Codice Penale art. 648 bis - Riciclaggio 1 .

Roberto Carrelli Palombi di Montrone

Riciclaggio1.

[I]. Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto2, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5.000 euro a 25.000 euro3.

     [II].  La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l'arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi4.

[III]. La pena è aumentata [64] quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.

[IV]. La pena è diminuita [65] se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

[V]. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648.

competenza: Trib. collegiale (1° comma); Trib. monocratico (udienza prelim. 2° comma)

arresto: facoltativo

fermo: consentito (1° comma); non consentito (2° e 4° comma)

custodia cautelare in carcere: consentita; non consentita (4° comma)

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

[1] Articolo inserito dall'art. 3 d.l. 21 marzo 1978, n. 59, conv., con modif., in l. 18 maggio 1978, n. 191, e da ultimo sostituito dall'art. 4 l. 9 agosto 1993, n. 328.

[2] Le parole  «non colposo», che figuravano dopo la parola  «delitto», sono state soppresse dall'art. 1, comma 1, lett. d), n. 1), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 195

[3] La l. 15 dicembre 2014, n. 186, ha sostituito le parole «1.032 euro a 15.493» con le parole: «5.000 euro a 25.000». Per l'aumento delle pene, qualora il fatto sia commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione, v. art. 71, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, che ha sostituito l'art. 71 l. 31 maggio 1965, n. 575. Per la confisca di danaro, beni o altre utilità di non giustificata provenienza, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta, v. art. 240-bis c.p. (per la previgente disciplina v. art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., in l. 7 agosto 1992, n. 356). 

Inquadramento

L'art. 648-bis, nel prevedere il delitto di “Riciclaggio”, sanziona la condotta di colui che, fuori dei casi di concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa. Il delitto è inserito nel titolo XIII del libro secondo del codice penale, relativo ai delitti contro il patrimonio ed in particolare nel capo II avente ad oggetto i delitti contro il patrimonio mediante frode. Nel seguito viene ricostruito il percorso normativo che ha portato all'attuale formulazione dell'art. 648-bis, introdotta dalla l. 9 agosto 1993 n. 328 recante Ratifica ed esecuzione della convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990. Segnatamente il reato di riciclaggio viene introdotto nel nostro ordinamento dal d.l. 21 marzo 1978, n. 59 conv. in l. 18 maggio 1978, n. 191, che inserisce nel codice penale l'art. 648-bis con la rubrica «Sostituzione di denaro o di valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata o sequestro di persona a scopo di estorsione».

Il 9 giugno 2018 è entrata in vigore la Direttiva UE 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio con la quale è stata modificata la direttiva UE 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. La direttiva, mira ad assicurare maggiore trasparenza delle operazioni finanziarie, delle società e degli altri soggetti giuridici, nonché dei trust  e degli istituti giuridici aventi assetto o funzioni affini a quelli dei trust nell’ottica di migliorare l’attuale quadro di prevenzione e contrastare più efficacemente il finanziamento del terrorismo.

Si trattava, di una tipica figura di reato a consumazione anticipata, con il quale venivano puniti gli atti diretti a sostituire denaro proveniente da quegli unici tre delitti individuati dal legislatore, non essendo necessario, ai fini della consumazione del reato, l'avvenuta effettiva sostituzione del denaro (Cass. II, n. 2851/1991).

La fattispecie veniva completamente riscritta con l'art. 23 l. 19 marzo 1990 n. 55, da un lato richiedendosi, ai fini della consumazione del reato, l'effettiva sostituzione del denaro, beni o altre utilità provenienti da un più ampio catalogo di delitti pur sempre predeterminato ex lege, non bastando il semplice compimento di atti diretti a sostituirlo e da un altro lato inserendo tra le condotte sanzionate anche quella di ostacolo all'identificazione della provenienza delittuosa del bene. Quindi, in adempimento agli obblighi derivanti per lo Stato italiano dall'adesione alla Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato approvata nell'ambito del Consiglio d'Europa in data 8 novembre 1990, si perveniva alla formulazione della norma attualmente vigente. Poi con la l. 15 dicembre 2014 n. 186, nell'introdurre nell'art. 648-ter 1 c.p. la fattispecie di autoriciclaggio, si è intervenuti sul trattamento sanzionatorio previsto per il delitto di cui all'art. 648-bis c.p. aumentando i limiti minimi e massimi di pena pecuniaria applicabile.

Alla luce dell'evoluzione normativa sopra riportata si ritiene che oggetto della tutela giuridica del riciclaggio, oltre al patrimonio, sia anche l'amministrazione della giustizia e l'ordine economico che verrebbe ad essere inquinato e destabilizzato attraverso il riciclaggio dei proventi dei reati. Anche in questo caso, come si è visto per la ricettazione, si tratta di un reato plurioffensivo, nel senso che più sono gli interessi protetti dalla norma attraverso l'incriminazione.

Soggetti

Soggetto attivo

Trattandosi di reato comune, soggetto attivo del reato può chiunque non abbia concorso nel reato presupposto.

Prima dell'introduzione della punibilità dell'autoriciclaggio, le condotte successive alla commissione del reato e dirette ad assicurane il profitto rientravano nella categoria del post factum non punibile. Oggi l'art. 3 l. n. 186/2014, che ha introdotto nel codice penale l'art. 648-ter.1 c.p. prevede un delitto punito con la reclusione da due ad otto anni e la multa da euro 5.000 ad euro 25.000 per chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa.

Deve, al riguardo, ricordarsi che in passato si era ritenuto non configurare il delitto previsto dall'art. 648-bis o quello previsto dall'art. 648-ter l'impiego nelle proprie attività economiche del denaro ricavato dal traffico di sostanze stupefacenti svolto dal medesimo soggetto (Cass. VI, n. 3390/1994); ciò, in quanto il riciclaggio penalmente rilevante e l'impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza delittuosa presuppongono l'esclusione del concorso nel reato da cui il denaro, i bene e le utilità derivano. L'affermazione resta tuttora valida per quanto concerne la delimitazione dei comportamenti che rientrano nelle fattispecie di cui agli artt. 648-bis e 648-ter; essa certo, quanto alla rilevanza penale della condotta posta in essere, merita di essere rivista alla luce della recente introduzione del reato di autoriciclaggio.

