Codice Penale art. 615 bis - Interferenze illecite nella vita privata (1).

Giovanna Verga

Interferenze illecite nella vita privata (1).

[I]. Chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora [295 3-bis c.p.p.], si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

[II]. Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo.

[III]. I delitti sono punibili a querela della persona offesa [120]; tuttavia si procede d'ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale [357] o da un incaricato di un pubblico servizio [358], con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato [382 att. c.p.p.; 222 coord. c.p.p.] (2).

(1) Articolo inserito dall'art. 1, l. 8 aprile 1974, n. 98.

(2) Per un'ulteriore ipotesi di aumento della pena, v. art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104. Sugli istituti di vigilanza e investigazioni private v. artt. 133 ss. r.d. 18 giugno 1931, n. 773. V. anche art. 9 l. 8 aprile 1974, n. 98 sulla tutela della riservatezza e della libertà e segretezza delle comunicazioni.

competenza: Trib. monocratico

arresto: facoltativo

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita (primo e secondo comma); consentita (terzo comma)

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: a querela di parte (primo e secondo comma); d'ufficio (terzo comma)

Inquadramento

Il reato tutela alcuni aspetti della vita privata ed in particolare quelli che si svolgono nell'abitazione o in altri luoghi di privata dimora. Secondo alcuni autori l'oggetto giuridico deve essere inteso come la segretezza delle notizie o immagini attinenti alla vita privata, secondo altri la riservatezza dei fatti svolgentisi nei luoghi deputati alla vita privata che non può, pertanto, identificarsi col più ampio diritto alla privacy, espressione di un diritto naturale dalla Costituzione riconosciuto come diritto della personalità a valenza programmatica (Bricola, 1083; Patrono,560). Riservatezza domiciliare che non può ridursi a mera esclusività spaziale, pur così funzionalmente intesa (in tal senso, nel passato, anticipando un'interpretazione poi dallo stesso legislatore condivisa, Bricola, 1079; Mantovani,40; Flick, 551) ma che si espande, in stretta correlazione alle possibili intrusioni che il progresso tecnologico consente, fino a poter comprendere il divieto di captazione diretta o indiretta, come di divulgazione di ogni manifestazione di libertà della persona che in quei luoghi si compia (Bricola 1083; Mantovani, 405).

Gli artt. 14 e 15 Cost. costituiscono insieme il nucleo di riferimento su cui fondare la garanzia costituzionale di un diritto alla riservatezza domiciliare. Il primo (art. 14) statuendo il principio della inviolabilità del domicilio, inteso come sfera spaziale di disponibilità esclusiva, il secondo (art. 15) affermando l'inviolabilità della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, la cui limitazione può avvenire solo per atto motivato dell'autorità giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge. Anche l'art. 12 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo come l' art. 8 e l' art. 10 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti fondamentali, con formula più ampia, rivolta alla tutela di diritti, tutti enucleabili in un generico concetto di riservatezza [Ronco, 1162] sembrano richiamare, seppur indirettamente e in negativo, un diritto alla riservatezza della vita privata svolgentesi nei luoghi a questa deputati, allorquando affermano che qualsiasi ingerenza o arbitraria interferenza possono avvenire solo da parte della pubblica autorità nei casi e modi tassativamente previsti dalla legge (in tal senso anche Bolognesi, 1528).

La Corte di cassazione Sezione V Penale, con la sentenza Cass. n. 13384/2019  ha affermato che “Integra il delitto di interferenze illecite nella vita privata la condotta di colui che carpisca, all'interno della propria dimora, con strumenti di captazione visiva o sonora, le immagini di un rapporto sessuale condiviso, là dove il "partner" non abbia implicitamente o esplicitamente prestato il proprio consenso alla ripresa. (In motivazione, la Corte ha precisato che il mancato consenso alla ripresa rende di per sé la condotta indebita, in quanto lesiva del diritto alla riservatezza del "partner" ignaro).”

Sul tema si registrano posizioni, non del tutto collimanti, nell’ambito della giurisprudenza di legittimità.

