Codice Penale art. 648 - Ricettazione 1 .Ricettazione 1. [I]. Fuori dei casi di concorso nel reato [110], chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 516 euro a 10.329 euro. La pena è aumentata quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell'articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell'articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell'articolo 625, primo comma, n. 7-bis) [379, 648-ter, 649, 709, 712] 2 3. [II]. La pena è della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 300 a euro 6.000 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l'arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi4. [III]. La pena è aumentata se il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale5. [IV]. Se il fatto è di particolare tenuità, si applica la pena della reclusione sino a sei anni e della multa sino a euro 1.000 nel caso di denaro o cose provenienti da delitto e la pena della reclusione sino a tre anni e della multa sino a euro 800 nel caso di denaro o cose provenienti da contravvenzione6. [V]. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando [648-bis] l'autore del reato, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile [85] o non è punibile [46, 379, 649] ovvero quando manchi una condizione di procedibilità [336-346 c.p.p.] riferita a tale reato78. competenza: Trib. monocratico arresto: facoltativo; obbligatorio (ipotesi aggravata di cui al 1° comma secondo periodo) fermo: consentito (1° comma) custodia cautelare in carcere: consentita (1° comma; 4° comma prima ipotesi); non consentita (2° comma; 4° comma seconda ipotesi) altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d’ufficio [1] Articolo sostituito dall'art. 15 l. 22 maggio 1975 n. 152. Il testo dell'articolo era il seguente: «Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione fino a sei anni e con la multa fino a lire ottocentomila. - Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l'autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile». [2] Il secondo periodo del primo comma è stato inserito dall'art. 8, d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modif. in l. 15 ottobre 2013 n. 119. [3] Per la confisca di danaro, beni o altre utilità di non giustificata provenienza, nel caso di condanna o di applicazione della pena richiesta, v. art. 240-bis c.p. (per la previgente disciplina v. art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306, conv., con modif., in l. 7 agosto 1992 n. 356). [4] Comma aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 195. [5] Comma aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 195. [6] Comma sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 2), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 195. Il testo del comma era il seguente: «La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a 516 euro, se il fatto è di particolare tenuità». [7] La parola «reato» è stata sostituita alla parola «delitto» dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 3), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 195. [8] Comma sostituito dall'art. 3 l. 9 agosto 1993 n. 328. InquadramentoL'art. 648 c.p., nel prevedere il delitto di “Ricettazione” sanziona la condotta di colui che, fuori dei casi di concorso nel reato, al fine di procurare a se o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da delitto, o comunque si intromette nel farli acquistare, ricevere ed occultare. Il delitto è inserito nel titolo XIII del libro secondo del codice penale, relativo ai delitti contro il patrimonio ed in particolare nel capo II avente ad oggetto i delitti contro il patrimonio mediante frode. Molto si è discusso in dottrina sulla natura del delitto di ricettazione, al fine di individuarne l'oggettività giuridica specifica. Sulla base della collocazione sistematica, si èaffermato che la ricettazione deve essere considerata un delitto contro il patrimonio: alla base dell'incriminazione starebbe la necessità di consentire il recupero delle cose sottratte, evitando la commissione di altri delitti, che andrebbero nuovamente a colpire il diritto di proprietà, già leso dal reato presupposto (Manzini, 916). All'opposto si è ritenuto che la ricettazione lede l'intesse ad una corretta amministrazione della giustizia, intesa come interesse alla persecuzione di ogni reato: in tale direzione viene evidenziato come la condotta di ricettazione può portare alla dispersione di cose di provenienza delittuosa, determinandosi così un non lieve ostacolo all'attività di accertamento dei reati e di punizione dei colpevoli (Zanchetti, 172). La giurisprudenza ha riconosciuto che la fattispecie incriminatrice non risulta costruita esclusivamente a tutela di un interesse patrimoniale, potendo lo stesso anche mancare o essere di non preminente importanza rispetto ad altri scopi che si vogliono perseguire con l'incriminazione. In tal senso la classificazione del reato fra i delitti contro il patrimonio non comporta necessariamente che anche il delitto presupposto assuma natura patrimoniale. Segnatamente la Cassazione ha costantemente affermato che la ricettazione è configurabile anche quando abbia ad oggetto cose provenienti da un delitto che non sia contro il patrimonio, perché, anche in tal caso, dall'acquisizione di beni di provenienza illegittima, che il legislatore ha inteso scoraggiare e punire, deriva un incremento patrimoniale. Può affermarsi quindi che l'interesse tutelato dall'art. 648, attraverso l'incriminazione delle condotte che comportano la circolazione di cose provenienti da delitto, è inteso sia in via immediata ad evitare che una qualsiasi attività delittuosa diventi fonte di successivi profitti, sia, in via mediata, a limitare all'origine la spinta al compimento di reati. SoggettiSoggetto attivo Trattandosi di reato comune, soggetto attivo dello stesso può chiunque acquisti, riceva od occulti le cose provenienti da delitto o, comunque, si intrometta nel farle acquistare, ricevere od occultare. Autore del reato può, quindi, essere chiunque non sia autore del reato presupposto o compartecipe dello stesso; infatti qualsiasi forma di partecipazione morale o materiale nel delitto presupposto dovrà essere punita a titolo di concorso nel suddetto delitto. A ciò consegue che riveste fondamentale importanza, ai fini di una corretta qualificazione giuridica del fatto, distinguere le ipotesi di concorso di persone nel delitto presupposto e di ricettazione; in tale direzione essenziale è verificare il tempo in cui la condotta è stata posta in essere: così se vi è stato accordo fra l'autore del delitto presupposto ed il ricettatore, per stabilire di quale reato debba rispondere quest'ultimo, occorrerà accertare il momento in cui detto accordo è intervenuto. Quando l'accordo interviene in un momento successivo alla consumazione del delitto presupposto, sarà sempre configurabile la ricettazione; viceversa se il suddetto accordo interviene prima, occorrerà prestare maggiore attenzione nel distinguere le due ipotesi. In tale direzione sarà necessario esaminare la natura causale della condotta del compartecipe del delitto presupposto, dovendosi ravvisare l'ipotesi del concorso in tale delitto tutte le volte in cui l'azione od omissione ascrivibile al compartecipe abbia avuto un ruolo determinante nella consumazione del reato, così come richiesto dall'art. 110. Così ad esempio dovrà rispondere di concorso nel delitto di furto e non di ricettazione colui che, avendo convenuto con il futuro ladro di comprare il profitto di una progettata azione furtiva, sia stato poi presente all'esecuzione materiale de reato, pur senza avere partecipato materialmente all'impossessamento della cosa altrui, ed abbia quindi ricevuto la refurtiva in conformità dell'accordo convenuto. È stata esclusa la possibilità di configurare la ricettazione a carico della convivente more uxorio del reo, la quale abbia ricevuto da quest'ultimo il denaro o le altre cose mobili provenienti da delitto. Segnatamente si è affermato che non è configurabile il dolo necessario ad integrare il delitto di ricettazione nel comportamento di chi riceve beni di provenienza delittuosa nell'ambito di un rapporto familiare o di rapporti obbligazionari (siano essi civili o naturali) da un congiunto, con la consapevolezza non dell'illecita provenienza degli stessi, ma solo della qualità criminale del congiunto medesimo; nel caso concreto la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva affermato la responsabilità di una donna che, in costanza di rapporto di coniugio, durante la detenzione del marito aveva ricevuto settimanalmente, dalla famiglia di questo, modeste somme, provento dell'attività di cessione di stupefacenti (Cass. III, n. 15926/2020). Quanto all'accertamento della suddetta estraneità del reo al delitto presupposto, si è precisato che, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, non occorre la prova positiva che il soggetto attivo non sia stato concorrente nel delitto presupposto, essendo sufficiente che non emerga la prova del contrario (Cass. II, n. 10850/2014). Elemento materialeIl delitto presupposto L'esame dell'elemento oggettivo del reato prende le mossa dalla necessaria esistenza, perché