La giurisprudenza ha, successivamente, chiarito che il criterio per distinguere la responsabilità a titolo di riciclaggio di denaro, beni o altre utilità dalle fattispecie di concorso nel reato presupposto non può essere solo quello temporale, in quanto occorre verificare caso per caso se la preventiva assicurazione di “lavare” il denaro abbia realmente influenzato o rafforzato, nell'autore del reato principale, la decisione di delinquere (Cass. V, n. 8432/2007). 

La Cassazione ha, inoltre, affermato che l'illecito fiscale penalmente rilevante per l'ordinamento di un paese straniero, nel cui territorio il suddetto illecito venga interamente consumato, può costituire il reato presupposto necessario per la configurabilità del delitto di riciclaggio dei relativi proventi commesso successivamente nel territorio italiano (Cass. II, n. 49427/2009; il caso di specie di cui alla prima decisione ora citata atteneva al trasferimento da un conto corrente svizzero ad uno italiano di fondi provenienti da un illecito perpetrato interamente all'estero attraverso la sottrazione di proventi d'impresa al fisco spagnolo). Il principio è stato anche recentemente ribadito (Cass. II, n. 42120/2012).

Elemento materiale

Come si visto sopra, all'esito dell'iter normativo che ha portato all'attuale formulazione della norma, oggetto di riciclaggio può essere il provento di qualunque delitto non colposo; ed inoltre è stato notevolmente ampliato il novero delle condotte di ripulitura concretamente sanzionabili, fino ad includervi tutte le operazioni volte ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità oggetto del reato.

Al riguardo la Cassazione aveva precisato che «il nuovo testo dell'art. 648-bis, introdotto dall'art. 23 l. n. 55/1990, ha ridisegnato la fattispecie abbandonando la configurazione — tipica di reato a consumazione anticipata — della materialità del reato come fatti o atti diretti alla sostituzione di denaro o altre utilità provenienti da particolari, gravi delitti. L'attuale fattispecie, infatti, si articola in due ipotesi fattuali: la prima consiste nella sostituzione del denaro o delle altre utilità provenienti da specifici delitti; la seconda opera come formula di chiusura, incriminando qualsiasi condotta — distinta dalla sostituzione — che sia tale da frapporre ostacoli all'identificazione del denaro, dei valori o altro di provenienza illecita specifica» (Cass. I, n. 7558/1993). Si è, quindi, voluto introdurre, come ripetutamente rilevato dalla dottrina, una fattispecie di reato a forma libera attraverso la quale il legislatore intende perseguire un ampio spettro di condotte inclusivo di tutte quelle attività dirette a neutralizzare o comunque ad intralciare l'accertamento dell'origine illecita dei proventi ricavati dalle attività delittuose. Ciò vale, in particolare, con riguardo a tutte quelle fattispecie in cui sugli stessi beni vengano poste in essere molteplici e successive operazioni di sostituzione volte a fare disperdere l'origine illecita degli stessi; si tratta del cosiddetto riciclaggio indiretto che viene a costituire in concreto un ulteriore ostacolo alla tracciabilità della provenienza dei beni e quindi non può che integrare l'elemento materiale del delitto di cui all'art. 648-bis nella sua attuale formulazione. Trattasi, quindi, di un reato che, pur consumandosi già nel momento in cui viene compiuta una singola operazione, fra quelle indicate nella norma, idonea ad ostacolare l'accertamento dell'origine illecita del bene, può continuare ad attuarsi attraverso ulteriori operazioni che perseguono il medesimo obiettivo fino a giungere alla definitiva sottrazione del bene all'identificazione attraverso il suo impiego in ambiti ove non potrà più essere accertata la sua origine delittuosa (Cass. I, n. 5030/1998). Ed anche a questo riguardo si è precisato che il reato di riciclaggio rientra nella categoria delle norme penali a più fattispecie, nelle quali sono previste più condotte illecite considerate, ai fini dell'integrazione del reato, alternativamente equivalenti o fungibili, essendo sufficiente per la consumazione anche il compimento di una sola delle condotte descritte; in tale direzione si è ritenuto che, ove più siano le condotte consumative del reato, attuate in un medesimo contesto fattuale e con riferimento ad un medesimo oggetto, si configura un unico reato a formazione progressiva che viene a cessare con l'ultima delle operazioni poste in essere (Cass. II, n. 52646/2014).

Come per la ricettazione, l'accertamento del reato di riciclaggio non richiede l'individuazione dell'esatta tipologia del delitto presupposto, né la precisa indicazione delle persone offese, essendo sufficiente che venga raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute (Cass. II, n. 20188/2015). Ed ancora non è necessario che il delitto presupposto risulti accertato, ma è sufficiente che lo stesso non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il reato di cui all'art. 648-bis ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza; a ciò consegue che non potrà essere automaticamente esclusa la configurabilità del delitto di riciclaggio per effetto dell'intervenuta archiviazione del procedimento relativo reato presupposto, trattandosi di una decisione non suscettibile di giudicato (Cass. II, n. 10746/2014); lo stesso vale in caso di intervenuta sentenza di non luogo a procedere in ordine al delitto presupposto, poiché pur sempre si tratta di sentenza non irrevocabile (Cass. II, n. 7795/2013).

La giurisprudenza ha poi considerato irrilevante, ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 648-bis, la circostanza che per il reato presupposto concernente la violazione della normativa tributaria operi la condizione di non punibilità contenuta nell'art. 9 comma 10 lett. c) l. n. 289/2002 (cosiddetto condono tributario) (Cass. II, n. 23396/2005). Il principio è stato ribadito negli stessi termini ed è stato ritenuto applicabile anche al reato di cui all'art. 648-ter c.p. (Cass. II, n. 43387/2019).  Sempre con riguardo al reato presupposto, la Cassazione ha stabilito che non è configurabile il delitto di riciclaggio nelle attività di sostituzione di somme sottratte al pagamento delle imposte mediante delitti in materia di dichiarazione, se il termine di presentazione della dichiarazione non è ancora decorso e la stessa non è stata ancora presentata (Cass. II, n. 30889/2020).

