Codice Penale art. 633 - Invasione di terreni o edifici. 1 2

Roberto Carrelli Palombi di Montrone

Invasione di terreni o edifici. 1 2

[I]. Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 103 a euro 1.0323.

[II]. Si applica la pena della reclusione da due a quattro anni e della multa da euro 206 a euro 2.064 e si procede d'ufficio se il fatto è commesso da più di cinque persone o se il fatto è commesso da persona palesemente armata 4.

[III]. Se il fatto è commesso da due o più persone, la pena per i promotori o gli organizzatori è aumentata.

 

competenza: Giudice di pace (primo comma); Trib. monocratico (secondo e terzo comma); Trib. monocratico (primo comma - ipotesi aggravata ex art. 639-bis; oppure aggravanti ex 43 d.lgs. n. 274 del 2000)

arresto: non consentito (primo comma); facoltativo (secondo e terzo comma) 

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita

altre misure cautelari personali: non consentite (primo comma); consentite (secondo e terzo comma)

procedibilità: a querela di parte; d'ufficio (secondo e terzo comma - ipotesi aggravata ex art. 639-bis)

[1] Articolo così sostituito, in sede di conversione, dall'art. 30 d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, conv., con modif., in l. 1° dicembre 2018, n. 132. Il testo originario dell'articolo era il seguente : « Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa , con la reclusione fino a due anni o con la multa da 103 euro a 1.032 euro. –   Le pene si applicano congiuntamente, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi » . Precedentemente alla conversione in legge, il suddetto art. 30 d.l. n. 113, cit., prevedeva l'inserimento di un terzo comma così formulato : « Nelle ipotesi di cui al secondo comma, si applica la pena della reclusione fino a quattro anni congiuntamente alla multa da 206 euro a 2.064 euro, nei confronti dei promotori e organizzatori dell'invasione, nonché di coloro che hanno compiuto il fatto armati ».

[2] Per l'aumento di pena, qualora il fatto sia commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione, v. art. 71, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159. V. art. 4, comma  1 lett. a), d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, in tema di competenza penale del giudice di pace. V. inoltre la norma transitoria di cui all'art. 64 d.lgs. n. 274, cit. Per le ipotesi di reato attribuite alla competenza del giudice di pace si applica la pena della multa da 258 euro a 2.582 euro o la pena della permanenza domiciliare da 6 a 30 giorni ovvero del lavoro di pubblica utilità da 10 giorni a 3 mesi (art. 52, comma  2 lett. a, d.lgs. n. 274, cit.).Il Governo era stato delegato all'abrogazione dei reati previsti dal presente articolo, escluse le ipotesi di cui all'art. 639-bis, dall'art. 2, comma 3 lett. a) n. 4 l. 28 aprile 2014, n. 67: per tale parte la delega non è stata attuata.

[3] Così corretto con Comunicato 17 dicembre 2018 (in Gazz. Uff. 17 dicembre 2018, n. 292).

[4] Così corretto con Comunicato 17 dicembre 2018 (in Gazz. Uff. 17 dicembre 2018, n. 292) e successivamente con Comunicato 18 dicembre 2018 (in Gazz. Uff. 18 dicembre 2018, n. 293) .

Inquadramento

Dottrina e giurisprudenza concordano nell'individuare l'oggetto della tutela apprestata dall'art. 633 c.p. nella non solo nella proprietà, ma anche nel possesso di terreni o edifici; difatti si è ritenuto che la norma è volta a salvaguardare quella situazione di fatto che si instaura fra l'immobile ed ogni soggetto, anche diverso dal proprietario, che vanta un interesse all'integrità del bene (Antolisei, 400).

Anche la Cassazione si è, costantemente, pronunciata nel senso che la condotta tipica del reato di invasione di terreni o edifici consiste nell'introduzione dall'esterno in un fondo o in un immobile altrui di cui non si abbia il possesso o la detenzione; la norma di cui all'art. 633 c.p., infatti, non è posta a tutela di un diritto ma di una situazione di fatto tra il soggetto e la cosa, per cui tutte le volte in cui il soggetto sia entrato legittimamente in possesso del bene deve escludersi la sussistenza del reato (Cass. II, n. 2337/2005). Con riferimento al possesso, per rientrare nell'oggetto della tutela penale prevista dall'art. 633 c.p., deve trattarsi di una situazione di fatto pacifica, cioè acquisita ed esercitata senza clandestinità o violenza, essendo invece irrilevanti gli altri requisisti del possesso stesso; ciò in quanto la legge intende garantire penalmente e il pacifico stato di fatto produttivo di effetti giuridici, indipendentemente dalla titolarità del diritto (Cass. II, n. 5075/1980).

Soggetti

Soggetto attivo

Il delitto previsto dall'art. 633 c.p. è un reato comune che può essere commesso da chiunque non abbia, in concreto, un titolo per introdursi nel fondo (Fiandaca-Musco, 252).

In tal senso anche il proprietario dell'immobile potrà essere soggetto attivo del reato, laddove ne abbia attribuito ad altri il godimento; ciò ha comportato il riconoscere la responsabilità penale del legittimo proprietario del fondo, il quale sia penetrato nel terreno contro la volontà del conduttore, al fine di effettuare attività di aratura (Cass. II, n. 3776/1981).