Secondo la sentenza indicata, ciò che deve essere valorizzato, ai fini della configurabilità del reato in questione, è la mancanza di consenso, implicito o esplicito, alla ripresa delle persone filmate. A fondamento di tale decisione si richiama il bene-interesse protetto dalla disposizione di cui all’art. 615-bis c.p. e si osserva, a tal proposito, che la collocazione del reato de quo nella sez. IV del codice penale, dedicata ai delitti contro l’inviolabilità del domicilio, potrebbe indurre a ritenere, prima facie, che “l’oggetto di tutela immediata” sia uno dei luoghi indicati dall’art. 614 c.p, (richiamato dall’art. 615-bis), ossia l’abitazione altrui o altro luogo di privata dimora o pertinenze dello stesso in modo da proteggerli dalle aggressioni non fisiche di terzi estranei, ma che, invece, una più attenta lettura della norma deve indurre ad una diversa interpretazione, in quanto il riferimento alla condotta di procurarsi “indebitamente” mediante “l’uso di ripresa visiva o sonora … notizie o immagini attinenti alla vita privata” che si svolgono nei luoghi suddetti evidenzia che l’individuazione di tali luoghi è meramente “funzionale alla tutela degli atti inerenti alla privacy altrui, inaccessibili a terzi”. In altri termini, la “ratio” della norma sarebbe da rinvenirsi nella tutela del diritto della persona di svolgere la propria vita privata senza interferenze altrui, ossia nella tutela della “privacy nei luoghi di cui all’art. 614 di tutti gli occupanti di essi” .

E’ quindi indebita anche la ripresa di chi, pur trovandosi legittimamente nei luoghi filmati, si procuri notizie o immagini attinenti alla vita privata degli altri occupanti che, implicitamente o esplicitamente, non abbiano prestato il consenso, essendo tutelata “la segretezza delle immagini e delle notizie attinenti alla vita privata che si svolge all’interno dell’abitazione o di altri luoghi di privata dimora”.

Tali ultime affermazioni potrebbero indurre a ritenere che sia irrilevante l’oggetto della ripresa, in quanto, come già affermato espressamente in altre precedenti decisioni, “il concetto di vita privata si riferisce a qualsiasi atto o vicenda della persona in luogo riservato” (in tal ultimo senso, Cass.V, n. 22221/2017; Cass. V. n. 1766/2007, che parificano la videoripresa dell’inconsapevole moglie intenta a cucinare o a sorseggiare un caffè a quella in cui la stessa si intrattiene in rapporti sessuali). Per alcuni versi, si colloca nella direzione seguita da Cass V, n.13384/2019, Cass V, n. 36109/2018,  là dove dà rilevanza al consenso, implicito o esplicito della persona ripresa. In tale ultima decisione, infatti, la Corte ha affermato che il reato in questione è configurabile nel caso di chi, nella propria casa, filmi la propria moglie, nuda o seminuda in bagno, senza che questa abbia prestato, anche implicitamente, il proprio consenso. La Corte, però, in motivazione, diversamente da quanto ritenuto Cass.  V, n. 13384/2019, dopo aver precisato che l’oggetto giuridico del reato è la riservatezza domiciliare, ossia il diritto all’esclusiva conoscenza di quanto attiene alla sfera privata domiciliare e, cioè, il diritto all’estrinsecazione della personalità nei luoghi di privata dimora, ha affermato che per escludere la rilevanza penale della condotta non è decisivo che il fatto avvenga nell’abitazione di chi ne sia l’autore, ma occorre che l’agente non partecipi ai comportamenti filmati e che, contemporaneamente, manchi il consenso, implicito o esplicito, delle persone riprese. Si è affermato, dunque, che risponde del reato chi “predispone mezzi di captazione visiva o sonora nella propria abitazione, carpendo immagini o notizie attinenti alla vita privata degli altri soggetti che vi si trovino, siano essi stabili conviventi o occasionali ospiti”, mentre non risponde del medesimo reato “colui che condivide con i medesimi soggetti e con il loro consenso l’atto di vita privata. Il discrimine tra interferenza illecita e lecita non è, infatti, dato dalla natura del momento di riservatezza violato, bensì dalla circostanza che il soggetto attivo sia stato o meno partecipe”.

Tale ultima decisione ribadisce principi conformi a quelli già affermati dalla già richiamata Cass. V, n. 22221/2017, che dà rilevanza, anch’ essa, oltre che al consenso della persona offesa, anche alla circostanza che il soggetto attivo sia o meno partecipe alle riprese.

