polizia giudiziaria ha l'obbligo di riferire immediatamente anche in forma orale la notizia di reato al pubblico ministero. Alla comunicazione orale deve seguire senza ritardo, quella scritta.   Ha stabilito, con il 1° co. ter dell'art. 362 c.p.p., la regola secondo la quale il pubblico ministero entro tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato, deve assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato il fatto di reato. Tale termine può essere tuttavia prorogato quando vi sono esigenze di tutela di soggetti minorenni o di riservatezza delle indagini.

Come logico completamento operativo delle due indicate novità ha introdotto i commi 2 bis e 2 ter dell'art. 370 c.p.p. che stabiliscono che la polizia giudiziaria proceda senza ritardo al compimento degli atti di indagine delegati dal pubblico ministero e ponga, sempre senza ritardo, a disposizione dello stesso, la documentazione delle attività svolte, nelle forme e con le modalità previste dall'art. 357 c.p.p.

Secondo Cass. V, n. 4301 / 2016: in tema di atti persecutori, è legittima l'adozione della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ex art. 282-ter c.p.p., anche nel caso in cui la condotta sia consistita solo in minacce a distanza, quando sussiste il fondato timore di una progressione criminosa. (Massime precedenti conformi: Cass. n. 4737/2014).

Secondo Cass. V, n. 28677/2016): in tema di misure cautelari personali, è legittima l'ordinanza che dispone, exart. 282-ter c.p.p., il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa senza indicare specificamente i luoghi oggetto di divieto, in quanto la predetta individuazione deve avvenire per relationem con riferimento ai luoghi in cui, di volta in volta, si trovi la persona offesa, con la conseguenza che, ove tali luoghi, anche per pura coincidenza, vengano ad essere frequentati anche dall'imputato, costui deve immediatamente allontanarsi dagli stessi (in motivazione, la S.C. ha precisato che, diversamente ragionando, si consentirebbe all'agente di avvicinarsi alla persona offesa nei luoghi non rientranti nell'elenco tassativo eventualmente definito dal giudice, frustrando così la ratio della norma, tesa alla più completa tutela del diritto della persona offesa di poter esplicare la propria personalità e la propria vita di relazione in condizioni di assoluta sicurezza). In senso conforme: Cass. n.  36887/2013Cass. n. 48395/2014.

In senso contrario Cass. V,  n.  30926 /2016 ) che ha affermato che in tema di misure cautelari personali, il divieto di avvicinamento previsto dall'art. 282-ter c.p.p. deve contenere l'indicazione specifica dei luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa solo quando le modalità della condotta criminosa non manifestino un campo di azione che esuli dai luoghi che costituiscono punti di riferimento della propria quotidianità di vita, dovendo, invece, il divieto di avvicinamento essere riferito alla stessa persona offesa, e non ai luoghi da essa frequentati, laddove la condotta, di cui è temuta la reiterazione, si connoti per la persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima, in qualsiasi luogo questa si trovi (fattispecie in tema di atti persecutori).

Secondo le Sezioni Unite (Cass.  S.U., n. 10959/2016) la disposizione dell'art. 408, comma 3-bis, c.p.p., che stabilisce l'obbligo di dare avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa dei delitti commessi con «violenza alla persona», è riferibile anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti contro familiari e conviventi, previsti rispettivamente dagli artt. 612-bis e 572, in quanto l'espressione «violenza alla persona» deve essere intesa alla luce del concetto di «violenza di genere», risultante dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario. L'obbligo di tale avviso prescinde da ogni eventuale richiesta dell'interessato, con la conseguenza che la sua omissione, determinando la violazione del contraddittorio, è causa di nullità, ex art. 127, comma 5, c.p.p., del decreto di archiviazione emesso de plano, impugnabile con ricorso per cassazione.

Casistica

Cass. VI, n. 50746/2014 — In tema di atti persecutori, la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione di merito affermativa della responsabilità di imputato il quale aveva posto in essere reiterate condotte aggressive ed ingiuriose nei confronti della ex convivente fino ad introdursi furtivamente in casa della stessa, dopo averla aggredita in discoteca ed averla indotta a trovare riparo presso amici, e a dare fuoco ad una parte dell'abitazione e degli oggetti ivi contenuti).

Cass V, n. 5313/2014 — Nell'ipotesi di atti persecutori commessi nei confronti della ex convivente, l'attendibilità e la forza persuasiva delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato non sono inficiate dalla circostanza che all'interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia vissuto momenti transitori di attenuazione del malessere in cui ha ripristinato il dialogo con il persecutore

Cass. V, n. 24021/2014 — In tema di atti persecutori, ai fini della individuazione del cambiamento delle abitudini di vita, quale elemento integrativo del delitto di cui all'art. 612-bis, occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate. (Nella specie la vittima aveva modificato di mezz'ora l'orario di uscita da casa).

Cass. V, n. 45648/2013 — La reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tali ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita.

Cass. V,  n. 12528/2016  — Ai fini della configurazione del delitto di atti persecutori, le reiterate molestie non devono essere commesse necessariamente in luogo pubblico, aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, come invece previsto per la contravvenzione di cui all'art. 660 (fattispecie nella quale la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, con la quale l'imputato era stato assolto dal reato di cui allart. 612-bis per avere molestato la moglie con condotte commesse in luoghi e con modalità diverse da quelle previste dal citato art. 660).