possa configurarsi il delitto di ricettazione, della precedente commissione di un altro delitto. Deve trattarsi necessariamente di un delitto, anche tentato, non essendo configurabile la ricettazione nell'ipotesi in cui le cose acquistate o comunque ricevute provengano da una contravvenzione o da un illecito amministrativo. Come si diceva sopra, non è necessario che si tratti di un delitto contro il patrimonio, essendo sufficiente che si entri in possesso di cose provenienti da qualsiasi delitto. In seguito all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 195 del 2021, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio , del 23 ottobre 2018, sulla lotta al riciclaggio mediante diritto penale”, presupposto del delitto di ricettazione potrà essere anche una contravvenzione, in quanto la parola “delitto” contenuta nella fattispecie incriminatrice è stata sostituita con “reato”. Ed appunto con il suddetto decreto è stata introdotta, al secondo comma dell'art. 648 c.p., una specifica ipotesi di ricettazione riguardante denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l'arresto superiore nel massimo a un anno e nel minimo a sei mesi. Per la configurabilità della ricettazione non è richiesto un accertamento giudiziale in merito alla sussistenza del delitto presupposto, in quanto la provenienza delittuosa del bene posseduto non deve essere accertata in ogni suo estremo fattuale, potendo ben desumersi dalla natura e dalle caratteristiche del bene stesso (Cass. I, n. 29486/2013), come anche da prove logiche (Cass. II, n. 4051/2021). Così come non è necessario che sia noto l'autore del delitto presupposto, essendo sufficiente la semplice certezza della sua esistenza. In sostanza basta che il fatto risulti positivamente al giudice chiamato a conoscere della ricettazione, essendo possibile, a tal fine, l'acquisizione del verbale di denuncia relativa al reato presupposto. Si è anche chiarito che il delitto presupposto e la stessa provenienza delittuosa della "res" possono essere oggetto di prova logica fondata anche sulla natura del bene acquistato o ricevuto che escluda, di per sé, la possibilità di ipotizzarne una circolazione legittima (Cass. II, n. 45274/2022). Ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, occorre la prova dell'estraneità dell'imputato al reato presupposto allorché questo deduca di averlo commesso e tale prospettazione sia credibile (Cass. VI, n. 34679/2016). In applicazione di tale principio nel caso concreto la Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per la ricettazione di alcuni supporti abusivi, rilevando che, dinanzi alla plausibilità della prospettazione dell'imputato di avere provveduto personalmente alla loro riproduzione, in considerazione del numero esiguo di supporti rinvenuti e della semplicità delle operazioni di riproduzione, il pubblico ministero non aveva fornito la prova che altri avessero proceduto a tale illecita operazione. In alcuni casi la provenienza delittuosa della cosa e quindi la conseguente esistenza del delitto presupposto risulta implicitamente e tale deve risultare necessariamente anche a colui che acquista la disponibilità della cosa stessa; trattasi di ipotesi nelle quali emergono sospetti sulla legittima provenienza del bene così gravi da ingenerare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale e secondo la comune esperienza la certezza che non possa trattarsi di cose legittimamente possedute da chi le detiene. Ci si vuole riferire non solo alle fattispecie di ricezione di armi clandestine, ma anche a fattispecie come quella relativa al possesso di assegni in bianco, trattandosi di oggetti che non possono essere legittimamente detenuti da nessuno oltre che dalla banca emittente, nel caso di assegno circolare o dal titolare del conto corrente, nel caso di assegno bancario. In tale direzione si è affermato che integra il delitto di ricettazione e non la contravvenzione di acquisto di cose di sospetta provenienza la condotta di colui che riceva o acquisti un modulo di assegno bancario in bianco, trattandosi di un documento, per sua natura e destinazione, nel possesso esclusivo del titolare del conto corrente o della persona da questi delegata (Cass. II, n. 22120/2013). Al principio affermato consegue che il soggetto il quale riceve o acquisti un assegno bancario al di fuori delle regole che ne disciplinano la circolazione è necessariamente consapevole della sua provenienza illecita. È importante, a questo riguardo, precisare che la condotta di colui che detiene più moduli di assegni in bianco provenienti dal medesimo carnet, sebbene spesi ed utilizzati in tempi e luoghi diversi, integra un unico reato di ricettazione del blocchetto che originariamente li conteneva (Cass. V, n. 19372/2013). La ricettazione può avere come reato presupposto anche una precedente ricettazione, sempre che sussista il relativo elemento psicologico e si stabilisca una relazione di fatto con la cosa che ne comporti la disponibilità (Cass. II, n. 15681/2016). Nel caso di specie la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto insussistente il reato di cui all'art. 648, nell'ipotesi di utilizzazione di un modulo provento del reato di furto per la formazione di un falso documento d'identità. Le cause estintive del delitto presupposto non si estendono alla ricettazione, in quanto quest'ultimo reato è completamente autonomo rispetto alle vicende relative al delitto presupposto. Ciò deriva dall'espressa previsione contenuta nella norma incriminatrice, laddove, all'ultimo comma dell'art. 648, prevede che “le disposizioni di quest'articolo si applicano anche quando l'autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile ovvero manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto”. Se la non punibilità o la punibilità a querela del reato presupposto si riferisce alla particolare qualità della persona offesa, sussiste ugualmente il delitto di ricettazione, poiché sono presenti tutti gli elementi costitutivi del reato presupposto, alla cui realizzazione possono concorrere soggetti privi delle qualità personali, in presenza delle quali è prevista la non punibilità o la punibilità a querela (Cass. II, n. 33478/2010). Detto principio non è unanimemente condiviso, in quanto si ritiene non configurabile la ricettazione nell'ipotesi in cui fra l'imputato di quest'ultimo delitto e la persona offesa intercorra un rapporto di parentela o affinità previsto dall'art. 649 c.p., in quanto un tale rapporto, escludendo la sussistenza del delitto presupposto, produrrebbe i suoi effetti anche sulla ricettazione. Con riferimento alle vicende giuridiche successive che incidono sul reato presupposto, l'art. 170 prevede che le cause estintive del reato presupposto, come ad esempio l'amnistia o la prescrizione, non si estendono al reato successivo. Certo in caso di abolitio criminis o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che prevede il reato presupposto, viene meno anche la configurabilità della ricettazione, trattandosi di cause estintive del reato che hanno efficacia ex tunc. Deve però rilevarsi che, in tema di revoca della sentenza per abolizione del reato ex art. 673 c.p.p., la Cassazione ha ritenuto che, in tema di ricettazione, la provenienza da delitto dell'oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice; a ciò consegue che l'eventuale abrogazione, le successive modifiche o la sopravvenuta incompatibilità di tale norma con il diritto comunitario non assumono rilievo ai sensi dell'art. 2 c.p., e la rilevanza del fatto, sotto il profilo in questione, deve essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui è intervenuta la condotta tipica di ricezione della cosa od di intromissione, affinché altri la ricevano (Cass. III, n. 30591/2014). Di ciò deve tenersi conto, in quanto ove il reato presupposto della ricettazione sia quello previsto dall'art. 647 c.p., quest'ultima fattispecie di reato è stata abrogata con il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, entrato in vigore il 6 febbraio 2016; pertanto la ricettazione delle cose previste dall'art. 647 c.p. non sarà più configurabile, per assenza delitto presupposto solo per i fatti successivi a tale data. Più specificamente si è ritenuto che la provenienza da delitto dell'oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, di talché l'avvenuta abrogazione, le successive modifiche o la sopravvenuta incompatibilità di tale norma con il diritto comunitario, non assumono rilievo ai sensi dell'art. 2 c.p. e la rilevanza del fatto, sotto il profilo in questione, deve essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui è intervenuta la condotta tipica di ricezione della cosa od intromissione affinché altri la ricevano; nel caso di specie la condotta di falsificazione di alcun traveller cheques era stata posta in essere prima della depenalizzazione del reato relativo alla contraffazione di assegni non trasferibili, intervenuta con il d.l. 15 gennaio 2017 n. 7, depenalizzazione considerata quindi irrilevante ai fini della ritenuta integrazione del delitto di ricettazione (Cass. II, n. 26026/2022). La ricettazione è, invece, senz'altro configurabile nell'ipotesi in cui il reato presupposto sia