Codice Penale art. 624 - Furto.Furto. [I]. Chiunque s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 154 euro a 516 euro 1 [625, 626, 649]. [II]. Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l'energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico [812 3, 814 c.c.; 380 2e, 3, 381 2g, 3, 4 c.p.p.; 1148 c. nav.]. [III]. Il delitto e' punibile a querela della persona offesa. Si procede, tuttavia, d'ufficio se la persona offesa e' incapace, per età o per infermità ovvero se ricorre taluna delle circostanze di cui all'articolo 625, numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7-bis).2.
competenza: Trib. monocratico arresto: facoltativo fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: v. art. 391, quinto comma, c.p.p. altre misure cautelari personali: v. art. 391, quinto comma, c.p.p. procedibilità: a querela (primo e secondo comma); d’ufficio (terzo comma) [1] Comma modificato dall'art. 2, comma 1, l. 26 marzo 2001, n. 128. [2] Comma sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Ai sensi, inoltre, dell’art. 85 d.ls. n. 150, cit., come da ultimo modificato dall’art. 5-bis, d.l. n. 162, cit., in sede di conversione « 1. Per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato. - 2. Fermo restando il termine di cui al comma 1, le misure cautelari personali in corso di esecuzione perdono efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela. A questi fini, l'autorità giudiziaria effettua ogni utile ricerca della persona offesa, anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del termine indicato al primo periodo i termini previsti dall'articolo 303 del codice di procedura penale sono sospesi». Il testo del comma, come aggiunto dall'art. 12, l. 25 giugno 1999, n. 205, era il seguente: «Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui agli articoli 61, numero 7) e 625». InquadramentoDelitto inserito nel Capo primo del Titolo Tredicesimo del Libro Secondo del Codice; dunque collocato — sotto il profilo sistematico — tra i delitti contro il patrimonio, in particolare fra quelli commessi mediante violenza alle cose o alle persone. La pena edittale è stata così modificata, da ultimo, dall'art. 2 l. n. 128/2001. Il comma 3 della norma è stato aggiunto dall'art. 12 l. n. 205/1999. L'aggressione al patrimonio altrui costituisce un fatto storicamente sempre ricorrente nell'esperienza collettiva; la commissione del furto, quindi, rappresenta una di quelle tipologie delittuose risalenti a memorie ataviche, essendo essa presente in ogni momento storico, anche in epoche primitive ed apparendo purtroppo quasi connaturata ad ogni forma di aggregazione umana, in tutte le epoche e ad ogni latitudine. La tutela penale apprestata dalla previsione del delitto di furto è dunque finalizzata a garantire un interesse pubblico, che è direttamente correlato al principio della inviolabilità di tutti i beni di natura patrimoniale. In particolare, dunque, trattasi di quell'interesse concernente il mantenimento della sicurezza nel possesso di cose mobili o mobilizzabili, che l'ordinamento intende proteggere dall'eventualità di un impossessamento non legittimo ad opera di terzi; impossessamento che deve avvenire, affinché l'accadimento sia riconducibile entro l'alveo previsionale della disposizione in esame, mediante modalità esecutive dalle quali sia assente ogni esplicazione di attività violenta o intimidatoria (Manzini, 355). Parte della dottrina, peraltro, non condividendo la tesi che individua la ratio della norma esclusivamente nella tutela della proprietà, ritiene che la vittima del reato debba essere individuata non solo nel proprietario, bensì anche nel possessore della medesima (vesti soggettive che potrebbero ovviamente anche non coincidere). In tal modo, l'oggetto giuridico specifico della figura tipica sarebbe da ricercare nella tutela della mera relazione di fatto con una res. In altri termini, l'interesse protetto dalla fattispecie incriminatrice sarebbe il mantenimento di una relazione pacifica ed indisturbata dei singoli con i beni; ossia l'interesse — da salvaguardare in capo a ciascuno — a scongiurare la possibilità che la cosa detenuta venga illecitamente sottratta. La nozione di patrimonio — se si considera il versante naturalistico del fenomeno — è riferita all'insieme dei beni adoperati dall'uomo; sotto il profilo più squisitamente tecnico, invece, rientrano nella nozione di patrimonio tutti i rapporti giuridici che siano comunque suscettibili di valutazione economica. Diritti e rapporti giuridici, quando attengono alla sfera del patrimonio, si definiscono appunto diritti patrimoniali. L'accezione secondo la quale deve quindi interpretarsi il termine patrimonio — adoperato qui dal legislatore penale con funzione in primo luogo classificatoria — è sostanzialmente coincidente con quella di proprietà sussunta nell'art. 42 Cost. Nell'ambito poi della grande categoria dei delitti contro il patrimonio viene operata — e generalmente accettata dagli interpreti della norma — una classificazione fondata sul tipo di aggressione. E quindi, pur essendovi una oggettività giuridica sostanzialmente comune, le varie figure tipiche raggruppate nel Titolo Tredicesimo si andranno poi a suddividere in ragione della tipologia di aggressione condotta, venendo primariamente distinte secondo la diversa potenzialità lesiva. Esiste quindi una summa divisio, fra i delitti di aggressione unilaterale e i delitti perpetrati con la cooperazione artificiosa della vittima. Nella prima categoria delittuosa — alla quale deve ovviamente ricondursi il furto — la condotta si realizza mediante una relazione immediata fra il soggetto agente e la cosa. E quindi: “La vittima si limita a subire il reato, non prestando alcuna collaborazione cosciente e volontaria alla produzione del risultato patrimonialmente pregiudizievole. E la mancanza dell'atto dispositivo patrimoniale costituisce implicito requisito negativo, in quanto il risultato patrimoniale pregiudizievole deve verificarsi al di fuori di un qualsiasi consenso (neppure carpito con inganno o violenza) della vittima” (Mantovani, 10). I soggettiSoggetti attivi Il paradigma normativo in esame è costruito secondo lo schema classico del reato comune, come dimostrato dall'utilizzo del termine chiunque per indicarne l'autore. Laddove il fatto dell'impossessamento di cosa mobile altrui al fine di profitto venga perpetrato ad opera di un militare — in luogo militare e in danno di altro militare detentore — troverà invece applicazione la relativa fattispecie del furto militare di cui all'art. 230 c.p.mil.p. Soggetto passivo Questo è il soggetto al quale sia riconducibile un rapporto, significativo sotto il profilo giuridico, con la cosa sulla quale si compia la condotta di impossessamento. Dunque, il proprietario, ma anche il possessore. Parte della dottrina, peraltro, reputa che, laddove la cosa venga sottratta ad una persona che non vanti diritti di alcun genere sulla stessa, tale persona possa assumere la sola veste eventuale di soggetto danneggiato dal reato (Caringella, De Palma, Farini, Trinci, 1235; gli Autori prospettano qui l'esempio, molto calzante, di furto commesso in danno del ladro, fattispecie nella quale — pacificamente integrato il reato di furto — la qualifica di soggetto passivo del reato dovrà però riconoscersi al solo titolare del diritto sulla cosa, essendo invece il ladro, soltanto il soggetto a carico del quale si compie l'azione tipica). È comunque assodato che non debba esistere alcuna coincidenza necessaria, fra