Si è pero precisato che per l’integrazione del reato deve sussistere il provento del reato presupposto, in quanto, in mancanza di esso, viene meno l’oggetto giuridico del riciclaggio; ciò comporta che il delitto presupposto del riciclaggio non può mai essere un delitto tentato, che, per la sua struttura, a causa dell’interruzione dell’azione criminosa, non ha prodotto alcun provento (Cass. II, n. 3131/2024).

Secondo la costante indicazione della giurisprudenza di legittimità, il profitto del reato di riciclaggio è in primo luogo caratterizzato dal requisito della pertinenzialità intesa quale derivazione, in via diretta ed immediata, dal reato presupposto; in particolare il profitto del reato viene individuato in ogni mutamento materiale, attuale e di segno positivo, della situazione patrimoniale del beneficiario ingenerato dal reato attraverso la creazione, trasformazione o acquisizione di cose suscettibili di valutazione economica (Cass.VI, n. 1754/2017). La tematica è particolarmente rilevante con riguardo all'applicazione della confisca per equivalente del profitto del reato di riciclaggio; segnatamente al riguardo si è ritenuto che la confisca possa essere applicata solo con riferimento al valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dal riciclatore, quale determinato in sede di accertamento giudiziale e non sull'intera somma derivante dalle operazioni poste in essere dall'autore del reato presupposto  (Cass. II, n. 2879/2021; Cass. II, n. 19587/2022; Cass. II, n. 19561/2022).

In una fattispecie concreta nell'ambito della quale, in seguito all'assoluzione in primo grado dal reato di cui all'art. 648 bis c.p., la Corte d'Appello, su ricorso del P.M., aveva condannato l'imputato per i reati di cui agli artt. 110,615 ter e 56 – 640 c.p., indicati come reati presupposto nell'originaria contestazione di riciclaggio, in sede di legittimità (Cass. II, n. 30027/2021) è stata ravvisata la violazione dell'art. 521 c.p.p.; difatti, ha ritenuto la Cassazione, il reato di riciclaggio si pone in termini di incompatibilità con i reati presupposto, posto che, come risulta dalla clausola di riserva contenuta nella norma incriminatrice, per rispondere di riciclaggio occorre non avere commesso il reato presupposto; ed ancora si è affermato che la condanna per i reati presupposto non rappresenta uno sviluppo prevedibile del fatto originariamente contestato, risolvendosi in una sostanziale modificazione del fatto contestato incompatibile con la tutela del diritto di difesa sulla base dei canoni stabiliti dalla giurisprudenza sovranazionale (CEDU, 11/12/2007, Drassic c. Italia).

Va ancora aggiunto che nell'ipotesi in cui l'accertamento della provenienza illecita della res sia risultato estremamente agevole, come ad esempio quando ad un'autovettura sia stata apposta la targa di un altro veicolo provento di furto, non versa in un'ipotesi reato impossibile, in quanto l'inidoneità dell'azione deve essere ex ante assoluta e non può desumersi dal mero fatto che il reato sia stato agevolmente scoperto (Cass. II, n. 37718/2012).

Deve però aggiungersi che integra gli estremi del reato putativo, non punibile ai sensi dell'art. 49 comma 1, la condotta di chi abbia agito ritenendo o accettando il rischio di riciclare somme di denaro provenienti da delitto non colposo, quando quest'ultimo risulti in realtà insussistente (Cass. II, n. 7795/2013). Ed ancora si è affermato che trattasi di reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può consistere anche in una pluralità di distinti atti in sé leciti, realizzati a distanza di tempo l'uno dall'altro, purchè unitariamente riconducibili all'obiettivo comune cui sono finalizzati, ossia l'occultamento della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità che ne costituiscono l'oggetto; a ciò consegue che non è essenziale la preventiva individuazione e previsione dei singoli atti da compiere, potendo gli stessi essere individuati di volta in volta in ragione della loro rilevanza per l'acquisizione definitiva del provento del delitto (Cass. II, n. 7257/2019).

In ogni caso integra il delitto di riciclaggio il compimento di condotte volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, e ciò anche attraverso operazioni che risultino tracciabili, in quanto l'accertamento o l'astratta individuabilità dell'origine delittuosa del bene non costituiscono l'evento del reato (Cass. V, n. 21925/2018).

La prima modalità di consumazione del riciclaggio è costituita dalla condotta di sostituzione di denaro, beni o altra utilità proveniente da delitto non colposo. La suddetta condotta è stata definita dal legislatore come la consegna di un bene al riciclatore in cambio di uno diverso, con la precisazione che il reato con tale modalità è integrato solo con il perfezionamento della sostituzione e dunque con la restituzione dei capitali illeciti riciclati a colui che li aveva movimentati (Cass. V, n. 19288/2007). E così si è ritenuto che integra il reato di riciclaggio nella forma della sostituzione la condotta di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita, atteso che, stante la natura fungibile del bene, in tale modo lo stesso viene automaticamente sostituito, essendo l'istituto di credito obbligato a restituire al depositante la stessa somma depositata (Cass. VI, n. 43534/2012). Ad analoga soluzione si era pervenuti in una fattispecie concreta relativa alla condotta di due donne che, occultando il rapporto coniugale con i capi di un sodalizio camorristico dedico al narcotraffico, avevano intestato alcuni milioni di euro in denaro contante ad una società di gestione fiduciaria, ottenendo poi, con lo smobilizzo dell'investimento, l'emissione in loro favore di assegni circolari (Cass. VI, n. 13085/2013). Ed ancora è stato ritenuto configurabile il riciclaggio nell'ipotesi in cui oli non commestibili, illecitamente prodotti all'estero, siano stati ricollocati sul mercato nazionale come olio extra vergine d'oliva attraverso illecite miscelazioni non rilevabili attraverso le analisi ufficiali (Cass. II, n. 52625/2014); si tratta, appunto, di quello che viene definito il riciclaggio merceologico che consiste in operazioni, nel caso di specie effettuate attraverso la miscelazione di olio di diversa origine e qualità, attraverso le quali era stata occultata la natura di parte del composto, costituito da olio non commestibile illecitamente prodotto all'estero.

