Codice Penale art. 616 - Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza.Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza. [I]. Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da 30 euro a 516 euro [619] (1). [II]. Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni [618] (1). [III]. Il delitto è punibile a querela della persona offesa [120]. [IV]. Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per corrispondenza s'intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza (2). (1) Per un'ipotesi di aumento della pena, v. art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104. (2) Comma così sostituito dall'art. 5 l. 23 dicembre 1993, n. 547. competenza: Trib. monocratico arresto: non consentito fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita altre misure cautelari personali: non consentite procedibilità: a querela di parte InquadramentoLa Sezione V del Capo III, Titolo XII (artt. 616-623-bis disciplina varie figure di reato accomunate tra loro dalla unicità del bene giuridico protetto. Si tratta di norme poste a tutela di quell'aspetto della libertà individuale che concerne il diritto alla riservatezza e il diritto al segreto, ovvero il diritto del singolo di escludere i terzi dalla conoscenza di determinate comunicazione o notizie attinenti alla propria vita privata. L'originario insieme di fattispecie incriminatrice avente ad oggetto la tutela dell'inviolabilità dei segreti si è nel tempo arricchita di altre figure di reato, introdotte l. n. 98/1974 e dalla l. n. 547/1993 (non solo mediante la modifica delle norme esistenti, ma anche attraverso la tecnica dell'inserimento di articoli —bis, —ter, —quater, ecc.) dando luogo ad una pluralità di ipotesi criminose che si differenziano tra loro della specificità dei beni tutelati: l'inviolabilità della corrispondenza, l'inviolabilità delle comunicazioni, l'inviolabilità della segretezza. Nel quadro complessivo della tutela dei segreti le disposizioni in argomento si riferiscono ai c.d. segreti privati, mentre gli artt. 256 e 326 si riferiscono rispettivamente al segreto politico/militare e al segreto d'ufficio. Nonostante l'esistenza di una serie di norme che espressamente o implicitamente sono incentrate sul concetto di segreto, non è possibile rinvenire una sua definizione specifica e univoca. In assenza di una precisa norma definitoria la dottrina si è assunta il compito di dare una definizione giuridica di segreto, trovandosi concorde soltanto nel riconoscere le difficoltà di una definizione soddisfacente. Secondo la definizione tradizionale segreto più che una cosa o una notizia è una relazione che intercorre tra la conoscenza di cose o fatti ed un determinato soggetto. Questa relazione si profila sotto un duplice aspetto: dal punto di vista passivo, il segreto importa il divieto per chi non è autorizzato, di procurarsi o divulgare o utilizzare le notizie relative ad un dato oggettivo; dal punto di vista attivo, esso dà luogo al diritto di determinate persone di escludere altri dalla conoscenza, dalla comunicazione, dallo sfruttamento di quelle notizie (Antolisei,252; Crespi, 7). Dal punto di vista soggettivo, il segreto inteso come rapporto esclusivo di una persona con determinate informazioni (Garavelli, 611). Si discute in dottrina su quale sia il fondamento del segreto, ossia la ragione per cui un fatto o una cosa diventano legittimamente celabili: in particolare ci si chiede se ciò dipenda da un atto di volontà diretta ad investire una determinata relazione del carattere di segretezza (Morsillo, 291), o da un elemento oggettivo ravvisato nell'interesse al mantenimento del segreto (Crespi, 7), ovvero infine dalla titolarità di un diritto che ponga il dato che si vuole mantenere celato nella sfera di assoluta pertinenza di un soggetto (Antolisei, 254). Perché si possa pretendere il segreto è inoltre necessario che l'accadimento o la cosa oggetto della relazione di conoscibilità non siano notori, cioè a cognizione di un rilevante numero di persone oltre a quelle che possono legalmente conoscerli e che sussista un interesse apprezzabile a che la loro conoscenza non venga acquisita, divulgata o utilizzata senza il consenso. Bene giuridicoPer quanto attiene al bene giuridico tutelato dall'art. 616 viene individuato nella libertà della corrispondenza e nel complementare diritto alla riservatezza della corrispondenza medesima. La dottrina distingue tra le ipotesi di violazione e sottrazione di corrispondenza da un lato e quella di soppressione di corrispondenza dall'altro. Le prime due tutelano l'interesse alla riservatezza della corrispondenza, come diritto di celare a tutti coloro che non siano i destinatari, il contenuto della comunicazione a prescindere dal fatto che questo sia di carattere segreto oppure no; la seconda invece tutela la libertà di comunicare con altri (Flick, 552; Fiore, 7; Lago, sub art. 616, in Comm. Dolcini, Marinucci, Milano, 2011, 6008; Petrone, Segreti, 95). Il fondamento costituzionale della tutela dei suddetti beni giuridici si rinviene nell'art. 15 Cost. che afferma il loro carattere inviolabile consentendone eventuali limitazioni solo per atto motivato dell'autorità giudiziaria e con le garanzie stabilite dalla legge. Quanto al grado di offesa necessario per configurarsi il reato le ipotesi di violazione e soppressione di corrispondenza integrano gli estremi di un reato di danno, mentre la fattispecie di sottrazione e distrazione e strutturata secondo lo schema di una fattispecie di pericolo, in cui la presa di cognizione costituisce l'obiettivo verso cui deve essere finalizzata alla condotta senza che per il configurarsi del reato sia necessaria la sua realizzazione. Soggetto attivo e soggetto passivoSoggetto attivo del reato è chiunque, ivi compresi i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio, nei cui confronti, se ne ricorrano le condizioni, si configura l'aggravante di cui all'art. 61 n. 9. Non vi rientrano invece quei soggetti che rivestono una qualifica che comporta il passaggio ad un reato proprio, come gli addetti al servizio civile delle poste, dei telegrafi e dei telefoni (i quali, nel caso in cui con abuso delle loro qualità, realizzano le condotte contemplate dal comma uno della disposizione in argomento, saranno responsabili del più grave reato di cui all'art. 619 comma 1), o come i militari addetti al servizio postale, telegrafico o telefonico militare (che se pongono in essere condotte di violazione, soppressione o sottrazione di corrispondenza commettono il reato previsto dall'art. 129 c.p.mil.p.). Il reato di cui al secondo comma può essere commesso solo da chi si sia reso colpevole di uno dei reati di cui al comma 1. L'espressione colpevole deve essere intesa in senso rigoroso bensì come sinonimo di autore anche non punibile delle ipotesi contemplate dal comma 1. Per cui, si ritiene rientrare in questa definizione chiunque abbia preso cognizione di corrispondenza in modo illegittimo, cioè non iure,le anche se non necessariamente punibile ad esempio per difetto di dolo (Dolcini-Marinucci, 631). Il destinatario