le figure del soggetto passivo del fatto tipico e del titolare del bene giuridico attaccato dalla commissione del furto. Esiste infatti una pletora di casi nei quali non è dato riscontrare alcuna sovrapponibilità, fra la persona offesa danneggiata dal reato di furto e la persona che subisce la sottrazione della res. La struttura del reatoSi tratta di un reato comune, in quanto realizzabile da chiunque; di un reato istantaneo, in quanto si consuma appena il soggetto agente sia riuscito a sottrarre la cosa al detentore, così instaurando sulla stessa una signoria esclusiva, pur se cronologicamente limitata. Il furto è inoltre un delitto di offesa, laddove la centralità del tema dell'offesa patrimoniale — nell'intero sistema dei delitti contro il patrimonio — svolge “la funzione garantista di tenere saldamente ancorata la categoria ad un diritto penale a base oggettivistica, volto alla tutela effettiva dei diritti soggettivi patrimoniali e alla punizione dei fatti realmente offensivi dei medesimi, anziché ad un diritto penale ad impronta soggettivistica, volto alla punizione di atteggiamenti di volontà antipatrimoniali o di autori patrimonialmente pericolosi” (Mantovani, 32). E parimenti, requisito intrinseco indefettibile della fattispecie in esame — in ossequio al principio dell'offensività — è l'atteggiarsi alla stregua di un reato di danno. Ciò in maniera non dissimile, del resto, rispetto a tutti i delitti classificabili come delitti unilaterali di aggressione patrimoniale (ossia quelli che si rivolgono in via immediata sulla cosa, ma nei quali un danno — di almeno apprezzabile rilevanza — è sempre necessario perché si possa dire integrato il modello legale). È infine un reato a forma vincolata, in quanto realizzabile, testualmente, solo mediante la sottrazione della cosa al detentore. Ovviamente, altro è la forma esteriore della condotta, altro è il mezzo adoperato per realizzarla. E quindi, la condotta di sottrazione può esser posta in essere anche per interposta persona (ad esempio determinando altri — magari un agente mediato non imputabile — alla materiale sottrazione), ovvero con l'uso di forza motrice animale (ad esempio, trasportando alcunché mediante trazione animale o anche servendosi delle abilità di un animale), oppure per il tramite di strumentazione di tipo meccanico (alterazione di contatori, di meccanismi di rilevazione, oppure di macchine misuratrici, eccetera). MaterialitàLa condotta punita L'azione delittuosa cristallizzata nel modello legale deve sottostare ad uno schema rigidamente precostituito: il furto si realizza infatti, su cosa mobile, «sottraendola a chi la detiene». I due momenti — esteriormente percepibili e logicamente scindibili — in cui può essere frazionato l'iter criminis sono dunque quelli della sottrazione e del successivo impossessamento. La portata semantica e letterale del primo termine è abbastanza univoca. Si ha infatti sottrazione — che, si ripete, nel delitto in commento deve essere priva di ogni connotazione violenta o intimidatoria — allorquando si sottragga al soggetto passivo, non consenziente, la possibilità di disporre di una determinata cosa. Il requisito del dissenso del soggetto passivo, ovviamente, funge da elemento di qualificazione dell'antigiuridicità dell'agire: un eventuale consenso dell'avente diritto, infatti, eliminerebbe del tutto il disvalore penale della condotta ed impedirebbe la configurabilità del reato. L'impossessamento è invece il momento in cui il soggetto agente — appunto compiuto lo spossessamento — passi ad instaurare sulla cosa un autonomo potere dispositivo, seppur di origine illecita. Per ciò che attiene ai rapporti fra i due momenti, la dottrina scritto che: “La sottrazione, dunque, se guardata dal lato del soggetto passivo, coincide con lo spossessamento, mentre da quello del soggetto attivo è la condizione che consente l'instaurazione di una nuova relazione di godimento con la cosa, ovvero l'impossessamento” (Caringella, De Palma, Farini, Trinci, 1236). L'oggetto materiale della condotta Il reato — per espressa dizione normativa — può essere perpetrato esclusivamente su cosa mobile. Per la definizione giuridica di cosa mobile occorre rifarsi al dettato dell'art. 812 c.c., laddove è contenuta una lunga e dettagliata elencazione dei beni da considerarsi invece immobili e poi — con definizione residuale, ossia per esclusione — sono definiti beni mobili tutti gli altri beni non rientranti nelle precedenti categoria. Il successivo art. 814 c.c. definisce altresì beni mobili anche le energie naturali dotate di valore economico, quindi suscettibili di valutazione in termini di patrimonialità. Il secondo comma dell'archetipo legale in commento, infatti, sancisce espressamente che — nella nozione penalisticamente rilevante di cosa mobile — devono ricomprendersi anche l'energia elettrica ed ogni altro tipo di energia che sia suscettibile di apprezzamento in termini di patrimonialità. Si è poi giustamente osservato come non sia possibile stabilire una rigida equipollenza, fra il suddetto concetto di bene mobile dettato nel diritto civile e la nozione penalmente rilevante di cosa mobile suscettibile di furto. Nell'ambito penale, infatti, la connotazione della mobilità viene determinata rapportandola alle modalità concrete di circolazione dell'oggetto, nonché alla funzione da questo assunta ed alla sua effettiva possibilità di essere sottratto per mano dell'uomo. Nozione che evidentemente assorbe anche le cose cd. mobilizzate, ossia costituenti in origine parte di cosa immobile e poi da questa distaccate per l'opera dell'uomo, rese in tal modo atte alla circolazione ed alla apprensione autonoma [si veda, sul punto, Mantovani, 24, il quale propone il seguente esempio: “.... mentre non è configurabile un furto di un immobile (terreno, edificio, ecc.), è del tutto configurabile il furto nel fatto della mobilizzazione e sottrazione delle cose di cui all'art. 812 c.c. (materiali di un edificio, sabbia, torba, ghiaia, alberi, messi, frutta), come pure delle pertinenze di cose immobili di cui all'art. 812 c.c.”]. Il concetto di mobilizzazione ad opera dell'uomo calza alla perfezione alla tutela penale delle acque. Che saranno cose immobili se lasciate nella sede naturale, facenti quindi parte del demanio marittimo o dei corsi d'acqua in genere e, pertanto, insuscettibili di sottrazione (salva la configurabilità magari della diversa ipotesi delittuosa ex art. 632); potranno invece costituire oggetto materiale del reato di furto, laddove siano state appunto mobilizzate per mano dell'uomo, mediante separazione dal contesto originario (l'esempio di scuola è quello del furto di acqua contenuta in bottiglie o recipienti in genere). Non possono dunque formare oggetto di furto — in quanto non appartenenti ad alcuno — le res communes omnium (cose appartenenti a tutti e non suscettibili di appropriazione individuale, se non previa separazione), le res nullius (cose che sono prive di un legittimo proprietario) e le res derelictae (ciò che è stato abbandonato dall'avente diritto e che quindi si trova privo di soggetto legittimato). L'ampia dizione contenuta nel succitato secondo comma della norma sembra far riferimento — laddove viene richiamata «ogni altra energia che abbia un valore economico» — essenzialmente al gas, ovviamente laddove sia immaginabile una apprensione dello stesso. La fraudolenta captazione del servizio telefonico, invece, integra il reato di truffa e non quello di furto. L'allacciamento abusivo alla rete, infatti, rende