Quanto alla condotta di trasferimento, essa è volta a colpire quegli intermediari che, essendo a conoscenza della provenienza illecita del denaro, delle cose o delle utilità, li trasferiscano altrove, rendendone in tal modo più difficoltosa l'identificazione; in tale direzione la Cassazione è pervenuta ad una analitica definizione dell'elemento oggettivo del delitto di riciclaggio in tema di trasferimento di denaro di provenienza illecita: specificamente si è ritenuto che integra di per sé un autonomo atto di riciclaggio, essendo il reato di cui all'art. 648-bis a forma libera e potenzialmente a consumazione prolungata, attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, ed anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato, ed acceso presso un differente istituto di credito (Cass. II, n. 43881/2014). La fattispecie concreta di cui alla ora citata decisone si riferiva alle operazioni di svuotamento della cassa di un gruppo societario ed al successivo trasferimento del denaro ad un soggetto, attraverso assegni circolari e bonifici, con l'incarico di reimpiegare le somme per finanziare altre società ed in tale condotta è stato ravvisato l'elemento oggettivo del delitto di riciclaggio nella forma del trasferimento.

Il reato può, infine, essere integrato da tutte quelle altre operazioni idonee ad ostacolare la provenienza delittuosa del denaro, delle cose o delle altre utilità. La dottrina ha, al riguardo, parlato di clausola di chiusura della fattispecie, volta a fare ricomprendere in essa qualsiasi altro comportamento finalizzato alla ripulitura di capitali o beni illeciti (Insolera).

E la giurisprudenza, al riguardo, ha valorizzato la natura del riciclaggio come reato a forma libera, prevedendo che il reato è integrato dalla condotta posta in essere sul denaro, bene od utilità di provenienza delittuosa, specificamente diretta alla sua trasformazione parziale o totale, ovvero ad ostacolare l'accertamento sull'origine della res, anche senza incidere direttamente, mediante alterazione die dati esteriori, sulla cosa in quanto tale (Cass. II, n. 17771/2014). Nel caso concreto oggetto di quest'ultima decisione è stata ritenuta corretta la qualificazione come riciclaggio di una condotta consistita nel semplice montaggio di un motore di provenienza delittuosa su un'autovettura “pulita”; era stata creata, infatti, una parvenza di provenienza legittima dell'intera autovettura giudicata, correttamente, idonea ad ostacolare l'accertamento dell'effettiva provenienza delittuosa di una parte di essa e ciò, ad avviso dei giudici di merito, determinava quel tipico effetto dissimulatorio che caratterizza una fattispecie a forma libera, quale è il riciclaggio. Di certo poi, sempre in tema di autoveicoli, integra il delitto di riciclaggio il trasferimento di un veicolo rubato ed alterato negli aspetti identificativi in un paese straniero, trattandosi di un'operazione volta ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene (Cass. II, n. 51414/2013).

 

Ed ancora si è ritenuto che commette il delitto di riciclaggio colui che accetta di essere indicato come beneficiario economico di conti correnti accesi all'estero, formalmente intestati a società aventi sede in paradisi fiscali, ma in realtà appartenenti a terzi, e sui quali confluiscono i proventi di attività delittuosa, in quanto detta condotta, pur non concretizzandosi nel compimento di atti dispositivi, è comunque idonea ad ostacolare l'identificazione della provenienza del denaro (Cass. VI, n. 24548/2013). Sempre in tema di operazioni bancarie si è affermato che integra il delitto di riciclaggio il compimento di azioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell'aggirare la libera e normale esecuzione dell'attività posta in essere (Cass. II, n. 3397/2012). Nel caso di specie si era trattato di una condotta consistita nella ricezione di somme di provenienza illecita su conti correnti personali e nella successiva effettuazione di operazioni bancarie comportanti ripetuti passaggi di denaro di importo corrispondente su conti di diverse società, operazioni oggettivamente finalizzate alla schermatura dell'origine delle disponibilità.

Il reato è, altresì, integrato dalla condotta di, avendo ricevuto denaro ad interesse usuraio, lo reimpieghi mediante versamento su conti correnti bancari intestati a proprio nome, con l'intento di mascherare l'effettiva provenienza dello stesso e con la consapevolezza che in tal modo sarebbe stato possibile reimmetterlo nel mercato per compiere attività finanziarie o nel settore immobiliare, in modo da rendere più difficile l'accertamento della sua provenienza (Cass. II, n. 28856/2013).

Ed appunto, trattandosi di un reato a forma libera, esso può essere integrato, non soltanto dalle condotte tipiche di sostituzione o trasformazione del bene di origine illecita, ma tutte quelle condotte dirette ad ostacolare l'identificazione dell'origine delittuosa del bene; in questa direzione è ritenuta corretta la decisione di merito che aveva ritenuto integrato il delitto di riciclaggio in un caso concreto nel quale era stato accertato che l'imputato aveva sostituito il microchip di un cane di provenienza illecita apponendovi quello corrispondente ad un cane già di sua proprietà; evidentemente l'operazione era stata posta in essere con la finalità di ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del cane che era risultato essere stato sottratto ad un terzo (Cass. II, 9533/2022). 

E' stato osservato (Parodi), l'acquisto o il trasferimento di bitcoin possa essere funzionale ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa di denaro o altra utilità di provenienza illecita e ciò sia nell'ipotesi in cui i bitcoin rappresentino uno strumento di pagamento sia in quelli in cui assumano una funzione esclusivamente speculativa. L'autore evidenzia come le caratteristiche del sistema degli scambi di bitcoin limitino fortemente il potere coattivo dello Stato, che si trova privo di adeguati strumenti di intervento, in considerazione che la criptovaluta si presta ad essere trasferita e conservata in modo autonomo.