e il mittente in quanto titolari dell'interesse tutelato dalla norma non rientrano nel novero dei soggetti attivi del reato Il soggetto passivo si identifica nelle persone tra le quali esista il rapporto di corrispondenza fino al momento del recapito titolare dell'interesse protetto sarà il mittente dal momento del recapito in poi il destinatario MaterialitàL'oggetto materiale del reato è costituito dalla corrispondenza chiusa, e — salvo l'ipotesi della presa di cognizione di cui al comma 1 — da quella aperta. In entrambi i casi la corrispondenza deve esser diretta a persona diversa dal soggetto agente (Mantovani, PS, I, 570). Il codice non contiene un'espressa definizione di corrispondenza, ma all'art. 616 comma quattro introdotto in funzione estensiva dall'art. 5 l. n. 547/1993, ne elenca le varie manifestazioni. La norma affianca alla individuazione espressa di alcune modalità di corrispondenza (quella «epistolare, telegrafica, telefonica,informatica o telematica») una formula di chiusura che definisce il requisito minimo di appartenenza alla categoria, attribuendo residualmente la qualità di corrispondenza a «ogni altra forma di comunicazione a distanza». Il concetto di corrispondenza è perciò limitato alle sole forme di comunicazione che avvengono a distanza, con espressa esclusione della conversazione tra presenti che dando ai dialoganti «la possibilità materiale di cautelarsi contro l'acquisizione di conoscenza da parte di estranei» (De Cupis, 122) non necessitano della tutela penale apprestata dall'art. 616 (Manca, 2473; Lago, 6010). La definizione della corrispondenza epistolare è generalmente individuata in dottrina nei due requisiti della personalità e della attualità (Manzini, VIII, 916; Mantovani, PS, I, 558; Antolisei, 253; Vigna, Dubolino, 1073;Garavelli, 432; Petrone, Violazione, 1149;; Flick, 551; Manca, Tutela, 448) specificati nell'art. 24, d.P.R. n. 655/1982 che contiene il Regolamento di esecuzione dei primi due libri del Codice postale. La norma stabilisce che «si considera corrispondenza epistolare qualsiasi invio chiuso, ad eccezione dei pacchi, e qualsiasi invio aperto che contenga comunicazioni aventi carattere attuale e personale». Il requisito dell'attualità si ritiene che venga meno quando, per decorso del tempo o per altra causa, ad uno scritto non si possa che attribuire un valore meramente retrospettivo storico, affettivo, collezionistico o probatorio (Antolisei, 253, Manzini, 916). Nessuna questione in dottrina circa l'intrinseca attualità della corrispondenza in itinere, ossia già inviata dal mittente ma non ancora pervenuta al destinatario (Vigna, Dubolino, 1074). L'indagine non è rivolta, infatti, alla natura effettivamente attuale o meno del contenuto: rileva unicamente l'attualità della comunicazione, non dell'informazione comunicata, il cui contenuto di pensiero è insindacabile (Vigna, Dubolino, 1074). Non vi è invece accordo nell'individuazione del momento in cui la corrispondenza, una volta pervenuta al destinatario, perda il suo carattere di attualità (Vigna, Dubolino, 1074; Garavelli, 432) per trasformarsi in mero documento, rilevante non più per l'art. 616 ma, eventualmente, per l'art. 621 e per le norme penali poste a tutela del patrimonio e della fede pubblica (Petrone, Segreti, 968; Petrone , Violazione, 1149; Mantovani, 558; Amato, 3787 s.). Un primo orientamento ricollega la perdita del carattere di attualità al momento della apertura del plico da parte del destinatario (Italia, 212; Vigna, Dubolino, 1074; Troisio, 10; Pecorella, 295). Si tratta d'una posizione ancora minoritaria nella dottrina penalistica italiana; tuttavia — non può non segnalarsi per i possibili riflessi interpretativi in campo penale — è questa l'esegesi che pare oggi invalsa quanto all'art. 8 C.E.D.U., secondo cui l'operatività del diritto al rispetto del segreto epistolare, e ovviamente delle altre forme di corrispondenza, dovrebbe limitarsi al momento in cui questa è in itinere, decadendo invece nel momento in cui perviene al destinatario (Tomasi, 355). Il requisito della personalità è intimamente connesso alla funzione stessa del comunicare: esso richiede infatti che la corrispondenza sia formata dal mittente al fine di farla pervenire ad uno o più destinatari determinati. Come per l'attualità, anche il requisito della personalità è oggetto di presunzione iuris et de iure nella corrispondenza chiusa, mentre è oggetto di accertamento caso per caso in quella aperta (Vigna, Dubolino, 1073, 1075; Garavelli, 432; Manca, Tutela, 448). Quanto alla corrispondenza chiusa, dunque, ad integrare l'elemento della personalità è sufficiente che sia indicato nel plico — indipendentemente dall'effettivo carattere personale del suo contenuto — un determinato destinatario (Manzini, VIII, 917; Antolisei, PS, I, 253; Petrone, Violazione, 968; Id. , Segreti, 1149; Garavelli, 432;Vigna, Dubolino, 1075; Flick, 551; Mantovani, PS, I, 558; Manca, Tutela, 448). Non rileva la natura pubblica o privata, individuale o collettiva del destinatario, né la sua qualità di persona fisica o giuridica (Manzini, VIII, 917; Vigna, Dubolino, 1076): come ben specificato in dottrina, il carattere di personalità sussiste perfino qualora la corrispondenza sia diretta, impersonalmente (Vigna, Dubolino, 1076), ad una collettività costituita da soggetti non determinati ma comunque determinabili sulla base di criteri certi, come ad esempio tutti i condòmini di un palazzo, o tutti i tesserati di un'associazione; viene invece a mancare solamente nel caso che l'espressione del pensiero sia indistintamente rivolta «al pubblico», o «agli elettori» (Manzini, VIII, 917), o ad una generalità di soggetti indeterminati e indeterminabili, come nel caso della comunicazione a tutti gli abitanti di una città, o a tutti gli ospiti di un albergo (Vigna, Dubolino, 1076), o della «lettera aperta» ai lettori di un giornale (Barile, Cheli, 745). È controverso (Mantovani, 559; Crespi, 68; Vigna, Dubolino, 1076; contra Manzini, VIII, 917, 933) se rientri nell'alveo di tutela dell'art. 616 la corrispondenza diretta a destinatario specificato ma inesistente, o di fantasia, o coincidente col mittente stesso. Il dato normativo, richiedendo semplicemente che la corrispondenza violata dal soggetto agente sia «a lui non diretta» parrebbe avvalorare la soluzione affermativa (Mantovani, 559). Va invece escluso l'intrinseco carattere di personalità, e dunque la rilevanza ex art. 616, della corrispondenza, anche se chiusa, totalmente mancante dell'indicazione di un destinatario (Crespi, 68; Manzini, VIII, 933; contra Amato, 3787). Secondo la giurisprudenza non esclude la configurabilità della fattispecie ex art. 616 l'impossibilità di recapitare la corrispondenza per essere inesistente o sconosciuto il destinatario (Cass. III, 15 ottobre 1963; Cass. III, 13 maggio 1957); non esclude la rilevanza penale — nemmeno, ex art. 49, comma 2, a titolo di reato impossibile — il fatto che la comunicazione sia diretta a un destinatario immaginario, come nel caso delle lettere di prova inviate dalla stessa amministrazione