stato commesso all'estero ed anche se venga a mancare la condizione di procedibilità (Cass. II, n. 22343/2010). Più specificamente si è affermato che sussiste la giurisdizione italiana quando nel territorio dello Stato si sia verificato anche un solo frammento della condotta che, seppur privo dei requisiti di idoneità ed equivocità richiesti per il tentativo, sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio estero (Cass. V, n. 570/2016). In applicazione di tale principio è stata riconosciuta la sussistenza della giurisdizione italiana in un caso di ricettazione di somme consumata in territorio estero, quando il delitto presupposto sia stato commesso in Italia e l’attività di invio delle somme sia stata posta in essere dall’indagato che si trovava all’estero ma si era avvalso della collaborazione di altri soggetti operanti in Italia (Cass. II, n. 7351/2023). Le condotte vietate dalla norma L'elemento materiale del delitto di ricettazione risulta analiticamente descritto nella norma incriminatrice; esso va individuato nell'acquistare, ricevere o occultare denaro o altre cose provenienti da delitto, o nell'intromettersi nel farli acquistare, ricevere o occultare. Il termine acquistare va inteso come riferito non soltanto al risultato di una compravendita, ma anche a qualsiasi altro modo, che potrà essere a titolo oneroso o gratuito, idoneo a fare conseguire all'agente il possesso della cosa di provenienza delittuosa. Con riferimento alla condotta in esame la Cassazione ha avuto modo di precisare che, ai fini della consumazione del delitto di ricettazione, non è necessario che all'acquisto, perfezionatosi in virtù di un accordo intervenuto fra le parti, segua materialmente la consegna della res, poiché l'art. 648 c.p. distingue l'ipotesi dell'acquisto da quella della ricezione (Cass. II, n. 31023/2013). Nel caso concreto è stato ritenuto consumato il delitto di ricettazione in una fattispecie concreta in cui il fermo della merce di provenienza delittuosa era avvenuto presso la Dogana e ciò aveva impedito la ricezione della merce stessa da parte dell'imputata. In proposito la Cassazione ha, ancora, precisato che il delitto di ricettazione si consuma, nell'ipotesi di acquisto, al momento dell'accordo fra cedente ed acquirente sulla cosa proveniente da delitto e sul prezzo, considerato che la traditio della res — nella quale può ravvisarsi null'altro che un momento che pertiene all'adempimento del contratto, già perfezionato ed efficace, non può ritenersi imposta dalla norma penale, come elemento strutturale della fattispecie, al punto da contrassegnarne la consumazione (Cass. II, n. 46899/2011). Anche la semplice ricezione del denaro o delle cose di provenienza delittuosa può integrare il delitto di ricettazione. In particolare potrà essere sufficiente una ricezione a qualsiasi titolo, sempre che essa comporti l'uscita della cosa dal possesso dell'autore del reato principale; si è, difatti ritenuto che non rileva, ai fini della sussistenza del reato di ricettazione, la ragione per la quale l'autore del fatto si sia determinato a ricevere la cosa provenienza da delitto (Cass. II, n. 17718/2011). Comunque, a differenza del concetto di acquisto, che può riferirsi anche ad una relazione meramente giuridica fra il soggetto agente e la cosa, la ricezione implica un'effettiva trasmissione del possesso della cosa stessa, che deve necessariamente entrare nella sfera di disponibilità dell'agente (Cass. II, n. 12763/2011); in forza di detto principio è stata esclusa la configurabilità del delitto di ricettazione in una fattispecie concreta in cui la sentenza di condanna era fondata sulla mera presenza, quale trasportato, dell'imputato a bordo di un'autovettura guidata dall'autore del furto della stessa (Cass. II, n. 22959/2017). La condotta di chi riceve una pluralità di beni, ciascuno dei quali abbia una propria autonomia ed una distinta provenienza delittuosa, realizza una pluralità di eventi giuridici e, quindi, di reati, che non può essere esclusa per il solo fatto che il soggetto abbia ricevuto i beni nel medesimo contesto temporale e dalla stessa persona (Cass. II, n. 11024/2019). La condotta di occultamento presuppone necessariamente un acquisto o una ricezione del denaro o della cosa di provenienza delittuosa; essa può consistere un una qualsiasi attività idonea a nascondere il denaro o la cosa, sottraendola alle ricerche dell'autorità. Il delitto di ricettazione è integrato anche attraverso la condotta di colui che si intromette nel fare acquistare, ricevere o occultare il denaro o le cose; trattasi di una condotta che consiste nella mediazione fra il soggetto che possiede le cose di provenienza delittuosa ed un terzo, interessato all'acquisto, che potrà anche essere in buona fede, ignorando la provenienza delittuosa delle cose. La mediazione non deve necessariamente an La condotta di chi riceve una pluralità di beni, ciascuno dei quali abbia una propria autonomia ed una distinta provenienza delittuosa, realizza una pluralità di eventi giuridici e, quindi, di reati, che non può essere esclusa per il solo fatto che il soggetto abbia ricevuto i beni nel medesimo contesto temporale e dalla stessa persona (Cass. II, n. 11024/2019). dare a buon fine, nel senso che, trattandosi di reato istantaneo, esso viene a consumazione anche se poi non si verifichi l'acquisto da parte del terzo, sempre che l'agente abbia posto in essere una condotta che possa considerarsi idonea a raggiungere lo scopo di fare trasferire le cose di provenienza delittuosa da un soggetto ad un altro. In tale direzione potrà essere sufficiente ad integrare il reato una condotta consistente in una mera segnalazione al ladro dell'esistenza di una persona interessata ad acquistare la cosa, che l'agente conosce essere di provenienza delittuosa, non essendo necessario l'esercizio di una vera e propria attività di mediazione di carattere continuativo. In sostanza in questa ipotesi di reato il legislatore ha previsto un'anticipazione della punibilità a livello del tentativo, che, quindi, nel caso dell'intromissione, non sarà configurabile come reato autonomo. L'oggetto del reato La ricettazione può avere ad oggetto denaro o cose provenienti da delitto; in quest'ultimo concetto devono ritenersi comprese non soltanto le cose che costituiscono il corpo del reato, ma anche le cose che ne rappresentano il prezzo e quelle che servirono o furono destinate a commetterlo. Il termine “cose” è utilizzato dal Legislatore in modo indeterminato, nel senso che la ricettazione potrà avere ad oggetto una cosa o una pluralità di cose; in tale ultima ipotesi, ove la ricezione delle cose sia avvenuta in un unico contesto temporale, sarà sempre ravvisabile un unico reato e non un'ipotesi di concorso di reati. La giurisprudenza, anche se in modo isolato e con una datata decisione, ha ritenuto configurabile la ricettazione di beni immobili soltanto nella forma dell'acquisto, ritenendo, appunto, ipotizzabile il reato in caso di acquisto di un immobile proveniente da truffa (Cass. II, n. 1985/1991). È configurabile la ricettazione anche quando la provenienza delle cose o del denaro da delitto non sia diretta, ma mediata attraverso uno o più intermediari in buona fede. Esiste un limite alla possibilità di configurare la ricettazione in via mediata: in tal senso nel momento in cui l'intermediario in buona fede abbia usucapito la cosa, quando lo stesso la cede a persona consapevole dell'originaria provenienza delittuosa, non potrà più configurarsi a suo carico la ricettazione. In sostanza per escludere la sussistenza del reato e cioè in particolare il carattere delittuoso del possesso occorre l'intervento di una nuova relazione giuridica fra il soggetto e la cosa, che modifichi la situazione originaria, facendo venir meno quell'originario vizio della cosa stessa, rappresentato dal fatto di costituire il provento di un delitto. La Cassazione, sia pure incidentalmente, ha ritenuto configurabile la ricettazione dell'ipotesi di ricezione da parte di un uomo politico di somme di denaro in violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti politici. In particolare era pervenuta all'esame della Corte di legittimità la questione relativa all'utilizzabilità nel giudizio avente ad oggetto il reato di finanziamento illecito ai partiti di atti assunti mediante rogatoria internazionale: i ricorrenti sostenevano l'inutilizzabilità di tali atti, in quanto assunti dall'autorità procedente in violazione del principio della doppia punibilità, essendo il finanziamento illecito ai partiti politici previsto come reato solo in Italia e non anche nello Stato al quale era stata richiesta l'assistenza giudiziaria, nel caso di specie la Svizzera. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, facendo proprio l'assunto posto a base della decisione dai giudici di merito, in base al quale il fatto era comunque previsto come reato in entrambi gli ordinamenti nella forma della ricettazione, certamente configurabile sia in Italia che in Svizzera nell'ipotesi di volontaria e dolosa ricezione di denaro di provenienza illecita, in quanto percepito in assenza di qualsiasi deliberazione e iscrizione a bilancio da parte della società erogante (Cass. VI, n. 13682/1998). Con riferimento ai beni immateriali si ritiene che integri il reato di ricettazione la ricezione di compact disc musicali tutelati dal diritto d'autore, in quanto, anche dopo la sentenza della Corte di Giust. U.E. 8 novembre 2007 causa C-20/05 c/Italia, che pure ha determinato l'irrilevanza penale della violazione dell'obbligo di apposizione del contrassegno S.I.A.E., non è stata esclusa la tutela del diritto d'autore in quanto tale, ne sono state liceizzate attività comportanti l'abusiva diffusione, riproduzione, contraffazione delle opere dell'ingegno (Cass. II, n. 5228/2012). È stata costantemente ravvisata la ricettazione nella condotta di colui che acquista o comunque riceve, o si intromette nel fare acquistare o ricevere cose di antichità o d'arte, il cui impossessamento è previsto come reato dall'art. 125 d.lgs. n. 490/1999 [v. ora art. 176 d.lgs. n. 42/2004]; quest'ultima norma prevede il cosiddetto furto archeologico, in precedenza sanzionato dall'art. 67 l. n. 1089/1939. In forza della suddetta previsione normativa sussiste una presunzione di illegittimità nel possesso da parte di privati di oggetto archeologici; trattasi, infatti, di oggetti che sono di proprietà dello Stato fin dalla loro scoperta ed il loro impossessamento, sia che provenga da scavo, sia da rinvenimento fortuito è previsto dalla legge come delitto. Detta impostazione, fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità con datate decisione (Cass. II, n. 49413/2003), ma tuttora valida, si basa sulla previsione contenuta nell'art. 826 comma 2 c.c., in base alla quale le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico e artistico, da chiunque ed in qualunque modo ritrovate, fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato; a ciò si è aggiunta la previsione contenuta nell'art. 67 l. n. 1089/1939, sostituito prima dall'art. 125 d.lgs. n. 490/1999 e poi dall'art. 176 d.lgs. n. 42/2004. Ed è importante, a questo riguardo, segnalare che, ai fini della sussistenza del reato di impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato, di cui appunto alla norma ora citata e quindi anche ai fini della sussistenza della ricettazione, nel caso in cui i suddetti beni siano ceduti da terzi, non è necessaria la preesistenza di un provvedimento dell'autorità amministrativa che qualifichi il bene come culturale, essendo sufficiente un interesse culturale oggettivo derivante da tipologia, localizzazione, rarità o analoghi criteri, e la cui prova può desumersi o dalla testimonianza di organi della P.A. o da una perizia disposta dall'autorità giudiziaria (Cass. II, n. 36111/2014). È senz'altro configurabile il delitto di ricettazione nella condotta di colui che abbia ricevuto o acquistato un modulo di carta d'identità in bianco; difatti trattasi di documenti che, per la loro natura e destinazione, sono in possesso solo della p.a. ed il privato che li detenga è necessariamente consapevole dell'illiceità del commercio di documenti d'identità e della loro indubbia provenienza delittuosa (Cass. II, n. 3356/2012). Si era ritenuto da parte della giurisprudenza di merito che potesse considerarsi cosa, nell'accezione di cui all'art. 648, anche la parola chiave per l'accesso ad un servizio informatico a pagamento, ritenendosi che l'indebito possesso della relativa password da parte di terzi potesse integrare il delitto di ricettazione; il relativo elemento del profitto era stato individuato nell'indebito accesso da parte del soggetto non titolare della password alla rete informatica riservata. Si era, appunto, ritenuto che nel concetto di cosa dovesse ricomprendersi ogni bene suscettibile di valutazione economica, come ad esempio l'energia elettrica, di cui si è sempre ammessa pacificamente la possibilità di sottrazione e/o di impossessamento; così allo stesso modo era stata considerata cosa suscettibile di utilizzazione economica anche la password, il cui indebito possesso ed uso produce conseguenze negative sul patrimonio del suo titolare. La Cassazione non ha condiviso la sopra riportata impostazione, affermando che integra il reato di detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a servizi informatici (art. 615-quater) e non quello di ricettazione la condotta di chi riceve i codici di carte di credito abusivamente scaricati dal sistema informatico, ad opera di terzi e li inserisce in carte clonate poi utilizzate per il prelievo di contante attraverso il sistema bancomat (Cass. II, n. 47021/2013). In tal senso la giurisprudenza della Cassazione è ormai assestata nel ritenere che i codici di accesso ad un sistema informatico non sono né denaro, né cosa proveniente da reato: si è ritenuto, appunto, che il digitare un numero di codice può semmai riportarsi al concetto di acquisto di un'utilità, che è sicuramente diverso da quello di cosa, non equivalendo quest'ultimo a quello più ampio di bene. Del resto non a caso, a differenza di quanto previsto nell'art. 648 il Legislatore, nel successivo art. 648-bis sul riciclaggio ha espressamente ricompreso, fra gli oggetti materiali del reato, anche le utilità, che dovrebbero, quindi, restare escluse dal delitto di ricettazione. La decisione ora citata segue altra precedente affermazione della Corte di Cassazione, in base alla quale si è ritenuto che integra il reato di detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a servizi informatici previsto e punito dall'art. 615-quater la condotta di colui che si procuri abusivamente il numero seriale di un apparecchio telefonico cellulare appartenente ad altro soggetto, poiché attraverso la corrispondente modifica del codice (cosiddetta clonazione) è possibile realizzare un'illecita connessione alla rete di telefonia mobile, che costituisce un sistema telematico protetto, anche con riferimento alla banche concernenti i dati esteriori delle comunicazioni, gestite mediante tecnologie informatiche. Sarà, invece, senz'altro configurabile il delitto di ricettazione in caso di acquisto consapevole, a fini di profitto, di un telefono cellulare predisposto per l'accesso alla rete di telefonia mobile mediante i codici di altro utente, cioè un telefono cellulare cosiddetto clonato, dovendo ravvisare, in una tale fattispecie, il reato presupposto in quello di cui all'art. 615-quater (Cass. II, n. 5688/2004). Il software, ai sensi del d.lgs. 29 dicembre 1992, n. 518, che ha recepito la direttiva comunitaria 91/250/Cee, deve considerarsi come un'opera dell'ingegno soggetta, come tale, alla normativa sul diritto d'autore; segnatamente i programmi per elaboratore rientrano fra le opere letterarie protette a norma della Convenzione di Berna, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. 20 giugno 1978, n. 399 ed è sanzionata penalmente con il reato di cui all'art. 171-bis l.n. 633/1941 la loro duplicazione, a fini di lucro, nonché la loro importazione, distribuzione, vendita e detenzione a scopo commerciale. E la giurisprudenza ha, costantemente, ritenuto che la suddetta fattispecie di reato comprende non soltanto la produzione non autorizzata di cose perfette del programma, ma anche la realizzazione di programmi ricavati dallo sviluppo o da modifiche del prodotto originale, quando di quest'ultimo sia replicata una parte funzionalmente autonoma e costituente, dunque, il nucleo centrale dell'opera protetta (Cass. V, n. 38325/2011; Cass. III, n. 8011/2012). Detto ciò, occorre stabilire se un programma informatico può costituire l'oggetto del delitto di ricettazione, potendo considerarsi una cosa mobile di cui è possibile l'acquisto o la ricezione. Deve, al riguardo, evidenziarsi che la l. n. 547/1993, che ha introdotto nel codice i reati informatici, non prevede un'equiparazione indifferenziata fra i programmi e le cose mobili, prendendo in considerazione solo in specifiche e tassative ipotesi il dato o il programma come oggetto di tutela penale. Quando però la condotta materiale attenga a prodotti informatici contraffatti e commercializzati come se fossero originali non residuano dubbi sulla possibilità di configurare il delitto di ricettazione, in quanto il supporto su cui è stato abusivamente riprodotto il programma informatico si presta ad essere considerata come una cosa che proviene dal delitto di cui all'art. 171-bis l. n. 633/1941. Nella pratica può risultare spesso difficile acquisire in concreto la prova in ordine alla provenienza delittuosa del prodotto informatico; così quando detta prova manchi, potendo essere i programmi scaricati da internet o acquisiti in edicola come allegati ad un periodico e non essendovi quindi elementi per ritenere esistente, nei suoi elementi essenziali, il delitto presupposto, si imporrà l'assoluzione dell'imputato dal reato di ricettazione allo stesso ascritto, perché il fatto non sussiste. In concreto, poi, il reato è stato anche escluso nei casi in cui veniva in concreto riscontrata l'assenza di un qualsiasi fine di lucro nella condotta di detenzione di software abusivamente duplicato. Infruttuosi si sono rivelati anche i tentativi di ipotizzare il delitto di ricettazione in relazione alle ipotesi di detenzione ed installazione di apparecchiature e strumenti idonei ad eludere i sistemi di protezione delle