Soggetto passivo

Il soggetto passivo del delitto previsto dall'art. 633 c.p. e quindi il titolare del diritto di querela può essere qualsiasi persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che abbia il godimento dell'immobile, a qualsiasi titolo giuridico; quindi potrà trattarsi sia del proprietario, quanto del titolare di un diritto reale o personale di godimento (Marini, 321).

In questa direzione si è ritenuto che l'assegnatario di un alloggio I.A.C.P. è legittimato a proporre querela ai fini della perseguibilità del reato di cui all'art. 633 c.p., in quanto titolare del diritto di godere e tutelare il suo possesso (Cass. II, n. 3706/1987).

Elemento materiale

La dottrina ha individuato l'oggetto materiale del reato di invasione nei terreni e negli edifici altrui, qualunque ne sia la loro natura o destinazione, a nulla rilevando che si tratti di terreni rustici od urbani, coltivati o incolti o di edifici abitati o disabitati (Antolisei, 400). In relazione all'oggetto giuridico del reato, il requisito dell'altruità non va identificato nel diritto di proprietà, ma nella titolarità di un diritto di godimento di qualsiasi natura (FiandacaMusco, 253).

La condotta di invasione, ad avviso della dottrina, non implica necessariamente un'irruzione tumultuosa ad opera di più persone, ma fa riferimento semplicemente all'ingresso nell'immobile altrui per lo scopo indicato nella norma incriminatrice (Antolisei, 401).

Al riguardo la Cassazione ha affermato che il delitto di invasione di edifici previsto dall'art 633 c.p. non richiede, per la sua sussistenza, un ingresso violento, quasi un irruzione nell'edificio; giacche la parola invasione non deve essere intesa nel senso etimologico, che implica un concetto di violenza fisica o di forza soverchiante, ma nel senso di accesso o penetrazione arbitraria, ossia contro la volontà del proprietario, non momentanea. Il vantaggio, poi, che si persegue è insito nella occupazione stessa del bene altrui, venendo lesa la obiettività giuridica costituita dalla tutela del possesso e della disponibilità dell'immobile, ed e anche indiretto, in quanto può essere riferito anche all'utilità economica che potrà scaturire aliunde, come dalla composizione di una vertenza sindacale che si conclude con l'attribuzione di condizioni di lavoro più favorevoli (Cass. II, n. 11275/1976). Si è però affermato che il concetto di «invasione» deve essere ricondotto ad una qualunque introduzione dall'esterno con modalità violente — sicché non può essere in alcun modo omologato a quello, rilevante nel diverso delitto di violazione di domicilio, di permanenza nell'altrui abitazione contro la volontà del titolare dello «ius excludendi»; pertanto si è ritenuto che non integra il reato l'occupazione di un istituto scolastico per fini dimostrativi posta in essere dagli studenti che lo frequentano, nei cui confronti, in quanto soggetti attivi della comunità scolastica e partecipi della sua gestione ai sensi del d.P.R. 31 maggio 1974 n. 416, non si configura un diritto d'accesso all'istituto limitato alle sole ore in cui è prevista l'attività didattica in senso stretto né può dirsi sussistente l'elemento normativo della fattispecie incriminatrice consistente nell'«altruità» dell'immobile (Cass. II, n. 1044/2000). Il principio è stato recentemente ribadito, affermandosi che integra il reato di invasione di terreni o edifici soltanto la turbativa del possesso che realizzi un apprezzabile depauperamento delle facoltà di godimento del terreno o dell'edificio da parte del titolare dello "ius excludendi", secondo quella che è la destinazione economico-sociale del bene o quella specifica ad essa impressa dal "dominus" (Cass. II, n. 25438/2017); nel caso di specie si trattava della condotta dell'imputato, consistita in reiterati passaggi, con il proprio mezzo agricolo, sul terreno della persona offesa, idonei a menomare apprezzabilmente la facoltà di godimento di quest'ultima e la destinazione del fondo, in considerazione della devastazione delle coltivazioni sul medesimo presenti.