postale per saggiare la fedeltà dei dipendenti (Cass. 22 gennaio 1969; Cass. III, 5 giugno 1963; Cass. II, 17 luglio .1935). Non rileva invece, per consolidata dottrina (Manzini, VIII, 918; Petrone, Segreti, 968; Mantovani, PS, I, 558;Garavelli, 432; Lago, 6010), la determinatezza e nemmeno la effettiva determinabilità del mittente. Rientra pacificamente nell'alveo di tutela dell'art. 616, dunque, la corrispondenza proveniente da un mittente ignoto, e anche quella anonima, sottoscritta con uno pseudonimo o non sottoscritta affatto (Manzini, VIII, 918; Mantovani, PS, I, 559). In ogni caso, infatti, anche volendo in ipotesi ritenere che il mittente, non rendendosi riconoscibile, abbia abdicato al proprio diritto all'inviolabilità del plico (Manzini, VIII, 918; Crespi, 67), il destinatario manterrebbe comunque intatto il proprio diritto a ricevere regolarmente e senza l'intromissione di terzi la corrispondenza a lui destinata (Manzini, VIII, 918; Mantovani, PS, I, 559). Il carattere di personalità della corrispondenza aperta, invece, non può presumersi alla luce della mera presenza dell'indicazione di un destinatario da parte del mittente, ma deve essere verificata in concreto (Vigna, Dubolino, 1073, 1075; Kostoris, 13). Non sono personali, sotto il profilo sostanziale, le corrispondenze aperte contenenti stampe, campioni, pubblicità (Vigna, Dubolino, 1073, 1076), giornali e periodici — salvo che il mittente abbia sottolineato o segnalato alcune parti all'attenzione del destinatario (Lago, 6010) —, listini prezzi e cataloghi a scopo promozionale (Manzini, VIII, 917), mentre vi rientrano le lettere, le cartoline e i biglietti postali, i biglietti da visita, le partecipazioni, le fatture commerciali (Manzini, VIII, 919), le carte manoscritte e le cartoline illustrate (Garavelli, 432; Antolisei, PS, I, 253). Secondo la giurisprudenza deve considerarsi «corrispondenza» anche quella costituita da stampe inviate per posta, non in busta chiusa, a destinatari individuati, perché oggetto della tutela apprestata dalla fattispecie incriminatrice è l'interesse all'effettivo recapito della comunicazione (Cass V, n. 29832/2015; Cass. n. 14552/ 2004) Anche la corrispondenza contestualmente diretta ad una pluralità di soggetti(ad esempio liste di spedizione di posta elettronica cosiddette mailing liste) deve considerarsi corrispondenza epistolare personale. Tale tipo di scambio di corrispondenza si qualifica infatti per le modalità di invio telematico e per il fatto di avere, per ogni messaggio, un mittente ed una pluralità di destinatari. La pluralità di destinatari non comporta infatti l'indeterminatezza degli stessi, in quanto il messaggio, grazie alla rete informatica, viene inoltrato contestualmente a più soggetti, i quali sono esattamente individuati negli aderenti alla mailing liste medesima, le cui modalità di accesso sono regolate attraverso una iscrizione, previa comunicazione dei propri dati personali, e relativa accettazione da parte del moderatore (in tal senso Trib. Milano Civile, 5 giugno 2007). Va precisato che penalmente protetta non è soltanto la corrispondenza postale ma anche quella inviata a mano o con mezzi diversi di recapito. Per corrispondenza telefonica o telegrafica non si intende la conversazione o comunicazione effettuata a mezzo telefono un telegrafo, che invece ricade sotto il disposto dell'art. 617, bensì il supporto su cui si si dà graficamente la comunicazione che deve essere trasmessa o inoltrata La corrispondenza informatica si intende quella fissata su supporto informatico e destinata ad essere letta a mezzo computer (esempio e-mail). Con la formula di chiusura “ ogni altra forma di comunicazione a distanza” apparentemente di natura analogica (Picotti, 109), il legislatore ha voluto porre rimedio alle lacune della precedente disciplina e ricomprendere quindi ogni forma di comunicazione già introdotto da ogni riproducibile in futuro dal progresso tecnologico (Mantovani, 563). Le condotteL'art. 616, comma 1, descrive cinque ipotesi criminose: la presa di cognizione, e — suddivise in due distinti raggruppamenti — da un lato la sottrazione e la distrazione, dall'altro la distruzione e la soppressione. La congiunta realizzazione di più fattispecie tra quelle comprese nell'art. 616, comma1, non dà mai luogo, per autorevole dottrina (Antolisei, 255), a concorso di reati, ma incide unicamente, ex art. 133, sulla concreta determinazione della pena. Si afferma per contro che possa sussistere il concorso materiale di reati, in ragione della parziale diversità di bene giuridico, limitatamente al caso in cui alla realizzazione di una o più delle prime tre ipotesi segua la distruzione o la soppressione della corrispondenza (Mantovani, PS, I, 577; Manca, Tutela, 449). Una risalente giurisprudenza ha ritenuto invece configurabile il concorso materiale di reati nell'ipotesi di sottrazione della corrispondenza e successiva sua presa di cognizione, ritenute «due distinte violazioni di norme penali», perpetrate attraverso una pluralità di azioni distinte (Cass. II, 17 luglio 1935). Tale giurisprudenza escludeva il concorso materiale, infatti, solo di fronte a «vero e proprio assorbimento, come, ad esempio, nell'ipotesi di distruzione o soppressione, che presuppongono la sottrazione della lettera». La presa di cognizione La presa di cognizione può riguardare solo la corrispondenza chiusa (la mera conoscenza del contenuto di una cartolina non integra perciò la fattispecie in esame) anche se non è necessaria l'apertura dall'involucro: può bastare ad esempio la lettura in trasparenza, la captazione di una sola parte del contenuto della comunicazione, anche se all'interno del piego vi è un oggetto (es fotografia, valori) e non uno scritto. Non rileva, poi, che il soggetto agente sia o meno in grado di comprendere — ad esempio perché cieco, analfabeta, o semplicemente incapace di decifrare o tradurre i simboli, i codici, i segni grafici o la lingua straniera utilizzati dal mittente (Antolisei, PS, I, 256; Mantovani, PS, I, 570; Manca, Tutela, 449; contra Manzini, VIII, 929; Amato, 3789) — il messaggio contenuto nella corrispondenza. Viola la libertà e segretezza della corrispondenza, del resto, anche la sola abusiva cognizione del fatto che un soggetto abbia scritto o comunque effettuato un invio ad un altro (Crespi, 70; Antolisei, 256; Mantovani, 570). L'elemento della materiale apertura della busta — tuttavia — riacquista sul piano probatorio la natura di modalità principe di esecuzione del delitto, sufficiente di per sé ad integrare, secondo l'id quod plerumque accidit, l'avvenuta presa di cognizione (Vigna, Dubolino, 1065; Garavelli, 433; Mazzacuva, 386) o quantomeno il suo tentativo (Manzini, VIII, 929; Antolisei, 256; Mantovani, 570; Petrone, Segreti, 969; Crespi, 70; Amato, 3790). La corrispondenza deve inoltre essere diretta ad altri. Un problema che si è posto di recente all'attenzione degli interpreti attiene alla questione se e in quali limiti il datore di lavoro possa prendere cognizione della corrispondenza elettronica aziendale dei lavoratori senza