Codice Penale art. 684 - Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale (1).Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale (1). [I]. Chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d'informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione [114, 329 c.p.p.; 1793 att. c.p.p.; 131 min.], è punito con l'arresto fino a trenta giorni o con l'ammenda da 51 euro a 258 euro. (1) Articolo così sostituito dall'art. 45 l. 24 novembre 1981, n. 689. InquadramentoIn passato la Corte di Cassazione aveva affermato che l'interesse protetto dall'art. 684 è solo quello dello Stato al normale funzionamento dell'attività giudiziaria mediante la segretezza della fase istruttoria al fine di impedire l'inquinamento della prova o la fuga dei compartecipi; veniva escluso, pertanto, che la norma si proponesse anche la tutela del diritto dell'imputato alla presunzione di innocenza (Cass. V, n. 2320/1980). Oggi si tende a riconoscere natura plurioffensiva alla contravvenzione prevista dall'art. 684, individuandosi gli interessi tutelati dalla norma nel corretto funzionamento della giustizia e nella tutela della riservatezza e della reputazione dei soggetti comunque coinvolti nella vicenda processuale. Del resto detta natura plurioffensiva era stata già, implicitamente, riconosciuta dalla Corte Costituzionale nella decisione con cui era stata ritenuta non fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 21 Cost., tra l'altro dell'art. 684. Segnatamente era stato affermato che l'art. 684 tutela il bene della realizzazione della giustizia anche sotto un ulteriore duplice aspetto: da un lato assicurare la serenità e l'indipendenza del giudice, proteggendolo da ogni influenza esterna di stampa, che possa pregiudicare l'indirizzo delle indagini, le prime valutazioni delle risultanze e il libero convincimento; da un altro lato tutelare nella fase istruttoria la dignità e la reputazione di tutti coloro che, sotto differenti vesti, partecipano al processo (C. cost. n. 18/1966). Tali affermazioni sono state ribadite successivamente (C. cost. n. 457/1987). Ed a tali posizioni è approdata anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione avendo affermato che la previsione incriminatrice dell'art. 684, che tutela il segreto processuale, deve ritenersi a carattere plurioffensivo, essendo preordinata a garanzia non solo dell'interesse dello Stato al retto funzionamento dell'attività giudiziaria, ma anche delle posizioni delle parti processuali e, comunque, della reputazione di esse (Cass. I, n. 42269/2004). La Cassazione ha chiarito che non integra il reato di cui all'art. 684 c.p. la pubblicazione degli atti di un procedimento penale conclusosi con l'archiviazione; ciò in quanto i divieti di pubblicazione degli atti delle indagini preliminari stabiliti dall'art. 114 c.p., posti a tutela delle esigenze investigative e del libero convincimento del giudice, rappresentano una limitazione della libertà di stampa stabilita dalla Costituzione e come tali non sono suscettibili di applicazione analogica (Cass. I, n. 22503/2024). Soggetto attivoSoggetto attivo della contravvenzione prevista dall'art. 684 può essere chiunque; la dottrina ha precisato che il reato in esame può essere commesso anche dal testimone, dal perito o dall'interprete, sebbene i testimoni non siano vincolati al segreto per ciò che riguarda gli atti d'indagine ai quali hanno partecipato (Manzini, X, 579). Del resto la Corte costituzionale aveva precisato che l'art. 684 punisce non solo chi esercita l'attività di stampa e divulgazione, ma chiunque pubblica atti di un procedimento penale di cui sia vietata per legge la pubblicazione, e quindi anche le parti private ed i testimoni, ai quali, malgrado l'esonero dall'obbligo del segreto istruttorio, è inibita la divulgazione a mezzo della stampa (C. cost. n. 18/1966). Elemento materialeLa condotta vietata dalla norma consiste nel pubblicare, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d'informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione. Al riguardo la Corte di Cassazione ha precisato che l'art. 684 non indica quali siano gli atti o documenti per i quali vige il divieto, ma rinvia a quanto