Ed invero, nella motivazione di tale ultima sentenza si legge che non può considerarsi decisivo, per escludere la rilevanza della condotta, che il fatto avvenga nell’abitazione di chi ne è l’autore, ma che ciò che rileva è che il dominus loci sia o meno “estraneo al momento di riservatezza captato, con la conseguenza che risponde del reato chi predispone una videocamera nel bagno di casa sua per carpirne immagini di chi (convivente o ospite che sia) vi si trattenga per accudire alla propria persona”, mentre non ne risponde “il padrone di casa che si faccia la doccia con il suddetto convivente od ospite, con il consenso di entrambi a condividere quella dimensione privata, e pur decida di riprendere la scena all’insaputa altrui”. Si discosta totalmente dalle decisioni sopra riportate, Cass. V, n. 27160/2018,  secondo cui, invece, non integra il delitto in questione la condotta di colui che, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva, in un’abitazione in cui sia lecitamente presente, filmi scene di vita privata, pur in assenza di consenso da parte di chi viene ripreso, in quanto l’interferenza illecita normativamente prevista è solo quella realizzata dal terzo estraneo che violi l’intimità del domicilio.

Secondo la pronuncia da ultimo richiamata il disvalore penale della condotta, dunque, è ricollegato esclusivamente alla violazione dei luoghi di privata dimora, intesi come luoghi che consentono una sia pur temporanea esclusiva disponibilità dello spazio, nel quale sia garantita un’area di intimità e riservatezza. Per tale decisione, dunque, che valorizza la collocazione della norma in questione nella sezione dedicata ai “delitti contro l’inviolabilità del domicilio”, è configurabile la condotta illecita di cui al reato in questione nella sola ipotesi di “ presenza non autorizzata” nei luoghi di privata dimora, con la conseguenza che non può commettere il delitto colui che si trovi lecitamente nei predetti luoghi “poiché è divenuto parte di quella vita privata”.

Materialità

La condotta incriminata consiste alternativamente nel procurare indebitamente, mediante l'utilizzo di strumenti di ripresa visiva o sonora notizie o immagini attinenti la vita privata di un terzo, ovvero nel rivelare o diffondere con qualunque mezzo di informazione le predette notizie o immagini.

Ambedue le condotte individuano un reato istantaneo ad effetti permanenti in quanto, sia l'indiscrezione, che la rivelazione hanno capacità, tra l'altro, di protrarre nel tempo i loro effetti dannosi per il bene tutelato.

Procacciamento indebito di notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nel domicilio altrui, ottenuto mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora.

Il reato, richiede una particolare modalità di acquisizione delle notizie o immagini.

È' necessario che l'acquisizione di queste sia avvenuta mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, con esclusione, quindi, dalla rilevanza penale di tutti i comportamenti di curiosa indiscrezione che non presentino quei caratteri di insidiosità e capacità di fissazione che sono propri dei moderni strumenti di captazione del suono come della immagine (Palazzo, 130; Zagnoni, 980; Mantovani, 534; Antolisei, 243), con conseguente impunità di comportamenti (quali origliare, pedinare, richiedere informazioni con l'inganno o con altri mezzi fraudolenti a familiari, ad amici, al portiere, a domestici) altrettanto atti ugualmente carpire la conoscenza di immagini o notizie private.

Tale locuzione, anche se rispettosa del canone della tassatività è volutamente aperta in modo da consentire un continuo aggiornamento rispetto all'evoluzione tecnologica.

Gli strumenti indicati dalla disposizione in esame devono garantire oltre che la captazione, anche la memorizzazione dell'immagine e del suono: tali sono le cineprese, i teleobiettivi, i registratori, le microspie e tutti gli strumenti dotati di una capacità di captare suoni e immagini (Fiandaca-Musco, 241)

Casistica

L'installazione abusiva di una ricetrasmittente collegata al telefono di una abitazione, con la quale si rende possibile la intercettazione delle comunicazioni telefoniche che avvengono su tale utenza, realizza la condotta descritta dall'art. 617-bis, mentre la previsione di cui all'art. 615-bis riguarda il diverso caso di indebita captazione di notizie o di immagini attinenti alla sfera privata mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora (cineprese, videocamere, apparecchi magnetofonici), al di fuori, dunque, della intercettazione di conversazioni telefoniche intercorrenti tra la vittima del reato e terzi (Cass. VI, n. 13793/1999: fattispecie in cui l'autore del fatto aveva abusivamente installato una ricetrasmittente collegata al telefono della moglie separata; Cass. II, n. 7091/1988).