possibile la fruizione del servizio, ma non dell'energia che permette l'espletamento di questo. Parimenti esclusi dall'alveo previsionale della norma sono poi i dati informatici. Questi non sono infatti equiparabili né agli oggetti materiali, né alle energie propriamente dette, perché non passibili di impossessamento e di fruizione autonoma, in condizioni separate rispetto allo strumento che li contiene. Quindi, è pacificamente ipotizzabile il furto di materiale informatico — ossia dei supporti nei quali si trovino alloggiati i dati — oltre che del computer o dei programmi utili per il funzionamento di tali macchinari; non può invece compiersi un furto dei dati informatici in quanto tali). Inoltre — volendo ancora ampliare lo sguardo sulle cose mobili suscettibili di sottrazione — segnaliamo che si è anche scritto quanto segue: “L'esclusione dalla categoria in esame riguarda poi il corpo umano vivo (è cosa, invece, il cadavere, ma forma oggetto di apposita tutela penale), ma non le parti staccate dal corpo (capelli, denti, sangue, etc.)” (Delpino e Pezzano, 508). Non possono poi formare oggetto di titolarità esclusiva — e quindi, di successiva sottrazione integrante il reato di furto — cose immateriali quali l'aria e la luce. Nemmeno possono essere ricondotte alla nozione di cosa mobile le energie fisiche e intellettuali dell'uomo, così come il pensiero e le ideazioni. Altro è infatti il riconoscimento della titolarità di sfruttamento, in relazione appunto a progetti, opere artistiche, creazioni letterarie (dunque, la valutazione anche in termini economici di tutto ciò); altro è invece l'intima essenza di tali elementi, che resta immateriale e, come tale, refrattaria ad ogni forma di signoria (Maggiore, 935). L'adozione di una accezione estensiva del concetto di patrimonio comporta, inoltre, che anche cose alle quali possa magari esser difficile attribuire un valore di tipo rigorosamente economico, possano essere oggetto del reato di furto, quando siano dotate di una valenza di tipo morale o affettivo. E infatti, la nozione di patrimonio qui rilevante “ricomprende non soltanto beni strettamente economici, ma anche beni diretti a soddisfare interessi meritevoli di tutela, ancorché questi ultimi abbiano soltanto la consistenza di sentimenti” (Caringella, De Palma, Farini, Trinci, 1239). Per concludere. La cosa mobile atta a formare oggetto del delitto di furto è ogni elemento esistente nel mondo fenomenico, che sia valutabile quanto a fisicità e concretezza spaziale, che sia dotato di una sua individualità determinata — per natura, funzione o destinazione — e che possa formare oggetto di un qualsivoglia apprezzamento in termini di patrimonialità (sul punto, si veda Leoncini, 746). Una volta chiarito il concetto di cosa mobile agli effetti che ora interessano, si potrà affrontare il tema inerente all'ulteriore requisito oggettivo postulato dalla previsione incriminatrice in esame, ossia l'appartenenza ad altri. L'altruità, ossia la signoria che altri debbano avere su questa è — già sotto il profilo naturalistico, quindi secondo un percorso concettuale di valenza quasi intuitiva — intimamente connesso ad ogni condotta di sottrazione. Quindi: “...l'ulteriore connotato del tipo serve a segnalare che la cosa deve essere legata ad un soggetto, diverso dall'autore del fatto, da un vincolo di interesse” (Pecorella). Il fatto che la res, oggetto materiale del reato in commento, debba trovarsi nella detenzione di una determinata persona, indica una situazione di amplissima significazione: viene salvaguardata l’esistenza di una mera relazione materiale del soggetto passivo con la cosa. Ciò che viene qui tutelato è quindi il semplice potere dispositivo riconosciuto al singolo, anche senza che si debba avere riguardo specifico al titolo che possa avere giuridicamente legittimato — o dato scaturigine in via di fatto — a tale relazione. Il furtum rei propriae è un fatto avulso dal perimetro applicativo della norma, in quanto i fatti illeciti eventualmente ascrivibili al proprietario ricadono sotto l'impero di altre fattispecie, anche di differente collocazione sistematica (si pensi non solo all'ormai abrogato art. 627, ma anche alle previsioni ex artt. 334 secondo comma o 388 terzo comma). Elemento psicologicoIl modello tipico esige la presenza di un dolo specifico, in quanto l'azione si connota per la particolare direzione finalistica dell'agire. L'agente deve infatti esser mosso dal fine di trarre profitto — per sé o per altri — dall'impossessamento della cosa. Il termine profitto deve qui essere inteso in senso oltremodo ampio, fino a ricomprendere utilità della più variegata tipologia (ad esempio di natura estetica); fino magari ad abbracciare quelle condotte di impossessamento che vengano poste in essere con una finalità perfino ritorsiva, vendicativa, o di semplice ripicca. Non ricade invece sotto l'egida normativa della figura tipica in esame l'impossessamento che venga perpetrato ioci causa, per un fine appunto di scherzo o divertimento. Mancherebbe qui, infatti, il dolo specifico rappresentato dalla finalità di profitto. Il fine di profitto, del resto, vale a differenziare la figura in esame da altre fattispecie delittuose, con le quali essa può magari condividere la manifestazione esteriore della condotta. Sarebbe a dire che impossessarsi di una determinata res, ma con il fine di distruggerla, concretizzerebbe ad esempio il reato di danneggiamento; così come impossessarsene per atteggiarsi rispetto alla stessa uti dominus comporterebbe la configurabilità del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (Maggiore, 947). Si è peraltro sottolineato come il profitto — elemento costitutivo di matrice soggettiva, che caratterizza il dolo specifico — debba derivare in via immediata dal fatto-reato, ossia dal trasferimento della cosa nella sfera patrimoniale del soggetto agente, “non avendosi profitto ove il vantaggio realizzato sia soltanto conseguenza indiretta del reato” (Leoncini, 747). Altro è poi il dolo specifico di trarre profitto, altro è invece il movente, inteso quale atteggiamento psichico interiore del soggetto agente, come tale non in grado di incidere sugli elementi essenziali della fattispecie. Si è infine molto dibattuto il tema attinente all'assenza — nella dizione normativa — del requisito dell'ingiustizia del profitto. Sembra preferibile pensare che non si tratti di un requisito implicitamente ricavabile dalla illegittimità dell'azione, ma che “l'ingiustizia del profitto sia estranea alla nozione del furto, il quale, perciò, sussiste anche se il vantaggio a cui mirava l'agente non presentava quel carattere, e cioè era legittimo” (Antolisei, 248). È emerso – in ordine alle connotazioni del dolo specifico postulato dal modello legale in esame – una differenza di orientamento, nella giurisprudenza del Supremo Collegio. Stando infatti a Cass. V. n. 40438/2019 (conf. Cass. V, n. 30073/2018 e Cass. V, n. 25821/2019), tale forma di dolo – coincidente con il fine di profitto avuto di mira dal soggetto agente – si sostanzierebbe nella possibilità di adoperare la res sottratta in qualsivoglia maniera che sia valutabile sul versante dell'utilità di tipo economico/patrimoniale (utilità alla quale può anche non essere estranea la marginale e secondaria volontà di percepire, mediante l'accaparramento della cosa mobile altrui, anche il soddisfacimento di un bisogno di matrice spirituale). Tale lettura restrittiva dell'elemento psicologico del reato di furto si fonda sul dato letterale e