espressamente dettato in proposito dal codice di rito cioè a quanto previsto dall'art. 114 c.p.p.; la suddetta norma menziona soltanto gli atti, per cui, per quanto concerne i documenti, occorre rifarsi alla previsione contenuta nell'art. 234 comma 1 c.p.p., in base alla quale è consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone, o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo. A ciò consegue che, secondo la Cassazione, anche un documento fonografico costituito da una registrazione attuata da privati, una volta acquisito come prova documentale agli atti d'indagine ai sensi dell'art. 234 c.p.p., diventa parte integrante atti degli stessi, così che anch'esso venga sottoposto alla disciplina dettata dall'art. 114 c.p.p. in tema di pubblicazione di atti (Cass. I, n. 10948/1995). Per individuare gli atti assoggettati al divieto di pubblicazione sanzionato dall'art. 684 occorre riferimento alle previsioni contenute negli artt. 114 e 329 c.p.p.; la prima norma prevede il divieto di pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altri mezzi di diffusione, degli atti del procedimento penale coperti dal segreto; l'art. 329 c.p.p., invece, individua gli atti per i quali sussiste l'obbligo del segreto e la durata dello stesso. Sulla base di tali previsioni sono state individuate dalla dottrina tre categorie di atti tutelati da diversi gradi di riservatezza: in primo luogo vi sono gli atti delle indagini preliminari compiuti dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, per i quali sussiste un obbligo di segreto assoluto con conseguente divieto di diffusione degli atti stessi o del loro contenuto, anche parziale o per riassunto, fino a quando l'indagato non possa averne conoscenza e comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari; vi sono poi altri atti d'indagine, cioè quelli dei quali l'indagato può avere conoscenza, per i quali sussiste un divieto relativo, che attiene alla pubblicazione anche parziale dell'atto, ma non del suo contenuto; quindi vi sono altri atti del procedimento, che, non essendo diretti al reperimento ed all'assicurazione delle fonti di prova e non potendo essere qualificati come atti d'indagine, possono essere divulgati (Bongiorno). La giurisprudenza di merito ha, al riguardo, ritenuto che nel sistema delineato dal codice vigente non esiste un segreto da tutelare per finalità investigative, quando la notizia sia stata già pubblicata in precedenza, in quanto oggi occorre fare riferimento ad una valutazione in concreto della tutela della segretezza; ha precisato che l'informazione di garanzia non è soggetta ad un divieto di pubblicazione assoluto, in quanto, da un lato, dal momento della ricezione essa è un atto conosciuto da parte dell'indagato e, da un altro lato, essa non è qualificabile come atto d'indagine in senso proprio; ha ancora chiarito che per gli interrogatori ed i sequestri sussiste un obbligo del segreto solo relativo, che consente la pubblicazione non degli atti stessi, ma del loro contenuto (Trib. Bologna 11 febbraio 1994, Foro it., 1995, II, 525). La Corte di Cassazione ha confermato tale impostazione, affermando che il regime della segretezza degli atti non coincide perfettamente con il divieto di divulgazione degli stessi, in quanto solo per atti coperti da segreto assoluto esiste un divieto di pubblicazione assoluto sia con riferimento al testo che al contenuto, anche parziale o per riassunto; mentre per gli altri atti, come si è visto, il divieto di pubblicazione è circoscritto a determinate ipotesi collegate alla possibilità di conoscenza dell'atto da parte del suoi destinatario ed alla fase in cui si trova il procedimento (Cass. I, n. 10135/1994). Questa impostazione è stata recentemente ribadita, affermandosi che il sequestro preventivo mediante oscuramento di un giornale telematico che pubblichi in forma testuale alcune intercettazioni telefoniche fa venir meno l'obbligo del segreto intraprocessuale, ma non esclude il divieto di pubblicazione; ciò, in quanto esiste una distinzione fra atti coperti da segreto ed atti non pubblicabili: difatti mentre il segreto opera all'interno del procedimento, il divieto di pubblicazione riguarda la