violare l'art. 616 comma 1. Dalla giurisprudenza di merito (Trib. Milano 10 maggio 2002; Trib. Torino 15 settembre 2006; Trib. Chivasso 20 giugno 2006) è stata ritenuta non integrante gli estremi dell'art. 616 la condotta del datore di lavoro o del dirigente che, pur all'insaputa del lavoratore dipendente, assente dall'ufficio, acceda, per motivi connessi al lavoro, alla casella di posta elettronica aziendale di fatto utilizzata personalmente, e con propri username e password, dal singolo dipendente, leggendo la corrispondenza in entrata ed in uscita, non sussistendo in capo al lavoratore alcun diritto all'utilizzo esclusivo della posta elettronica aziendale — e sussistendo, per contro, il rischio palese che qualsiasi altro soggetto interno all'impresa possa lecitamente accedervi — verrebbe sostanzialmente meno, per le sentenze in esame, il presupposto stesso della segretezza della corrispondenza, e la comunicazione effettuata in siffatte circostanze dovrebbe dunque equipararsi a quelle forme di comunicazione accessibili anche a soggetti estranei — quale la bacheca di una comunità virtuale — in cui, proprio in ragione del mezzo utilizzato, non dovrebbe potersi ritenere apposto dal mittente alcun vincolo di segretezza. Già dalla pronuncia del Tribunale di Milano, primo esempio d'applicazione giurisprudenziale dell'estensione dell'art. 616 alla tutela della corrispondenza informatica e telematica — si è però innestata in dottrina una discussione che vede contrapposte tesi di matrice giuslavoristica (Lanotte, 558) — che ne condividono l'impostazione sottolineando sia il diritto datoriale d'accedere alla casella di posta elettronica utilizzata dal dipendente, sia la speculare natura d'illecito contrattuale, e la conseguente rilevanza disciplinare, dell'uso privato da parte del lavoratore della posta elettronica aziendale — ed esegesi di matrice penalistica (Pecorella, Dieci anni, 248), che censurano seccamente, invece, le scelte della giurisprudenza, sottolineando la radicale mancanza di un opportuno contemperamento tra le pur rilevanti «esigenze lavorative dell'ufficio», che possono in effetti portare alla necessità di prendere conoscenza della corrispondenza pervenuta sul luogo di lavoro al dipendente in quel momento assente, e quelle, non meno meritevoli di tutela ed invalse nella prassi, di consentire un uso anche personale — e dunque caratterizzato dalla segretezza — da parte del dipendente, della casella di posta elettronica attribuita in virtù del rapporto di lavoro. Il conferimento del crisma di segretezza della comunicazione, e la conseguente illiceità della sua presa di conoscenza da parte del datore di lavoro, dovrebbe in definitiva rinvenirsi, per la menzionata dottrina, non tanto sul parametro formale dell'afferenza o meno della casella utilizzata dal dipendente al server del datore di lavoro, quanto su quello sostanziale, ed assai più sintomatico, dell'esistenza di una chiave d'accesso personale in uso esclusivo al dipendente (l'equipollente, come più volte osservato, della chiusura della busta): proprio come nel caso della pronuncia milanese, in cui, sottolinea la citata dottrina, «la lettura della posta ricevuta dal dipendente è stata possibile grazie alla conoscenza della sua password personale da parte dei colleghi d'ufficio» (Pecorella, Dieci anni, 248, nt. 9). Tesi, quest'ultima, che pare confermata dalla recente deliberazione n. 13 del 1 marzo 2007 del Garante per la protezione dei dati personali, che individua un dettagliato disciplinare da adottarsi all'interno dell'organizzazione aziendale, al fine di evitare incertezze «criminogene» sulla natura personale, o, all'opposto, connessa alle mansioni, dell'affidamento della casella aziendale al dipendente (Manca, Tutela, 460 ss.; cfr. Pizzonia, 910). La giurisprudenza successiva (Cass. V, 47096/2007) ha utilizzato espressamente la citata deliberazione del Garante come criterio risolutivo, escludendo — nel caso specifico — la sussistenza del requisito di chiusura della corrispondenza (e ritenendo, così, l'irrilevanza penale della condotta datoriale di presa di cognizione) nella circostanza che, secondo il protocollo adottato dall'impresa coinvolta, «le password poste a protezione dei computer e della corrispondenza di ciascun dipendente dovevano essere a conoscenza anche dell'organizzazione aziendale, essendone prescritta la comunicazione, sia pure in busta chiusa, al superiore gerarchico, legittimato a utilizzarla per accedere al computer anche per la mera assenza dell'utilizzatore abituale». La sottrazione e la distrazione di corrispondenza, chiusa o aperta, non diretta al soggetto agente. Si tratta di due condotte alternative e materialmente incompatibili, di cui è ritenuta impossibile la realizzazione congiunta, con conseguente esclusione di ogni problematica inerente al concorso di reati. Entrambe le ipotesi sono caratterizzate dall'ulteriore fine di cui non è richiesta la realizzazione di prendere o far prendere cognizione a terzi del contenuto della corrispondenza. La successiva presa di cognizione costituisce dunque, esulando dalla tipicità oggettiva delle condotte in commento, un post-fatto non punibile (Mantovani, 577). Si ha sottrazione se la corrispondenza viene definitivamente rimossa dal luogo in cui si trova, così da privare l'avente diritto dalla disposizione di essa (Antolisei, 256). Non è richiesto ai fini della sussistenza del reato che la sottrazione sia seguita dall'impossessamento. La distrazione fa invece riferimento ad una deviazione del corso normale della corrispondenza, così da ostacolarne o ritardarne il recapito al destinatario, per conoscerne il contenuto. Mentre la sottrazione riguarda il fatto di chi, non detenendo la corrispondenza, la toglie al detentore, la distrazione viene commessa dal soggetto che già detiene la stessa, come il vettore. Viene sostenuta la difficoltà di ricondurre all'area della sottrazione e della distrazione, senza violare il divieto di analogia in malam partem, la duplicazione di dati informatici abusivamente captati, che avviene, di regola, senza che sia necessaria né l'apertura dei relativi file né la perdita della disponibilità in capo al legittimato (Picotti, 116). La distruzione e la soppressione L'art. 616 comma 1 punisce anche il fatto di chi distrugge o sopprime in tutto in parte la corrispondenza. Questa ulteriore fattispecie, a differenza della precedente (sottrazione- distrazione), non richiede il fine di prendere cognizione: il reato sussiste tutte le volte in cui si realizzi la soppressione o la distruzione a prescindere dal fatto che il soggetto agente ne abbia preso cognizione o abbia fatto prendere cognizione a terzi. È indifferente che si tratti di corrispondenza chiusa o aperta, purché diretta a persona diversa dall'agente. La distruzione consiste nella materiale trasformazioni dell'oggetto sul piano fisico: si tratta di un intervento traumatico e violento operato sul supporto della corrispondenza che viene deteriorato in tutto in parte, quale che sia il mezzo adoperato (incendio, taglio ecc.) rendendolo inservibile o