Con il Decreto legislativo n. 195 del 2021, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio , del 23 ottobre 2018, sulla lotta al riciclaggio mediante diritto penale”, nel primo comma dell'art. 648 bis c.p. sono state soppresse le parole “non colposo” con la conseguenza che il denaro, i beni o le altre utilità potranno provenire da qualsiasi delitto.

Inoltre sempre con il sopra citato decreto legislativo n. 195 del 2021 viene introdotta, con l'inserimento di un secondo comma nell'art 648 bis c.p., una nuova ipotesi di riciclaggio riguardante denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l'arresto superiore nel massimo ad un anno o nel minimo a sei mesi.

Elemento psicologico

L'elemento soggettivo del delitto di riciclaggio è integrato dal dolo generico che consiste nella coscienza e volontà di ostacolare l'accertamento della provenienza delittuosa dei beni e nella consapevolezza di tale provenienza con la precisazione che la norma incriminatrice del reato di riciclaggio è speciale rispetto a quella del reato di ricettazione perché richiede che il dolo si qualifichi non per una generica finalità di profitto, ma per lo scopo ulteriore di fare perdere le tracce dell’origine illecita (Cass. II, n. 9102/2021).                               

La Cassazione ha ritenuto che l’elemento soggettivo del delitto di riciclaggio può assumere anche la forma del dolo eventuale in un’ipotesi di riciclaggio continuato contestato al titolare di un’agenzia di money transfer con riguardo alla provenienza  delittuosa di denaro relativo ad operazioni effettuate in favore di un cittadino extra comunitario. Segnatamente la Corte ha ritenuto che la ripetitività delle operazioni, l’entità delle somme versate, non modesta se si considerano anche i brevi archi temporali di riferimento, l’uso di diversi nominativi fittizi costituiscono elementi tutti la cui combinazione logica rendono concreta la possibilità che le somme provengano da attività delittuosa (Cass. II, n. 52241/2016). Il principio è stato recentemente ribadito affermandosi che  il dolo può assumere la forma eventuale quando l'agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito (Cass. V. n. 21925/2018).

Consumazione

Già si è detto che il riciclaggio è un reato a forma libera che può venire ad attuazione anche attraverso modalità frammentarie e progressive; quindi, ove più siano le condotte consumative del reato, attuate in un medesimo contesto fattuale e con riferimento ad un medesimo oggetto, il riciclaggio assumerà la forma di reato a formazione progressiva, la cui consumazione viene a cessare con l'ultima delle operazioni poste in essere (Cass. II, n. 52645/2014). Nel caso di specie si è ritenuto che la condotta consumata del reato era stata realizzata per l'intero arco temporale di operatività di una società costituita al fine di ripulire denaro, beni o alte utilità riconducibili ad esponenti di primo piano di Cosa Nostra. Difatti si è ritenuto che l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma, da individuarsi, pur tenendo presente la collocazione della norma fra i delitti contro il patrimonio, nella tutela dell'ordine economico suscettibile di essere pesantemente inquinato attraverso l'immissione di capitali di provenienza illecita, è perdurata, per effetto della condotta posta in essere dall'imputato, lungo tutto l'arco di vita ed operatività della società, fino alla sua definitiva liquidazione che ha segnato il definitivo momento di cessazione della situazione antigiuridica. 

Ove, infatti, più siano le condotte consumative del reato, attuate in un medesimo contesto fattuale e con riferimento ad un medesimo oggetto, si configura un unico reato a formazione progressiva e consumazione prolungata, che viene a cessare con l'ultima delle operazioni poste in essere (Cass. II, n. 29869/2016); nel caso concreto si trattava di una sentenza di merito nella quale era stato escluso che la decorrenza del termine di prescrizione dovesse essere valutata in relazione alle singole condotte di "sostituzione" del danaro provento di reato, attuate attraverso operazioni su conti correnti bancari.

Ancora in tema di unicità del reato di riciclaggio, la Cassazione ha avuto modo, recentemente,  di ribadire che pur trattandosi di reato a consumazione istantanea, l'incriminazione può assumere forma libera e può anche atteggiarsi a reato eventualmente permanente quando il suo autore lo progetti e lo esegua con modalità frammentarie e progressive (Cass. II, n. 29611/2016). In applicazione del suddetto principio, è stata ritenuta configurabile la flagranza del delitto di riciclaggio in un caso concreto di rinvenimento presso un deposito di diverse autovetture provento di furto, private della targa ed occultate in un container, ritenendo trattarsi di  condotte tese ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei mezzi, prodromiche al successivo trasporto degli stessi presso il porto e la definitiva loro destinazione in paese extracomunitario.

Quanto alla configurabilità del tentativo di riciclaggio, abbandonata la configurazione di reato a consumazione anticipata — deve ritenersi astrattamente configurabile il tentativo (Cass. II n. 1960/2014). A tale conclusione era già pervenuta in precedenza la giurisprudenza della Corte di Cassazione affermando che nella vigente formulazione della fattispecie il riciclaggio non è costruito come delitto a consumazione anticipata (Cass. V, n. 17694/2010). Per il vero deve segnalarsi un'isolata affermazione difforme che ha ritenuto consumato e non tentato il delitto di riciclaggio in un fattispecie concreta in cui un soggetto era stato sorpreso dalla Polizia giudiziaria mentre stava smontando un auto rubata (Cass. II, n. 5505/2013). Nella motivazione si è ritenuto, contrariamente all'orientamento dominante, che il riciclaggio costituisce una tipica ipotesi di reato a consumazione anticipata, dato che la norma incriminatrice fa riferimento ad “operazioni in modo da ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa” non indicando un evento eziologicamente connesso alla condotta, ma descrivendo esclusivamente le caratteristiche della condotta punibile.