sistematico, segnatamente dall'inserimento della figura di reato in esame nell'ambito dei delitti contro il patrimonio, quale bene-interesse oggetto di tutela. Ritiene dunque tale divisamento che un esagerato ampliamento del concetto di profitto rilevante – fino a farvi rientrare ogni utilità soggettivamente ritenuta apprezzabile - porterebbe alla conclusione di vanificare la funzione propria del dolo specifico; tradendo inoltre la funzione selettiva della tipicità penale, ostacolerebbe inoltre l'individuazione della linea di confine fra il delitto di furto e altri paradigmi normativi. L'eccessivo ampliamento della sfera di operatività del furto andrebbe in sostanza a comprimere l'ambito di tipicità di altre fattispecie, quali ad esempio il danneggiamento; oppure dilaterebbe a dismisura la portata previsionale della disposizione codicistica in analisi, finendo per includervi condotte prive di un effettivo rilievo penalistico. Il dolo finirebbe pertanto per coincidere con il profitto in quanto tale e andrebbe infine a confondersi con il movente interiore dell'azione. Sotto il profilo dogmatico, i sostenitori di tale concezione evidenziano anche come la fattispecie del furto sia strutturata non esclusivamente sulla base oggettivistica dell'offesa patrimoniale, ma anche su quella di tipo soggettivistico, dell'esistenza di un profitto per l'agente; ciò dovrebbe condurre a fissare l'essenza dell'incriminazione non nella sola esigenza di inibire l'impoverimento altrui, ma anche nella volontà legislativa di impedire l'arricchimento (e in ogni caso, l'ottenimento di un vantaggio), da parte dell'agente in relazione al latrocinio. A tale orientamento si contrappone un diverso filone giurisprudenziale, che interpreta invece il dolo specifico del delitto in esame in maniera molto più ampia. Tale concezione riconduce al concetto di profitto - oggetto del dolo specifico del furto - non solo il vantaggio di tipo puramente economico, ottenibile mediante l'impossessamento della cosa altrui, bensì pure quello di natura non patrimoniale, cui possa eventualmente tendere l'azione del soggetto. Il dolo viene allora inteso alla stregua della finalità di ricavare dal bene sottratto un'utilità diretta e non mediata, sebbene magari non di natura patrimoniale o economica (così Cass. IV, n. 47997/2009, in tema di impossessamento di un telefono cellulare, determinata dalla mera volontà di inibire al soggetto passivo l'invio di messaggi). Sarebbero pertanto riconducibili a tale ampia nozione, ad esempio, i furti compiuti non per il valore del bene in sé considerato, bensì per il semplice piacere di godere della vista dello stesso (si pensi al furto di un quadro); oppure i furti finalizzati al soddisfacimento di una necessità di tipo psicologico, come i casi nei quali la sottrazione venga posta in essere per spirito di dispetto, ritorsione o vendetta (per tale ampio genus, si vedano Cass. V, n. 11225/2019 e Cass. V, n. 19882/2012, fattispecie nella quale si era verificata la sottrazione di un bene per fine di vendetta); o ancora, i casi nei quali la condotta di impossessamento sia mossa dalla volontà di impedire attività non gradite (si vedano Cass. IV, n. 30/2012 e Cass. II, n. 40631/2012, relativa all'impossessamento di un'agendina, al fine di impedire alla vittima di effettuare una telefonata). Dirimendo il sopra descritto contrasto, le Sezioni Unite della Corte di cassazione (chiamate a pronunciarsi sul seguente tema: <<se il fine di profitto del reato di furto, caratterizzante il dolo specifico dello stesso, sia circoscritto alla volontà di trarre dalla sottrazione del bene una utilità di natura esclusivamente patrimoniale, ovvero possa consistere anche in un fine di natura non patrimoniale>>) hanno sancito, all’udienza 25/05/2023, come il fine di profitto del reato di furto, caratterizzante il dolo specifico dello stesso, possa essere rappresentato anche da un fine di natura non patrimoniale. Trattasi della sentenza delle Sezioni Unite n. 41570/2023, a mezzo della quale – essendosi stabilito, come detto, che, nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico della fattispecie tipica debba essere inteso come qualunque tipologia di vantaggio (dunque, anche di natura non patrimoniale), avuto di mira dal soggetto attivo - si è affrontata una fattispecie concernente la sottrazione di un telefono cellulare, posta in essere dall’agente al fine di impedire alla donna vittima di chiedere l’aiuto dei Carabinieri, onde bloccare le interrompere le intemperanze dell’uomo stesso). Consumazione e tentativoEssendo come detto il furto una esperienza ancestrale — presente in tutte le forme di raggruppamento antropico — sono state proposte, nel corso dei secoli, molteplici interpretazioni del concetto di sottrazione. E quindi, il reato di furto è stato ritenuto consumato o meno, secondo una moltitudine di criteri razionali ed interpretativi, tra loro anche parecchio divergenti. Si tratta, nella gran parte, di parametri che legano la consumazione del delitto di furto a momenti diversi della progressione criminosa nella quale può — idealmente o materialmente — snodarsi, frazionarsi la condotta oggettiva che conduce all'impossessamento. Così, la consumazione di tale fatto è stata ad esempio collocata già al momento del primo contatto con la cosa (ciò che i Romani definivano contrectatio); oppure si è fatto riferimento alla realizzazione di uno spostamento di tale cosa (teoria dell'amotio); o ancora al trasferimento della stessa in altro luogo (dunque non solo all'apprehensio, ma anche alla conduzione de loco in locum); infine, il momento consumativo del reato è stato fatto coincidere con il dato oggettivo, rappresentato dal fatto il ladro sia riuscito a porre la cosa in un luogo di sua signoria esclusiva (per una disamina delle varie teorie si veda Maggiore, 931). Il lungo dibattito in materia sembra aver condotto ormai ad ancoraggi sicuri. Il momento consumativo del delitto di furto coincide con quello in cui la cosa — sottratta alla detenzione da parte dell’avente diritto — sia sottoposta ad un effettivo impossessamento ad opera del soggetto agente, il quale dovrà riuscire ad instaurare sulla stessa una autonoma signoria, pur se cronologicamente molto limitata. Nessun dubbio si è mai posto, naturalmente, circa la piena configurabilità del tentativo. Una volta chiarito il concetto sopra esposto (coincidenza tra il momento consumativo del furto e l'instaurazione, ad opera del soggetto agente, di una signoria esclusiva — pur se temporalmente circoscritta — sulla cosa), potrà dedursi agevolmente a quale stadio dell'azione debba collocarsi la figura del tentativo. Questo si avrà mediante il compimento di atti idonei e non equivocamente diretti alla sottrazione ed al successivo impossessamento; allorquando però l'agire criminoso venga arrestato prima di condurre la res fuori dalla sfera di vigilanza, disponibilità e controllo — diretto o mediato — dell'avente diritto. La mancanza — fortuita o temporanea — dell'oggetto avuto di mira non impedirà la configurabilità della figura del tentativo; si ricadrà invece nella previsione del reato impossibile ex art. 49, laddove la carenza della res abbia la caratteristica dell'assolutezza. Ricordiamo che l'osservazione della condotta di sottrazione, che venga resa possibile dall'esistenza di appositi strumenti di rilevazione, o dalla diretta percezione dell'avente diritto o anche di soggetti a ciò deputati, ovvero infine dalla presenza delle forze dell'ordine presenti in loco ed il consequenziale