inadeguato allo scopo. Si ha soppressione se, senza incidere materialmente sul bene che incorpora la comunicazione, viene realizzato un intervento volto ad impedire in ogni caso e in modo definitivo che la corrispondenza giunga al suo recapito. La tradizionale e ancor prevalente dottrina — costruendo i rapporti tra soppressione e distruzione in termini di specialità della seconda rispetto alla prima (Vigna, Dubolino, 1067) — vi riconduce qualunque altra modalità, diversa dalla distruzione, che cagioni la perdita definitiva ed irrimediabile della corrispondenza per il destinatario, frapponendo ostacoli assoluti e invalicabili a ch'essa giunga a destinazione (Manzini, 937; Antolisei, 256; Petrone, Segreti, 970; Garavelli, 433; Mazzacuva, 386). Viene così ricondotta nell'area del tentativo (Antolisei, 256, nt. 362), se non della mera distrazione (Manzini, 938), l'ipotesi dell'occultamento non definitivo, che consenta — o non sia sufficiente ad escludere — il successivo rinvenimento della corrispondenza. Altra autorevole dottrina, per contro, non ritiene affatto necessaria alla consumazione del reato la perdita definitiva della corrispondenza, e ravvisa la condotta di soppressione in qualsiasi attività, quale l'occultamento, semplicemente idonea a tal scopo (Mantovani, 573 s.; Vigna, Dubolino, 1067; Corasaniti, 114). Viene così ritenuta la consumazione del reato anche nel caso che vi sia il successivo rinvenimento della corrispondenza (Mantovani, 573 s.; Vigna, Dubolino, 1067; Corasaniti, 114), o la sua distruzione per causa esterna ed autonoma rispetto alla volontà del soggetto agente (Corasaniti, 114). In materia di comunicazioni telematiche, viene ricondotto alle ipotesi di distruzione o soppressione lo sviamento o l'interruzione del flusso comunicativo da parte di utente non abilitato, impedendo la ricezione del messaggio da parte del destinatario o deviandolo ad altro utente (Corasaniti, 112). Viene ravvisata la fattispecie di soppressione nella cancellazione o mascheratura di dati informatici (Picotti,116) La soppressione o distruzione parziale della corrispondenza assume rilevanza penale ex art. 616 qualora si traduca in una pur minimamente rilevante turbativa della libertà di comunicare (Manzini, 938; Mantovani, 573 s.; Vigna, Dubolino, 1068). La rivelazione La norma contenuta sanziona il soggetto che, dopo aver preso cognizione secondo le modalità nel secondo comma dell'art. 616 di cui al comma 1 del contenuto di una corrispondenza, senza giusta causa, lo riveli in tutto o in parte attraverso mezzi d'informazione al pubblico. L'ipotesi di rivelazione è sanzionata più gravemente rispetto alle fattispecie contemplate dal primo comma. È sorta l'esigenza di comprendere se essa costituisca titolo di reato autonomo (in tal senso: Antolisei, PS, I, 256; Petrone, Segreti, 962, 970; Garavelli, 433; Mantovani, PS, I, 574; Vigna-Dubolino, 1068; Amato, 3793; Lago, 6015;), o se, al contrario, essa sia qualificabile come circostanza aggravante (Manzini, VIII, 950). Considerato che l'enunciazione dell'art. 616, cpv. non si esaurisce infatti, come riduttivamente sostenuto dai fautori della tesi circostanziale, in un mero «quid pluris, che viene ad aggiungersi al fatto costituente una delle ipotesi tipiche del reato» di cui al 1° comma (Manzini, VIII, 950), ma descrive del tutto autonomamente rispetto alle condotte di cui al 1° co., «un nuovo modo di atteggiarsi della condotta del colpevole» (Antolisei, PS, I, 256) sembra più corretto ritenerla un'ipotesi di reato autonomo. La fattispecie integra un'ipotesi di reato complesso in senso lato, in cui la realizzazione dell'intera sequenza criminosa comporta la punibilità unicamente a titolo di rivelazione (Mantovani, 577; Manca, 450 s.). La condotta consiste nel rivelare in tutto o in parte, ad una o più persone, senza giusta causa, il contenuto della corrispondenza, illecitamente conosciuta. Il colpevole è punito solo se dal fatto deriva nocumento. L'art. 616, cpv. non richiede, a differenza di quanto previsto dall'art. 617, c.p. comma 2, che la rivelazione avvenga attraverso mezzi di informazione al pubblico. Deve pertanto ricondursi alla fattispecie in esame la condotta di chi in qualsiasi modo porti a conoscenza di una o più persone, o anche di un più rilevante numero — determinato o indeterminato — di soggetti, il contenuto della altrui corrispondenza, illecitamente conosciuto. La rivelazione parziale assume rilevanza penale qualora interessi una parte giuridicamente apprezzabile, per quanto minima, del messaggio (Manzini, VIII, 951; Vigna, Dubolino, 1068). Il delitto di rivelazione è un reato plurisoggettivo improprio (Petrone, Violazione, 1148). Non risponde dunque del delitto in esame il soggetto a cui venga fatta la rivelazione (Manzini, VIII, 950; Petrone, Segreti, 963; Mantovani, 575; Garavelli, 433), poiché la mera ricezione della notizia non è espressamente sanzionata da alcuna norma penale. Il destinatario della rivelazione risponde tuttavia del delitto in esame, a titolo di concorso eventuale qualora abbia realizzato un quid pluris rispetto alla mera ricezione della notizia, determinando o quantomeno istigando egli stesso, exartt. 110 e 115, la rivelazione (Petrone, Segreti, 965; Petrone, Violazione, 1148; Mantovani, 575; Manzini, VIII, 950; Garavelli, 433). L'atteggiamento assunto dal destinatario della rivelazione non incide, in ogni caso, sulle responsabilità del soggetto agente (Manzini, VIII, 951). Destinatario della condotta di rivelazione è qualsiasi soggetto non autorizzato alla ricezione della corrispondenza. Non integra il delitto in esame, dunque, la rivelazione effettuata al legittimo destinatario. È necessaria, ai fini della realizzazione del reato, l'effettiva percezione da parte del destinatario, della notizia rivelata. È altrettanto necessario che la notizia rivelata non fosse già conosciuta, per qualsiasi ragione, dai soggetti destinatari della rivelazione (Vigna-Dubolino, 1069; Mantovani, 574): verrebbe altrimenti meno, infatti, la qualificabilità stessa della condotta in termini di rivelazione, concetto che presuppone la previa ignoranza della notizia svelata (Crespi, 126; Vigna, Dubolino, 1069; Mantovani, 574). Non integra dunque il delitto in esame, a fortiori, la rivelazione allo stesso mittente del contenuto della corrispondenza dal medesimo inviata. L'autore della rivelazione è punito se dal fatto deriva nocumento. Il concetto di nocumento comprende qualsiasi pregiudizio giuridicamente rilevante ad interessi pubblici o privati, di natura patrimoniale o anche solo morale, patito in conseguenza della rivelazione dal mittente, dal destinatario o anche da terzi soggetti (Manzini, VIII, 953; Petrone, Segreti, 958; Antolisei, 256; Mantovani, 575; Vigna, Dubolino, 1072; Garavelli, 433). Non vi è uniformità interpretativa circa la natura giuridica del requisito in esame. Parte della dottrina (Antolisei, 256; Mantovani, 575; Petrone, Segreti, 959) sostiene che si tratti di un elemento costitutivo del fatto tipico, e, in particolare, che costituisca l'evento consumativo del reato (Mantovani, 