Recentemente la Cassazione ha però precisato che risponde del delitto tentato di riciclaggio il soggetto sorpreso dalla polizia giudiziaria nell'atto di smontare un motociclo, in quanto la fattispecie di cui all'art. 648-bis c.p. nella vigente formulazione, non è costruita come delitto a consumazione anticipata (Cass. II, n. 55416/2018) ; deve però precisarsi che detto principio era stato affermato in relazione ad un caso concreto nel quale le operazioni di smontaggio delle diverse componenti del veicolo erano state interrotte prima che si determinasse la perdita della connessione con i dati identificativi del mezzo. Viceversa nel caso di condotta accertata di smontaggio di pezzi di un'autovettura cui risulta già asportato il blocco motore e le targhe identificative deve ritenersi trovarsi dinanzi ad un'ipotesi di riciclaggio consumato (Cass. II, n. 11277/2022). Nella stessa linea si è affermato che è configurabile il tentativo di riciclaggio, in quanto la fattispecie di cui all'art. 648-bis c.p.., nella vigente formulazione, non è costruita come delitto a consumazione anticipata.; nel caso di specie la Cassazione ha ritenuto integrato il tentativo di riciclaggio di valuta estera per essere stati individuati i soggetti da coinvolgere, il conto corrente bancario da utilizzare e le somme da reimpiegare, nonchè predisposti i contratti da stipulare (Cass. II, n. 22437/2022).

Circostanze

Nel comma 2 dell'art. 648-bis c.p. è prevista una specifica circostanza aggravante di natura oggettiva che comporta l'aumento della pena (fino ad un terzo), se il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. Ed al riguardo si è ritenuto che le operazioni di ripulitura del denaro sporco effettuate da esperti del settore bancario integrano l'aggravante del fatto commesso nell'esercizio di un'attività professionale, che, per la sua natura oggettiva, si estende a tutti i concorrenti nel reato (Cass. VI, n. 43534/2012). Si è comunque precisato che la disposizione in esame si limita a prevedere un aggravamento della pena nell'ipotesi in cui il reato sia stato commesso nell'esercizio di un'attività professionale, ossia quando venga accertato un qualsiasi nesso di strumentalità tra una professione di natura economica o finanziaria diretta a creare nuovi beni o servizi ed il riciclaggio; con ciò riconoscendosi un maggiore disvalore alla condotta di chi, disponendo di una struttura organizzata, può svolgere l'attività delittuosa in modo più efficace e quindi con maggiori possibilità di successo (Cass. II, n. 1309/2024).

Nel Codice delle leggi antimafia e precisamente all'art. 71 d.lgs. n. 159/2011, nel quale è stato trasfuso l'art. 7 l. n. 575/1965 (ora abrogata), è prevista una circostanza aggravante ad effetto speciale che determina l'aumento della pena da un terzo alla metà, se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione.

Il comma 3 dell'art. 648-bis c.p. prevede una diminuzione della pena se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è prevista la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si tratta di un'attenuante diversa da quella prevista per il delitto di ricettazione dall'art. 648 comma 2 c.p., nell'ambito della quale il fatto di lieve entità comprende tutti gli elementi della fattispecie, mentre per il riciclaggio si fa riferimento esclusivamente alla pena edittale prevista per il reato presupposto.

Contravvenendo a tutti gli auspici degli operatori, nel recente intervento normativo (l. n. 186/2014), che ha introdotto il reato di autoriciclaggio non è stata inserita alcuna disposizione normativa che preveda misure di carattere premiale riferita specificamente ai delitti di riciclaggio e reimpiego. Viceversa è stata introdotta con la medesima legge disciplinante, nel quadro del potenziamento della lotta all'evasione fiscale, le procedure di emersione e rientro dei capitali detenuti all'estero, una speciale causa di non punibilità per i delitti di cui agli artt. 648-bis e 648-ter c.p. aventi ad oggetto somme costituenti i proventi di reati tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 10-bis e 10-ter d.lgs. n. 74/2000 per i quali pure è prevista la non punibilità; la suddetta causa di non punibilità vale per coloro che si avvalgono entro il 30 settembre 2015 della speciale procedura di collaborazione volontaria consistenza in una autodenuncia al fisco nel versamento dell'imposta dovuta.

Rapporti con altri reati

La giurisprudenza ha ritenuto ammissibile il concorso fra la ricettazione ed il riciclaggio nell'ipotesi in cui, in un unico contesto temporale, un soggetto riceva una pluralità di cose di provenienza delittuosa appartenenti ad una stessa persona, rendendosi responsabile, con riferimento ad alcune di esse, del reato di cui all'art. 648 e con riferimento ad altre di cui quello di cui all'art. 648-bis, ritenendo che si fosse in presenza di una pluralità di eventi giuridici e quindi di diversi reati; la Corte nell'occasione ebbe modo di precisare che non si versava in un caso di concorso apparente di norme, ricorrendo diversi reati commessi con riferimento a beni diversi (Cass. II, n. 27037/2003). Si è poi affermato che il delitto di riciclaggio si distingue da quello di ricettazione in relazione all'elemento materiale, che si connota per l'idoneità ad ostacolare l'identificazione della provenienza del bene e all'elemento soggettivo, costituito dal dolo generico di trasformazione della cosa per impedirne l'identificazione (Cass. II, n. 30265/2017).

Si è ritenuto integrato il delitto di riciclaggio, e non quello di ricettazione, nella condotta di chi, dopo aver ricevuto un assegno di delittuosa provenienza, apra un conto corrente attribuendosi falsamente il nome del suo beneficiario, lo versi sul conto e successivamente prelevi le somme ivi depositate, sostituendo, in tal modo, il valore degli assegni con denaro contante e realizzando la condotta, tipica del riciclaggio, di sostituzione idonea ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa delle somme costituenti il controvalore del titolo (Cass. II, 4853/2023).

In una fattispecie concreta di accertato possesso di un ingente somma di denaro occultato nell’abitacolo di un autoveicolo ed in assenza di qualsiasi giustificazione da parte dell’indagato, si è ritenuto possibile procedere da parte del GIP alla qualificazione giuridica come ricettazione del fatto che il PM, nella richiesta di convalida di sequestro preventivo, aveva configurato come riciclaggio (Cass. II, n. 5616/2021). 

La differenza fra il delitto di riciclaggio e quello di favoreggiamento reale va ravvisata nella circostanza che quest'ultimo delitto costituisce una figura criminosa sussidiaria rispetto alla prima; se, pertanto sussistono gli estremi del riciclaggio sara' esclusa la sussistenza del favoreggiamento reale (Cass. II, n. 16819/2018).