divulgazione tramite la stampa e gli altri mezzi di comunicazione sociale (Cass. I, n. 32846/2014). Così analogamente si era ritenuto in precedenza con riguardo alla notifica all'imputato dell'ordinanza di custodia cautelare, per la quale, pur non essendo ipotizzabile più il segreto infraprocessuale, permane il divieto di pubblicazione (Cass. I, n. 3896/2002). Si è anche precisato che le modifiche introdotte dall'art. 114 c.p.p. vigente, in tema di atti per i quali vige il divieto di pubblicazione, non hanno comportato una successione di leggi penali, sicché non può porsi questione di diritto transitorio, ne hanno dato luogo ad una abolitio criminis della fattispecie descritta dagli artt. 684 e 164 c.p.p. 1930; ciò in quanto il fatto descritto nella norma incriminatrice è rimasto immutato, nella sostanza, mentre ciò che è mutato, in conseguenza del nuovo rito introdotto, è la tipologia degli atti assoggettati a tutela, il che non comporta un fenomeno di successione di leggi penali (Cass. VI, n. 6864/1994). La pubblicazione può avvenire con qualsiasi mezzo, modo o forma ed il reato ha carattere istantaneo che viene a consumazione nel momento e nel luogo in cui gli atti vengono pubblicati e deve trattarsi di atti di un procedimento penale, non essendo prevista analoga tutela per gli atti appartenenti a procedimenti civili o amministrativi. Neppure rientrano nella tutela prevista dall'art. 684 i documenti di origine extraprocessuale acquisiti al procedimento e non compiuti dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, non trattandosi di atti coperti dal segreto ex art. 329 c.p.p. o per i quali vige il divieto di pubblicazione ex art. 114 c.p.p. (Cass. I, n. 13494/2011). La Cassazione ha precisato che non rientra nel divieto di pubblicazione di cui all'art. art. 114 c.p.p. una denuncia presentata al P.M. o alla polizia giudiziaria, in quanto non atto di indagine compiuto da costoro (Cass. I, n. 21290/2017). Si è però precisato che integra il reato la condotta di chi, nel corso delle indagini preliminari, pubblica, anche solo riferendone il contenuto in relazione ad argomenti, temi e soggetti, una querela oralmente sporta alla polizia giudiziaria, atteso che detta forma di querela, consentendo al verbalizzante di porre domande all'interlocutore, che acquisisce pertanto la veste di persona informata dei fatti, costituisce atto di indagine della polizia giudiziaria coperto da segreto ai sensi dell'art. 329, comma 1, c.p.p. con conseguente divieto assoluto di pubblicazione ai sensi dell'art. 114, comma 1, (Cass. I, n. 41640/2019). Elemento psicologicoLa giurisprudenza ha precisato che il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale è punibile sia a titolo di dolo che di colpa (Cass. I, n. 8205/2010). Si è anche precisato in proposito che la causa di giustificazione dell'esercizio del diritto di cronaca non opera in riferimento al reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, dovendosi ritenere che, in relazione a tale ipotesi, il legislatore ha valutato preminente l'interesse alla non divulgazione dei dati processuali, specie se riferiti a persone minori di età, rispetto all'utilità sociale dell'informazione (Cass. I, n. 27986/2016). Rapporti con altri reatiLa giurisprudenza è stata chiamata ad occuparsi del rapporto fra la contravvenzione di cui all'art. 684 ed il delitto previsto dall'art. 326. Tempo addietro le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno escluso che si verificasse l'assorbimento della contravvenzione di cui all'art. 684 nel delitto di rilevazione di segreti d'ufficio previsto dall'art. 326, precisando che l'ipotesi del concorso apparente di norme non è configurabile sulla base dell'identità del bene giuridico protetto da disposizioni apparentemente confliggenti, presupponendo, invece, un medesimo fatto (Cass. S.U., n. 420/1981). In relazione alla fattispecie concreta portata all'esame del giudice di legittimità, si è ritenuto che con la comunicazione all'esterno della notizia segreta era stato consumato il reato di cui all'art. 326, e poi, successivamente, con la pubblicazione dei relativi atti era stata consumata anche la contravvenzione prevista dall'art. 684. Ed