575; Manca, 451), in quanto ne realizza l'offesa. Altri autori individuano invece nel nocumento una mera condizione obiettiva di punibilità (Manzini, VIII, 952; Vigna, Dubolino, 1072; Kostoris, 30; Garavelli, 433; Marini, 404). La fondamentale conseguenza che discende dall'adozione dell'una o dell'altra scelta interpretativa non attiene tuttavia al profilo oggettivo del reato, ma ai limiti di rilevanza dell'atteggiamento psichico del soggetto agente. La qualificazione del nocumento in termini di elemento costitutivo del reato richiede infatti — oltre alla sua realizzazione materiale, che è, viceversa, di per sé sufficiente ad integrare la condizione obiettiva di punibilità, anche la sua volizione, quantomeno a titolo di dolo eventuale, da parte del soggetto agente. La giurisprudenza ha specificato che il nocumento penalmente rilevante è quello ingiusto, identificando la sussistenza dell'ingiustizia con l'assenza di giusta causa, e, viceversa, escludendo anche l'ingiustizia del nocumento in presenza di giusta causa della rivelazione (Cass. II, 15 dicembre 1961). L'assenza di giusta causa L'art. 616, c.p.v. subordina la punibilità della condotta di rivelazione al fatto che questa sia realizzata senza giusta causa. Non si rinviene una definizione legislativa del concetto di giusta causa, pur presente in diverse norme incriminatrici. Considerato che con tale espressione non può certo alludersi soltanto all'assenza di cause di giustificazione perché altrimenti l'inserimento di tale espressione all'interno della fattispecie sarebbe del tutto pleonastico, sono stati elaborati in dottrina diversi criteri di valutazione extranormativa circa la giustificabilità della rivelazione. Una prima tesi (Mangano, La tutela penale del segreto bancario, Milano, 1983, 72; Gallucci, 1381) si richiama al criterio del bilanciamento d'interessi in conflitto, secondo il quale dovrebbe ritenersi la presenza di una giusta causa qualora l'interesse perseguito dal soggetto agente attraverso la rivelazione sia di rilevanza superiore, o quantomeno pari, a quello leso attraverso tale condotta. Una seconda impostazione individua la giusta causa nella inevitabilità della rivelazione, come unico mezzo che consenta di perseguire un fine lecito altrimenti irrealizzabile (Crespi, 93; Troisio, 12), Una terza teoria propone l'applicazione congiunta di entrambi i criteri (Pagliaro, 137; Petrone, Segreti, 962; Antolisei, 257). Viene ricondotto nell'alveo della giusta causa ex art. 616, comma 2, e non già ad un'ipotesi scriminata ex art. 51, il caso delle generiche informazioni rese dalle banche circa la solidità economica e la correttezza commerciale di propri clienti (Mantovani, PS, I, 568). La presenza di una giusta causa della rivelazione non esclude di per sé la punibilità per il reato presupposto exart. 616 comma 1 (Garavelli, 434). La giurisprudenza ha sottolineato come la nozione di giusta causa, alla cui assenza l'art. 616, comma 2, subordina la punibilità della rivelazione del contenuto della corrispondenza, non è fornita dal legislatore ed è dunque affidata al concetto generico di giustizia, che la locuzione stessa presuppone, e che il giudice deve pertanto determinare di volta in volta con riguardo alla liceità — sotto il profilo etico e sociale — dei motivi che determinano il soggetto ad un certo atto o comportamento (Cass.V,n. 8838/1997 Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistere la giusta causa relativamente alla rivelazione del contenuto della corrispondenza del coniuge in un giudizio civile di separazione; di parere opposto Cass. V, n. 35383/2011 che ha ritenuto Integrare il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza (art. 616) la condotta di colui che sottragga la corrispondenza bancaria inviata al coniuge per produrla nel giudizio civile di separazione; né, in tal caso, sussiste la giusta causa di cui all'art. 616, comma 2, la quale presuppone che la produzione in giudizio della documentazione bancaria sia l'unico mezzo a disposizione per contestare le richieste del coniuge-controparte, considerato che, ex art. 210 c.p.c., il giudice, può, ad istanza di parte, ordinare all'altra parte o ad un terzo, l'esibizione di documenti di cui ritenga necessaria l'acquisizione al processo; Cass. n. 52075/2014. Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza della giusta causa relativamente all'inoltro al Consiglio dell'ordine degli avvocati del contenuto di e-mail carpite dalla casella di posta elettronica di un legale, in cui lo stesso aveva qualificato negativamente colleghi e magistrati del foro di appartenenza). Da ultimo Cass. V, n. 7359/2024 ha affermato che integra il delitto di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, la condotta di colui che sottragga, al fine di produrla nel giudizio civile di separazione, la corrispondenza bancaria inviata al coniuge, non ravvisandosi, in tal caso, la giusta causa di cui all'art. 616, comma secondo, cod. pen., posto che il giudice può ordinare, d'ufficio o su istanza di parte, al coniuge o al terzo l'esibizione della documentazione necessaria per chiarire le condizioni economiche delle parti. Cause di giustificazioneÈ indubbio che il principio costituzionale di libertà e segretezza della corrispondenza può essere legittimamente compresso, in particolari circostanze e nei confronti di determinati soggetti, da pubbliche o private autorità che agiscono sulla base e nei limiti di specifiche disposizioni normative. Risultano perciò giustificate, ex art. 51, dall'esercizio di un diritto o dall'adempimento di un dovere, tutte le fattispecie realizzate in violazione dell'art. 616 ma, ma in osservanza di altra norma che autorizzi o consenta la presa di cognizione dell'altrui corrispondenza (Mantovani, 564 s.; Manca, 452). La corrispondenza destinata all'infermo di mente, ad esempio, va, in base all'art. 35, d.P.R. n. 655/1982, consegnata al tutore, o trattenuta dall'amministrazione postale fino a che un tutore non venga nominato dall'autorità giudiziaria. La stessa norma conferisce ai genitori la potestà di controllare, e di farsi direttamente consegnare dall'amministrazione postale, la corrispondenza destinata ai loro figli minori, in attuazione della loro funzione educativa riconosciuta dall'art. 30 Cost. e dall'art. 147 c.c. (Manzini, VIII, 941; Antolisei, 254; Mantovani, 564 s.). Similmente il vecchio testo dell'art. 48 l. fall. (per la nuova disciplina v. d.lgs. n. 14/2019 “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”), prevedeva il diritto del curatore fallimentare di prendere visione della corrispondenza diretta al fallito, trattenendo quella inerente ad interessi patrimoniali e mantenendo il segreto sull'altra (Mantovani, 564 s.; Manzini, VIII, 944). Deve escludersi, invece, che il testo novellato dell'art. 48 comma 1, introdotto con il d.lgs. n. 5/2006 e riformulato dall'art. 4, d.lgs. n. 169/2007, possa mantenere una qualche funzione scriminante, ex art. 51, delle condotte di presa di cognizione diretta da parte del curatore: il testo riformato sostituisce radicalmente, infatti, il modello previgente