intervento durante la perpetrazione dell'azione furtiva lasciano fermo il fatto allo stadio del tentativo e non consentono di configurare un furto consumato (Cass. S.U., n. 52117/2014). Sulla scia di tale impostazione, la Corte ha ritenuto che non possa ritenersi integrato il furto consumato- ma solo un tentativo di furto - allorquando la res non sia definitivamente uscita dalla sfera di vigilanza dell'avente diritto (Cass. V, n. 54311/2017). Rapporti con altri reatiI confini logici e strutturali esistenti fra il paradigma normativo in esame ed altre figure tipiche sono spesso molto sottili e sono stati, per questa ragione, oggetto di aspre dispute fra gli esegeti, nonché di oscillazioni anche notevoli in sede di applicazione giurisprudenziale. Ciò premesso, si sottolinea quanto segue. L'assenza del requisito della violenza alla persona vale, in primo luogo, a differenziare il delitto di furto dalla figura tipica della rapina. La condotta costituente sottrazione — cui consegue l'impossessamento — funge poi da criterio discretivo rispetto al delitto di truffa. Qui non sussiste infatti sottrazione, posto che l'oggetto materiale del reato viene spontaneamente consegnato al truffatore dalla vittima; questa viene indotta a compiere un atto di disposizione patrimoniale che è consequenziale alla concretizzazione di un artificio, quale falsa rappresentazione della realtà fenomenica, ovvero di un raggiro, consistente questo in una ingannevole manipolazione della psiche della vittima. Le maggiori problematiche applicative, sul punto specifico, si pongono in relazione al rapporto fra la truffa ed il furto aggravato ai sensi dell'art. 625, comma 1, n. 2), ossia commesso con l'uso di mezzo fraudolento (si rinvia, per una disamina più approfondita, al relativo commento). Nell'appropriazione indebita — a differenza di quanto accade nel modello legale in commento — si verifica soltanto un mutamento del titolo al quale il soggetto conforma la sua relazione con la cosa: questa infatti si trova già, prima dell'azione tipica, nel possesso o comunque nella disponibilità dell'agente. Il quale pertanto si limita a modificare il suo atteggiamento nel rapporto con la cosa, prendendo a comportarsi uti dominus. Il requisito dell'appartenenza ad altri della cosa, come sopra ampiamente sviscerato — costituisce un presupposto fattuale indefettibile del reato in commento; da ciò deriva la non ascrivibilità della fattispecie di furto a carico del proprietario della cosa sottratta. Il requisito dell'altruità vale dunque a distinguere la fattispecie delittuosa in commento da altre fattispecie tipiche. Resta infatti ferma — allorquando il fatto abbia ad oggetto una cosa di proprietà del soggetto agente ed al ricorrere degli altri presupposti oggettivi e soggettivi — la configurabilità delle ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni exart. 392 e di sottrazione o danneggiamento di cose assoggettate al vincolo del sequestro, di cui all'art. 334 (Marini, LA Monica, Mazza, 95). In Cass. II, n. 4132/2020, è stato affrontato il tema della configurabilità del delitto di furto nell'ipotesi di smarrimento di cose quali assegni o carte di credito, trattandosi di cose che mantengono sempre intatti e visibili i segni di un legittimo possesso altrui. Qui i Giudici di legittimità – ribadendo un orientamento già espresso in Cass. II, n. 46991/2013 – hanno chiarito come il fatto che venga a mancare un contatto materiale fra la res e il titolare, non possa determinare l'interruzione anche del potere di fatto spettante a quest'ultimo sul bene smarrito. La condotta quindi di colui che – piuttosto che provvedere alla restituzione del bene smarrito – se ne appropri, è riconducibile al modello legale del furto e non alla ormai depenalizzata fattispecie di appropriazione di cose smarrite exart. 647. Quest'ultima infatti postulava – quale requisito essenziale – proprio la carenza sul bene di segni esteriori, atti a consentire l'identificazione del legittimo proprietario; segni che invece sono, come detto, sempre presenti negli assegni e nelle carte di credito. Posto poi che il reato presupposto è in questo caso il furto, il successivo trasferimento a terzi della carta di credito o dell'assegno smarriti e non restituiti potrà eventualmente concretizzare una ricettazione. Cass. V, n. 37419/2021 è tornata sul tema dei rapporti esistenti fra il modello legale in commento e la fattispecie incriminatrice ex art. 646. La Corte ha qui richiamato il consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale – laddove l'agente abbia la detenzione della cosa, ma in mancanza di autonomo potere rispetto alla res – è configurabile il reato di furto e non di appropriazione indebita (Cass. IV, n. 54014/2018; Cass. II, n. 7079/1998). Ha poi ricordato come laddove sussista un mero rapporto materiale con il bene, che sia l'effetto di un affidamento condizionato e derivante da una relazione lavorativa soggetta a specifica disciplina, non si concretizza in capo al soggetto agente alcun potere dispositivo autonomo rispetto alla cosa stessa; in che colloca la condotta di apprensione nell'alveo normativo del furto e non dell'appropriazione indebita. Secondo l'insegnamento di Cass. V, n. 17773/2022, resta integrato il paradigma normativo in esame, piuttosto che il delitto di appropriazione indebita, nel fatto del condomino che - servendosi di un allaccio abusivo posizionato a valle del contatore condominiale - si impadronisca di energia elettrica riservata invece all'alimentazione di apparecchi e impianti di proprietà comune. ProcedibilitàL'assenza di una relazione di necessaria coincidenza, fra persona offesa danneggiata dal reato e soggetto che invece subisca solo l'azione materiale dello spossessamento è un dato carico di rilevanti conseguenze. Conseguenze che sono di tipo sia meramente dogmatico, sia invece più squisitamente applicativo. Attenendosi infatti alla teoria tradizionale, dovrebbe discendere da tale impostazione concettuale il riconoscimento del diritto di proporre querela esclusivamente alla persona offesa dal reato, ossia al titolare del bene-interesse aggredito. Dovrebbe invece restare privo di tale potere di impulso punitivo il soggetto che, più limitatamente, subisca solo l'azione tipica del furto. La più recente evoluzione giurisprudenziale ha invece condotto ad approdi marcatamente diversi. Si è infatti partiti dalla considerazione di come il paradigma normativo in commento tenda a salvaguardare beni giuridici di eterogenea matrice; così in primis la proprietà, ma anche i diritti reali personali o di godimento, nonché il possesso della cosa. Dunque, un mero rapporto di fatto con la res, che sussiste anche in assenza di disponibilità fisica diretta e che viene considerato dall'ordinamento degno di tutela, anche laddove venga instaurato in modo clandestino o illegittimo. Tale iter logico ha condotto i Giudici di legittimità ad estendere il campo applicativo del diritto di proporre querela, riconoscendolo anche al soggetto che sia solo titolare di tale situazione di fatto (si rinvia, sul punto, alla giurisprudenza citata supra). Giova soltanto da ultimo segnalare come un eventuale riconoscimento di circostanze attenuanti generiche, rapportate rispetto alle aggravanti — nell'ambito del giudizio di bilanciamento ex art. 69 — con il parametro della prevalenza, non inciderebbe sulla procedibilità del reato originariamente contestato. Le circostanza, infatti, incidono sulla determinazione della sanzione, ma non sulla connotazione giuridica del