Cass. III, n. 1629/2016  — Integra il delitto di atti persecutori il sorvegliare o il farsi comunque notare, anche saltuariamente, nei luoghi di abituale frequentazione dalla persona offesa, indipendentemente dal fatto che la stessa si trovi presente o assista a tali comportamenti, nonché il porre in essere una condotta minacciosa o molesta nei confronti di soggetti diversi dalla vittima, ancorché ad essa legati da un rapporto qualificato, ove l'autore del fatto agisca nella consapevolezza che la stessa certamente sarà posta a conoscenza della sua attività intrusiva e persecutoria, volta a condizionarne indirettamente le abitudini di vita così da determinare, quale conseguenza voluta, l'impossibilità o, comunque, la difficoltà per la persona offesa di trovare un lavoro o di frequentare un determinato luogo.

Cass  V, n. 47195/2015  — Ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente (fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto irrilevante il fatto che la persona offesa non avesse riferito espressamente di essere impaurita, alla luce dei certificati medici delle lesioni subite, delle annotazioni di polizia giudiziaria sul suo stato di esasperazione e spavento, e dei messaggi sms di minaccia).

Cass. V, n. 28623/2017 — Gli atti di bullismo posti in essere nei confronti della vittima integrano pienamente il reato di atti persecutori previsto e punito dall'art. 612-bis, essendo sufficiente ai fini della compiuta integrazione dell'evento del reato, la prova della causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, ove ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato.

Cass. I, n. 18717/2017 — Sono sussumibili nella fattispecie di cui all'art. 612-bis, tutti quei comportamenti posti in essere nei confronti di un collega di lavoro se volti a ridicolizzare, ad infastidire, a prospettare l'immagine in un momento di difficoltà e d'imbarazzo, a suscitare sentimenti di vergogna e ad esporlo alla derisione collettiva nell'ambito della comunità dei soggetti frequentatori il luogo di lavoro, non potendosi ritenersi che tali condotte esauriscano la loro portata offensiva quale scherzo occasionale, perché insistite ed oggettivamente in grado di compromettere il benessere psicologico e la serenità di chi le subisce.

Cass, V, n. 57764/2017 — Il delitto di cui all'art. 612-bis è integrato dalla condotta di colui che pubblica messaggi o filmati aventi contenuto denigratorio sui social network qualora i dati diffusi in rete siano fortemente dannosi e fonte di inquietudine per la parte offesa.

Cass, V, n. 27466/2018 — In tema di atti persecutori, l'atteggiamento conciliante della vittima non assume rilievo ai fini della responsabilità penale del soggetto agente, né ai fini della determinazione della pena, atteso che ciò che rileva è la complessiva e reiterata condotta persecutoria e le conseguenze dannose sulla psiche della persona offesa.

E' stata ritenuta  configurabile l'ipotesi aggravata di cui al comma 2 dell'art. 612-bis in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito di una comunità familiare (o a questa assimilata), ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti in famiglia per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale (Cass. VI, n. 30704/2016Cass. II, n. 17719/2016Cass. VI, n. 24575/2011).

Tra coniugi che siano soltanto separati legalmente e non ancora divorziati è stata ritenuto che non si configura l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori, bensì il reato di maltrattamenti in famiglia in ragione della permanenza del vincolo famigliare nel caso di semplice separazione (Cass. VI, n. 3087/2017Cass. VI, n. 10932/2017).

Secondo Cass. VI, n. 35673/2017 la cessazione della convivenza da parte di un uomo - non legato con la donna maltrattata da rapporto di coniugio - non consente di qualificare la prosecuzione della condotta persecutoria nell'ambito del reato di cui all'art. 572, dovendosi tale parte della condotta qualificare nell'ambito della fattispecie di cui all'art. 612-bisCass. I, n. 11604/2017 ha ritenuto applicabile l'aggravante anche in mancanza di una convivenza.

Bibliografia

Aramini, Lo stalking: aspetti psicologici e fenomenologici, in Sessualità, diritto e processo, Milano, 2002; Bricchetti, Pistorelli, Entra nel codice la molestia reiterata, in Guida dir. 2009; Bricchetti-Pistorelli, Possibile vietare l'avvicinamento alla «vittima», in Guida dir. 2009; Cadoppi, Atti persecutori: una normativa necessaria, in Guida dir. 2009; F. Coppi, Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, (voce) in Enc. dir., XXV, Varese, 1975; Merli, Differenze e linee di continuità tra il reato di stalking e quello di maltrattamenti in famiglia dopo la modifica del secondo comma dell'art. 612-bis c.p. ad opera della legge c.d. sul femminicidio, in Diritto Penale contemporaneo; Tigano, Atti persecutori e maltrattamenti nei confronti degli “ex”: dall'introduzione della fattispecie di stalking alla legge n. 172 del 2012, in Diritto Penale contemporaneo. Dalila Mara Schirò, Le modifiche agli articoli 61, 572 e 612-bis del codice penale, nonché al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (art. 9, l. n. 69/2019), in Romano, Marandola (a cura di), Codice Rosso. Commento alla l. n. 69/2019, in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, Pisa, 2020, 91 e 103.

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