di consegna diretta al curatore di tutta la corrispondenza destinata al fallito con quello, opposto, dell'obbligo del fallito persona fisica, riconosciuto titolare del diritto alla ricezione diretta, di consegnare successivamente al curatore la (sola) corrispondenza, anche elettronica, afferente ai rapporti compresi nel fallimento (Manca, 452); stante la ratio della disciplina, che appresta tutela del diritto alla riservatezza della persona umana, la consegna diretta invece non opera, ex art. 48 comma 2, nel caso che il fallito sia un soggetto differente dalla persona fisica, ad es. una società di capitali, la cui corrispondenza è invece direttamente consegnata al curatore (Tescaro-Zaccaria, Sub art. 48 l. fall., in Comm. Maffei Alberti, 243). L'autorità giudiziaria può disporre in determinate ipotesi e per un tempo limitato, ex art. 18-ter, l. n. 354/1975, così come aggiunto dall'art. 1, l. n. 95/2004, che sia sottoposta a visto di controllo la corrispondenza relativa ai detenuti in espiazione di pena, agli internati e alle persone sottoposte a custodia cautelare, salvo le garanzie difensive ex art. 103, comma 6, c.p.p. e salvo, comunque, che la corrispondenza epistolare o telegrafica sia indirizzata ai soggetti indicati nel comma 5 del medesimo articolo (difensori, investigatori, consulenti tecnici e loro ausiliari), all'autorità giudiziaria, ai membri del Parlamento, alle rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell'uomo di cui l'Italia fa parte, nonché alle specifiche autorità amministrative, giudiziarie e politiche indicate nell'art. 35 dello stesso ordinamento penitenziario (Fonti, in Comm. c.p.p. Giarda, Spangher, 10287). L'autorità giudiziaria può inoltre disporre, ex art. 254 c.p.p., nel testo riformulato dall'art. 8, comma 4, l. n. 48/2008, il sequestro, presso gli uffici postali, telegrafici, telematici o di telecomunicazioni, di lettere, pieghi, pacchi, valori, telegrammi e altri oggetti di corrispondenza, anche se inoltrati in via telematica, che si abbia il fondato motivo di ritenere spediti dall'imputato o a lui diretti, anche sotto diverso nome o per interposta persona, che comunque possano avere relazione con il reato, e salva l'immediata restituzione all'avente diritto (ed inutilizzabilità processuale) di carte ed altri documenti non rientranti tra la corrispondenza sequestrabile, tra cui quella tra l'imputato e il proprio difensore; l'art. 254-bis c.p.p., introdotto dall'art. 8, comma 5, l. n. 48/2008, disciplina le modalità e procedure di acquisizione e copia dei dati quando il sequestro ricada sui dati, anche di traffico e di ubicazione, detenuti da un server provider (Rivello, Sub artt. 254, 254-bis c.p.p., in Comm. c.p.p. Giarda, Spangher, 2496). I genitori hanno la potestà di controllare — nonché di farsi direttamente consegnare dall'amministrazione postale, ex art. 35, d.P.R. n. 655/1982 — la corrispondenza destinata ai loro figli minori, in attuazione della loro funzione educativa riconosciuta dall'art. 30 Cost. e dall'art. 147 c.c. (Manzini, VIII, 941; Antolisei, 254). Non potrebbe invece in nessun caso essere giustificata ex art. 51, alla luce dell'attuale legislazione in materia di diritto di famiglia (Antolisei, 254), la presa di cognizione da parte di un coniuge della corrispondenza destinata all'altro, salvo il consenso di quest'ultimo (Mantovani, 564 s.; Gallucci, 1381). Neanche la vetusta concezione dell'autorità maritale, sopravvissuta fino all'entrata in vigore della l. n. 151/1975, consentiva al marito, in linea di principio, l'indiscriminato diritto di accesso alla corrispondenza della moglie (Falbaci, 1958, 93; Manzini, 941). Non sussiste, inoltre, alcun potere di controllo, da parte del superiore, sulla corrispondenza indirizzata ai militari, o in genere ai subordinati o domestici (Antolisei, 254; Mantovani, PS, I, 564). È stato, per contro, riconosciuto il diritto del capo-ufficio di prendere cognizione della corrispondenza pervenuta all'ufficio e non espressamente riservata al singolo dipendente (Manzini, VIII, 946). Così come l' antigiuridicità della violazione del segreto epistolare è esclusa dal consenso dell'avente diritto di cui all'art. 50 trattandosi di un diritto disponibile da parte del titolare, come evidenziato anche dalla punibilità a querela. Elemento soggettivoL'elemento soggettivo è il dolo generico quale volontà di realizzare il fatto tipico, con la consapevolezza dell'illegittimità della propria condotta; tuttavia nell'ipotesi di sottrazione o distrazione occorre anche il fine di prendere conoscenza o fare prendere ad altri conoscenza del contenuto della corrispondenza (dolo specifico). Il dolo è escluso nel caso in cui il soggetto attivo ritenga per errore di agire in forza di una facoltà legittima o di un dovere (è il caso ad esempio di chi prende conoscenza di una lettera che erroneamente ritiene a lui indirizzata, mentre destinata ad un suo omonimo) (Manzini, 949). Consumazione e tentativoI delitti previsti dall'art. 616 comma 1 si consumano nel momento in cui il soggetto prende cognizione, sottrae, distrae, sopprime o distrugge l'altrui corrispondenza. La fattispecie di rivelazione di cui al capoverso si consuma, qualora si qualifichi il nocumento come condizione obiettiva di punibilità (Manzini, VIII, 952; Vigna, Dubolino, 1072; Kostoris, 30; Garavelli, 433; Marini, 404), con la effettiva percezione della notizia da parte del destinatario, o dei destinatari, della rivelazione (Garavelli, 435), dovendosi in mancanza — come ad esempio nel caso di rivelazione realizzata attraverso uno scritto intercettato prima che giunga ai destinatari (Petrone, Segreti, 966) — ritenere la sussistenza del tentativo. La consumazione coinciderà invece con la realizzazione del nocumento — con conseguente ampliamento dell'area del tentativo fino alla effettiva percezione della notizia — per chi qualifichi il nocumento come di elemento essenziale del reato (Antolisei, 256; Mantovani, 577; Petrone, Segreti, 959; Troisio, 11), e in particolare, come evento (Mantovani, 577). Il tentativo assume un ruolo fondamentale nel caso della corrispondenza telematica cifrata rispetto alla quale occorre considerare che chi non è il destinatario della e-mail non è in possesso della chiave di decifrazione e quindi per aprire la corrispondenza dovrà avvalersi di appositi strumenti di crittoanalisi che implicano di per sé una serie di tentativi prima del raggiungimento dello scopo. Integra una rivelazione consumata, e non un'ipotesi di tentativo, la rivelazione di parte della corrispondenza violata (Petrone, Segreti, 966). Concorso di personeQuanto reato di cui al comma due si esclude che integri gli estremi del concorso la semplice ricezione passiva della rivelazione, occorrendo infatti ai fini paesini della punibilità del ricevente che quest'ultimo abbia posto in essere un contributo rilevante ai sensi dell'art. 110, vale a dire una qualsivoglia attività dirette ad ottenere la rivelazione o a rafforzare e sostenere il relativo proposito (Cass. 28 gennaio 1999; Manzini 948). Rapporti con altri reatiPer quanto attiene