trasmissioni televisive in forma codificata. La giurisprudenza si è occupata espressamente della fattispecie ritenendo integrato il delitto previsto dall'art. 171-octies l. n. 633/1941 nella messa in vendita e nella promozione per la vendita di un apparato denominato splitter o splitty atto alla decodificazione delle trasmissioni audiovisive via satellite ad accesso condizionato ed idoneo a replicare illegalmente le credenziali contenute all'interno della smart card inserita nell'unita principale e, quindi, a consentire illegalmente a più decoder, privi di autonoma smart card, di ottenere le credenziali di accesso per la decodifica del segnale satellitare (Cass. III, n. 25385/2010). Ed ancora si è affermato che integra il reato previsto dall'art. 171-ter comma 1 lett. f-bis) l. n. 633/1941 la vendita al pubblico di dispositivi aventi la finalità di eludere il sistema di protezione dei segnali televisivi ad accesso condizionato, moltiplicando sia la ricezione del segnale per mezzo di pseudo smart card alloggiate in ulteriori decoder collegati al sistema elettronico di condivisione, che la fruizione di programmi autonomamente visibili da ciascun utente, senza che il possesso di un regolare abbonamento possa escludere la natura abusiva delle utilità conseguibili dall'impiego della predetta apparecchiatura (Cass. II, n. 48639/2012). La Cassazione ha escluso che la ricezione di una chiavetta (cosiddetto token) idonea a generare solo il terzo codice temporaneo richiesto per l’accesso on line al conto corrente intestato al proprietario al quale era stata sottratta la chiavetta potesse integrare una forma di reato impossibile, come sostenuto dalla difesa, in quanto, non disponendo l’imputato dei due precedenti codici, non avrebbe mai avuto la possibilità di operare sul conto corrente della persona offesa. La Cassazione ha al riguardo precisato che, essendo la ricettazione un reato a dolo specifico, per il raggiungimento del reato non è affatto richiesto il conseguimento dello scopo perseguito; ciò che, invece, rileva ai fini dell’integrazione del reato è che l’imputato, al momento della ricezione della chiavetta generatrice del codice, fosse animato da fine di profitto, confidando di potere utilizzare in qualche modo la chiavetta ricavandone un vantaggio patrimoniale (Cass. II, n. 37369/2020). Elemento psicologicoDalla formulazione della norma incriminatrice emerge chiaramente che per l'integrazione del reato, da un punto di vista soggettivo, è necessario, oltreché il dolo generico, anche quello specifico. Difatti, oltre alla generica coscienza e volontà di acquistare, ricevere od occultare, ovvero intromettersi nel fare acquistare, ricevere od occultare denaro o cose di provenienza delittuosa, della quale occorre che l'agente sia comunque consapevole, è richiesto anche il fine specifico di procurare a sé o ad altri un profitto. In primo luogo deve, al riguardo, precisarsi che la consapevolezza dell'agente circa l'illecita provenienza della cosa non deve estendersi alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, purché gravi, univoche e tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. L'elemento soggettivo del reato deve sussistere nel momento in cui viene posta in essere la condotta delittuosa consistente nell'acquistare, ricevere od occultare o nell'intromettersi per fare compiere ad altri tali azioni. A ciò consegue che, nel caso in cui il soggetto abbia acquistato le cose di provenienza delittuosa in buona fede e sia poi solo successivamente venuto a conoscenza della loro provenienza delittuosa e non abbia provveduto a restituirle all'avente diritto, in luogo del delitto di ricettazione, sarà integrata la contravvenzione di omessa denuncia di cose provenienti da delitto prevista dall'art. 709. La conoscenza della provenienza delittuosa della cosa o del denaro deve formare oggetto di specifico accertamento da parte del giudice di merito, non essendo ammissibile in tale materia il ricorso a presunzioni. Certo si tratta di un giudizio di fatto che, in presenza di un'adeguata e completa motivazione, non potrà formare oggetto di censura in sede di legittimità. Per provare la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato si potrà fare ricorso a qualsiasi elemento anche indiretto, sempre che si tratti di elementi in grado di fornire una prova inequivocabile della malafede dell'agente. In primo luogo potranno essere utilizzate le circostanze elencate nell'art. 712; ulteriori decisivi indicatori possono essere desunti da svariate circostanze attinenti alle modalità di accadimento del fatto contestato, quali le circostanze dell'acquisto, la natura, la qualità e la varietà delle cose acquistate, le qualità o condizioni del venditore ed in particolare la sua esperienza professionale ed anche il prezzo d'acquisto. Il giudice, inoltre, potrà valorizzare, per ritenere provata la sussistenza dell'elemento psicologico del reato, quanto riferito o non riferito dall'imputato in merito alla provenienza della cosa, fino al punto di ritenere provato il dolo in caso di mancata giustificazione in ordine alle modalità di acquisizione del possesso della cosa stessa. In questa direzione si è ritenuto integrato il reato di ricettazione di sei lingotti d'oro alla luce delle anomale modalità di vendita e della non plausibilità della versione fornita dall'imputato valutata non coerente con la conoscenza da parte dell'imputato del mercato dell'oro, regolato da normative assai rigide (Cass. II, n. 9102/2021). Si è al riguardo precisato che la formula “in modo da ostacolare”, contenuta nel testo della norma incriminatrice, non può essere interpretata come indicatrice di specifiche finalità, in quanto il dolo del delitto in esame è generico e deve ritenersi integrato dalla coscienza e volontà di ostacolare l'accertamento della provenienza dei beni, del denaro o di altre utilità (Cass. II, n. 38196/2022). In tal senso si è espressa costantemente la giurisprudenza della Corte di Cassazione affermando esplicitamente che, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, la mancata giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova della conoscenza dell'illecita provenienza (Cass. II, n. 41423/2010). Ove però si sia in presenza di una giustificazione non implausibile del possesso della res, è onere del giudice verificare in concreto la fondatezza di questa nel contesto del comportamento tenuto dall'agente (Cass. II, n. 50952/2013). Nel caso di specie, di cui alla decisione ora citata, risultava che l'imputato, accusato della ricettazione di un assegno risultato provento di furto, aveva indicato le generalità complete della persona dalla quale lo aveva ricevuto e, ciononostante nessun accertamento era stato disposto sul punto. Quindi anche il comportamento dell'imputato merita di essere valorizzato nell'analisi che il giudice deve compiere per valutare la sussistenza dell'elemento psicologico del reato; rilevanza in tale direzione potrà assumere il comportamento dell'imputato successivamente all'acquisto della cosa, quando da tale elemento possano emergere indizi gravi, precisi e concordanti in base ai quali ritenere che lo stesso fosse certamente consapevole della provenienza delittuosa della cosa al momento della ricezione della stessa. Certo sussiste la consapevolezza dell'illecita provenienza del bene in capo al soggetto che riceve o acquista una carta di circolazione, trattandosi di documento che, per la disciplina che ne regola il rilascio, consente un immediato collegamento con il legittimo possessore (Cass. II, n. 14283/2022). Per profitto deve intendersi qualsiasi vantaggio, anche non direttamente economico, che l'agente o un terzo può trarre dal possesso della cosa; quindi potrà trattarsi di un vantaggio materiale o anche soltanto morale; potrà procurare un vantaggio economico o anche di semplice godimento. In tale direzione la Corte di Cassazione ha avuto modo i precisare, appunto, che il profitto, il cui conseguimento integra il dolo specifico del reato di ricettazione, può avere anche natura non patrimoniale (Cass. II, n. 38277/2019; conf. Cass. II, n. 45071/2021). Ai fini dell'integrazione del reato, poi, non è essenziale l'effettivo conseguimento del profitto, in quanto lo scopo dell'incriminazione è quello di reprimere il possesso di una cosa di provenienza delittuosa, quando l'agente sia a conoscenza di tale provenienza e voglia comunque ricavare dal possesso della cosa una qualsiasi utilità. Il profitto potrà anche essere non ingiusto, non essendo quest'ultimo carattere richiesto dalla norma incriminatrice, come nel caso della ricezione di denaro di provenienza delittuosa, nota all'agente, a titolo di prestazione nell'ambito di un rapporto giuridico sinallagmatico. Sul punto però la Cassazione ha avuto la necessità di chiarire che la persona offesa del delitto di usura non può rispondere, in concorso con l'erogatore del prestito usurario, di ricettazione del denaro ricevuto, per l'impossibilità di individuare nella sua condotta il perseguimento di un ingiusto profitto, elemento finalistico del dolo di ricettazione (Cass. II, n. 25828/2007). Recentemente la Cassazione è tornata ad affrontare la tematica relativa al concorso di persone nei reati a dolo specifico, quale è quello in esame, ribadendo l'affermazione che non occorre, ai fini dell'integrazione del delitto di ricettazione, che il dolo specifico ricorra in capo a tutti i concorrenti (Cass. II, n. 38277/2019). Specificamente la decisione riprende i principi già affermati dalle sezioni unite in tema di concorso esterno nel delitto di cui all'art. 416-bis c.p.