modello tipico. In altri termini. Allorquando si proceda per furto aggravato, dunque procedibile d'ufficio, e non sia stata inoltrata istanza punitiva, il riconoscimento ad esempio di attenuanti generiche — addirittura anche prevalenti — rispetto a tale aggravante, non incide sulla perseguibilità; il fatto commesso non arretra insomma allo stadio di reato procedibile a querela, permanendo intatta la originaria procedibilità. Sul tema della delimitazione del novero dei soggetti legittimati alla proposizione di istanza punitiva, è intervenuta Cass. IV, n. 7193/2024, la quale vi ha incluso anche – nell’ipotesi di furto perpetrato all’interno di un supermercato – la cassiera dell’esercizio stesso. Quest’ultima, infatti, deve ritenersi legittimata alla proposizione di querela, sebbene sia priva del potere di rappresentanza del proprietario, in ragione della sussistenza di un rapporto di detenzione qualificata del bene, a scopo di custodia, o per l’esercizio del commercio all’interno del supermercato. Modifiche introdotte a seguito della c.d. “Riforma Cartabia” Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in vigore dal 30/12/2022, ed attuativo della Legge 27 settembre 2021 n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, ha fra l'altro apportato modifiche al Libro II del codice penale. Nel testo dell'art. 624, è stato così sostituito il terzo comma, inserendo più limitate deroghe, rispetto alla generale disciplina della procedibilità a querela del delitto di furto. Tale fattispecie delittuosa diviene infatti procedibile d'ufficio solo laddove la persona offesa risulti incapace – a causa dell'età o in ragione di uno stato di infermità – oppure anche allorquando ricorra una delle forme di manifestazione tipizzate dall'art. 625, numero 7 (escluso il caso in cui l'azione furtiva abbia ad oggetto cose esposte alla pubblica fede) e numero 7-bis. Vi è pertanto – rispetto al testo previgente – un restringimento del campo delle ipotesi procedibili d'ufficio; ricordiamo infatti che la disposizione codicistica precedente, come introdotta dall'art. 12 della l. 25 giugno 1999, n. 205, prevedeva la procedibilità d'ufficio del delitto di furto al ricorrere di una o più delle circostanze ex artt. 61 n. 7 e 625. La novella riguarda espressamente il solo reato di cui all'art. 624 c.p., come aggravato ex art. 625 c.p., nei limiti anzidetti, e non anche i furti previsti dall'art. 624-bis c.p., che costituisce reato autonomo (per tutte, Cass. S.U., n. 46625/2015, in motivazione; nel medesimo senso, successivamente, Cass. V, n. 8333/2016 e Cass. II, n. 17705/2022; in senso contrario, per la natura circostanziale delle fattispecie di cui all'art. 624-bis c.p., ma nell'ambito di un orientamento ormai da tempo superato, Cass. IV, n. 48436/2012). Nella parte in cui comporta la procedibilità di ufficio per fattispecie di furto in precedenza procedibili a querela di parte (potrà essere il caso dei furti perpetrati in danno di soggetti incapaci, per età od infermità, divenuti sempre e comunque procedibili di ufficio), la novella, in quanto comportante effetti sfavorevoli per l'imputato, si applicherà soltanto ai furti commessi a partire dalla sua data di vigenza, ovvero dal 30/12/2022: in tal senso, la giurisprudenza si è già pronunciata in riferimento ad un precedente fenomeno di successione di leggi in tema di procedibilità nel tempo (Cass. II, n. 4800/2022). Nella parte – sicuramente più ampia - in cui comporta la procedibilità a querela di parte per fattispecie di furto in precedenza procedibili di ufficio, secondo quanto stabilito dalle disposizioni transitorie ad hoc di cui all'art. 85, comma 1, D. Lgs. n. 150 del 2022, e di quelle introdotte dalla l. n. 199 del 2022 (sostituendo nel corpo del predetto art. 85 il comma 2, ed introducendovi, inoltre, i nuovi commi 2-bis e 2-ter), le predette modifiche, immediatamente operanti per i reati commessi a partire dal 30/12/2022, data di vigenza della novella, opereranno, per i reati commessi fino al 29/12/2022, divenuti procedibili a querela di parte in forza delle nuove disposizioni, nei termini di seguito indicati: A) nei casi in cui non pende il procedimento penale: - se il soggetto legittimato a proporre querela ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il termine per proporre querela (di mesi tre, ex art. 124 c.p., non toccato dall'intervento novellatore) decorre dal 30/12/2022, data di entrata in vigore della novella, e scade, pertanto, il 30/03/2023; - in forza della predetta disposizione, letta a contrario, se il soggetto legittimato a proporre querela non ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il medesimo termine per proporre querela decorre, secondo la disciplina ordinaria, in parte qua non modificata, dal momento in cui ne abbia avuto conoscenza; B) nei casi in cui pende il procedimento penale: - avendo il soggetto legittimato a proporre querela necessariamente avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il termine trimestrale per proporre querela decorre dal 30/12/2022, data di entrata in vigore della novella, e scade il 30/03/2023: diversamente rispetto a quanto previsto dall'originario comma 2 della disposizione, nessun onere di informare la p.o. di tale facoltà incombe sul giudice procedente, presumendosi, pertanto, che la p.o. debba avere conoscenza della novella. Ferma restando la predetta disciplina, si è anche stabilito che le misure cautelari personali in corso di esecuzione perdono efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del D. Lgs. n. 150 del 2022, e quindi entro il 19/01/2022, l'autorità giudiziaria che procede (da individuare nel giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, ove penda ricorso per cassazione) non acquisisce la querela: a tal fine, l'a.g. procedente effettua ogni utile ricerca della p.o., anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del predetto termine di venti giorni, i termini di cui all'art. 303 c.p.p. sono sospesi. Durante la pendenza del termine per proporre querela, si applica quanto disposto dall'art. 346 c.p.p. in tema di atti compiuti in mancanza di condizioni di procedibilità. Cass. IV, n. 41716/2024 è intervenuta sulla materia relativa ai reati divenuti perseguibili a querela, in forza dell'intervento del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. Riforma Cartabia), pronunciandosi in tema di decorso del termine per proporre la querela ex art. 85 del medesimo d.lgs. Tale sentenza ha dunque precisato che, in tal caso, è possibile che il Pubblico ministero proceda alla modifica dell'imputazione, attraverso la contestazione, in udienza, di una circostanza aggravante, che valga a rendere il reato procedibile d'ufficio. La Corte ha aggiunto come non possa ipotizzarsi la realizzazione di un effetto preclusivo definitivo, idoneo a imporre al giudice l'adozione di una pronuncia "ora per allora", atteso che – laddove venga dichiarata la improcedibilità, a differenza di quanto accade in relazione all'estinzione del reato, anche i fatti sopravvenuti producono effetti, per cui i requisiti della pronuncia vanno accertati allorquando la stessa deve essere assunta (sulla medesima direttrice interpretativa si è posizionata Cass. 5, n. 37142/2024, fattispecie nella qualeè stata annullata la decisione del giudice di merito, che aveva ritenuto tardiva – in presenza di una ipotesi di furto di energia elettrica – la contestazione suppletiva della circostanza aggravante ex art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen.). Particolari ipotesi di