Essendo, poi, la norma posta a tutela di una situazione di fatto tra il soggetto e la cosa, deve escludersi la sussistenza del reato tutte le volte che il soggetto sia già in possesso del bene; in base a tale principio la locuzione già in possesso allude alla non modificazione della precedente situazione di fatto. Così si è ritenuto che il reato di invasione di terreni o edifici non è configurabile laddove il soggetto, entrato legittimamente in possesso del bene occupato, prosegua nell'occupazione contro la sopraggiunta volontà dell'avente diritto (Cass. II, n. 5585/2011). E neppure integra il delitto di invasione di edifici la condotta di chi abbia continuato ad abitare una casa dello Iacp dopo la morte del coniuge assegnatario continuando a versare l'affitto, posto che la mancanza delle condizioni per l'assegnazione dell'alloggio non rilevano ai fini penali, né sussiste l'elemento materiale dell'arbitraria invasione (Cass. II, 23756/2009). Il principio è stato recentemente ribadito affermandosi che non integra il reato di invasione arbitraria di edifici il persistere nell'occupazione di un alloggio Iacp continuando a versare il canone locativo, da parte di soggetto legato da pregresso rapporto di convivenza con l'assegnatario, che abbia ivi la propria residenza, da intendersi quale luogo di volontaria e persistente dimora del soggetto, a prescindere da una corrispondenza di tale situazione di fatto con le relative annotazioni sui registri anagrafici (Cass. II, n. 49101/2015). Difatti la condotta tipica del reato consiste nell'introduzione dall'esterno in un fondo o in un immobile altrui di cui non si abbia il possesso o la detenzione; si è infatti ancora precisato che la norma di cui all'art. 633 non è posta a tutela di un diritto ma di una situazione di fatto fra il soggetto e la cosa, per cui tutte le volte in cui il soggetto sia entrato legittimamente in possesso del bene deve escludersi la sussistenza del reato, pur se successivamente il possesso o la detenzione divengano illegittimi (Cass. II, n. 29606/2016; Cass. II, n. 25126/2016). A questo orientamento se ne è contrapposto un altro in base al quale integra il reato di cui all'art. 633 c.p. la condotta di chi, inizialmente ospitato a titolo di cortesia dall'assegnatario di un immobile di edilizia residenziale pubblica, vi permanga anche dopo l'allontanamento dell'avente diritto, comportandosi come "dominus" o possessore, atteso che la "mera ospitalità" non costituisce un legittimo titolo per l'occupazione dell'immobile (Cass. II, n. 49527/2019); si è anche, in proposito, affermato che il versamento all'ente pubblico proprietario dell'immobile dell'indennità di occupazione ovvero il rilascio all'imputato di un certificato di residenza indicante quale luogo d'abitazione l'immobile occupato e l'allaccio delle utenze domestiche non escludono la sussistenza del reato, già perfezionato con l'abusiva introduzione nell'immobile e la destinazione dello stesso a propria stabile dimora (Cass. II, n. 3436/2019). Recentemente la stessa seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha ritenuto di dare continuità a questo secondo orientamento, ribadendo quello che deve considerarsi l'oggetto specifico della tutela penale offerta dalla norma in esame: l'interesse pubblico alla inviolabilità del patrimonio immobiliare, in relazione alla protezione del diritto - spettante ai privati, allo Stato o ad altri enti pubblici - di conservare i terreni o edifici legittimamente posseduti liberi da invasioni di persone non autorizzate. In sostanza si è affermato che i mezzi e il modo con cui avviene l'invasione sono indifferenti, né è necessario che ricorra il requisito della clandestinità, che costituisce uno degli elementi dello spoglio civile (art. 1168 c. c.), di talché l'invasione può commettersi anche palesemente e senza violenza neppure sulle cose o senza inganno; quindi unico requisito dell'occupazione è l'arbitrarietà, vale a dire che essa avvenga contra ius: agisce «arbitrariamente» chi non ha il diritto o altra legittima facoltà di entrare nell'altrui terreno o edificio allo scopo di occuparlo o di trarne altrimenti profitto; è stato quindi declinato il seguente principio di diritto: “ Il reato di invasione deve, dunque, ritenersi configurabile ogniqualvolta si occupa un immobile sine titulo e come occupazione di un immobile sine titulo devono considerarsi le condotte di chi subentra nell'appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore ovvero di chi occupa l'immobile a titolo di mera cortesia o ancora, …, in virtù di un rapporto di parentela con l'originario e legittimo assegnatario (Cass. II, n. 20041/2023).

Al contrario il reato è stato ravvisato nell'ipotesi in cui siano mancate modalità esecutive violente, bastando, per la sua integrazione, l'introduzione nell'altrui proprietà contra ius (Cass. II, n. 53005/2016); nel caso di specie si trattava appunto dell'occupazione di un alloggio di proprietà dello Iacp da parte di un soggetto non assegnatario dello stesso e si era esclusa qualsiasi rilevanza al mancato accertamento dell'azione di spoglio violento in danno dell'avente diritto. 

Ed ancora il versamento all'ente pubblico proprietario dell'immobile dell'indennità di occupazione ovvero il rilascio all'imputato di un certificato di residenza indicante quale luogo d'abitazione l'immobile occupato e l'allaccio delle utenze domestiche non escludono la sussistenza del reato, già perfezionato con l'abusiva introduzione nell'immobile e la destinazione dello stesso a propria stabile occupazione (Cass. II, n. 3436/2019).

L'invasione deve essere arbitraria, nel senso che l'introduzione da parte dell'agente nell'immobile deve avvenire in assenza di autorizzazione o di consenso da parte del soggetto titolare del potere di godimento sul bene (Antolisei, 401).

In questa direzione la Cassazione ha affermato che il reato in esame punisce la condotta di colui che si introduce deliberatamente dall'esterno nel terreno o nell'edificio altrui, al fine di occuparlo o di trarne altrimenti profitto, per cui deve escludersi che integri il reato la semplice permanenza nel fondo o nell'edificio altrui, contro la volontà dell'avente diritto, non preceduta dall'attività di invasione (Cass. IV, n. 15610/2006). Ciò in quanto integra il reato soltanto la turbativa del possesso che realizzi un apprezzabile depauperamento delle facoltà di godimento del terreno o dell'edificio da parte del titolare dello ius excludendi, secondo quella che è la destinazione economico-sociale del bene o quella specifica ad essa impressa dal dominus (Cass. II, n. 6492/2003).

Le modalità dell'invasione sono irrilevanti, potendo, peraltro, costituire circostanze aggravanti nelle ipotesi previste nell'art. 633 comma 2, c.p..

La nozione di invasione si riferisce al comportamento di colui che si introduce arbitrariamente e cioè contra ius, in quanto privo del diritto di accesso. La conseguente occupazione deve ritenersi pertanto l'estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l'abusiva occupazione (Cass. II, n. 33742/2016).