Quanto ai tormentati rapporti fra il delitto di riciclaggio e quello di associazione a delinquere, in una recente sentenza delle sezioni Unite è stata analiticamente ricostruita la tematica del concorso del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso di cui all'art. 416-bis ed i reati di riciclaggio e reimpiego di cui agli arti. 648-bis e 648-ter; segnatamente si è ritenuto che la clausola di riserva contenuta nelle predette ultime disposizioni opera nell'ipotesi in cui la contestazione di riciclaggio e reimpiego nei confronti dell'associato abbia ad oggetto denaro, beni o utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa, mentre nei confronti del membro dell'associazione mafiosa che ripulisca o reimpieghi il denaro, i beni o le altre utilità riconducibili ai soli delitti scopo, alla cui realizzazione egli non abbia fornito alcun apporto, non opera la clausola di esclusione della responsabilità prevista nell'art. 648-bis, in quanto l'oggetto dell'attività tipica del delitto di riciclaggio non è direttamente ricollegabile al reato cui egli concorre. (Cass. S.U., n. 25191/2014). Quindi, alla luce del principio ora ricordato, il giudice sarà chiamato ad esaminare il fatto tipico nelle sue connotazioni oggettive e soggettive con particolare riferimento alla provenienza dei beni oggetto delle attività di riciclaggio o reimpiego, ritenendo configurabile il concorso laddove venga accettato che l'imputato si è incaricato di ripulire denaro, beni ed altre utilità riconducibili ai soli delitti scopo, alla cui realizzazione egli stesso non aveva fornito alcun apporto (Cass. II, n. 52645/2014). Difatti solo il partecipe all'organizzazione che abbia il compito di riciclare o riempiegare la ricchezza prodotta dall'organizzazione stessa non è, sulla base della normativa previgente, punibile per autoriciclaggio (si veda oggi la l. n. 186/2014), in quanto oggetto della sua condotta sono proprio il denaro, i beni e le utilità che ha concorso a produrre con il suo contributo al sodalizio criminoso ed anche tale confusione dovrà essere rivista alla luce della nuova normativa in tema di autoriciclaggio.

La Cassazione ha avuto modo di precisare che il delitto previsto dall'art. 12-quinquies d.l. n. 306/1992 conv. in l. n. 356/1992, si distingue dal delitto di riciclaggio di cui all'art. 648-bis, perché mentre in quest'ultima fattispecie è necessario che i beni su cui vengano poste in essere le condotte incriminate siano provenienza da delitto, nell'altra si persegue solo l'obiettivo di evitare manovre di persone che possono essere assoggettate a misure di prevenzione, volte a non fare figurare la loro disponibilità di beni o altre utilità, a prescindere dalla provenienza di questi da delitto, che se provata può integrare altri reati (Cass. II, n. 39837/2013). Ed in precedenza, nell'ambito di una fattispecie concreta relativa a condotte di riciclaggio e reimpiego di beni effettuate in ambito societario e volte a schermare le disponibilità facenti capo all'imputato e a sottrarle al pericolo di confisca, la Cassazione aveva ritenuto che il delitto di trasferimento fraudolento di valori di cui all'art. 12-quinquies d.l. n. 306/1992 conv. nella l. n. 356/1992 può fungere da reato presupposto dei delitti di cui agli artt. 648-bis e 648-ter (Cass. II, n. 39756/2011). Occorre, pero, a questo riguardo chiarire che, come recentemente affermato dalle sezioni unite il confronto strutturale fra il delitto di trasferimento di valore ex art. 12-quinquies d.l. n. 306/1992 e quelli di riciclaggio e reimpiego consente di affermare l'autonoma e distinta valenza strumentale del primo reato rispetto ai secondi (Cass. S.U., n. 25191/2014); le sezioni unite, allora, preso atto dell'assenza nel citato art. 12-quinquies di una clausola di esclusione della responsabilità per l'autore dei reati che hanno determinato la produzione di illeciti proventi, ha affermato che il soggetto attivo del reato di trasferimento di valori può essere anche colui che ha commesso o a concorso a realizzare il delitto presupposto, qualora abbia predisposto una situazione di apparenza giuridica e formale difforme dalla realtà circa la titolarità e la disponibilità dei beni di provenienza delittuosa, al fine di agevolare la commissione dei delitti di riciclaggio e reimpiego.

Si è ritenuto poi che non sia configurabile il reato di riciclaggio del denaro provento di bancarotta fraudolenta per distrazione, bensì quello di concorso dell'"extraneus" nel reato di cui all'art. 216  l. fall., nella condotta del soggetto che riceve somme di denaro provenienti dalla società poi fallita, con la consapevolezza dello stato di dissesto finanziario della stessa ed in mancanza di titolo giustificativo (Cass. V, n. 2298/2017).

Casistica

Trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente ad un altro

Integra di per sé un autonomo atto di riciclaggio, essendo il reato di cui all'art. 648-bis a forma libera e potenzialmente a consumazione prolungata, attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, ed anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato, ed acceso presso un differente istituto di credito. Nel caso concreto è stata ritenuta penalmente rilevante l'operazione di svuotamento della cassa di un gruppo societario ed il successivo trasferimento del denaro ad un soggetto, attraverso assegni circolari e bonifici, con l'incarico di reimpiegare le somme per finanziare altra società (Cass. II, n. 43881/2014).

Il principio sopra riportato è stato più volte ribadito, precisandosi che integra il delitto in esame il compimento di operazioni volte non solo a impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, a nulla rilevando che si tratti di operazioni tracciabili (Cass II, n. 23774/2020). Nella stessa ottica si è affermato che integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, senza essere concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione la propria carta prepagata o il proprio conto corrente per ostacolare l'accertamento della provenienza delittuosa delle somme da altri ricavate attraverso una frode informatica (Cass. II, n. 6395/2022; Cass. II, n. 19125/2023).

Nello stesso senso si è ritenuto integrato il reato in una fattispecie nell'ambito della quale i giudici di merito avevano ricostruito che una somma di denaro, provento di una frode informatica, era stata immediatamente reimpiegata mediante una nuova ed illecita destinazione della somma di denaro (Cass. II, n. 10939/2024).