furtoPer il furto venatorio, si veda l'art. 30 l. 11 febbraio 1992, n. 157. La fauna selvatica rientra infatti nel patrimonio indisponibile dello Stato (l. 27 dicembre 1977, n. 968 e art. 1 l. 11 febbraio 1992, n. 157), per cui il furto aggravato di fauna selvatica è ancora configurabile — anche dopo l'entrata in vigore della suddetta specifica regolamentazione legislativa — nel caso in cui l'abbattimento o l'apprensione vengano perpetrate da soggetto sprovvisto di licenza di caccia. Con riferimento al furto d'arte (illecito impossessamento di beni culturali appartenenti allo Stato), di cui all'art. 176 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, questo rappresenta una fattispecie di reato autonoma e distinta, rispetto alla previsione codicistica. Si segnala come — in relazione alle cose che fanno parte del patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale — esista una presunzione di illegittimità del possesso da parte dei privati; si tratta infatti di oggetti che devono ritenersi di proprietà dello Stato sin dalla loro scoperta, anche laddove siano il frutto di scavo o comunque di rinvenimento casuale. L'art. 1148 r.d. 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della Navigazione), prevede il furto commesso a bordo, ad opera di soggetto componente dell'equipaggio della nave o dell'aeromobile; in questo caso, la pena ordinaria per il furto è aumentata fino a un terzo e la condanna comporta l'interdizione temporanea dai titoli o dalla professione, a norma del successivo art. 1149. L'art. 4 l. 8 agosto 1977, n. 533 punisce la concretizzazione del reato di furto su armi, munizioni o esplosivi custoditi nelle armerie, ovvero in depositi o altri locali deputati alla custodia di armi; tale fatto è procedibile d'ufficio. CasisticaEsiste ovviamente una sconfinata letteratura giurisprudenziale, in tema di furto. Si cercherà dunque di selezionare solo le pronunce che sembrano di maggior rilievo, differenziandole in relazione allo specifico tema affrontato. Senza però alcuna pretesa di completezza, che si rivelerebbe immancabilmente velleitaria. Secondo la Corte di Cassazione, il delitto di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato resta ancora integrato — nonostante la materia sia ora disciplinata dalla l. 11 febbraio 1992, n. 157 — nel caso in cui l'apprensione o l'abbattimento della fauna vengano posti in essere da soggetto non abilitato alla caccia dalla titolarità della relativa licenza (Cass. V, n. 48680/2014). Di recente Cass. V, n. 16981/2020 (in materia di uccellagione) ha ribadito la configurabilità – anche all’indomani dell’entrata in vigore della legge sopra citata, che disciplina l'attività venatoria - del reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato. Ciò a condizione che l'apprensione, o anche il mero abbattimento della fauna, siano posti in essere ad opera di soggetto non munito di licenza di caccia (si segnala anche – per ragioni di completezza – la voce dissenziente di Cass. VI, n. 9930/1992). Cass. V, n. 40438 /2019 (già citata supra), ha precisato come siano riconducibili all'alveo delle cose mobili, possibile oggetto della condotta di impossessamento, anche gli animali da compagnia o d'affezione; trattasi infatti di beni che sono suscettibili di divenire oggetto di diritti reali e di rapporti negoziali e che sono tutelati dalla l. 14.8.1991 n. 281, nonché dalla Convenzione Europea sul randagismo (stipulata a Strasburgo il 13 novembre 1987 e ratificata in Italia dalla l. n. 201/2010). Nel caso in cui si verifichi un allaccio telefonico abusivo, con fraudolenta captazione di un servizio, il reato configurabile è quello di truffa e non quello di furto. Manca infatti la cosa mobile — o una energia ad essa equiparata a tali effetti — sulla quale perpetrare il delitto di cui all'art. 624 (non essendo naturalmente consentita in materia una interpretazione analogica). L'energia è certo essenziale per lo svolgimento del servizio, ma l'oggetto effettivo della somministrazione è il servizio stesso, non l'energia che ne consente l'espletamento (Cass. I, n. 2788/1977). Con riferimento al reato di illecito impossessamento di beni culturali (cd. furto d'arte), fattispecie tipizzata dall'art. 176 d.lgs. n. 42/2004, occorre che le cose che andranno poi a formare oggetto del reato siano state preventivamente qualificate come appartenenti al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale (dunque, che siano appunto definibili come cose d'antichità e d'arte), mediante un provvedimento formale emanato dalla competente autorità. Nel caso in cui sia assente tale preventiva catalogazione, occorre che si dia inizio al procedimento per il riconoscimento previsto dall'art 13 d.lgs. n. 42/2004. In tal caso, si farà comunque riferimento alle caratteristiche della cosa sottratta, al suo valore di comunicazione spirituale ed alle sue caratteristiche tipologiche, nonché alla rarità ed alla collocazione (Cass. III, n. 28929/2004). La contravvenzione di cui all'art. 707 (possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli) resta assorbita nel reato in esame, a condizione che sussista un nesso di strumentalità, fra il possesso degli attrezzi e la perpetrazione del reato di furto. Dunque, allorquando sia individuabile un utilizzo concreto degli attrezzi atti allo scasso o all'effrazione, all'interno della fase commissiva del furto (Cass. V, n. 19047/2010). Una condotta di apprensione di cosa mobile, allorquando si riveli teleologicamente indirizzata all'ottenimento di uno specifico profitto, integra gli estremi del reato di furto e non quelli del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Nella concreta fattispecie, la Cassazione ha ritenuto integrato il delitto di furto, nella condotta di un legale che — recedendo da una associazione tra professionisti — si era impossessato di determinati files, sottraendoli da un computer dello studio, nonché di alcuni fascicoli processuali, avendo ricevuto dai clienti uno specifico mandato alle liti. L'azione era dunque evidentemente connotata dallo specifico fine di impedire agli altri avvocati il controllo degli atti (Cass. VI, n. 32383/2015). Dal momento che la fattispecie incriminatrice ex art. 624 tutela sia il bene giuridico rappresentato dalla proprietà o dai diritti reali personali o di godimento, sia il mero possesso della cosa (nozione che è necessario interpretare quale relazione in via di fatto, che non postula però una immediata disponibilità di tipo materiale) e in considerazione del fatto che il possesso stesso è oggetto di protezione da parte dell'ordinamento anche se instaurato clandestinamente o addirittura illecitamente, il diritto di proporre querela è da riconoscere anche a colui che sia solo titolare di tale situazione di fatto. Muovendo da tale principio, la Cassazione ha riconosciuto il diritto di avanzare istanza punitiva al responsabile di un supermercato all'interno del quale era stato perpetrato un furto (Cass. S.U., n. 40354/2013). Tale principio è stato di recente ribadito dalla Suprema Corte. Cass V, n. 3736/2018ha infatti ritenuto legittimato alla proposizione di querela, in relazione al reato di furto il direttore responsabile della sicurezza di un supermercato. Conclusione alla quale si perviene considerando che il bene giuridico protetto dalla fattispecie in commento è rappresentato non solo dalla proprietà o dal possesso della res, bensì anche da qualsivoglia diritto personale o di godimento sulla stessa; ne discende che il responsabile della sicurezza di un centro