La condotta criminosa deve inoltre estrinsecarsi nei luoghi di privata dimora e negli altri indicati nell'art. 614, nozioni queste a cui risulta estranea l'autovettura che si trova su una pubblica via (Cass V, n. 4926/2009).

Così come non sussiste il reato in argomento nel caso di condotta costituita dall'installazione, all'interno dei locali di proprietà esclusiva di un condomino, di telecamere atte ad inquadrare le aree condominiali antistanti l'ingresso ai suddetti locali, per accertare l'identità degli autori dei ripetuti episodi di danneggiamento ed imbrattamento verificatosi in danno del medesimo condomino, dal momento che l'area interessata dalle videoregistrazioni, operate con telecamera sita all'interno dell'appartamento, ricade nella fruizione di un numero indifferenziato di persone e non attiene alla sfera di privata dimora di un singolo soggetto (Cass. II, n. 5591/2007).

Allo stesso modo non sussistono gli estremi atti ad integrare il delitto di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis) nel caso in cui un soggetto effettui riprese dell'area condominiale destinata a parcheggio e del relativo ingresso, trattandosi di luoghi destinati all'uso di un numero indeterminato di persone e, pertanto, esclusi dalla tutela di cui all'art. 615-bis, la quale concerne, sia che si tratti di «domicilio», di «privata dimora» o «appartenenze di essi», una particolare relazione del soggetto con l'ambiente in cui egli vive la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza.

È stato altresì affermato che integra il reato di cui all'art. 615-bis, comma 1, la ripresa fotografica da parte di terzi di comportamenti che si svolgono in luoghi di privata dimora solo se questi sono sottratti alla normale osservazione dall'esterno, ma non anche se i medesimi possono essere liberamente osservati dall'esterno senza ricorrere a particolari accorgimenti, in quanto la tutela della riservatezza del domicilio è limitata a ciò che si compie in tale luogo in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile ad estranei. (Cass. II, n. 25363/2015: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la motivazione della sentenza che aveva ravvisato la configurabilità del reato in questione, escludendo che le immagini captate con l'uso di un teleobiettivo e di un particolare programma al computer per ingrandire i fotogrammi senza modificarne la risoluzione, potessero considerarsi visibili dall'esterno del domicilio).

La lesione della riservatezza punita dall'art. 615-bis può consumarsi, attraverso illecite interferenze, anche nei locali ove si svolge il lavoro dei privati (studio professionale, ristorante, bar, osteria, negozio in genere), in quanto la facoltà di accesso da parte del pubblico non fa venire meno nel titolare il diritto di escludere singoli individui non autorizzati ad entrare o a rimanere. (Cass. V, n. 10444/2005 nel caso di specie la Corte ha ritenuto che anche scattare una foto con il cellulare [mms] all'insaputa o contro la volontà di chi ha lo «ius excludendi» sul luogo di lavoro può integrare il reato «de quo»).

In precedenza era stato invece ritenuto che non è configurabile il reato nel caso di notizie o immagini (nella specie, riprese filmate), acquisite negli ambienti di lavoro di uno stabilimento industriale, non potendo tali locali essere qualificati — a differenza di quanto deve ritenersi con riguardo ai locali che costituiscono sede dell'impresa — luoghi di privata dimora. Cass. V, 35497/2001; Cass. V, 35947/2001. La nozione di «luogo di privata dimora» rilevante ai fini dell'art. 615-bis, postula un soggiorno di una certa durata, anche se breve, nel luogo suddetto, tale da far ritenere ragionevolmente apprezzabile l'esplicazione di vita privata che in esso si svolge. Pertanto, lo stabilimento industriale di stoccaggio, nel quale l'imprenditore si reca saltuariamente per svolgere funzioni di direzione e controllo, non può considerarsi «luogo di privata dimora».