Reato integrato con condotte frammentarie e progressive

La consumazione del delitto di riciclaggio, che è un reato a forma libera attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, può coincidere con il momento in cui i beni acquistati con capitali di provenienza illecita sono rivenduti dal reo. Nel caso concreto la Cassazione ha ritenuto che, in relazione alla cessione di immobili acquistati con denaro di provenienza illecita, la successiva acquisizione di denaro «ripulito» non può qualificarsi come un mero «post-factum» non punibile (Cass. III, n. 3414/2014).

Riciclaggio commesso in parte all'estero

In tema di riciclaggio commesso in parte all'estero, va affermata la giurisdizione italiana quando nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, il cui oggettivo rilievo, seppure privo dei requisiti di idoneità ed inequivocita richiesti per il tentativo, sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio estero. In applicazione del principio la Corte ha ritenuto la giurisdizione italiana in un caso nel quale il trasferimento e l'investimento di denaro contante in prodotti finanziari ed immobili acquistati all'estero era stato preceduto dalla commissione in Italia, oltre che del delitto presupposto di traffico di stupefacenti, di condotte funzionali all'acquisizione della documentazione di comodo, allegata a giustificazione della provenienza delle somme investite fuori dal territorio nazionale (Cass. VI, n. 13085/2013).

Quanto ai rapporti con il delitto di cui all'art. 512-bis c.p., la Cassazione, chiamata a valutare la qualificazione giuridica di una fattispecie concreta nell'ambito della quale un soggetto aveva aperto a proprio nome un conto corrente delegando il coniuge per le relative operazioni, con la conseguenza che sul conto veniva versato il denaro provento dei delitti di bancarotta fraudolenta commessi dallo stesso, ha ravvisato un'unica condotta di riciclaggio, escludendo il concorso di quest'ultimo reato con quello di cui all'art. 512-bis c.p.; si è affermato quindi che la fittizia intestazione ha costituito solo un segmento della più articolata condotta di riciclaggio, che, in ragione della clausola di riserva contenuta nell'art. 512-bis c.p., non può essere sanzionata una seconda volta (Cass. II, n. 38141/2022).

Detenzione di un veicolo recante l'alterazione degli elementi identificativi

In tema di riciclaggio, la mera detenzione del bene di illecita provenienza, alterato in modo da ostacolare l'identificazione della provenienza stessa, non è sufficiente per l'affermazione di penale responsabilità, in assenza di elementi idonei a ricondurre la condotta di alterazione o manipolazione al detentore, quanto meno a titolo di concorso. Nel caso concreto la Cassazione ha ritenuto immune da censure la condanna della proprietaria del veicolo — condotto da un terzo al momento del controllo — la cui targa, documento di circolazione e numero di telaio erano stati abusivamente associati all'autovettura rubata, non avendo l'imputata allegato alcun elemento tale da far ritenere che la sua vettura fosse stata, anche solo di fatto, ceduta a terzi (Cass. II, n. 41740/2015).

Sostituzione della targa ad un ciclomotore di provenienza delittuosa

Integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, ricevuto un ciclomotore o altro veicolo di provenienza delittuosa - per il quale è necessaria, ai fini della circolazione, la dotazione della targa indicata dall'art. 97, d.lgs. 3 aprile 1992, n. 285, che identifica l'intestatario del certificato di circolazione - vi apponga una targa di sua proprietà poiché, così facendo, ostacola l'accertamento della provenienza delittuosa del mezzo, che appare nella legittima disponibilità dell'agente (Cass. II, n. 39702/2018).

Riciclaggio attuato a mezzo di carta prepagata

Integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione la propria carta prepagata per ostacolare la provenienza delittuosa delle somme da altri ricavate dall'illecito utilizzo di una carta clonata, consentendo il versamento del denaro in precedenza prelevato al bancomat dal possessore di quest'ultima, resosi perciò responsabile del delitto di frode informatica, ovvero consentendo il diretto trasferimento, sulla predetta carta prepagata, delle somme ottenute dal possessore della carta clonata con un'operazione di "ricarica" presso lo sportello automatico, assumendo comunque rilievo, in tale seconda ipotesi, il delitto presupposto di falsificazione o alterazione della carta originaria, di cui all'art. 55, comma nono, d.lgs. n. 231/2007 (Cass. II, n. 18965/2016).

Ricettazione e riciclaggio riguardanti il provento del reato di bancarotta fraudolenta

I delitti di ricettazione e riciclaggio riguardanti il provento del reato di bancarotta fraudolenta sono configurabili anche nell'ipotesi di distrazioni fallimentari compiute prima della dichiarazione di fallimento, in tutti i casi in cui tali distrazioni erano "ab origine" qualificabili come appropriazione indebita, ai sensi dell'art. 646 c.p. (Cass. II, n. 33725/2016).

Profili processuali

La procedibilità è d'ufficio. È punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da € 5.000,00 ad € 25.000,00. Se il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo ad un anno o nel minimo a sei mesi si applica la pena della reclusione da due a sei anni e della multa da € 2.500,00 ad € 12.500,00.

È prevista una circostanza aggravante ordinaria se il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.

L'art. 648-bis comma 3 c.p. prevede che la pena sia diminuita se il denaro i beni e le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Deve segnalarsi la recente sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU I, 11.5.2023, caso Zagnini c/ San Marino nell’ambito della quale si è affermato che la confisca del provento di un reato di riciclaggio accertato nell’ambito di altro procedimento nei confronti di terze persone costituisce un provvedimento del tutto proporzionato al legittimo scopo della lotta al riciclaggio di denaro, non risultando atto arbitrario; ciò nonostante che la legge di San Marino avesse introdotto la confisca solo in epoca successiva al momento di commissione dei fatti contestati. Quanto alla tutela delle ragioni del terzo proprietario del bene confiscato, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto adeguata la possibilità di richiedere la restituzione dei beni attraverso la proposizione dell’incidente di esecuzione.

Bibliografia

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