Con riferimento a particolari fattispecie concrete la Cassazione, andando di contrario avviso rispetto a molte decisioni dei giudici di merito (Pret. Milano 27 gennaio 1970, in Riv. it. dir. proc. pen. 1970, II, 359), ha ritenuto che, in tema di invasione arbitraria di pubblico edificio, l'uso di un'aula universitaria per lo svolgimento di un'assemblea è legittimo solo quando vi sia autorizzazione, espressa o tacita, delle competenti autorità accademiche, ed in particolare del rettore dell'ateneo (Cass. VI, n. 10870/1982). Successivamente però altra sezione della stessa Corte ha affermato che in tema di invasione di terreni o edifici, poiché il concetto di «invasione» va ricondotto ad una qualunque introduzione dall'esterno con modalità violente — sicché non può essere in alcun modo omologato a quello, rilevante nel diverso delitto di violazione di domicilio, di permanenza nell'altrui abitazione contro la volontà del titolare dello «ius excludendi» — non integra il reato l'occupazione di un istituto scolastico per fini dimostrativi posta in essere dagli studenti che lo frequentano, nei cui confronti, in quanto soggetti attivi della comunità scolastica e partecipi della sua gestione ai sensi del d.P.R. n. 416/1974, non si configura un diritto d'accesso all'istituto limitato alle sole ore in cui è prevista l'attività didattica in senso stretto né può dirsi sussistente l'elemento normativo della fattispecie incriminatrice consistente nell'«altruità» dell'immobile (Cass. II, n. 1044/2000).

Il principio è stato ribadito, affermandosi che integra il reato di invasione di terreni o edifici soltanto la turbativa del possesso che realizzi un apprezzabile depauperamento delle facoltà di godimento del terreno o dell'edificio da parte del titolare dello ius excludendi, secondo quella che è la destinazione economico-sociale del bene o quella specifica ad essa impressa dal dominus (Cass. II, n. 25438/2017); nel caso di specie si trattava della condotta la condotta dell'imputato, consistita in reiterati passaggi, con il proprio mezzo agricolo, sul terreno della persona offesa, idonei a menomare apprezzabilmente la facoltà di godimento di quest'ultima e la destinazione del fondo, in considerazione della devastazione delle coltivazioni sul medesimo presenti.

Relativamente ad altra tematica, si è, poi, affermato che l'occupazione dell'azienda da parte degli operai, contro la volontà del datore di lavoro, integra il reato di cui all'art. 633, non potendo la difesa del posto di lavoro porsi in contrasto con diritti costituzionali egualmente tutelati, quali il diritto di proprietà e la libertà di iniziativa economica (Cass. II, n. 8491/1976); la fattispecie concreta oggetto di quest'ultima decisione atteneva, appunto, all'occupazione da parte dei lavoratori di un'azienda, di cui il datore di lavoro, a causa della situazione di mercato, aveva deliberato la chiusura.

Quanto all'occupazione di case popolari, la Cassazione ha, costantemente, escluso l'integrazione del delitto di invasione di edifici nella condotta di chi abbia continuato ad abitare in una casa dello Iacp dopo la morte del coniuge assegnatario continuando a versare l'affitto, posto che la mancanza delle condizioni per l'assegnazione dell'alloggio non rileva ai fini penali, né sussiste l'elemento materiale dell'arbitraria invasione (Cass. II, n. 23756/2009). Con riguardo alla stessa tematica e nella direzione di chiarire l'area delle condotte penalmente rilevanti, la Cassazione ha affermato che non sussiste rapporto di specialità, a norma dell'art. 9 l. n. 689/1981, tra il reato di cui all'art. 633 e l'illecito amministrativo previsto dall'art. 26, comma 4, l. n. 513/1977, che sanziona l'occupazione di un alloggio di edilizia popolare senza le autorizzazioni necessarie. L'illecito amministrativo, infatti, non è diretto a salvaguardare l'inviolabilità del patrimonio immobiliare pubblico o privato nei confronti di atti diretti a violare il rapporto esistente tra i beni ed i loro possessori e prescinde dall'arbitrarietà delle condotte degli autori, ma ha come fine impedire il consolidarsi di talune situazioni in contrasto con la legittima distribuzione degli alloggi agli aventi diritto attraverso comportamenti di mera occupazione, che possono anche essere soltanto irregolari (Cass. II, n. 38801/2008). Ciò con la fondamentale precisazione che l'occupazione sine titulo di un alloggio in proprietà dell'istituto autonomo case popolari integra il reato di invasione arbitraria di edifici anche nell'ipotesi in cui l'occupante abbia presentato una regolare istanza di assegnazione dell'immobile ed il relativo procedimento non sia stato ancora definito (Cass. II, n. 12752/2011). Ancora il reato sussiste nell'ipotesi in cui l'imputato, benchè inizialmente in possesso di un valido titolo per occupare l'immobile, abbia perduto tale legittimazione per essersi allontanata volontariamente dall'appartamento, avendo poi fatto nuovamente  ingresso nello stesso attraverso una porta secondaria; si è ritenuto, appunto, in tale fattispecie integrata sotto il piano oggettivo e soggettivo la condotta tipica del delitto di invasione di terreni o edifici, in quanto l'iniziale possesso legittimo del bene venne interrotto con l'uscita dell'imputato dall'immobile e la successiva occupazione si era verificata contro la sopraggiunta volontà dell'avente diritto, chiaramente manifestata e percepita dall'imputata (Cass. II, n. 43439/2016).