È stato altresì affermato che, ai fini della configurabilità del reato in argomento, è irrilevante la mancata identificazione, o la non identificabilità, della persona cui si riferisce l'immagine abusivamente captata dal terzo, atteso che il titolare dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice, nel cui ambito rientra la riservatezza che connota i momenti tipici della vita privata, non è soltanto il soggetto direttamente attinto dall'abusiva captazione delle immagini, ma chiunque, all'interno del luogo violato, compia abitualmente atti della vita privata che necessariamente alle stesse si ricolleghino. Il concetto di «vita privata» tutelato dalla norma non deve essere inteso, ad avviso del collegio, in senso soggettivo, ma in senso oggettivo, di guisa che non può ritenersi rilevante ai fini dell'esclusione dell'ipotesi criminosa in esame la mancata o non identificabilità della persona, cui si riferisce l'immagine abusivamente captata (Cass. VI, n. 7550/2011: Fattispecie in cui il dipendente di una struttura ospedaliera si era indebitamente procurato con il suo cellulare immagini attinenti alla vita privata dei pazienti, fotografandone gli organi sessuali mentre facevano la doccia).

Deve aggiungersi che la ripresa fotografica da parte di terzi lede la riservatezza della vita privata ed integra il reato di cui all'art. 615-bis, sempre che vengano ripresi comportamenti sottratti alla normale osservazione dall'esterno, essendo la tutela del domicilio limitata a ciò che si compie in luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile ad estranei. Ne consegue che se l'azione, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora, può essere liberamente osservata senza ricorrere a particolari accorgimenti, il titolare del domicilio non può vantare alcuna pretesa al rispetto della riservatezza. (Cass. VI, n. 40577/2008: Fattispecie relativa ad una ripresa fotografica dalla strada pubblica di due persone che uscivano di casa e si trovavano in un cortile visibile dall'esterno).

È stato ritenuto integrare il delitto d'interferenza illecita nella vita privata la condotta di colui che con l'uso di una macchina fotografica si procuri indebitamente immagini di ragazze, partecipanti al concorso di «Miss Italia», ritratte nude o seminude nel camerino appositamente adibito per consentire loro di cambiarsi d'abito, in quanto detto camerino rientra nei luoghi di privata dimora, intesi come luoghi che consentono una sia pur temporanea esclusiva disponibilità dello spazio, nel quale sia temporaneamente garantita un'area d'intimità e di riservatezza (Cass. V, n. 36032/2008).

Secondo Cass. V, n. 4669/2017, il reato di cui all'art. 615-bis sussiste nell'ipotesi in cui le riprese siano effettuate in assenza del soggetto la cui riservatezza domiciliare viene violata, ma a condizione che il luogo ove avviene la captazione sia rimasto connotato dalla sua personalità, sia, cioè, in grado di restituire un'effettiva e concreta testimonianza della vita privata del medesimo, atteso che oggetto di punizione non à la mera intrusione nel domicilio altrui.

È stato escluso il delitto di cui all'art. 615-bis nel caso in cui la videoregistrazione di rapporti intimi sia stata effettuata quando l'agente e la persona offesa convivevano e le immagini non siano state diffuse a terzi. L'interferenza illecita prevista e sanzionata dal predetto art. 615-bis è quella proveniente dal terzo estraneo alla vita privata e non già quella del soggetto che, invece, sia ammesso, sia pure estemporaneamente, a farne parte, mentre è irrilevante l'oggetto della ripresa, considerato che il concetto di «vita privata» si riferisce a qualsiasi atto o vicenda della persona in luogo riservato (Cass. V, n. 1766/2007).

Il procacciamento di notizie e immagini deve essere realizzato indebitamente. Parte della dottrina ritiene che si tratti di una nota di antigiuridicità speciale, rendendo non punibile, in particolare, le condotte che sembrano giustificate da un interesse superiore o uguale rispetto a quello leso (Manna, 116; Antolisei, 186) altri autori ritengono che tale espressione del riferimento alla necessità di accertare l'esistenza o meno di cause di giustificazione (in particolare il consenso dell'avente diritto, l'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere) Zagnoni, 970).

Secondo la giurisprudenza non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis) la condotta di colui che faccia riprese fotografiche e videofilmate dell'attività edificatoria in corso nella contigua proprietà della persona offesa e consistente nella realizzazione di un muretto di confine, considerato che, ai fini della fattispecie incriminatrice, l'attività intrusiva deve essere indebita e, pertanto, priva di qualsivoglia ragione giustificativa della condotta dell'agente, sostanziandosi in una gratuita intrusione nella vita privata altrui, il che non si verifica nel caso di realizzazione di un manufatto in prossimità di un confine prediale, il quale postula il rispetto delle prescrizioni civilistiche e, per di più, costituisce attività agevolmente osservabile e, come tale, non sottratta alla normale osservazione dall'esterno (Cass. V, n. 25453/2011). Così come non commette il reato colui che assiste ad una conversazione telefonica svoltasi fra altre persone, in quanto autorizzato da una delle stesse (Cass. VI, n. 15003/2013).