(Cass. S.U., n. 16/1994; Cass. S.U., n. 33748/2005), affermando che risulta incriminabile a titolo di concorso nel delitto di ricettazione anche il soggetto il cui contributo al reato non sia caratterizzato dal dolo specifico, sempre che: in primo luogo il reato, realizzato nella forma concorsuale, sia comunque integrato nella sua tipicità, nel senso che almeno uno dei concorrenti abbia agito animato dal necessario dolo anche specifico; quindi gli altri concorrenti, non soggettivamente animati dal necessario dolo anche specifico, siano consapevoli dell'altrui finalità. La disputa giurisprudenziale circa la possibilità di ritenere integrato il delitto di ricettazione anche in presenza dell'elemento soggettivo nella forma del dolo eventuale è stata risolta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, riconoscendosi la compatibilità del dolo eventuale con il delitto di ricettazione. Specificamente si è ritenuto che l'elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell'agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, non potendosi desumere da semplici motivi di sospetto, ne potendo consistere in un mero sospetto; si è, appunto, affermato che il dolo eventuale è ravvisabile quando l'agente, rappresentandosi l'eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuto la certezza (Cass. S.U ., n. 12433/2009). Si è anche precisato, nella suddetta decisione che il dolo eventuale riguarda, oltre alla verificazione dell'evento, il presupposto della condotta, consistendo, in questo caso, nella rappresentazione della possibilità dell'esistenza del presupposto stesso e nell'accettazione di tale esistenza. Successivamente a tale decisione anche le sezioni semplici della Cassazione si sono uniformati al principio di diritto affermato dalle sezioni unite, superando le precedenti incertezze e precisandosi che, in tema di ricettazione, ricorre il dolo nella forma eventuale quando l'agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, condotta che comporta, invece, l'ipotesi contravvenzionale dell'acquisto di cose di sospetta provenienza (Cass. II, n. 25439/2017). Il principio è stato ancora riaffermato ritenendosi che il dolo può configurarsi anche nella forma eventuale quando l’agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito (Cass. V, n. 13213/2024); la decisione si pone in linea con altra precedente nell’ambito della quale si era ritenuto che integra il reato di ricettazione aggravata dalla finalità di agevolazione di associazione di stampo mafioso la percezione, da parte di un congiunto di un affiliato che si trovi in stato di detenzione, di un assegno settimanale versato dal sodalizio criminale, giacchè tale strumento di supporto economico, con la creazione di una rete di solida mutualità fra gli affiliati, rinsalda il vincolo di solidarietà nell’ambito dell’associazione, agevolando il perseguimento dei suoi scopi illeciti (Cass. VI, n. 19362/2020). Particolare rilevanza deve riconoscersi alla tematica dell'errore in materia di elemento soggettivo del reato, nel senso che un errore di fatto sulla provenienza da delitto della cosa o del denaro esclude la possibilità di configurare la ricettazione; ciò può avvenire nell'ipotesi in cui il soggetto per errore ritenga che il fatto sia oggettivamente diverso da quello realmente commesso dall'autore del reato presupposto; a conclusione diversa deve pervenirsi ove l'errore riguardi la norma che prevede il reato presupposto, vertendosi in materia di errore di diritto, come tale inescusabile. ConsumazionePer individuare il momento consumato del reato di ricettazione occorre distinguere l'ipotesi della ricettazione per intromissione dalle altre ipotesi previste nella prima parte della norma incriminatrice. E così nei casi di ricettazione commessa tramite acquisto, ricezione o occultamento, il delitto è consumato nel momento in cui l'agente entra in possesso del denaro o delle cose mobili di provenienza delittuosa. Viceversa, come sopra si accennava, nell'ipotesi di ricettazione per intromissione il reato è consumato nel momento in cui l'agente pone in essere un atto di mediazione idoneo al trasferimento del denaro o delle cose di provenienza delittuosa dall'attuale detentore al soggetto interessato ad acquistarle, riceverle od occultarle; ed è bene precisare che non occorre per la consumazione del reato che la mediazione si andata a buon fine con l'effettivo trasferimento della cosa. In tale direzione si è mossa la giurisprudenza, affermando che il delitto di ricettazione, nella fattispecie della cosiddetta intromissione, si perfeziona per il solo fatto che l'agente si intrometta nel fare acquistare, ricevere od occultare un bene di provenienza delittuosa, non occorrendo, perché possa dirsi consumato, anche che l'intromissione raggiunga il fine ulteriore che il soggetto si era proposto (Cass. II, n. 8714/2011). E così analogamente si è precisato che, ai fini della consumazione, non è necessario che all'acquisto, perfezionatosi in virtù dell'accordo intervenuto tra le parti, segua materialmente la consegna della "res", poiché l'art. 648 distingue l'ipotesi dell'acquisto da quella della ricezione (Cass. II, n. 33957/2017). Certo, nell'ipotesi in cui manchi prova certa della data di acquisizione del bene da parte dell'imputato, il momento consumativo del reato deve essere individuato, in applicazione del principio del favor rei, in prossimità della data di commissione del reato presupposto (Cass. II, n. 44322/2021). Quanto fin qui detto sulle diverse forme che la condotta può assumere nel delitto di ricettazione e sulla loro rilevanza ai fini della consumazione del reato consente di affrontare agevolmente la problematica relativa all'ammissibilità del tentativo di ricettazione. Segnatamente, nelle ipotesi ordinarie di ricettazione, poste in essere tramite condotte di acquisto, ricezione od occultamento, il tentativo sarà sempre configurabile, come ad esempio, nell'ipotesi in cui il soggetto, essendo a conoscenza della provenienza delittuosa di una cosa, avvii delle trattative per l'acquisto della stessa, trattative mai concluse per mancanza di accordi sul prezzo. Analogamente con riferimento alla condotta di ricezione potranno configurarsi ipotesi di tentativo punibile in quelle attività rivolte, ad esempio, all'organizzazione del luogo ove conservare le cose di provenienza delittuosa o alla predisposizione dei mezzi necessari per il medesimo scopo; ed infine pure con riguardo alla condotta di occultamento, potrà costituire tentativo punibile ogni attività diretta alla predisposizione del luogo ove occultare le cose di provenienza delittuosa. Viceversa nell'ipotesi della ricettazione per intromissione il delitto tentato non sarà configurabile, in quanto ogni attività che il mediatore pone in essere ai fini del trasferimento del denaro o della cosa di provenienza delittuosa già costituisce consumazione del reato. Dato che il reato, nell'ipotesi ordinaria, si consuma con il conseguimento del possesso della cosa, tutte le attività successive a questo momento, come ad esempio quelle che rappresentano modalità di esercizio del possesso sulla cosa acquistata, ricevuta od occultata, rappresentano gli effetti permanenti del reato e non influiscono sulla natura istantanea dello stesso; certo, ove dette attività vengano a concretare altre ipotesi di reato, esse si aggiungeranno alla ricettazione, come avviene nell'ipotesi della ricettazione di un documento d'identificazione rubato, cui consegue la successiva attività di contraffazione. Ed anche la ricettazione per intromissione costituisce un reato istantaneo, in quanto ogni attività posta in essere dal mediatore al fine di procurare il trasferimento della cosa costituisce consumazione del reato; se, pertanto, vi saranno più contatti presi dal mediatore, la condotta di quest'ultimo potrà integrare diverse ipotesi di ricettazione, idonee ad essere inquadrate nel regime del reato continuato. CircostanzeCon l'art. 13 l. n. 152/1975, nell'aumentare la pena minima per il delitto di ricettazione da quindici giorni a due anni e nel massimo da sei a otto anni, oltre ad intervenire sulla pena pecuniaria, il Legislatore ha introdotto il comma 2 dell'art. 648 che prevede una pena meno grave — fino a sei anni di reclusione e multa fino a 516 euro, se il fatto è di particolare tenuità. La finalità perseguita dal legislatore, con l'introduzione della suddetta previsione, è stata quella di mitigare il particolare rigore del trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 648 comma 1, così come modificato dalla nuova legge. La giurisprudenza riconosce all'ipotesi della particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 648 comma 2, il valore di circostanza attenuante e non di figura autonoma di reato; come tale essa deve essere inclusa nel giudizio di comparazione