La Corte cost. con la sentenza n. 28/2024 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 633 c.p. nella parte in cui la norma incriminatrice si applica anche all'invasione a scopo abitativo di edifici  in stato di abbandono da più anni; nell'occasione la Corte Costituzionale ha avuto modo di chiarire che lo stato di abbandono di un edificio non comporta un automatico effetto estintivo dello ius escludendi alios riservato al titolare della situazione di attribuzione del bene; si è anche affermato che la proprietà, anche se in stato di abbandono, non può soffrire menomazioni da parte di chi voglia limitarne la fruizione, in quanto l'esercizio del diritto di abitazione non può comportare come mezzo indispensabile l'occupazione dell'edificio altrui.

Elemento psicologico

Per l'integrazione del reato sul piano soggettivo è richiesto il dolo specifico consistente nella coscienza e volontà di porre in essere l'invasione con la finalità di occupare l'immobile o di trarne altrimenti profitto; la Cassazione ha, al riguardo, affermato che, ai fini del dolo specifico richiesto dall'art. 633 c.p., trattandosi di fattispecie contraddistinta da illiceità speciale, in relazione all'interesse pubblico tutelato, concretantesi nella inviolabilità del patrimonio immobiliare, occorrono non soltanto la coscienza e la volontà di invadere l'altrui bene, ma anche il fine di occupare l'immobile o di trarne profitto (Cass. II, n. 10814/1990); a ciò consegue che in caso di possesso pacifico e continuo, il reato non sarà configurabile, perché viene a mancare l'elemento dell'arbitrarietà dell'invasione, incompatibile con una situazione di fatto produttiva di effetti giuridici indipendentemente dalla titolarità del diritto. La Cassazione ha avuto modo di precisare che il dolo specifico del delitto di invasione di terreni o edifici, oltre a richiedere la finalità di occupare l'immobile o di trarne altrimenti profitto, presuppone la consapevolezza in capo all'agente dell'altruità del bene, influente sulla coscienza dell'illegittimità della condotta (Cass. II, n. 29710/2017).

Inoltre si è detto che il dolo specifico del delitto di invasione di terreni o edifici è integrato dalla consapevolezza dell'illegittimità dell'invasione dell'altrui bene e dalla finalità di occupazione o di trarne altrimenti profitto, e non è configurabile nella condotta di chi abbia fatto ingresso nel fondo altrui, pur in assenza del consenso del proprietario, al solo fine di eseguire opere necessarie di interesse comune, a tutela dell'integrità del proprio fondo (Cass. II, n. 16657/2014). Ciò in quanto la coscienza e volontà di invadere arbitrariamente terreni od edifici altrui, pubblici o privati, alternativamente «al fine di occuparli» oppure «al fine di trarne altrimenti profitto», deve ricomprendere anche la coscienza e volontà di porre in essere una turbativa del possesso che realizzi un apprezzabile depauperamento delle facoltà di godimento del bene da parte del suo titolare, per una delle indicate finalità soggettive (Cass. II, n. 31811/2012); nel caso concreto era stata esclusa l'integrazione del reato nell'occupazione da parte del soggetto agente di un tratto di marciapiede pubblico con un grosso braciere da cucina, essendo stata esclusa qualsiasi turbativa dell'altrui possesso o altrimenti impedito il transito dei pedoni.

Non è richiesto, per la sussistenza dell'elemento psicologico del reato, che il profitto propostosi dall'agente sia strettamente patrimoniale e direttamente realizzabile con l'invasione e può consistere anche nell'intento di un uso strumentale della stessa al conseguimento di scopi di particolare valore morale e sociale (Cass. II, n. 8107/2000), oppure in qualsiasi altra utilità diretta o indiretta (Cass. VI, n. 1763/2002); così nel caso di specie oggetto dell'ultima decisione citata era stata ravvisata la sussistenza del reato in un caso di occupazione della rampa di accesso ad autorimessa, ritenuta correlata, da un punto di vista soggettivo, al vantaggio derivante dalla reclamizzazione di una manifestazione musicale ed alla espressione della libertà imprenditoriale.

Con riferimento al dolo la Cassazione ha precisato che, sebbene la norma di cui all'art. 633 intenda tutelare non la proprietà in senso giuridico civilistico, ma la posizione di fatto tra il soggetto ed il bene, tuttavia è sempre necessaria un'indagine sulla coscienza e volontà dell'agente di porre in essere un comportamento intimamente connesso alla consapevole appartenenza del bene ad un altro soggetto (Cass. II, n. 6949/1988). Ed in proposito l'errore dell'altruità dell'immobile da parte dell'agente, fondato sull'erronea conoscenza della legge civile, non esclude la punibilità ex art. 47 e quindi non esclude l'elemento psicologico doloso del reato. Infatti, ai sensi dell'art. 47 c.p., è legge diversa da quella penale soltanto quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non richiamata implicitamente (o esplicitamente incorporata) in una norma penale. Pertanto deve essere considerato errore su legge penale, e quindi inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa (Cass. II, n. 9767/1994).

Si è ancora affermato che l'abusiva occupazione di un bene immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al pericolo di danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione ovvero di altri diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dall'art. 2 Cost., sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell'illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l'assoluta necessità della condotta e l'inevitabilità del pericolo; ne consegue che la stessa può essere invocata solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa (Cass. II, n. 10694/2019).