Rivelazione e diffusione di notizie e di immagini acquisite con i mezzi sopra indicati

La norma richiede che essa avvengano mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico.

Per rivelazione deve intendersi il portare la notizia o l'immagine a conoscenza di una o più persone determinate. Per divulgazione, invece, il diffondere indiscriminatamente la notizia al pubblico (Fiandaca Musco, 737).

L'oggetto materiale della condotta sono le notizie o le immagine attinente alla vita privata. Proprio riguardo alla fattispecie di diffusione il reato si può presentare con i tipici connotati del reato per televisione, qualora abbia il centro della sua struttura il contenuto della trasmissione televisiva. Infatti lo strumento di diffusione per eccellenza è proprio la televisione rispetto alla quale possono concretizzarsi gli elementi visivi o sonori che connotano la figura criminosa che non potrà essere giustificata quale esercizio del diritto di informazione (Trib. Milano 8.4.1991).

Sul presupposto della sostanziale diversità degli effetti della diffusione, rispetto a quelli della mera rivelazione, in dottrina si è proposta una interpretazione restrittiva della norma che in realtà penalizzerebbe solo i fatti di diffusione, in quanto i due termini sarebbero da intendersi come sinonimi (Palazzo,148). Prevale però la tesi dell'autonoma rilevanza delle due condotte, la cui gravità, ai fini dell'irrogazione delle pene, andrà certamente valutata caso per caso, anche in considerazione dell'ampia cornice edittale. Per facilitare l'integrazione del reato il legislatore, a differenza di altri reati di rivelazione, non ha richiesto la prova di un concreto nocumento subito dalla persona offesa.

Il soggetto attivo solitamente è persona diversa da quella che ha ottenuto indebitamente le notizie o le immagine.

Nell'ipotesi in cui sia la stessa persona si pone il problema del concorso tra i due reati.

Si sono formati in dottrina tre diversi orientamenti: alcuni ravvisano un concorso di reati (Antolisei, 187), altri ritengono invece che l'indiscrezione debba essere considerata come un antefatto non punibile della condotta di divulgazione anche al fine di evitare un eccessivo carico sanzionatorio(Palazzo, 154); altri ancora considerano l'articolo 615-bis un delitto a fattispecie alternativa che si consuma al verificarsi alternativamente di una delle due ipotesi (Manna, 118).

Elemento soggettivo

Il reato richiede il dolo generico, consistente nella volontà cosciente dell'agente di procurarsi indebitamente immagini di sé i dati indicati con le modalità e nei luoghi privi di, ovvero di comunicarli con i mezzi richiamati dal secondo comma dell'articolo in esame (Cass. I, n. 25666/2003) non rilevando il fine specifico prepostosi dall'agente (Cass. n. 20233/2003).

Secondo la teoria accolta con riferimento all'avverbio indebitamente, diversi sono i risultati ai quali si giunge in tema di rilevanza dell'errore. La scusabilità dell'errore sul carattere indebito dell'accordo, tale da rendere applicabile l'art. 47 ultimo comma è ammessa da coloro che ritengono la clausola un elemento normativo della fattispecie. Coloro che sostengono invece la tesi secondo la quale il termine indebitamente non opera altra funzione che quella di richiamare l'attenzione sull'eventuale presenza di cause di giustificazione, ritengono irrilevante l'errore sulla liceità o meno del comportamento.

Consumazione e tentativo

Il reato si consuma nel momento e nel luogo dell'indebito procacciamento delle notizie o delle immagini, ovvero della diffusione delle stesse. Si tratta di reato istantaneo con effetti eventualmente permanenti.

Il tentativo è configurabile.

Decidendo su conflitto di competenza la Cassazione ha ritenuto che nel caso di riproduzione su un periodico di immagini attinenti alla vita privata di soggetto, captate, mediante strumenti di ripresa visiva a distanza, all'interno della sua abitazione, fatto che integra il reato di interferenze illecite nella vita privata, la cognizione appartiene al giudice che ha giurisdizione sul luogo in cui si pubblica il giornale e non a quello del luogo in cui le immagini sono state captate (Cass I, n. 41375/2009).