di cui all'art. 69 (Cass. II, n. 14767/2017). Circa i presupposti per il riconoscimento della suddetta attenuante si è precisato che il valore del bene è un elemento concorrente solo in via sussidiaria ai fini della valutazione della ricorrenza dell'ipotesi di cui all'art. 648 comma 2, nel senso che se il valore non è particolarmente lieve, deve sempre escludersi la tenuità del fatto; se, invece, è accertata la lieve consistenza economica del bene ricettato, può procedersi alla verifica della sussistenza degli ulteriori elementi, desumibili dall'art. 133 che consentono di configurare l'attenuante de qua e che va esclusa quando emergono elementi negativi, sia sotto il profilo strettamente oggettivo, come l'entità del profitto, sia sotto il profilo soggettivo della capacita a delinquere dell'agente (Cass. II, n. 51818/2013). La Cassazione ha recentemente ribadito che la particolare tenuità va desunta da una complessiva valutazione del fatto che comprenda le modalità dell'azione, la personalità dell'imputato e il valore economico della "res" (Cass. II, n. 42866/2017). Circa il rapporto fra le due attenuanti del fatto di particolare tenuità di cui all'art. 648 comma 2 e del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all'art. 62 n. 4 occorre precisare che per la valutazione di entrambe le attenuanti occorre avere riguardo alla globalità degli effetti che il reato ha cagionato relativamente sia al danno patrimoniale che al fatto; quindi le due attenuanti differiscono tra loro, perché una riguarda il danno patrimoniale e l'altra il fatto; ora l'attenuante di cui all'art. 648 comma 2 contiene in se anche quella di cui all'art. 62 n. 4 perché nella valutazione del fatto è ricompresa anche la valutazione del danno. A ciò consegue che, ove il danno patrimoniale superi la soglia della speciale tenuità, saranno escluse entrambe le attenuanti; se, invece, il, danno patrimoniale si presenti di speciale tenuità e si accerti che anche il fatto sia di speciale tenuità sotto il profilo soggettivo, dovrà riconoscersi la sola attenuante di cui all'art. 648 comma 2, che assorbe anche l'attenuante di cui all'art. 62 n. 4; ove, infine, ed è l'ipotesi a cui si riferisce la decisione sopra citata (Cass. II, n. 50066/2013), il danno patrimoniale sia di speciale tenuità, ma il giudice appuri che il fatto, sotto il profilo soggettivo, non possa essere considerato di particolare tenuità, potrà essere concessa la sola attenuante di cui all'art. 62 n. 4 che è di natura oggettiva e come tale può essere concessa indipendentemente dal comportamento tenuto nella fattispecie concreta dall’agente; in tale direzione si è affermato che la circostanza attenuante della speciale tenuità del danno di cui all'art. 62, n. 4 può essere riconosciuta nella sola ipotesi in cui il giudice escluda la configurabilità dell'attenuante del fatto di particolare tenuità di cui all'art. 648 cpv sotto il profilo della componente soggettiva del fatto (Cass. II, n. 2890/2019). Rapporti con altri reatiLa giurisprudenza ritiene ammissibile il concorso fra il delitto di ricettazione e quello di detenzione per la vendita di prodotti industriali con marchio contraffatto previsto dall'art. 474 c.p., attesa la diversità dei beni giuridici protetti, nel caso della ricettazione, la tutela del patrimonio, mentre nel caso del delitto di cui all'art. 474 c.p., la fede pubblica e tenuto conto delle diverse finalità perseguite dalle due incriminazioni, nel primo caso impedire la circolazione di cose provenienti da delitto e nell'atro caso accordare una tutela immediata, evitando abusi della pubblica fede (Cass. II, n. 12452/2008). E' l'elemento soggettivo del dolo specifico, costituito dall'intenzione di procurare a sé o ad altri un profitto, che caratterizza la ricettazione rispetto al favoreggiamento reale; in sostanza il fine di lucro è tipico solamente della ricettazione, mentre il fine perseguito nel favoreggiamento reale si riduce nell'intenzione di fare conseguire all'autore del delitto presupposto lo scopo dell'azione criminosa posta in essere. Deve farsi però l'ipotesi in cui l'elemento psicologico del reato sia caratterizzato da entrambe le intenzioni sopra citate; in una tale fattispecie deve ritenersi che, in forza della espressa clausola di riserva prevista nell'art. 379 c.p., sussista solo la ricettazione. La Cassazione ha avuto modo di precisare che la distinzione tra il delitto di favoreggiamento reale e quello di ricettazione, nel caso di occultamento di un oggetto costituente provento di reato, è individuabile nel diverso atteggiamento psicologico dell'agente, il quale opera, nel favoreggiamento, nell'interesse esclusivo dell'autore del reato, per aiutarlo ad assicurarsene il prezzo, il prodotto o il profitto senza trarre per sé o per altri alcuna utilità e, invece, nella ricettazione, successivamente alla commissione del reato presupposto, con il dolo specifico di trarre profitto, per sé o per terzi, dalla condotta ausiliatrice(Cass. II, n. 10980/2018). Nel caso in cui nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l'imputato in condizioni di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza, non sussiste violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza e ciò tanto nell'ipotesi di riqualificazione del furto in ricettazione, quanto in quella opposta di riqualificazione della ricettazione come furto (Cass. II, n. 18729/2016). La Cassazione ha avuto modo di precisare quelli che sono i contorni della fattispecie prevista dall'art. 647 c.p., oggi abrogata, evidenziandone le differenze rispetto alla ricettazione; in tal senso si è affermato che il delitto di appropriazione di cose smarrite si differenzia dal delitto di ricettazione, perché postula sia il requisito obiettivo, per il quale la cosa sia stata effettivamente smarrita e sia, perciò, uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore, che quello subiettivo, per il quale occorre che colui, il quale la deteneva, non sia più in condizione di riacquistare il primitivo stato di fatto sulla cosa stessa (Cass. II, n. 29956/2009). Con riguardo alle differenze fra il delitto di ricettazione e quello di riciclaggio, la Cassazione ha ritenuto che l'elemento essenziale, ai fini della qualificazione giuridica del fatto nell'uno o nell'altro reato, è l'idoneità della condotta ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene, in presenza della quale, il concreto intento di lucro può valere a rafforzare, ma non ad escludere il dolo generico del riciclaggio (Cass. II, n. 10746/2014). Ed in altra precedente decisione, per distinguere la ricettazione dal riciclaggio si è fatto riferimento, oltre all'elemento materiale, anche all'elemento soggettivo, che, nel riciclaggio, è costituito dal dolo generico di trasformazione della cosa per impedirne l'identificazione (Cass. II, n. 50950/2013). Nel caso di specie oggetto dell'ultima decisione citata si trattava dell'incendio di tre autovetture di provenienza illecita finalizzato a ricavare materiale ferroso dalla combustione delle stesse, fatto, appunto, qualificato come riciclaggio. E così in altra occasione era stato ravvisato il delitto di ricettazione e non quello di riciclaggio in una fattispecie nella quale agli imputati era stato contestato di avere formato ed usato documenti d'identità falsi recanti le generalità dei beneficiari di assegni ricettati, poiché la condotta non era idonea ad impedire l'individuazione del reato presupposto, dal momento che la provenienza furtiva degli assegni era comunque ricavabile dai numeri di serie degli stessi ed era finalizzata soltanto alla riscossione dei titoli (Cass. II, n. 35828/2012). In una fattispecie concreta di accertato possesso di un ingente somma di denaro occultato nell'abitacolo di un autoveicolo ed in assenza di qualsiasi giustificazione da parte dell'indagato, si è ritenuto configurato, in n termini di gravità indiziaria quale presupposto per l'emissione di un decreto di sequestro preventivo, il delitto di ricettazione, in luogo di quello ipotizzato dal P.M., verificato che ciò non comportava alcuna variazione del fatto storico, che rimaneva il medesimo (Cass. II, n. 5616/2021). Il delitto di ricettazione rappresenta un'ipotesi di reato alternativa alla contravvenzione di incauto acquisto prevista dall'art. 712; ricorre, difatti, fra le due norme un'ipotesi di concorso apparente di norme che l'interprete, nel caso concreto, è chiamato a risolvere individuando, volta per volta, quale delle due norme debba essere applicata al caso concreto. La differenza fra le due ipotesi reato è tutta incentrata sull'elemento psicologico che caratterizza la condotta del reo: quando alla base della condotta vi è la consapevole certezza che l'agente ha della provenienza delittuosa delle cose ricorrerà la figura della ricettazione; viceversa, se la condotta dell'agente sia stata determinata da colpa, da individuarsi nell'omissione da parte dell'agente dei necessari accertamenti in presenza di oggettivi motivi di sospetto circa la legittima provenienza delle cose acquistate, dovrà ipotizzarsi l'incauto acquisto. Quanto poi al rapporto fra la ricettazione ed il reato di ricezione di carte di credito o analoghi strumenti di pagamento di cui