ai rapporti con altri reati, tutte le ipotesi previste dall'art. 616 hanno natura sussidiaria. Al primo comma è infatti prevista la clausola “ se il fatto non è previsto come reato da altre disposizioni di legge” il che spiega il modesto ambito applicativo della norma. Anche al secondo comma relativo alla condotta di rivelazione si afferma “ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato”. Dalla prevalenza di ogni altra ipotesi criminosa concorrente consegue che in caso di sottrazione o distrazione, qualora il contenuto della corrispondenza abbia un valore patrimoniale, sia pur modesto, potrà trovare applicazione il delitto di furto o di appropriazione indebita. Quanto all'ipotesi riconducibile entro il secondo comma laddove la rivelazione costituisca l'offesa all'altrui reputazione, troverà applicazione la fattispecie in esame, essendo meno grave quella di cui al primo comma dell'art. 595, salvo che la diffamazione venga realizzata a mezzo stampa, nel qual caso si applicherà l'articolo 595 comma 3 perché trattasi di reato più grave. Il reato di soppressione, distruzione e occultamento di atti veri (art. 490) costituisce una disposizione speciale rispetto a quella dell'articolo 616 ne consegue che nel caso di soppressione di corrispondenza avente valore di atto pubblico si applicherà unicamente la disposizione speciale (Cass. VI, n. 186/1970). La giurisprudenza ha ritenuto che nel caso dell'addetto al servizio postale che manometta un plico impossessandosi delle banconote ivi contenute è configurabile il concorso tra i delitti di peculato e di violazione di corrispondenza, non sussistendo un rapporto di specialità tra l'art. 616 e l'art. 314. Infatti, la clausola «se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge», contenuta nell'art. 616, va interpretata con riferimento al fatto tipico della presa di cognizione del contenuto di una corrispondenza, ovvero della sua sottrazione, distrazione, distruzione o soppressione, eventualmente descritto in una norma penale diversa da quella dell'art. 616; condotte, queste, non specificamente enunciate nel delitto di peculato, che ha diversa oggettività giuridica rispetto all'altra figura delittuosa.(Cass. VI, n. 11360/1998; Cass. VI, n. 11654/2006). Cass. n. 12603/2017 ha affermato che “integra il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza (art. 616 c.p.) e non la fattispecie prevista dall'art. 617, comma primo, c.p., la condotta di colui che prende cognizione del contenuto della corrispondenza telematica intercorsa tra la ex convivente e un terzo soggetto, conservata nell'archivio di posta elettronica della prima. Perché se non è dubitabile che sul piano concettuale la "corrispondenza" costituisca null'altro che una species del genus "comunicazione", è altrettanto indubbio che nell'ambito dell'art. 617 c.p. quest'ultimo termine non identifichi il genus nella sua astratta omnicomprensività, ma assuma un significato maggiormente specializzato, riferibile al profilo "dinamico" della comunicazione umana e cioè alla trasmissione in atto del pensiero, come suggeriscono anche l'ulteriore termine dispiegato per definire l'oggetto materiale del reato ("conversazione") e le condotte alternative a quella di fraudolenta cognizione idonee ad integrare il fatto tipico (interrompere ed impedire). Nell'art. 616 c.p., l'evocazione del concetto di "corrispondenza" risulta invece funzionale ad individuare la comunicazione umana nel suo profilo "statico" e cioè il pensiero già comunicato o da comunicare fissato su supporto fisico o altrimenti rappresentato in forma materiale . Profili processualiIl reato è procedibile a querela. Il diritto di querela relativamente al reato di cui all'art. 616 comma 1 spetta tanto al mittente quanto al destinatario della corrispondenza dal momento che entrambi devono considerarsi persone offese dalla violazione del rapporto di corrispondenza. Anche il reato di cui al comma 2 è procedibile a querela di parte e la titolarità spetta, oltre che alle parti del rapporto di corrispondenza, anche al terzo estraneo a detto rapporto che dal reato abbia subito un nocumento. L'Autorità giudiziaria competente è il Tribunale monocratico L'Arresto: non è consentito Il fermo di indiziato di delitto non è consentito Le misure Cautelari personali non sono consentite BibliografiaAmato, sub art. 616, in Cod. pen. Padovani, 3784; Barile,Cheli, Corrispondenza (libertà di), in Enc. dir., X, Milano, 1962, 743; Corasaniti, La tutela della comunicazione informatica e telematica, in Borruso, Buonomo, Corasaniti, D'Aietti, Profili penali dell'informatica, Milano, 1994, 111; Crespi, La Tutela penale del segreto, Palermo, 1952,7; Falbaci, Se costituisca reato la sottrazione, da parte del marito, di corrispondenza diretta alla moglie, in Foro it., 1958; Flick, Libertà individuale (delitti contro la), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, 535; Fiore, Libertà individuale (delitti contro la), in Enc.giur. Treccani, XIX, Roma, 1990; Garavelli, Delitti contro la persona, in Bricola Zagrebelsky (diretta da) Giurisprudenza sistematica di diritto penale. Codice Penale vol. V 2° Torino, 1996,611; Gallucci, Giusta causa della rivelazione del contenuto della corrispondenza e produzione della corrispondenza violata nel giudizio civile di separazione personale dei coniugi, in Cass. pen., 1998, 1380; Lago, sub art. 616, in Comm. Dolcini, Marinucci, Milano, 2011, 6008; Kostoris, Il «segreto» come oggetto di tutela penale, Padova, 1964; Lanotte, Utilizzo privato della posta elettronica aziendale e poteri di controllo del datore di lavoro, in Mass. Giur. lav., 2002, 558; Larizza, La «giusta causa» quale limite alla libertà e segretezza della corrispondenza, in Cass. pen., 1998, 2361; Manca, Non v'è tutela penale per la vita privata che si svolge in automobile, in Resp. civ. prev., 2008, 2473; Mangano, La tutela penale del segreto bancario, Milano, 1983, 72;; Marini, Delitti contro la persona, Torino, 1995, 403; Morsillo la tutela penale al diritto alla riservatezza, Milano 1966, 291; Pecorella, Il diritto penale dell'informatica, Padova, 2006; Pecorella, Dieci anni di giurisprudenza sui reati informatici: i principali problemi interpretativi sollevati dalle nuove disposizioni, in Cocco (a cura di), Interpretazione e precedente giudiziale in diritto penale, Padova, 2005, 241; Petrone, Violazione dei segreti, delitti contro l'inviolabilità dei segreti, in Nss.d.I., app., VII, Torino, 1987, 1145; Petrone Segreti (delitti contro l'inviolabilità dei), in Nss.d.I., XVI, Torino, 1969, 952; Picotti, Ratifica della convenzione Cybercrime e nuovi strumenti di contrasto contro al criminalità informatica e non solo, in D.I., 2008, 437; Pizzonia, Controllo della posta elettronica, tutela della privacy e potere di controllo, in Riv. giur. lav., 2008, 910 Tescaro, Zaccaria, Sub art. 48 L. fall., in Comm. Maffei Alberti, 243; Troisio, Corrispondenza, libertà e segretezza della corrispondenza, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma, 1988, 10; Vigna, Dubolino, Segreto, in Enc. dir., XLI, Milano, 1989, 1061. |