Circostanza aggravante

Il terzo comma prevede una circostanza aggravante nell'ipotesi in cui il soggetto attivo sia un pubblico ufficiale, un incaricato di pubblico servizio o un investigatore privato.

L'aggravante far scattare la procedibilità d'ufficio ed eleva la sanzione da un minimo di un anno ad un massimo di cinque anni

Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante prevista dall'art. 615-bis, comma 3, è necessario che la realizzazione dei reati previsti dal medesimo articolo — integrati dalle condotte di procurarsi, di rivelare e diffondere indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi in un luogo di privata dimora o nelle sue appartenenze — sia connessa con l'esercizio del potere o la violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio ovvero con l'esercizio della professione di investigatore privato, nel senso che le indicate qualità devono avere almeno agevolato la commissione del reato. (Cass. V, n. 33265/2015. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto correttamente esclusa dal giudice di merito l'aggravante, contestata con riferimento all'esercizio della professione di investigatore privato, evidenziando che l'attività compiuta dall'imputato, il quale si era limitato a fornire ed installare le apparecchiature utilizzate per la captazione, era da considerarsi come semplicemente prodromica rispetto all'uso di tali strumenti).

Rapporti con altri reati

Per quanto riguarda i rapporti con il reato di furto la giurisprudenza è dell'avviso che a sola ripresa visiva di documenti altrui, realizzata nello stesso luogo in cui essi sono conservati, non ne comporta la sottrazione o l'impossessamento e quindi integra non il reato di furto, bensì quello di interferenze illecite nella vita privata previsto dall'art. 615-bis (Cass. IV, n. 9016/1995 nella specie, non è stato ritenuto configurabile il reato di furto, fatto salvo l'accertamento dell'esistenza dei presupposti del reato di interferenze illecite nella vita privata, rispetto alla condotta di un soggetto che era stato nottetempo sorpreso negli uffici dell'amministrazione di una azienda, mentre fotografava dei fascicoli contenenti gli ordinativi d'acquisto di quest'ultima).

È configurabile il concorso tra le fattispecie descritte dagli artt. 614 e 615 con quelle di interferenza illecita, qualora ad esempio un soggetto si introduca clandestinamente in un'abitazione altrui e mediante strumenti di ripresa visiva o sonora, si procuri indebitamente le notizie o le immagini attinenti alla vita privata

È stato ritenuto il concorso tra il reato dell'art. 615-bis e quello di intercettazione telefonica (art. 617), nel caso in cui l'utilizzo dello strumento di ripresa sonora era stato affiancato da uno strumento di intercettazione telefonica (Cass. II, 29 marzo1988).

I limiti alla riservatezza domiciliare

Il bene della riservatezza domiciliare può trovare limitazione, nei casi e nei modi tassativamente previsti dalla legge, solo allorquando venga a confliggere con interessi meritevoli di eguale o superiore tutela costituzionale (artt. 14 e 15 Cost.; art. 12 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo e artt. 8 e 10 Cedu). Pertanto le limitazioni a tale bene (ispezioni, perquisizioni reali, sequestri, illecite captazioni) saranno scriminate solo allorquando, sulla base di espressa previsione di legge, queste siano tassativamente previste nonché effettuate nel rispetto del principio di riserva di giurisdizione, per esigenze di giustizia e per atto motivato o sottoposto a ratifica dell'autorità giudiziaria.

Deroghe alla riserva di giurisdizione sono ammesse, sempre e soltanto nei casi previsti dalla legge, solo limitatamente agli accertamenti o ispezioni per motivi di sanità pubblica o a fini economici e fiscali (Mantovani, 535).

Pertanto la previsione dell'art. 266, comma 2, c.p.p., che consente l'intercettazione delle conversazioni tra presenti e le intercettazioni ambientali, sulla base dei precisi presupposti fissati dalla legge, costituisce un limite scriminante delle condotte di interferenza domiciliare che altrimenti ricadrebbero sotto la previsione degli artt. 615 bis, nonché 617 (Ronco, 1162).