Sulla base della formulazione della norma incriminatrice la dottrina prevalente ritiene che il fine di occupare rappresenti una species del fine più generale di trarre profitto dall'invasione, nel senso che l'occupare l'immobile costituisce un'utilità ricollegabile direttamente al godimento del bene (Marini, 324).

La giurisprudenza ha, però precisato che la sola consapevolezza della illegittimità dell'invasione di un altrui bene immobile non vale, di per sé, a rendere configurabile il dolo specifico richiesto per la sussistenza del reato di cui all'art. 633, caratterizzato dalla finalità di occupare l'immobile o di trarne altrimenti profitto, non potendosi, in particolare confondere — nel caso di beni demaniali, per i quali il reato è perseguibile d'ufficio ai sensi dell'art. 639-bis  — l'elemento soggettivo richiesto per la fattispecie criminosa con quello sufficiente per l'illecito amministrativo dell'omesso pagamento della tassa di occupazione di suolo pubblico (Cass. II, n. 14799/2003).

Quanto alla prova si è ritenuto che l'elemento soggettivo del reato di invasione di terreni o di edifici può essere desunto dalla realizzazione sul bene sine titulo di opere a carattere permanente (Cass. II, n. 43426/2013).

Con riferimento alla fattispecie concreta di occupazione abusiva di un appartamento la Cassazione ha, costantemente, affermato che l'occupazione arbitraria di un appartamento di proprietà dello Iacp rientra nella previsione dell'art. 54 solo se ricorra il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non coincidendo la scriminante dello stato di necessità con l'esigenza dell'agente di reperire un alloggio e risolvere i propri problemi abitativi (Cass. II, n. 4292/2011). E successivamente la stessa Corte ha ancora precisato che l'illecita occupazione di un bene immobile é scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell'illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l'assoluta necessità della condotta e l'inevitabilità del pericolo; nel caso concreto gli imputati avevano stabilmente occupato un immobile trasformandolo nella propria residenza abituale e la Cassazione ha affermato che lo stato di necessità, nella specifica e limitata ipotesi dell'occupazione di beni altrui, può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere, in via definitiva, la propria esigenza abitativa (Cass. II, n. 19147/2013). Nella stessa direzione si è ritenuto che l'illecita occupazione di un immobile è scriminata dallo stato di necessità solo in presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona, non potendosi legittimare — nelle ipotesi di difficoltà economica permanente, ma non connotata dal predetto pericolo — una surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell'occupante e della sua famiglia (Cass. II, n. 28067/2015).

Circostanze aggravanti

Nell'art. 633 comma 2 sono previste due circostanze aggravanti speciali che determinano, sul piano sanzionatorio, l'applicazione congiunta delle pene previste in via alternativa dal comma 1 e che prevedono la procedibilità di ufficio del reato. Si tratta della commissione del fatto da parte di più di cinque persone, di cui almeno una palesemente armata o da parte di più di dieci persone anche senza armi. A tal riguardo la dottrina ha chiarito che è irrilevante la presenza, fra i partecipanti, si soggetti non imputabili o non punibili, mentre sotto il profilo soggettivo è richiesto che almeno uno dei partecipanti si rappresenti la presenza degli altri (Manzini, 533).

La fattispecie è stata modificata con il d.l. 4 ottobre 2018 n. 113 convertito nella l. 1 dicembre 2018 n. 132, con riguardo al profili sanzionatorio e con l'introduzione della procedibilità d'ufficio, nel caso in cui il fatto sia stato commesso da più di cinque persone o se il fatto sia stato commesso da persona palesemente armata. È stata poi introdotta un ulteriore circostanza aggravante a carico dei promotori o degli organizzatori, nell'ipotesi in cui il fatto sia stato commesso da due o più persone.

Quanto alla procedibilità, si è affermato che integra il reato di invasione di edifici, procedibile d'ufficio ex art. 639-bis, la condotta di colui che si introduca abusivamente in un alloggio realizzato dall'Iacp, considerato che detto alloggio conserva sempre la sua destinazione pubblicistica anche quando ne sia avvenuta la consegna all'assegnatario (Cass. V, n. 482/2014).

Devono considerarsi pubblici, secondo la nozione che si ricava dagli artt. 822 e seg. c.c., mutuata dal legislatore penale, i beni appartenenti a qualsiasi titolo allo Stato o ad un ente pubblico e quindi non solo i beni demaniali ma anche quelli facenti parte del patrimonio disponibile o indisponibile degli enti predetti e destinati ad uso pubblico (Cass. VII, n. 27249/2022).   

Quanto alla configurabilità dell'aggravante prevista per aver commesso il fatto in più di dieci persone si è precisato che  l'azione invasiva deve essere stata commessa collettivamente, da più persone concorrenti che agiscano riunite e siano presenti simultaneamente sul luogo del delitto per la sua consumazione (Cass. II, n. 43120/2016).