commerciale – in quanto titolare di una posizione di detenzione qualificata di custodia nei confronti dei beni ivi allocati – deve reputarsi legittimato alla proposizione di querela. Ancora in tema di procedibilità, si tenga presente che l'eventuale riconoscimento — anche con il criterio della prevalenza — delle circostanze attenuanti sulle aggravanti opera solo sulla quantificazione della pena e non anche sulla connotazione giuridica della fattispecie; Tale bilanciamento fra circostanze, quindi, non vale a rendere il furto, originariamente contestato nella forma aggravata, procedibile a querela (Cass. V, n. 44555/2015). Secondo il Supremo Collegio, la sottrazione di una cosa che venga posta in essere ioci causa, ossia con una intenzione esclusivamente scherzosa, per celia, per divertimento, oppure per cagionare all'avente diritto un effimero rincrescimento destinato ad essere subito dopo riparato dalla restituzione dell'oggetto stesso, non integra gli elementi costitutivo del delitto di furto. Tale tipo di intento è infatti radicalmente inconciliabile con il fine specifico di trarre profitto dalla cosa; mancherebbe dunque l'elemento soggettivo costituito dal dolo specifico (Cass. II, n. 4431/1976). I beni che vengano ritrovati accanto a salme inumate nei cimiteri, oppure che vengano recuperati durante le operazioni di bonifica dei cimiteri stessi non possono essere considerati quali res nullius o res derelictae. Tali oggetti, infatti, devono presumersi appartenuti a soggetti defunti, oppure a chi magari abbia inteso onorarne la memoria e perpetuarne il ricordo. Si tratta quindi di beni ai quali è stata impressa — ad opera degli aventi diritto — una precisa destinazione jure successionis, in quanto spettanti evidentemente agli eredi del de cuius. Solo tali soggetti legittimati possono quindi — una volta messi in grado di presenziare alle operazioni di riesumazione della salma del congiunto, ovvero edotti del rinvenimento di beni accanto a questa — rinunciare all'apprensione degli oggetti stessi e così magari renderli res derelictae (Cass. VI, n. 8621/1997). La condotta di sottrazione di una cosa rubata e poi abbandonata dal ladro integra il reato di furto. Tale cosa, infatti, non può esser considerata res derelicta, in quanto non è stata abbandonata dall'avente diritto, bensì da soggetto a ciò non legittimato (Cass. V, n. 30321/2012). Colui che si impossessi di beni custoditi all'interno di un ufficio pubblico, senza però rivestire la qualifica di incaricato di pubblico servizio, oltre che senza avere il possesso dei beni stessi per ragioni direttamente collegabili all'ufficio o servizio espletato, commette non il delitto di peculato, bensì quello di furto (Cass. VI, n. 17632/2003). L'elemento differenziale esistente fra i delitti di furto e di appropriazione indebita è rappresentato dall'estensione della detenzione. E infatti, l'esistenza di una signoria materiale sulla cosa — costituita sia dalla collocazione della cosa stessa nelle mani del soggetto, sia dall'esistenza di una qualche facoltà dispositiva a questi riconosciuta — costituisce l'antefatto logico e oggettivo del delitto di appropriazione indebita. Il furto, al contrario, postula proprio l'insussistenza — in capo al soggetto agente — di una qualsivoglia facoltà di esercitare un possesso sulla res (Cass. II, n. 1392/1977). La Corte ha precisato come debba essere ritenuto responsabile del reato di ricettazione il soggetto che – avendo la disponibilità di una cosa costituente refurtiva ed essendo carente ogni elemento certamente deponente nel senso del suo coinvolgimento nel reato di furto – non offra alcun chiarimento affidabile, circa la scaturigine di tale disponibilità (Cass. II, n. 43427/2016). In tema di rapporti con il delitto di ricettazione, i Giudici hanno anche precisato quanto segue. Laddove siano stati oggetto di contestazione i dati fenomenici sostanziali - che siano idonei a mettere il soggetto in grado di apprestare una compiuta difesa, rispetto al fatto poi ritenuto in sentenza - non ricorre violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, sia nel caso di riqualificazione dell'originaria imputazione di furto in ricettazione, sia nell'ipotesi speculare, di riqualificazione della ricettazione in furto (Cass. II, n. 18729/2016). La sottrazione di energia elettrica che sia attuata per il tramite della manomissione del contatore, così da modificare la rilevazione del consumo, integra il reato di furto e non quello di truffa. La misurazione, infatti, quantifica l'energia trasferita alla singola utenza, così cristallizzando il consenso dell'ente che provvede all'erogazione del servizio. La condotta sopra detta, dunque, non importa un erroneo consenso da parte dell'avente diritto, risolvendosi essa invece in una diretta apprensione della cosa, che è tale da oltrepassare ogni ostacolo eventualmente frapposto dall'ente proprietario (Cass. S.U., n. 10495/1996). In ordine allo specifico tema, giova precisare che la Suprema Corte– nel ricordare come la scriminante dello stato di necessità postuli la sussistenza del pericolo attuale di un danno grave alla persona, che non sia possibile vincere se non tenendo una determinata condotta illecita – ha recentemente ribadito anche come tale causa di giustificazione non possa venire invocata in relazione a reati asseritamente cagionati da una condizione di indigenza economica, quale appunto il furto di energia elettrica. Esiste infatti pur sempre la possibilità di ovviare a tale condizione di bisogno, ricorrendo all'aiuto di enti e strutture che sono deputati proprio all'assistenza sociale (Cass. V, n. 37930/2017). Profili processualiGli istituti Con riguardo al regime di procedibilità si rinvia sub § 8.1. Il furto è di competenza del Tribunale in composizione monocratica; è prevista la citazione diretta a giudizio. Per esso: a ) non è possibile disporre intercettazioni; L'arresto in flagranza è previsto come facoltativo [art. 381 comma 2 lett. g) c.p.p.], divenendo obbligatorio al ricorrere dell'aggravante di cui all'art. 4 l. 8 agosto 1977, n. 533 (furto avente ad oggetto armi, munizioni o esplosivi, che si trovino in armerie, ovvero in depositi oppure altri locali adibiti alla custodia di armi), ovvero una delle aggravanti di cui all'art. 625, primo comma n. 2) prima ipotesi, 3), 5) e 7bis) e salvo che, in tali ultimi casi, sia ravvisabile la circostanza attenuante di cui all'art. 62 primo comma n. 4) [v. art. 380 comma 2 lett. e) c.p.p.]; il fermo è consentito solo nel caso in cui ricorra l'aggravante di cui al succitato art. 4 l. 8 agosto 1977, n. 533 in materia di armi; b ) non è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali, se non a seguito di arresto in flagranza. Ulteriori applicazioni processuali L'art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dall'art. 3 l. n. 94/2009 prevede che — quando uno dei delitti non colposi previsti dai titoli XII e XIII del libro II del codice, oltre che i reati di cui alla l. n. 75/1958 — vengano perpetrati in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, la pena sia aumentata da un terzo alla metà. Nel relativo processo, inoltre, è ammessa la costituzione di parte civile da parte sia del difensore civico, sia dell'associazione alla quale risulti iscritta la vittima del reato, ovvero una persona che sia familiare di questa. L'art. 649 prevede i casi di non punibilità e di procedibilità a querela, in relazione ai fatti previsti dal Titolo XIII del Codice. 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