Sulla questione della legittimità delle videoriprese in ambito domiciliare e conseguentemente sulla loro utilizzabilità probatoria è intervenuta la Corte cost. n. 135/2002. La questione era stata sollevata nel corso di un'udienza preliminare rispetto a riprese visive effettuate in base a un provvedimento del pubblico ministero. Il giudice aveva dubitato della legittimità costituzionale degli artt. 189 e 266-271 c.p.p. e, segnatamente, dell'art. 266, comma 2, c.p.p., nella parte in cui «non estendono la disciplina delle intercettazioni delle comunicazioni tra presenti nei luoghi indicati dall'art. 614 alle riprese visive o videoregistrazioni effettuate nei medesimi luoghi». La questione mirava ad ottenere una pronuncia additiva che allineasse la disciplina processuale delle riprese visive in luoghi di privata dimora a quella delle intercettazioni di comunicazioni fra presenti nei medesimi luoghi, e la decisione della Corte è stata negativa. La Corte ha ritenuto che le riprese visive in ambienti domiciliari non siano precluse in modo assoluto dall'art. 14 Cost. e che il riferimento fatto dal legislatore costituente solo alle ispezioni, alle perquisizioni e ai sequestri «non è necessariamente espressivo dell'intento di »tipizzare« le limitazioni permesse, escludendo a contrario quelle non espressamente contemplate; poiché esso ben può trovare spiegazione nella circostanza che gli atti elencati esaurivano le forme di limitazione dell'inviolabilità del domicilio storicamente radicate e positivamente disciplinate all'epoca di redazione della Carta, non potendo evidentemente il Costituente tener conto di forme di intrusione divenute attuali solo per effetto dei progressi tecnici successivi». Esclusa pertanto l'esistenza nella Carta costituzionale di un divieto assoluto della forma di intrusione domiciliare in questione, la Corte ha affermato che la ripresa visiva quando è finalizzata alla captazione di «comportamenti a carattere comunicativo» «ben può configurarsi, in concreto, come una forma di intercettazione di comunicazioni tra presenti», alla quale «è applicabile, in via interpretativa, la disciplina legislativa della intercettazione ambientale in luoghi di privata dimora». Nel caso invece in cui si fuoriesca dalla videoripresa di comportamenti di tipo comunicativo non è possibile estendere alla captazione di immagini in luoghi tutelati dall'art. 14 Cost. la normativa dettata dagli artt. 266 e ss. c.p.p., «data la sostanziale eterogeneità delle situazioni: la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni, da un lato; l'invasione della sfera della libertà domiciliare in quanto tale, dall'altro».

Le Sezioni Unite con la sent. n. 26795/2006 hanno affermato che le riprese video di comportamenti «non comunicativi» non possono essere eseguite all'interno del «domicilio», in quanto lesive dell'art. 14 Cost. Ne consegue che è vietata la loro acquisizione ed utilizzazione anche in sede cautelare, e, in quanto prova illecita, non può trovare applicazione la disciplina dettata dall'art. 189 c.p.p.

Profili processuali

Il reato, nella forma semplice, è perseguibile a querela di parte; nella forma aggravata d'ufficio

L'arresto è facoltativo in flagranza. Il fermo non è consentito.

Le misure cautelari personali sono consentite. L'autorità giudiziaria competente è il Tribunale monocratico.

Bibliografia

Bolognesi, La disciplina delle intercettazioni telefoniche a fronte della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, in Dir.pen. e proc., 1996, 12, 1528; Bricola, Prospettive e limiti della tutela penale della riservatezza, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1967; Flick, Libertà individuale (delitti contro la), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974; Manna, Tutela penale della personalità, Bologna 1993; Mantovani,Diritto alla riservatezza e libertà di manifestazione del pensiero con riguardo alla pubblicità dei fatti criminosi, in Il diritto alla riservatezza e sua tutela penale, Milano, 1970, 405; Palazzo, Considerazioni in tema di tutela della riservatezza (a proposito del nuovo art. 615 bis c.p.), in Riv. it. dir. e proc. pen. 1975, 551; Patrono, Privacy e vita privata, in Enc. dir., XXXV, Milano, 1986, Ronco, Vita privata (interferenze illecite nella), in Nss.d.I., VII, Torino, 1987, 1162; Zagnoni, Sulla tutela penale del diritto alla riservatezza, in Riv. it. dir. pen. 1982, 971.

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