in applicazione di tali principi la Cassazione ha, recentemente, ribadito il proprio costante orientamento (Cass. I, n. 43479/2013), in base al quale viola il principio di correlazione fra accusa e sentenza la pronuncia di condanna per la contravvenzione di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, di cui all'art. 684, laddove all'imputato era stato contestato il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio, previsto dall'art. 326, attesa l'eterogeneità delle condotte oggetto delle due distinte fattispecie incriminatrici (Cass. I, n. 10611/2015). CasisticaNotizia già diffusa da fonte d'informazione Ai fini della sussistenza del reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, è irrilevante che la notizia sia stata già diffusa da altra fonte di informazione e non desunta direttamente dagli atti processuali, perché con la successiva pubblicazione viene data all'atto maggiore diffusione e propagazione (Cass. I, n. 474/2012). Divulgazione di notizie di un procedimento penale da parte di un avvocato Si è ritenuto rientrare nell'ambito dell'ordinario esercizio del diritto di difesa la divulgazione al proprio cliente di notizie relative ad un procedimento a suo carico, delle quali l'acquisizione sia avvenuta in modo lecito, anche in assenza di uno specifico mandato in relazione ad un determinato procedimento, atteso che appare legittimo rivolgersi ad un legale anche senza la conoscenza di un'indagine nei propri confronti (Cass. I, n. 11547/2005). Risarcimento dei danni determinati dal reato di cui all'art. 684 Nella giurisprudenza delle sezioni civili della Corte di Cassazione si registra un contrasto in ordine alla possibilità di fondare una pretesa risarcitoria sul reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. Segnatamente da un lato la terza sezione ha ammesso tale possibilità (Cass. civ. III, n. 6838/2015), prescindendo dal fatto che il reato di cui all'art. 684 concorra con quello di diffamazione, attesa l'autonomia fra le due fattispecie ed in particolare la natura plurioffensiva di quella prevista dall'art. 684 (Cass. civ. I, n. 17602/2013); da un altro lato, però, la stessa terza sezione (Cass. civ. III, n. 19746/2014), ha affermato che la tutela penale accordata dall'art. 684 non attiene alla sfera di riservatezza dell'indagato o dell'imputato, ma alla protezione delle esigenze di giustizia inerenti al processo penale nella delicata fase di acquisizione della prova. Ed è chiaro che, aderendo a questo secondo indirizzo giurisprudenziale diventa problematica la legittimazione del privato a fare valere una pretesa risarcitoria per la mera violazione dell'art. 684. Recentemente la prima sezione civile della Cassazione, chiamata a giudicare su una sentenza con la quale era stato negato il risarcimento dei danni in conseguenza della pubblicazione di articoli contenenti stralci di atti di un procedimento penale, constatata la presenza dei sopra riportati orientamenti, ha rimesso la causa al primo presidente per l'eventuale rimessione alle sezioni unite (Cass. I, n. 22003/2015). Profili processualiIl reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale è procedibile d'ufficio. È ammessa l'oblazione ai sensi dell'art. 162-bis BibliografiaBongiorno, Il divieto di pubblicare atti del processo penale: dalla tutela dei giurati alla tutela del segreto investigativo, in Foro it. 1995, II, 525; Gabrielli, Sviste giurisprudenziali e inadeguatezze normative in tema di pubblicabilità degli atti del procedimento penale, in Cass. pen. 2018, 291; Mantovani, I limiti della libertà di manifestazione del pensiero in materia di fatti criminosi, con particolare riguardo alle due sentenze della Corte Costituzionale sul divieto di pubblicazione di determinati atti processuali, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1966, 627; Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1974; Mari, Inapplicabilità dell'art. 684 ai documenti di origine extraprocessuale, in Cass. pen. 2011, 11, 3783; Mendoza, Divieto di pubblicazione di atti e beni giuridici tutelati, in Cass. pen. 1995, 1079; Rampioni, Considerazioni in tema di pubblicazione arbitraria di atti processuali, in Cass. pen. 1981, 472. |