Consumazione

La dottrina ha ritenuto che l'art. 633 c.p. rappresenta un reato di mera condotta che si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica l'invasione, indipendentemente dal fatto che l'agente abbia o meno conseguito lo scopo che si prefiggeva (Antolisei, 401). Si ritiene anche trattarsi di un reato permanente, richiedendosi per la sua integrazione una condotta che si protrae per un certo periodo di tempo con pregiudizio della facoltà di godimento del titolare, escludendosi, quindi, l'integrazione del reato in caso di occupazione momentanea (Manzini, 523). Si è però  precisato che il fatto materiale previsto nella norma incriminatrice è costituito dal semplice ingresso nel fondo o edificio altrui, mentre l'occupazione rappresenta la finalità specifica che caratterizza l'elemento soggettivo del reato; a ciò consegue, secondo questa dottrina, che il reato è da considerare istantaneo o permanente a seconda del protrarsi nel tempo della condotta del soggetto attivo, ferma restando la necessità che l'invasione risulti apprezzabile, cioè non meramente momentanea o occasionale (Marini).

La Cassazione ha affermato che il reato di invasione di terreni o edifici si consuma nel momento in cui l'occupazione ha inizio, in quanto trattasi di reato istantaneo, pur con effetti permanenti, che deduce ad oggetto della sanzione la condotta di chi, abusivamente, con violenza e senza l'autorizzazione del titolare, invade edifici o terreni al fine di occuparli, senza aver riguardo anche alla condotta successiva di protrazione dell'occupazione (Cass. II, n. 7911/2017).   Deve a questo riguardo evidenziarsi che questa isolata pronuncia era intervenuta in una fattispecie del tutto particolare, essendosi trattato di un caso di sequestro preventivo disposto nonostante la preclusione derivante dal divieto del ne bis in idem per essere stata la condotta già oggetto di un precedente giudicato.

Si è affermato che l'integrazione della fattispecie criminosa di invasione di terreni o edifici implica che la permanenza sull'altrui bene immobile si protragga nel tempo per una durata apprezzabile, ancorché non sia necessario che l'agente rimanga stabilmente su di essi, purché la condotta risulti effettivamente rivolta all'occupazione dell'immobile ovvero a trarne in altro modo profitto (Cass. II, n. 11544/2011; Cass. II, n. 33742/2016). 

Nel caso in cui l'occupazione si protragga nel tempo il delitto ha natura permanente e cessa soltanto con l'allontanamento del soggetto dall'edificio o con la sentenza di condanna. Dopo la pronuncia della sentenza la protrazione del comportamento illecito dà luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell'invasione, ma si sostanzia nella prosecuzione dell'occupazione (Cass. II, n. 49169/2003; Cass. II, n. 33742/2016). 

Si è poi precisato che, nel caso in cui l’occupazione si protragga nel tempo, il delitto ha comunque natura permanente e la sua consumazione cessa soltanto con l’allontanamento del soggetto dall’edificio o dal terreno occupato o con la sentenza di condanna; ed in quest’ultimo caso, la protrazione della condotta illecita dopo la pronuncia della sentenza di condanna dà luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessità del requisito dell’invasione ma si sostanzia nella prosecuzione dell’occupazione (Cass. II, n.29657/2019; Cass. II, 40771/2018).

Quanto alla condizione di procedibilità, la Cassazione ha ritenuto tempestiva la querela per il reato di invasione di terreni che sia stata proposta durante il periodo in cui si è protratta l'occupazione, dal momento che il reato permanente è flagrante per tutto il tempo in cui se ne protrae la consumazione (Cass. II, n. 41401/2010). Difatti nella medesima direzione si è ritenuto che in tema di reato permanente, il diritto di presentare querela può essere esercitato dall'inizio della permanenza fino alla decorrenza del termine di tre mesi dal giorno della sua cessazione e la sua effettiva presentazione rende procedibili tutti i fatti consumati nell'arco della permanenza (Cass. VI, n. 2241/2011).

Con riguardo alla possibilità del concorso di persone nel reato si è precisato che il reato di invasione di terreni ed edifici può avere natura istantanea o permanente, a seconda che l'introduzione nel fondo altrui sia seguita da un insediamento istantaneo o si protragga con un'occupazione ininterrotta per un tempo superiore a quello strettamente necessario per integrare il delitto, sicché, in tale ultimo caso, risponde a titolo di concorso, quanto meno morale, colui che, senza aver partecipato all'iniziale invasione, abbia successivamente contribuito a perpetuare la condotta criminosa (Cass. II, n. 4393/2019).

Rapporti con altri reati

Si è ritenuto che il reato di invasione di terreni o edifici possa concorrere con quello di introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo; nella specie sono stati ravvisati entrambi i reati per avere l'imputato invaso arbitrariamente un terreno del Demanio comunale, tenuto in fida da una cooperativa agricola, introducendovi animali bovini a scopo di pascolo (Cass. II, n. 13727/1980).

Ancora la contravvenzione di cui all'art. 1161 cod. nav., abusiva occupazione di spazio demaniale, concorre con il delitto di cui all'art. 633, invasione di terreni o edifici, stante la obiettiva diversità degli interessi tutelati e delle condotte illecite previste dalla due norme, consistente nell'introduzione arbitraria e per un congruo lasso di tempo in terreni o edifici altrui allo scopo di occuparli e trarne profitto nell'ipotesi di cui all'art. 633 c.p., e nell'effettiva occupazione del demanio nell'altra ipotesi (Cass. II, n. 31540/2017).

Si è ritenuto che l'illecito amministrativo previsto dall'art. 20 d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (occupazione della sede stradale) non esclude la configurabilità del delitto di cui all'art. 633, trattandosi di norme che agiscono su piani diversi, essendo poste la prima a tutela della sicurezza della circolazione stradale, l'altra a difesa del patrimonio (Cass. II, n. 17892/2015).