all'art. 12 d.l. n. 143/1991 (ora art. 55 comma 9 d.lgs. n. 231/2007) la Corte di Cassazione, in primo luogo, ha delineato le differenze fra le due fattispecie astratte: in tale direzione si è affermato che integra il reato di cui all'art. 648 la condotta di chi riceve, al fine di procurare a se o ad altri un profitto, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, provenienti da delitto, mentre devono ricondursi alla previsione incriminatrice di cui all'art. 12 d.l. n. 143/1991, attualmente art. 55 comma 9 d.lgs. n. 231/2007, che sanziona, con formula generica, le condotte acquisitive degli stessi, nell'ipotesi in cui la loro provenienza non sia collegabile ad un delitto, bensì ad un illecito civile, amministrativo o anche penale, ma di natura contravvenzionale (Cass. II, n. 7658/2015). Ed ancora si è riconosciuto che nell'ipotesi di possesso e successiva utilizzazione di carte di credito di provenienza delittuosa si configura il concorso dei reati di cui agli art. 648 e 12 d.l. n. 143/1991 (Cass. II, n. 7019/2013). La Cassazione ha chiarito che non sussiste alcun rapporto di specialità tra le norme incriminatrici di cui agli artt. 648 c.p. e 497-ter c.p., potendo i due reati concorrere tra loro; difatti diversi sono í beni giuridici protetti; da un lato l'interesse ad inibire la circolazione di cose provenienti da delitto nel caso della ricettazione e dall'altro l'interesse qualificato alla tutela della fede pubblica legato al possesso di segni distintivi contraffatti nel caso previsto dall'art. 497-ter c.p.; diverse sono anche le condotte, in quanto il "possesso" ex art. 648 c.p. è qualificato appunto dalla provenienza delittuosa della res, condizione non prevista dall'art. 497-ter c.p. (Cass. II, n. 27748/2024). CasisticaAcquisto di sostanze medicinali introdotte nello Stato e cedute in frode ad un valido brevetto Integra il delitto di ricettazione la condotta del farmacista che riceve sostanze medicinali introdotte nello Stato in frode ad un valido brevetto, dovendosi escludere che, per il solo fatto di aver acquistato le suddette sostanze, egli possa essere ritenuto concorrente nel reato presupposto di frode brevettuale (Cass. fer., n. 39187/2013). Ricezione di pendagli auricolari di pertinenza di animali già macellati Integra il delitto di ricettazione la condotta di colui che riceva pendagli auricolari pertinenti ad animali già macellati, trattandosi dell'acquisizione di beni provenienti da delitto — nella specie di falso ideologico e omissione di atti di ufficio — in quanto detti pendagli possono essere rimossi dal capo delle bestie da macellare solamente da parte di soggetti autorizzati (veterinario ovvero titolare o gestore di un macello) ed a seguito della macellazione non possono essere riutilizzati — pena la compromissione della c.d. tracciabilità del bovino e, per l'effetto, la garanzia della genuinità e salubrità delle carni — dovendo essere segnalati al Ced della anagrafe bovina e quindi distrutti (Cass. V, n. 17979/2013). Ricezione di bovini di provenienza illecita privi di marchio auricolare. Si è ritenuto non integrato il delitto di ricettazione nella condotta di colui che aveva ricevuto tre bovini ritenuti di illecita provenienza, perché privi del marchio auricolare; segnatamente la Cassazione ha affermato che la suddetta condotta rientra nella previsione dell'art. 3 comma 1 d.p.r. 19 ottobre 2000 n. 437 che, tra l'altro, stabilisce che gli animali della specie bovina devono essere identificati mediante un marchio auricolare apposto su ciascun orecchio ed in quella sanzionatoria contenuta nell'art. 3 della legge 1 marzo 2003 n. 39 che stabilisce la sanzione amministrativa da € 250 ad € 1500,00 per ogni capo non regolarmente identificato a carico del detentore degli animali della specie bovina (Cass. II, n. 11040/2020). Possesso di arma clandestina Il possesso di un'arma clandestina integra di per sé la prova del delitto di ricettazione, poiché l'abrasione della matricola, che priva l'arma medesima di numero e dei contrassegni di cui all'art. 11 l. 18 aprile 1975, n. 110, essendo chiaramente finalizzata ad impedirne l'identificazione, dimostra, in mancanza di elementi contrari, il proposito di occultamento del possessore e la consapevolezza della provenienza illecita dell'arma (Cass. I, n. 39223/2014). Detenzione per il commercio o distribuzione per il consumo di medicinali protetti da brevetto Integra il concorso dei reati di cui agli artt. 442 e 648 c.p. la detenzione per il commercio, o la distribuzione per il consumo, di sostanze contraffatte nella specie, prodotti farmaceutici protetti da brevetto), se l'agente ha ricevuto o acquistato le stesse nella consapevolezza della loro provenienza delittuosa (Cass. II, n. 23543/2014). Clausola di riserva “Salvo che il fatto costituisca più grave reato” In presenza della clausola di riserva «salvo che il fatto costituisca più grave reato», la maggiore o minore gravità dei reati concorrenti presuppone che entrambi siano posti a tutela dello stesso bene giuridico e va accertata avendo riguardo alla pena in concreto irrogabile, tenuto conto delle circostanze ritenute e dell'eventuale bilanciamento tra esse. Nel caso concreto la Cassazione, in considerazione delle diversità dei beni tutelati, ha escluso l'assorbimento del reato di ricettazione nel reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all'art. 615-bis comma 2 c.p. (Cass. II, n. 25363/2015). Uso del bene ricettato Non risponde del reato di ricettazione colui che, non avendo preso parte alla commissione del fatto, si limiti a fare uso del bene unitamente agli autori del reato, pur nella consapevolezza della illecita provenienza, non potendosi da questa sola successiva condotta desumere l'esistenza di una compartecipazione quanto meno d'ordine morale, atteso che il reato di ricettazione ha natura istantanea e non è ipotizzabile una compartecipazione morale per adesione psicologica ad un fatto criminoso da altri commesso (Cass. V, n. 42911/2014). Acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto Risponde non di ricettazione, ma dell'illecito amministrativo di cui all'art. 1, comma settimo, del d.l. n. 35/2005, conv. in l. n. 80/2005, nella versione modificata dalla l. 23 luglio 2009, n. 99, l'acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata, ciò colui che non partecipa in alcun modo alla catena di produzione o di distribuzione e diffusione dei prodotti contraffatti, ma si limita ad acquistarli per uso strettamente personale (Cass. II, n. 12870/2016). Nel caso concreto si trattava del rinvenimento, a bordo dell'auto guidata dall'imputato, di numerosi capi di abbigliamento di note marche, riportanti chiari segni di contraffazione, nella quale la corte territoriale aveva assolto l'imputato per il delitto di cui all'art. 474 c.p., in assenza di prova in ordine alla successiva destinazione alla vendita dei beni contraffatti, condannandolo invece per il delitto di ricettazione; la Cassazione ha annullato tale condanna, ritenendo difettasse uno specifico accertamento sul titolo della detenzione. Disponibilità di una rilevante somma di denaro la cui provenienza sia ingiustificata La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso un'ordinanza del Tribunale del riesame che aveva confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. avente ad oggetto un'ingente somma di denaro, corrispondente al profitto del reato di ricettazione; in motivazione si è precisato che in tema di sequestro preventivo non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è stato eseguito il sequestro, essendo sufficiente che sussista il fumus commissi delicti vale a dire l'astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato (Cass. II, n. 2936/2022). Profili processualiLa procedibilità è d’ufficio. È punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da € 516,00 ad € 10.329,00; la pena è aumentata se il fatto riguarda denaro o cose provenienti dai delitti di rapina aggravata ai sensi dell’art. 628 comma 3, estorsione aggravata ai sensi dell’art. 629 comma 2 ovvero di furto aggravato ai sensi dell’art. 625 comma 1 n.7-bis; se il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo ad un anno e nel minimo a sei mesi è prevista la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da € 300,00 ad € 6.000,00. Se il fatto è di particolare tenuità è prevista la pena della reclusione fino a sei anni e della multa fino ad € 516,00 nel caso di denaro o cose provenienti da delitto e la pena della reclusione sino a tre anni e della multa sino ad € 800,00 nel caso di denaro o cose provenienti da contravvenzione. BibliografiaMarini, Delitti contro il patrimonio, Torino, 1999; Palla, Sul dolo eventuale nella ricettazione, in Cass. pen. 1990, 62; Pecorella, Ricettazione, in Nss. D.I., Appendice VI, Torino, 1986; Reinotti, Ricettazione e riciclaggio, in Enc. dir., XL, Milano, 1989; Sammarco, Ricettazione, in Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma, 1991; Sapone, Compatibilità del dolo eventuale con il delitto di ricettazione, in Riv. pen., 1995, 1409; Urbani, Il concorso fra i reati di cui agli artt. 442 e 648 c.p., in Cass. pen. 2015, 594; Zanchetti, Ricettazione, in Dig. d. pen., XII, Torino, 1996. |