Casistica

Legittimazione a proporre la querela del coniuge proprietario dell'immobile invaso

La Cassazione ha ritenuto che, spettando il diritto di querela alla persona offesa dal reato e cioè a colui che patisce la lesione dell'interesse protetto dalla norma, deve escludersi la legittimazione a proporre l'istanza di punizione in capo al coniuge del proprietario di un immobile arbitrariamente invaso, che in quanto tale fruisca del bene senza poter vantare su di esso un diritto reale ovvero altro diritto che gliene attribuisca il godimento: detto soggetto, infatti, non può considerarsi titolare dell'interesse protetto dall'art. 633 c.p. ma, eventualmente, solo persona danneggiata dal reato. Difatti, secondo la Corte, il diritto di querela in ordine al reato di cui all'art. 633 c.p., può competere anche a persona diversa dal proprietario, che si trovi tuttavia in un rapporto non di mero fatto con l'immobile bensì sia titolare di una posizione giuridicamente rilevante, come quella del conduttore, dell'usufruttuario o del comodatario (Cass. II, n. 6650/1999).

Legittimazione a proporre la querela in caso di immobile sottoposto a procedura esecutiva

La Cassazione ha ritenuto che nel caso in cui il reato abbia ad oggetto un immobile sottoposto a procedura esecutiva, legittimato a proporre querela è sia il proprietario, in quanto titolare del bene fino al termine della procedura, che subisce la lesione del diritto, sia, in qualità di legittimato concorrente, ma non esclusivo, il creditore procedente, titolare dell'interesse al mantenimento dell'immobile in buone condizioni (Cass. II, 3103/2023).

Rilascio di un immobile a seguito di esecuzione forzata e successiva sua occupazione da parte di un familiare

In tema di invasione di edifici, nell'ipotesi in cui un soggetto sia stato escomiato, a seguito di esecuzione forzata da un immobile e questo risulti successivamente occupato da un famigliare del soggetto esecutato, è configurabile il reato di cui all'art. 633, a meno che l'occupante non dimostri che si trovava nel possesso o detenzione dell'immobile fin da prima dell'escomio e che tale possesso sia proseguito ininterrottamente (Cass. II, n. 47705/2014).

Occupazione di un bene immobile in misura maggiore di quella autorizzata

Commette il reato di invasione di terreno chi, sia pur autorizzato dall'ente pubblico, occupa uno spazio demaniale diverso e di maggiore estensione rispetto a quello per il quale è stata rilasciata la concessione (Cass. II, n. 17892/2015).

Occupazione di un bene pubblico e compossesso

Nel caso di bene pubblico non è invocabile la giurisprudenza sulla comproprietà secondo cui non è configurabile il reato di invasione di terreni o edifici a carico di chi abbia già il possesso del fondo in qualità di comproprietario o compossessore e quindi il diritto di accedervi, ancorchè utilizzi il bene abusandone, poiché non si verte in un caso di possesso condiviso, ma di fruizione di un bene a fruizione collettiva la cui destinazione pubblica deve essere salvaguardata da illecite distrazioni e impossessamenti da parte dei vari fruitori (Cass. II, n. 20198/2016).

Profili processuali

Il reato è punibile a querela della persona offesa nell'ipotesi prevista dall'art. 633 comma 1.

Se ricorrono le circostanze previste dall'art. 633 comma 2, il reato è procedibile d'ufficio. È altresì procedibile d'ufficio se ricorre l'ipotesi prevista dall'art. 639-bis .

Il d.l. n. 113/2018 convertito con modificazioni nella l. n. 132/2018 ha introdotto una diversa determinazione del trattamento sanzionatorio previsto per il reato in esame: in particolare per la fattispecie prevista dal comma 1 è stabilità l'irrogazione della pena della reclusione da uno a tre anni e della multa da euro 103,00 ad euro 1032,00.

Con riguardo alla possibilità di applicare la causa  di non punibilità di cui all'art. 131-bis , la Cassazione ha precisato che, avendo  il delitto natura permanente, è preclusa, sino a quando la permanenza non sia cessata, l'applicazione della causa di non punibilità, in ragione della perdurante compressione del bene giuridico per effetto della condotta delittuosa (Cass. II, n. 16363/2019). 

Con riguardo alla problematica della legittimazione a proporre la querela da parte dell'erede del proprietario dell'immobile illecitamente invaso o occupato, la Cassazione ha precisato che l'accettazione tacita dell'eredità da parte sua o la prescrizione del suo diritto ad accettarla, ai sensi dell'art. 480 c.c., non possono formare oggetto di valutazione incidentale in sede di giudizio penale, in quanto tale accertamento necessita dell'instaurazione del contraddittorio con la parte interessata a dimostrare di avere accettato tacitamente l'eredità o comunque che il suo diritto di accettare non si è prescritto (Cass. II, n. 3125/2024).

Bibliografia

Amato, Sul problema della liceità penale delle occupazioni scolastiche, in Foro It. 1993, II, 525; Antolisei, Manuale di diritto penale parte speciale, Milano; Fiandaca - Musco, Diritto penale, parte speciale II, Bologna, 1997; Mantovani, Ingresso abusivo nel fondo altrui, in Dig. d. pen. VII, 1993; Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1981; Marini, Delitti contro il patrimonio, Torino, 1999.

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